Nullo il decreto di espulsione non tradotto nella lingua dello straniero

Fatale alla Prefettura e al Giudice di pace la mancanza di prove certe sulla impossibilità di predisporre un testo nella lingua conosciuta dal destinatario dell’atto.

Censurata e sanzionata l’omessa traduzione del decreto di espulsione emesso nei confronti del cittadino straniero presente in Italia. Irrilevante il richiamo alla sua – presunta – capacità di parlare e comprendere la lingua italiana Cassazione, ordinanza n. 19/21, sez. Lavoro, depositata il 5 gennaio . Casus belli è un decreto prefettizio di espulsione emesso nei confronti di un uomo, originario del Bangladesh, presente in Italia. Lo straniero contesta il provvedimento e lamenta, in particolare, la mancata traduzione nella lingua a lui conosciuta . Questo dettaglio è ritenuto non significativo dal Giudice di pace, che respinge il ricorso proposto dallo straniero e osserva che egli è in grado di parlare e comprendere la lingua italiana pure scelta per la notificazione degli atti . Il legale del cittadino bengalese ribatte però col ricorso in Cassazione che la mancata traduzione del decreto di espulsione non è stata giustificata, poiché non si è fatto riferimento a una circostanziata impossibilità di reperimento di un traduttore in lingua bengalese . Impossibilità, poi, difficile da credere, secondo il legale, vista la presenza di una comunità di bengalesi sul territorio . Inoltre, neanche la comunicazione del contenuto del decreto in lingua italiana e in inglese – una delle tre lingue veicolari – è stata accompagnata da una spiegazione plausibile , osserva ancora il legale, chiedendo, alla fine, il riconoscimento della nullità del decreto di espulsione . La linea difensiva convince i Giudici del ‘Palazzaccio’, i quali riconoscono che è nullo il provvedimento di espulsione tradotto in lingua veicolare per l’affermata irreperibilità immediata di traduttore nella lingua conosciuta dallo straniero, salvo che l’amministrazione non affermi, ed il giudice ritenga plausibile, l’impossibilità di predisporre un testo nella lingua conosciuta dallo straniero per la sua rarità ovvero l’inidoneità di tale testo alla comunicazione della decisione in concreto assunta . In questo caso specifico il provvedimento espulsivo, non tradotto nella lingua conosciuta dallo straniero, risulta traslato solo nella lingua veicolare, senza che l’amministrazione abbia affermato ed il giudice ritenuto plausibile l’impossibilità di predisporre un testo nella lingua conosciuta dal destinatario dell’atto . Ciò comporta che il decreto di espulsione va annullato, concludono dalla Cassazione.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 9 settembre 2020 – 5 gennaio 2021, n. 19 Presidente Tria – Relatore Patti Rilevato che 1. con ordinanza 18 dicembre 2019, il Giudice di Pace di Catania rigettava il ricorso proposto da So. Sh., cittadino del Bangladesh, avverso il decreto di espulsione 3 aprile 2019 del Prefetto di Catania per infondatezza della doglianza di sua mancata traduzione nella lingua a lui conosciuta, siccome in grado di parlare e comprendere la lingua italiana pure scelta per la notificazione degli atti , in ogni caso non più comportante nullità dell'atto, ma eventuale rimessione in termini per la sua impugnazione 2. il primo giudice dava anche conto dell'avvenuto rigetto dal Tribunale di Bologna del ricorso dello straniero avverso la reiezione nel 2017 dalla Commissione Territoriale della sua domanda di protezione internazionale, con provvedimento non impugnato per cassazione e pertanto definitivo 3. con atto notificato il 19 febbraio 2020, lo straniero ricorreva per cassazione con tre motivi la Prefettura di Catania e il Ministero dell'Interno restavano intimati Considerato che 1. il ricorrente deduce violazione o falsa applicazione dell'art. 13, settimo comma D.Lgs. 286/1998, per nullità del decreto di espulsione per la sua mancata traduzione in lingua bengalese, non giustificata, se non vagamente con argomentazione standardizzata, da una circostanziata impossibilità di reperimento di un traduttore in tale lingua, neppure rara per la presenza sul territorio di una comunità di bengalesi la comunicazione del contenuto del decreto in lingua italiana e in inglese una delle tre lingue veicolari non essendo stata accompagnata pertanto da una spiegazione plausibile primo motivo 2. esso è fondato 3. infatti, è nullo il provvedimento di espulsione tradotto in lingua veicolare per l'affermata irreperibilità immediata di traduttore nella lingua conosciuta dallo straniero, salvo che l'amministrazione non affermi, ed il giudice ritenga plausibile, l'impossibilità di predisporre un testo nella lingua conosciuta dallo straniero per la sua rarità ovvero l'inidoneità di tale testo alla comunicazione della decisione in concreto assunta Cass. 8 marzo 2012, n. 3676 Cass. 14 luglio 2015, n. 14733 Cass. 6 febbraio 2018, n. 2865, con specifico riferimento a cittadino bengalese 3.1. nel caso di specie, il provvedimento espulsivo, non tradotto nella lingua conosciuta dallo straniero, risulta traslato solo nella lingua veicolare, senza che l'amministrazione abbia affermato ed il giudice ritenuto plausibile , l'impossibilità di predisporre un testo nella lingua conosciuta dal destinatario dell'atto 4. il ricorrente deduce poi violazione dell'art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c, per omissione di una pronuncia sugli altri due motivi di doglianza, con una palese carenza istruttoria secondo motivo violazione o falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c. e 19, primo comma D.Lgs. 286/1998, per non avere il Giudice di Pace pronunciato su tutta la domanda ed in particolare sul motivo relativo al principio di non respingimento, alla luce della situazione di grave insicurezza del Bangladesh, documentata da recenti e molteplici reports, con esposizione ad un pericolo concreto per la propria incolumità terzo motivo 5. essi sono assorbiti 6. pertanto il ricorso deve ,essere accolto, con la cassazione dell'ordinanza impugnata e, con decisione nel merito ai sensi dell'art. 384 c.p.c, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la pronuncia della sua nullità e di annullamento del decreto prefettizio, con la regolazione delle spese del giudizio di merito e di legittimità secondo il regime di soccombenza senza alcuna conseguente statuizione anche in ordine alla richiesta di ammissione al gratuito patrocinio , posto che questa Corte non ne ha la competenza, riservata nei processi civili, in relazione al giudizio di cassazione, al giudice del rinvio ovvero, per le ipotesi di definizione del giudizio diverse dalla cassazione con rinvio, al giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato Cass. s.u. 20 febbraio 2020, n. 4315 P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso cassa il decreto del Giudice di Pace e, decidendo nel merito, lo dichiara nullo e annulla il decreto del Prefetto di Catania condanna la Prefettura alla rifusione, in favore del ricorrente, delle spese di giudizio, che liquida per il giudizio di merito in Euro 100,00 per esborsi e Euro 1.500,00 per compensi professionali e per il giudizio di legittimità in Euro 200,00 per esborsi e Euro 2.200,00 per compensi professionali entrambi oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge.