Vita in pericolo in caso di ritorno in patria: il mero timore non basta per concedere protezione allo straniero

Respinta definitivamente la richiesta presentata da un uomo. Per i Giudici non può essere decisivo il timore, da lui manifestato, di essere ucciso nel Paese di origine.

Il mero timore di essere ucciso in patria non può bastare per concedere protezione in Italia per lo straniero . Cassazione, ordinanza numero 18647/20, sezione II Civile, depositata oggi . Linea di pensiero univoca per Commissione territoriale, Tribunale e Corte d’Appello non ci sono i presupposti per dare accoglienza allo straniero. Ultimo round in Cassazione, ovviamente, dove il difensore lamenta l’errata applicazione della disciplina dell’istituto della protezione sussidiaria , che va concessa al cittadino di un Paese terzo o apolide, che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato , ma nei cui confronti sussistono fondati motivi per ritenere che, se tornasse nel Paese di origine, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno . Questa osservazione non convince però i Giudici del Palazzaccio, i quali richiamano l’onere probatorio nelle controversie in materia di protezione internazionale e osservano che, in questo caso, non vi sono le condizioni per la concessione di qualsiasi forma di protezione internazionale, ivi inclusa quella sussidiaria . Ciò perché lo straniero si è limitato ad affermare di aver paura di essere ucciso in patria, però senza addurre alcun motivo a fondamento di tale timore . Tirando le somme, mancano i presupposti di fatto e di diritto, chiosano dalla Cassazione , per il riconoscimento dello status di rifugiato politico, della protezione sussidiaria o del soggiorno per motivi umanitari .

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 21 febbraio – 8 settembre 2020, n. 18647 Presidente San Giorgio – Relatore Oricchio Rilevato che è stata impugnata da Ci. Mo. la sentenza n. 3108/2018 della Corte di Appello di Ancona con ricorso fondato su due motivi e resistito con controricorso dalla parte intimata. Per una migliore comprensione della fattispecie in giudizio va riepilogato, in breve e tenuto conto del tipo di decisione da adottare, quanto segue. L'odierna parte ricorrente chiedeva, come da atti, alla competente Commissione Territoriale il riconoscimento della protezione internazionale. La domanda veniva rigettata. Impugnata la decisione della detta Commissione con successivo ricorso, quest'ultimo veniva rigettato con provvedimento ex art. 702-ter c.p.c. del Tribunale di Ancona, reso all'esito del procedimento n. R.G. 3813/2015. Interposto appello dall'odierno ricorrente avverso la decisione del Tribunale stesso, l'adita Corte di Appello di Ancona, con sentenza n. 612/2017 dichiarava inammissibile l'impugnazione in quanto non tempestiva. Di poi questa Corte, in accoglimento di un primo ricorso per cassazione proposto dall'odierno ricorrente, cassava -con ordinanza n. 787/2018, la suddetta decisione della Corte territoriale ritenuta la tempestività della notifica del gravame proposto correttamente con citazione. Riassunto il giudizio la Corte di Appello di Ancona, con la sentenza oggi impugnata dal ricorrente, respingeva l'impugnazione avverso il provvedimento dei Tribunale di Ancona. Il ricorso viene deciso ai sensi dell'art. 375, ult. co. c.p.c. con ordinanza in camera di consiglio non ricorrendo l'ipotesi di particolare rilevanza delle questioni in ordine alle quali la Corte deve pronunciare. Considerato che 1. Il primo motivo del ricorso è -testualmente così rubricato Errores in iudicando e in procedendo Violazione e falsa applicazione della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 e della Direttiva 2004/83/CE, in particolare degli artt. 2,7,8 e 14 del D.Lgs. n. 251/2007 . Il motivo prospetta, in sostanza, la violazione di legge quanto alla errata applicazione della disciplina dell'istituto della protezione sussidiaria che va concessa al cittadino di un paese terzo o apolide, che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato, ma nei cui confronti sussistono fondati motivi per ritenere che, se tornasse nel paese di origine, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno. Il motivo va rigettato. Con la decisione oggi gravata e facendo corretta applicazione del principio già enunciato da questa Corte con sentenza n. 15783/2014 quanto all'onere probatorio nelle controversie in materia di protezione internazionale, la Corte territoriale ha rigettato l'appello a suo tempo proposto dall'odierno ricorrente. Tanto in base al corretto accertamento, già avutosi da parte della competente Commissione territoriale e della decisione del Tribunale, della insussistenza delle condizioni per la connessione di qualsiasi forma di protezione internazionale, ivi inclusa quella sussidiaria. E ciò rimarcando, in particolare, le generiche affermazioni del ricorrente che aveva semplicemente affermato di aver paura di essere ucciso senza addurre alcun motivo a fondamento di tale timore . Il ricorso, invocando strumentalmente una pretesa violazione di legge, non ha -quindi colto la ratio della sentenza per cui è ricorso per cassazione, la quale -con specifica, argomentata ed esaustiva motivazione ha dato conto dell'insussistenza dei requisiti per il riconoscimento di quanto chiesto dal ricorrente. La sentenza impugnata ha, peraltro ed in definitiva, affrontato ogni aspetto della questione e, quindi, l'inesistenza dei presupposti di fatto e di diritto per il riconoscimento dello status di rifugiato politico, della protezione sussidiaria o del soggiorno per motivi umanitari. 2. Con il secondo motivo del ricorso si deduce alla violazione dell'art. 32 del D.Lgs. n. 25/08. Il motivo può essere respinto per lo stesso ordine di argomentazioni innanzi già riportate. 3.-Il ricorso va, quindi, rigettato. 4. Le spese seguono la soccombenza e si determinano come in dispositivo. 5. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dell'art. 13 del D.P.R. n. 115/2002, se dovuto non risultando il ricorrente ammesso in via definitiva al beneficio del gratuito patrocinio a spese dello Stato. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della parte controricorrente delle spese del giudizio, determinate in Euro 2.100,00, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13 se dovuto.