Il termine del comodato può risultare dall’uso cui è destinato il bene solo quando esso sia predeterminato nel tempo

La Suprema Corte precisa che nel caso di comodato di scopo”, il termine può essere riconducibile all’utilizzazione del bene solo quando esso abbia una durata predeterminata nel tempo in assenza di elementi idonei a provare ciò, dunque, si configura un comodato a tempo indeterminato, revocabile ad nutum dal comodante ai sensi dell’art. 1810 c.c

Questo l’oggetto dell’ordinanza della Corte di Cassazione n. 22309/20, depositata il 15 ottobre. La Corte d’Appello di Palermo confermava la decisione del Giudice di primo grado, con cui era stata rigettata la domanda degli attori tesa al rilascio di alcuni beni immobili di loro proprietà detenuti senza titolo dalla società convenuta. Le ragioni della decisione risiedono nel fatto che dalle prospettazioni degli attori fosse emersa l’esistenza di una detenzione qualificata degli immobili da parte della società convenuta, giustificabile da un comodato intercorso tra i comproprietari originari e la società stessa, da cui è derivato l’utilizzo degli immobili per finalità commerciali da parte di quest’ultima. Da tale finalità dell’utilizzazione sarebbe conseguita l’apposizione di un termine di durata implicito al comodato, corrispondente alla soddisfazione degli scopi cui l’immobile era stato destinato. Contro tale pronuncia, gli attori soccombenti propongono ricorso per cassazione, lamentando, tra i diversi motivi, il fatto che la Corte avesse ritenuto dimostrata, a fondamento della detenzione della controparte, la sussistenza del comodato dotato di termine implicito, pur in assenza di elementi di prova in tal senso. La Suprema Corte dichiara fondato il motivo prospettato dai ricorrenti, richiamando l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui il fatto che un immobile sia stato concesso in comodato per una specifica attività non basta per ritenere che il relativo contratto sia soggetto a un termine implicito, potendo dunque il comodante domandarne la restituzione anche prima della cessazione della suddetta attività. A tal proposito, la Corte aggiunge che l’apposizione al comodato d’un termine derivante dall’ uso cui la cosa è destinata non può ravvisarsi nel solo fatto che nell’immobile si svolga una determinata attività commerciale o di altro tipo , per la semplice ragione che tale attività potrebbe non avere alcun termine prevedibile , dunque il contratto di comodato non solo non avrebbe alcun termine ma andrebbe ad espropriare di fatto il comodante. A sostegno di tale tesi vi è anche il principio già affermato dalla stessa Corte di Cassazione in base al quale il termine del comodato può sì risultare dall’uso cui il bene è destinato, ma solo qualora tale uso abbia in sé connaturata una durata predeterminata nel tempo , in mancanza della quale si configura un comodato a tempo indeterminato , dunque a titolo precario e in quanto tale revocabile ad nutum da parte del comodante ai sensi dell’art. 1810 c.c Non essendo stato, nel caso di specie, allegato alcun elemento idoneo a confermare una durata predeterminata nel tempo del contratto di comodato in oggetto, gli Ermellini accolgono il motivo di ricorso e cassano la decisione impugnata in relazione ad esso.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 1 – 15 ottobre 2020, n. 22309 Presidente Scoditti – Relatore Dell’Utri Rilevato che con sentenza resa in data 21/3/2019, la Corte d’appello di Palermo ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha rigettato la domanda proposta da C.R. e Z.V. per la condanna della C.N. & amp C. s.a.s. al rilascio di taluni beni immobili di proprietà degli attori asseritamente detenuti sine titulo dalla società convenuta a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato come, sulla base delle stesse prospettazioni degli attori, fosse emersa la sussistenza di una detenzione qualificata degli immobili de quibus da parte della società convenuta, nella specie giustificata dal presumibile comodato intercorso tra gli originari comproprietari di detti immobili tra i quali gli originari attori, divenuti proprietari esclusivi solo a seguito di una divisione successivamente intercorsa tra tutti gli interessati e la stessa società al riguardo, la circostanza che gli originari comodanti avessero concesso l’utilizzazione degli immobili de quibus per le finalità commerciali della società convenuta era valsa a dotare detto comodato di un implicito termine di durata, corrispondente alla soddisfazione delle finalità proprie per le quali l’immobile era stato destinato, con la correlativa esclusione del carattere precario del ridetto comodato e la conseguente radicale infondatezza dell’originaria domanda degli attori avverso la sentenza d’appello, C.R. e Z.V. propongono ricorso per cassazione sulla base di due motivi d’impugnazione la C.N. & amp C. s.a.s. e D.C.V. quest’ultima beneficiaria della condanna al rimborso delle spese di lite, in qualità di difensore antistatario , resistono con controricorso a seguito della fissazione della camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., le parti non hanno presentato memoria. Considerato che con il primo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., nonché dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 , per essersi il giudice d’appello erroneamente pronunciato sull’eccezione avanzata dalla società convenuta avente a oggetto la sussistenza di un contratto di comodato a fondamento della detenzione degli immobili di proprietà degli attori, trattandosi di un’eccezione non rilevabile d’ufficio sollevata da una parte costituitasi tardivamente il motivo è inammissibile osserva il Collegio come i ricorrenti abbiano prospettato il vizio in esame senza cogliere in modo specifico la ratio individuata dal giudice a quo a sostegno della decisione assunta sul punto, varrà richiamare il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale, il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, siccome per denunciare un errore occorre identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione , l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito, considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un non motivo , è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4 Sez. 3, Sentenza n. 359 del 11/01/2005, Rv. 579564 - 01 nel caso di specie, varrà sottolineare come il giudice a quo abbia rilevato la sussistenza del titolo contrattuale posto a fondamento della detenzione degli immobili oggetto di lite da parte della società convenuta, non già a seguito dell’accoglimento della corrispondente eccezione sollevata da quest’ultima, bensì secondo quanto espressamente attestato dalla stessa corte territoriale sulla base delle prospetta-zioni articolate dagli attori in particolare, la corte d’appello ha evidenziato come gli stessi attori avessero dedotto la circostanza del pregresso godimento dei beni de quibus da parte della società convenuta prima che gli stessi pervenissero in proprietà esclusiva degli odierni attori, da tale premessa lasciando presumere secondo l’inferenza fatta propria dalla sentenza impugnata la pacifica attribuzione convenzionale di un diritto di godimento a titolo gratuito in favore della società convenuta, non essendo mai emersa alcuna pretesa di pagamento di corrispettivi da parte degli originari comproprietari ciò posto, non avendo gli odierni ricorrenti adeguatamente censurato tale specifica motivazione essendosi limitati a contestare la tardiva deduzione del titolo contrattuale in via di eccezione da parte della società convenuta , l’odierna censura deve ritenersi inammissibilmente proposta per le ragioni indicate con il secondo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., nonché degli artt. 1810, 2697, 2727 e 2729 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 , per avere la corte d’appello erroneamente ritenuto dimostrata la sussistenza di un comodato con determinazione implicita di termine a fondamento della detenzione della controparte, in assenza di alcun elemento di prova idoneo a giustificarla il motivo è manifestamente fondato osserva il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, la circostanza che un immobile concesso in comodato sia destinato a una specifica attività non è sufficiente per ritenere il relativo contratto soggetto a un termine implicito, sicché il comodante può domandare la restituzione del bene prima della cessazione di tale attività cfr. Sez. 3, Sentenza n. 24468 del 18/11/2014, Rv. 633360 - 01 in particolare, l’apposizione al comodato d’un termine derivante dall’uso cui la cosa è destinata non può ravvisarsi nel solo fatto che nell’immobile si svolga una determinata attività commerciale o di altro tipo , per la semplice ragione che tale attività potrebbe non avere alcun termine prevedibile, nel qual caso il comodato sarebbe di fatto sine die conclusione, quest’ultima, che snaturerebbe la causa del contratto espropriando di fatto il comodante , prospettandosi in termini insostenibili sul piano logico, poiché condurrebbe all’irragionevole conclusione che un comodato di immobili destinato ad attività che vi si svolgono sine die, sarebbe pur esso sine die peraltro, poiché la destinazione d’uso di un immobile dipende dalla volontà del comodatario e poiché non può concepirsi che un immobile non abbia una destinazione d’uso, sia pure solo di svago , a seguire il ragionamento della corte d’appello la durata di ogni comodato finirebbe per essere rimessa alla volontà mera del comodatario le conclusioni che precedono sono state già più volte affermate da questa Corte pacifico, in particolare, è il principio secondo cui il termine dei comodato può risultare dall’uso cui la cosa deve essere destinata solo se tale uso abbia in sé connaturata una durata predeterminata nel tempo in mancanza, invece, di particolari prescrizioni di durata, ovvero di elementi certi ed oggettivi che consentano ab origine di prestabilirla, l’uso corrispondente alla generica destinazione dell’immobile configura un comodato a tempo indeterminato e, perciò, a titolo precario, e, dunque, revocabile ad nutum da parte del comodante, a norma dell’art. 1810 c.c. cfr. Sez. 3, Sentenza n. 15877 del 25/06/2013, Rv. 626917 - 01 Sez. U, Sentenza n. 3168 del 09/02/2011, Rv. 616064 - 01 nel caso di specie, la corte territoriale ha erroneamente rilevato come l’utilizzazione degli immobili originariamente attribuiti alla disponibilità della società convenuta non potesse derivare che da un comodato ‘di scopò, derivando tale ultima conclusione dalla sola premessa dell’avvenuta destinazione di tali beni a sede della società, senza tuttavia corroborare l’ipotesi formulata mediante l’allegazione di alcun ulteriore elemento idoneo a confermare come tale uso avesse in sé connaturata una durata predeterminata nel tempo sulla base delle argomentazioni che precedono, rilevata la fondatezza del secondo motivo d’impugnazione disatteso il primo , dev’essere pronunciata la cassazione della sentenza impugnata, con il conseguente rinvio alla Corte d’appello di Palermo, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. Accoglie il secondo motivo rigetta il primo cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Palermo, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.