Concessa la protezione internazionale al richiedente omosessuale

Accolto il ricorso di un cittadino nigeriano fondato sul timore di essere nuovamente oggetto di atti persecutori nel suo Paese di origine, dove l’omosessualità costituisce un reato grave, costituendo tale circostanza un’ingerenza grave nella vita della persona in grado di comprometterne la libertà individuale.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 21243/20, depositata il 2 ottobre. Un cittadino nigeriano chiedeva alla Commissione Territoriale il riconoscimento della protezione internazionale , deducendo di essere stato perseguitato nel Paese d’origine a causa della sua omosessualità . La Commissione Territoriale rigettava la sua istanza, così come il Tribunale di Venezia, ritenendo il racconto dell’istante poco credibile. Confermata la decisione anche dalla Corte d’Appello, il richiedente si rivolge alla Corte di Cassazione, lamentando l’omesso esame di fatti decisivi, per non avere il Giudice tenuto conto della sua omosessualità alla luce della normativa nigeriana. La Corte di Cassazione accoglie il ricorso, osservando come la valutazione delle dichiarazioni dell’istante non possa essere volta alla capillare e frazionata ricerca delle singole, eventuali contraddizioni insite nel racconto del ricorrente, considerando che il procedimento di protezione internazionale si caratterizza per la sostanziale mancanza del contraddittorio . Nel caso concreto, gli Ermellini rilevano che i Giudici di merito non hanno tenuto conto del fatto che in Nigeria l’omosessualità configura un reato grave , comportando una grave ingerenza nella vita del soggetto incidente sulla sua libertà individuale. Inoltre, la Corte aggiunge che ai fini della valutazione della richiesta di protezione non è rilevante la sussistenza o meno del fatto allegato dal ricorrente, essendo compito del giudice l’accertamento della realtà delle accuse , verificando la loro effettività in base all’ordinamento straniero, dal quale deriverebbe il rischio di persecuzione o danno grave ai danni dello stesso. Alla luce di quanto esposto, la Corte Suprema accoglie il ricorso, cassa la pronuncia impugnata e rinvia gli atti alla Corte d’Appello.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 30 giugno – 2 ottobre 2020, n. 21243 Presidente Travaglino – Relatore Pellecchia Rilevato in fatto che 1. O.E. , cittadino della Nigeria, chiese alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale, domandando a in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, ex D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 7 e ss. b in via subordinata, il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14 c in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, ex D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, nel testo applicabile ratione temporis . 2. A fondamento della sua istanza il richiedente dedusse di esser stato oggetto di atti persecutori a causa della sua omosessualità. In particolare, fu colto insieme ad un altro uomo da alcuni membri del suo villaggio e fu da loro inseguito e picchiato. Decise così di fuggire, per la paura di essere nuovamente oggetto di persecuzione da parte della comunità e dall’Autorità locale, essendo considerata l’omosessualità un grave reato punito con il carcere. La Commissione Territoriale rigettò l’istanza. Avverso tale provvedimento O.E. propose ricorso ex D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 dinanzi il Tribunale di Venezia, che con ordinanza del 12 gennaio 2018 rigettò il reclamo. Il Tribunale ritenne che la domanda per il riconoscimento dello status di rifugiato fosse infondata, ritenendo che il racconto del richiedente non fosse credibile, dubitando anche sulla tendenza omosessuale del richiedente. 3. Tale decisione è stata confermata dalla Corte di Appello di Venezia con sentenza n. 3299 depositata il 10 agosto 2019. 4. La sentenza è stata impugnata per cassazione da O.F. , con ricorso fondato su un unico motivo. Il Ministero dell’Interno non presenta difese. Considerato in diritto che 5. Con un unico motivo il ricorrente lamenta la violazione ex art. 360, comma 1, n. 5 per omesso esame di fatti decisivi, per non aver la Corte d’appello, nonostante le prove offerte in primo e secondo grado dal ricorrente, tenuto conto della sua omosessualità alla luce della normativa presente in Nigeria. Il motivo è fondato. La motivazione della Corte d’appello non si concentra adeguatamente sulla omosessualità del richiedente, elemento discriminante ai fini della concessione della protezione internazionale, nella forma di status di rifugiato. I giudici infatti non chiariscono i motivi della mancata credibilità circa l’orientamento sessuale del richiedente, nonostante le allegazioni da lui presentate, tra cui spicca la dichiarazione esplicita del Signor Z. , rappresentante della comunità di Verona. Questa Corte ha chiarito che la valutazione delle dichiarazioni del richiedente asilo in sede giurisdizionale non possa ritenersi volta alla capillare e frazionata ricerca delle singole, eventuali contraddizioni, pur talvolta esistenti, insite nella narrazione della sua personale situazione, volta che il procedimento di protezione internazionale è caratterizzato, per sua natura, da una sostanziale mancanza di contraddittorio stante la sistematica assenza dell’organo ministeriale , con conseguente impredicabilità della diversa funzione - caratteristica del processo civile ordinario - di analitico e perspicuo bilanciamento tra posizioni e tesi contrapposte intra pares. Cass. sentenza 8819/2020 . Inoltre i giudici del merito non hanno preso in considerazione che l’omosessualità in Nigeria è sanzionata come reato grave, e in merito a ciò Cass. Sez. 6 2875/2018 chiarisce che tale circostanza è una grave ingerenza nella vita della persona che compromette la libertà individuale. La Suprema Corte ha poi ribadito l’irrilevanza, ai fini della valutazione dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale, della sussistenza o meno del fatto allegato nella specie l’accusa di omosessualità del ricorrente , essendo invece compito del giudice accertare ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, comma 2, e art. 14, lett. t , la realtà delle accuse, cioè verificare la loro effettività secondo l’ordinamento straniero e dunque la suscettibilità di rendere attuale il rischio di persecuzione o di danno grave. 6. La Corte accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata come in motivazione, e rinvia anche per le spese di questo giudizio alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione P.Q.M. La Corte accoglie ricorso, cassa la sentenza impugnata come in motivazione, e rinvia anche per le spese di questo giudizio alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione.