Per il permesso di soggiorno per motivi umanitari deve condursi una valutazione individuale della vita dell’istante

La Suprema Corte afferma un nuovo principio di diritto in tema di protezione umanitaria, ponendo l’accento sull’importanza del raffronto tra la vita privata del richiedente in Italia e la situazione personale vissuta dal medesimo prima della partenza dal Paese di origine e alla quale si troverebbe riesposto in caso di rimpatrio, avendo riguardo a tal fine anche la condizione economico-sociale del suddetto Paese.

Questo il principio di diritto affermato dalla Suprema Corte nell’ordinanza n. 21549/20, depositata il 7 ottobre. La Corte d’Appello di Milano riformava parzialmente la pronuncia di primo grado, riconoscendo all’istante, cittadino del Bangladesh, il diritto ad ottenere il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari . Contro tale decisione, il Ministero dell’Interno propone ricorso per cassazione, lamentando l’avvenuto riconoscimento da parte del Giudice del suddetto diritto per via della generica situazione di precarietà dal punto di vista socio-politico del Paese di origine del richiedente, da un lato, e della permanenza pluriennale in Italia dello stesso, dall’altro. La Suprema Corte rigetta il ricorso, enunciando il principio di diritto per cui In tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine , in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato . A tal proposito, gli Ermellini aggiungono che il permesso di soggiorno per motivi umanitari non può essere riconosciuto considerando solo ed in astratto il livello di integrazione in Italia del richiedente e nemmeno senza considerare il contesto di compromissione dei diritti umani accertato nel Paese di origine, il quale va considerato nella sua specificità . Per le argomentazioni esposte, dunque, i Giudici di legittimità affermano che la condizione di vulnerabilità del richiedente va verificata caso per caso , al termine di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia e della sua vita personale vissuta in precedenza e nella quale si ritroverebbe in caso di rimpatrio. Ora, nel caso di specie, il cittadino straniero, che nel Paese di origine apparteneva al ceto contadino, ritornando in patria non avrebbe certamente avuto il necessario per garantire a sé e alla sua famiglia le condizioni minime per la conduzione di una vita dignitosa, vista la situazione economico-sociale del Bangladesh, dove il ceto contadino rappresentava uno degli strati più poveri della popolazione. Potendo da ciò derivare una anche ipotetica violazione dei diritti umani , la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 17 luglio – 7 ottobre 2020, n. 21549 Presidente Tria – Relatore Scordamaglia Fatti di causa 1. La Corte di appello di Milano, con sentenza pubblicata il 28 novembre 2018, pronunciando sull’appello proposto da P.M. , in parziale riforma dell’ordinanza emessa dal Tribunale di Milano in data 24 gennaio 2018, ha riconosciuto all’appellante, cittadino del Bangladesh, il diritto ad ottenere il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. 2. Il Collegio di merito, confermata la decisione di primo grado quanto al diniego della protezione maggiore - sub specie dello status di rifugiato, per non essere la vicenda dell’appellante connotata da atti di persecuzione diretta e personale rapportabili alla previsione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7, o della protezione sussidiaria, non emergendo elementi sufficienti a fondare il convincimento che l’appellante, ritornando in patria, potesse correre il rischio effettivo di subire un danno grave alla persona nell’accezione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ha stimato, invece, sussistenti i requisiti per il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria ciò perché, avuto riguardo alla connotazione aperta ed elastica della misura di protezione complementare, atta a valorizzare situazioni di vulnerabilità soggettiva non predeterminate, era da ritenersi che l’appellante avrebbe potuto subire le conseguenze negative dello sradicamento dal Paese nel quale egli si era stabilmente inserito, istaurando proficue relazioni sociali e svolgendo attività lavorativa in maniera continuativa che gli garantiva ò l’autosostentamento, considerata, oltretutto, la disastrosa situazione economica del Bangladesh, in cui il richiedente, appartenente al ceto contadino, non avrebbe avuto alcuna possibilità di offrire a sé, alla madre e alle sorelle il necessario per condurre un’esistenza minimamente dignitosa. 3. Il ricorso del Ministero dell’Interno domanda la cassazione della suddetta sentenza per un sole. nativo. 4. P.M. si è difeso con controricorso. Ragioni della decisione 1. Il ricorso è articolato in un solo motivo, con il quale si denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, l’errata applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, in relazione al diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, in quanto riconosciuto dalla Corte territoriale dando rilievo, per un verso, alla generica situazione di precarietà socio-politica ed economica del Bangladesh e alla pluriennale durata della permanenza in Italia del richiedente, per altro verso, al buon inserimento socio-lavorativo da questi ivi conseguito. 2. L’esame della censura porta al rigetto del motivo, per le ragioni di seguito esposte. 3. Va, infatti, osservato che la Corte di appello non si è limitata all’astratto richiamo dei presupposti che legittimano il riconoscimento della protezione umanitaria D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6 applicabile ratione temporis alla stregua del dictum delle Sezioni Unite, n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062 , ma ha specificamente evidenziato gli indicatori fattuali comprovanti la situazione di personale e concreta vulnerabilità del richiedente, in quanto esposto al grave ed individualizzato rischio di subire, in caso di rimpatrio, la lesione dei suoi diritti primari a cagione di condizioni di vita non rispettose del nucleo minimo dei diritti fondamentali della persona umana, suscettibili di attingerne la stessa dignità. 3.1. Al riguardo va richiamato il diritto vivente Sez. U, n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062, cit. , cui si deve l’enunciazione del principio secondo il quale In tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato principio che è stato spiegato affermando che Non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza , prendendosi, altrimenti, in considerazione ” non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma, piuttosto, quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sé inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria . 3.2 Ciò sta a significare che, in tema di concessione del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, la condizione di vulnerabilità del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio Sez. 1, n. 13079 del 15/05/2019, Rv. 654164 tanto comporta la necessità di apprezzare il rischio dello straniero di essere immesso nuovamente in un contesto sociale, politico o ambientale capace di determinare una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti inviolabili, considerando globalmente ed unitariamente i singoli elementi fattuali accertati Sez. 1, n. 7599 del 30/03/2020, Rv. 657425 . 3.3. Apprezzamento che, nel caso al vaglio, è stato correttamente compiuto. La Corte territoriale, infatti, con il porre in rilievo la circostanza che il richiedente, costretto ad allontanarsi dal Bangladesh per i rovesci finanziari dovuti alla moria delle bestie pollame da lui allevate, ritornando in patria, non avrebbe avuto l’occorrente per assicurare a sé e ai familiari, che dipendevano da lui, le condizioni minime per condurre un’esistenza dignitosa, le stesse essendo negate agli appartenenti al ceto contadino, ha dato seguito al principio di diritto secondo il quale i seri motivi di carattere umanitario, che legittimano la concessione della protezione delineata dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, possono positivamente riscontrarsi, nel caso in cui, all’esito del giudizio comparativo tra la situazione esistente nel Paese ospitante e quella esistente nel Paese di origine, risulti un’effettiva ed incolmabile sproporzione tra i due contesti di vita nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa e individuabili specifiche correlazioni tra tale sproporzione e la vicenda personale del richiedente Sez. 1, n. 2563 del 4/02/2020 , di modo che, ai fini del riconoscimento della protezione complementare, occorre tener conto, ove allegata, anche della condizione economico-sociale del paese di origine del richiedente, nell’ipotesi in cui in essa sussista una situazione di assoluta ed inemendabile povertà per alcuni strati della popolazione, o per tipologie soggettive analoghe a quelle del ricorrente, e di conseguente impossibilità di poter provvedere almeno al proprio sostentamento, dovendosi ritenere configurabile, anche in tale ipotesi, la violazione dei diritti umani, al di sotto del loro nucleo essenziale. 4. S’impone, pertanto, il rigetto del ricorso. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna l’Amministrazione ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.200,00, oltre ad Euro 200,00 a titolo di spese prenotate a debito.