Schiavizzato dallo zio, scappa in Italia: protezione possibile

Riprende vigore la richiesta presentata da uno straniero originario della Nigeria. Per i Giudici della Cassazione la sua età 30 anni non è elemento sufficiente per ritenere che egli sia in grado di emanciparsi in caso di ritorno in patria.

Protezione possibile per lo straniero scappato dal Paese di origine per sottrarsi alla schiavitù impostagli da uno zio. Irrilevante il fatto che egli abbia raggiunto i 30 anni di età il dato anagrafico non è sufficiente, difatti, per ritenere scontata la sua capacità di emanciparsi, una volta tornato in patria Cassazione, ordinanza numero 23017/20, depositata oggi . A essere presa in esame è la delicata vicenda riguardante uno straniero originario della Nigeria. Lui spiega di essere scappato dal proprio Paese per sottrarsi alla schiavitù impostagli dallo zio, ma secondo i membri della Commissione territoriale e secondo i Giudici del Tribunale non ci sono i presupposti per concedergli protezione in Italia. Il suo racconto è ritenuto credibile. Egli ha chiarito di «essere stato schiavizzato da uno zio paterno» che gli aveva «impedito di frequentare la scuola per sfruttarlo nei campi» e «lo aveva maltrattato, senza fornirgli sufficienti mezzi di sostentamento». Per i Giudici di merito, però, va esclusa la protezione, perché «il persecutore non era un organo statale» e «in caso di rimpatrio, egli, alla sua età 30 anni , può tranquillamente sottrarsi alle violenze dello zio paterno», anche ricorrendo alla tutela offerta dalle autorità statali. Il legale dello straniero contesta la valutazione compiuta in Tribunale e pone in evidenza, col ricorso in Cassazione, «la condizione socio-politica del Niger, ove la schiavitù è una prassi diffusa» e mette in discussione «la possibilità di una tutela statuale». Infine, il legale aggiunge che, comunque, «la violenza domestica rientra pienamente nelle previsioni della Convenzione di Ginevra, riconducibile nell’ambito dei trattamenti inumani e degradanti». Le obiezioni proposte dall’avvocato convincono i magistrati della Cassazione, tanto da spingerli a censurare la decisione presa dal Tribunale. In particolare, viene evidenziato che i Giudici di merito «non hanno valutato adeguatamente la situazione individuale e le circostanze personali dello straniero, in particolare, la condizione sociale, il sesso e l’età, al fine di valutare se, in base alle sue circostanze personali, gli atti a cui è stato o potrebbe essere esposto si configurino come persecuzione o danno grave». Allo stesso tempo, dal Palazzaccio osservano che «lo straniero ha già subito persecuzioni o danni gravi o minacce dirette di persecuzione o danni» e questo dato di fatto «costituisce un serio indizio della fondatezza del timore dello straniero di subire persecuzioni o del rischio effettivo di subire danni gravi» in caso di ritorno in patria. Poco convincente, a questo proposito, il richiamo del Tribunale alla circostanza che «l’età anagrafica avrebbe tutelato lo straniero dalla possibilità di subire nuovamente trattamenti disumani riduzione in schiavitù », poiché, spiegano i Giudici della Cassazione, «la pregressa lunga situazione di maltrattamenti, subiti sin dalla infanzia, potrebbe aver impedito allo straniero di raggiungere quell’autonomia intellettuale e psico-fisica tale da consentirgli di potersi sottrarre ad analoghe situazioni di schiavitù» una volta ritornato in Nigeria. Per i magistrati della Cassazione è plausibile, alla luce della vicenda, ipotizzare un «danno grave» per «trattamento inumano o degradante», con connesso riconoscimento della protezione. Prima di tirare un sospiro di sollievo, però, lo straniero dovrà affrontare un nuovo giudizio in Tribunale, laddove i Giudici dovranno tenere presenti le osservazioni effettuate dalla Cassazione.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 15 settembre – 21 ottobre 2020, numero 23017 Presidente San Giorgio – Relatore Balsamo Rilevato che Il Tribunale di Napoli, con decreto pubblicato il 15.11.2018 respingeva il ricorso proposto da It. Be., cittadino della Nigeria, avverso il provvedimento con il quale la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Salerno, a sua volta, aveva rigettato la domanda proposta dall'interessato di riconoscimento dello status di rifugiato, di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare umanitaria . Il richiedente aveva raccontato di essere stato schiavizzato da uno zio paterno che gli aveva impedito di frequentare la scuola per sfruttarlo nei campi che lo aveva maltrattato senza fornirgli sufficienti mezzi di sostentamento, affermando che la situazione era peggiorata dopo aver rivendicato le proprietà ereditate dal padre. Il Tribunale di Napoli pur riconoscendo la credibilità della narrazione del richiedente, respingeva le domande escludendo i presupposti della richiesta protezione, sia perchè il persecutore non era un organo statale, sia perché nell'ipotesi reimpatrio, egli, alla sua età anni 30 , avrebbe potuto tranquillamente sottrarsi alle violenze dello zio paterno. Dalle quali, peraltro, avrebbe potuto tutelarsi ricorrendo alle autorità statali. Aggiungeva il Collegio che l'area di provenienza del richiedente non era interessata da conflitti armati, da violenza generalizzata e che anzi dalle fonti internazionali attinte risultava che era la regione più sicura del Niger mentre il conflitto in atto nella zona nord del paese dista centinaia di chilometri dalla Edo state. It. Be. ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di quattro motivi. Il ministero dell'interno è rimasto intimato. Considerato che 2. Con il primo motivo, si deduce error in iudicando e violazione degli articolo 2, lett. g, 3,co.3, 4,5,6, co.2, 14, lett. b , del D.Lgs. numero 251/2007 nonché degli articolo 3 e 4 della Cedu, dell'articolo 8, co. 3, del D.Lgs. numero 25/2008 ex articolo 360 numero 3 c.p.c. per avere i giudici di merito omesso di valutare la condizione socio-politica del Niger dove la schiavitù è una prassi diffusa ed accertare attraverso l'attivazione dei poteri officiosi la possibilità di una tutela statuale, tenuto conto che anche la violenza domestica rientra pienamente nelle previsioni della Convenzione di Ginevra, riconducibile nell'ambito dei trattamenti inumani e degradanti di cui all'articolo 14, lett.b , cit. 3. Con la seconda censura, si deduce error in iudicando ex articolo 360 numero 5 c.p.c. per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e relativo ai presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, per avere il collegio escluso la sussistenza di condizioni di vulnerabilità diversa da quelli dedotti a fondamento della protezione internazionale, trascurando di considerare che il richiedente aveva attraversato la Libia dove era stato detenuto per cinque mesi subendo torture e trattamenti inumani. 4. Con il terzo mezzo si censura il decreto del tribunale di Napoli sotto il profilo della violazione degli articolo 8, co. 3, 3,2 co. 3, D.Lgs. numero 25/08, 5, co. 6, e 19 del D.Lgs. numero 286/98, dell'articolo 3, co.1 e 2, del D.Lgs. numero 251/2007, nonché degli articolo 2,3,4, e 5 CEDU e 3 e 14 della Dichiarazione Universale dei diritti dell'Uomo ex articolo 360 numero 3 c.p.c., sostenendo che il tribunale avrebbe dovuto verificare la situazione di vulnerabilità del ricorrente accertando la possibilità che il reimpatrio avrebbe potuto deprivarlo dei diritti umani che ne avevano giustificato l'allontanamento, operando il bilanciamento tra integrazione sociale acquisita in Italia e situazione oggettiva del pese di origine, correlata alla condizione personale del richiedente asilo. 5. Il primo motivo è fondato, assorbiti il secondo ed il terzo mezzo. Il tribunale ha violato l'articolo 3, comma 3.lett. C , D.Lgs 251/2007, atteso che non ha valutato adeguatamente la situazione individuale e le circostanze personali del richiedente, in particolare, la condizione sociale, il sesso e l'età, al fine di valutare se, in base alle circostanze personali del richiedente, gli atti a cui è stato o potrebbe essere esposto si configurino come persecuzione o danno grave . Ha altresì disatteso l'articolo 3, comma 4, D.Lgs. 251/2007, considerato che il fatto che il richiedente abbia già subito persecuzioni o danni gravi o minacce dirette di persecuzione o danni costituisce un serio indizio della fondatezza del timore del richiedente di subire persecuzioni o del rischio effettivo di subire danni gravi, atteso che l'argomentare del Tribunale in merito alla circostanza che l'età anagrafica del ricorrente lo avrebbe tutelato dalla possibilità di subire nuovamente trattamenti disumani riduzione in schiavitù , lascia margini di dubbi alla luce della pregressa lunga situazione di maltrattamenti subiti sin dalla infanzia, che potrebbero aver impedito al ricorrente di raggiungere quell'autonomia intellettuale e psico fisica tale da consentirgli di potersi sottrarre ad analoghe situazioni di schiavitù. Al riguardo va richiamato l'orientamento di questa Corte che annovera nel concetto di violenza domestica di cui all'articolo 3 della Convenzione di Istanbul dell'11 maggio 2011 le limitazioni al godimento dei diritti umani fondamentali nella specie attuati ai danni di una donna di religione cristiana Cass. 28152/2018 . Nell'occasione questa Corte ha precisato che simili atti, anche se posti in essere da autorità non statali, integrano ai sensi dell'articolo 5, lett. c , D.Lgs. 251/07 i presupposti della persecuzione di cui al successivo articolo 7, se ciò che va accertato le autorità statali non le contrastino o non forniscano protezione, in quanto frutto di regole consuetudinarie locali Cass. nnumero 6573 e 6879 del 2020 . Ne consegue che, all'esito della doverosa acquisizione di specifiche COI, finalizzate all'accertamento dell'aspetto in discussione, la fattispecie potrebbe -ricorrendone le condizioni essere ricostruita in termini di «danno grave» per «trattamento inumano o degradante» ai sensi dell'articolo 14, comma 1, lett. b , D.Lgs. 251/07. 7. L'ultima censura è inammissibile. Con riguardo alle violenze subite nel Paese di transito la Libia , prima dell'arrivo in Italia, ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria, deve ribadirsi, come di recente chiarito da questa Corte Cass. numero 31676/2018 numero 2861/2018 che nella domanda di protezione internazionale, l'allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito nella specie la Libia si consumi un'ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perché l'indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al paese di origine o alla dimora abituale, ove si tratti di un apolide . Il Paese di transito potrà tuttavia rilevare dir.UE numero 115 del 2008, articolo 3 nel caso di accordi umanitari o bilaterali di ammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale Paese. La doglianza sul punto è inammissibile per difetto di specificità Cass. numero 13096/2019 . 6. Pertanto, in accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbiti il secondo ed il terzo, dichiarato inammissibile l'ultimo, il decreto impugnato va cassato con rinvio, anche per la statuizione sulle spese del presente giudizio. P.Q.M. Accoglie il primo motivo di ricorso, nei sensi di cui in motivazione, assorbiti il secondo ed il terzo, dichiarato inammissibile l'ultimo mezzo cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa al Tribunale di Napoli, in diversa composizione, cui demanda di provvedere del giudizio di legittimità.