Vittima di violenza domestica in patria: niente protezione in Italia

Respinta la richiesta presenta da una cittadina nigeriana. Decisiva per i giudici la constatazione che nel Paese di origine della donna sono disponibili strumenti normativi e risorse materiali per garantire adeguata tutela alle vittime della violenza domestica.

Niente protezione in Italia per una cittadina nigeriana in fuga dalle violenze domestiche subite in patria. Decisiva la constatazione che nel Paese d’origine della straniera vi sono comunque strumenti normativi e risorse materiali per tutelare le donne vittime di soprusi in ambito familiare. Cassazione, ordinanza numero 18142/20, sezione II Civile, depositata oggi . Riflettori puntati sulla drammatica vita di una donna originaria della Nigeria. In patria ella è vittima di violenze domestiche, e allora decide di scappare, di lasciare la propria terra e sceglie di cercare rifugio in Italia. La sua domanda di protezione viene però respinta prima dalla Commissione territoriale e poi dai giudici del Tribunale. Escluse, in sostanza, sia l’ipotesi della protezione internazionale che quella relativa alla protezione umanitaria . Per la donna, però, il pronunciamento del Tribunale non è accettabile. Ecco spiegato il ricorso in Cassazione, mirato a evidenziare la drammaticità della vicenda in particolare, la cittadina nigeriana pone in evidenza gravità e frequenza della violenza domestica da lei patita e la connessa situazione di pericolo a fronte di un ritorno nel Paese di origine. Prima di affrontare la delicata tematica, i Giudici del Palazzaccio richiamano gli articoli 3 e 60 della Convenzione di Instanbul dell’11 maggio 2011 sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e contro la violenza domestica, e sottolineano che a fronte di abusi e violenze familiari si è in presenza di condotte persecutorie limitative dell’esercizio di diritti umani fondamentali . Sempre seguendo questa linea, viene anche ribadito che in presenza di detti abusi e dette violenze il giudice è onerato di verificare se, pur in presenza di minaccia di danno grave ad opera di soggetto non statuale, il Paese di origine sia in grado di offrire adeguata protezione alla persona . Ebbene, nel caso riguardante la donna nigeriana, si è appurato, osservano dalla Cassazione , che nel suo Paese di origine ci sono gli strumenti normativi e le risorse materiali per tutelare le vittime della violenza domestica , come testimoniato dalla previsione di ordini di protezione, di speciali unità di polizia, di associazioni di avvocatesse e, infine, dalla presenza di organizzazioni non governative che si occupano di offrire aiuto ed assistenza, anche giuridica, alle donne i cui diritti vengono lesi . A fronte di tale quadro, e alla luce della rilevanza della violenza domestica come descritta nella Convenzione di Istanbul ai fini della valutazione delle domande di asilo e di protezione , per i giudici della Cassazione va confermata la decisione presa dal Tribunale. Niente protezione , quindi, per la cittadina nigeriana, proprio alla luce degli strumenti normativi e delle concrete tutele previste nel suo Paese di origine per le donne vittime di violenza domestica.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 15 gennaio – 31 agosto 2020, numero 18142 Presidente Manna – Relatore Casadonte rilevato che -il presente giudizio di legittimità trae origine dal ricorso notificato da Ad. Ig., cittadina nigeriana, nei confronti del Ministero dell'interno ed avverso il decreto del Tribunale di Cagliari che aveva respinto l'impugnazione dalla stessa proposta nei confronti del diniego della protezione internazionale e di quella umanitaria pronunciata dalla Commissione territoriale di Cagliari -il tribunale cagliaritano aveva escluso la sussistenza dei requisiti per il riconoscimento di tutte le forme di protezione richieste, confermando il provvedimento impugnato -la cassazione della decreto del tribunale è chiesta sulla base di quattro motivi -non ha svolto attività difensiva l'intimato Ministero considerato che -con il primo motivo si denuncia, in relazione all'articolo 360, comma 1, numero 5 cod. proc. civ., l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio per non avere il tribunale adeguatamente valutato la narrazione della ricorrente in relazione alla gravità e frequenza della violenza domestica dalla stessa patita -con il secondo motivo si denuncia, in relazione all'articolo 360 comma 1, numero 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell'articolo 8 D.Lgs.25/2008 non avendo il tribunale correttamente valutato, in adempimento del dovere di cooperazione officiosa, e sulla base delle fonti EASO del 2017, la situazione di pericolo lamentata dalla richiedente -il primo e secondo motivo , riguardanti la rilevanza del danno allegato dalla richiedente rispetto alla situazione del Paese di origine, possono essere esaminati congiuntamente e sono infondati - è stato affermato da questa Corte, facendo riferimento agli artt. 3 e 60 della Convenzione di Instanbul dell'11 maggio 2011 sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, che a fronte di abusi e violenze intrafamiliari si è in presenza di condotte persecutorie limitative dell'esercizio di diritti umani fondamentali cfr. Cass. 28152/2018 -in presenza di detti abusi e violenze il giudice è onerato di verificare se, pur in presenza di minaccia di danno grave ad opera di soggetto non statuale, ai sensi dell'articolo 5, let. c D.Lgs.251/2007, il Paese di origine sia in grado di offrire alla richiedente adeguata protezione cfr. Cass. 12333/2017 in generale nel caso di atti di vendetta e ritorsione minacciati o posti in essere da membri di un gruppo familiare, cfr. Cass. 1343/2020 -ciò posto, nel caso di specie il tribunale ha proceduto a detta specifica verifica dando atto cfr. pag.3 del decreto , secondo le fonti ufficiali consultabili sul sito delle COI dell'EASO, degli strumenti normativi e delle risorse materiali predisposte dalla Nigeria per tutelare le vittime della violenza domestica, attraverso la previsione di ordini di protezione, di speciali unità di polizia, di associazioni di avvocatesse e, infine, della presenza di organizzazioni non governative che si occupano di offrire aiuto ed assistenza, anche giuridica, alle donne i cui diritti vengono lesi -tali risultanze non risultano, peraltro, smentite dal generico riferimento, nell'ambito del rapporto EASO del 2017 pure dettagliatamente citato dal tribunale di merito cfr.pag. 4 e consultato dal collegio, ad un non meglio identificato né trascritto capitolo sulla violenza domestica -con il terzo motivo si denuncia la nullità del decreto per violazione e falsa applicazione, in relazione all'articolo 360, comma 1, numero 3 cod. proc. civ., delle norme sulla protezione sussidiaria di cui all'articolo 14 lett. b D.Lgs 251/2007 nonché degli articoli 3 e 7 del medesimo testo -il motivo è infondato -come già sopra enunciato nell'ambito dell'esame dei primi due motivi, questa Corte ha precisato nelle pronunce citate la rilevanza della violenza domestica come descritta nella Convenzione di Istanbul ai fini della valutazione delle domande di asilo e di protezione sussidiaria - il provvedimento impugnato si inserisce in tale solco interpretativo prendendo in considerazione non solo gli strumenti normativi ma anche le concrete garanzie di attuazione predisposte al fine di tradurre le norme in effettivi strumenti di tutela -al contrario, la censura mossa dalla ricorrente che lamenta la sottostima della sua situazione non appare corredata da elementi in grado di smentire quanto ritenuto dal tribunale sulla base di fonti autorevoli e dettagliate cfr. pag. 3 e 4 del decreto -con il quarto motivo si denuncia la nullità del decreto per violazione o falsa applicazione, in relazione all'articolo 360 comma 1, numero 3 cod. proc. civ. dell'articolo 5 comma 6 del D.Lgs. numero 286/1998 e D.Lgs. numero 25/2008 per avere negato la protezione umanitaria senza valorizzare i parametri della vulnerabilità della richiedente, nonché per non avere verificato in concreto, il contesto ambientale nigeriano in relazione ai rischi cui era esposta la richiedente in caso di rientro nel suo paese di origine -il motivo è inammissibile -il tribunale l'ha esclusa sia in ragione dell'insussistenza di una condizione personale di vulnerabilità sia di una qualche forma di integrazione in Italia e tale ratio decidendi è attinta in termini generici ed in sostanza diretti a contestare, non il criterio legale di giudizio bensì, inammissibilmente, il merito del giudizio stesso -l'esito sfavorevole di tutti i motivi giustifica il rigetto del ricorso -nulla va disposto sulle spese di lite, atteso il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell'intimato Ministero -ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater del D.P.R. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso nulla spese. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.