La sentenza che accerta l’inesistenza della servitù non è utilizzabile come titolo esecutivo

La sentenza che, accogliendo un’azione negatoria servitutis, si limita ad accertare l’inesistenza della servitù di passaggio non è utilizzabile come titolo esecutivo per richiedere al giudice dell’esecuzione l’individuazione delle misure atte a garantire la protezione da turbative o molestie, ove sul punto non si sia pronunciato, con statuizione di condanna, il giudice del merito ai sensi dell’art. 949 c.c., comma 2. Allo stesso modo, nel caso di accertamento della servitù ai sensi dell’art. 1079 c.c., non è possibile rivolgersi al giudice dell’esecuzione per far cessare eventuali impedimenti o turbative se l’adozione dei provvedimenti occorrenti non sia stata disposta dal giudice del merito.

Questo il principio stabilito dalla Cassazione con l’ordinanza n. 9637/20, depositata il 26 maggio. I proprietari di un fondo servente ricorrevano ex art. 612 c.p.c. nei confronti di un hotel domandando l’esecuzione forzata di una sentenza del Tribunale che aveva accertato l’insussistenza della servitù di passaggio vantata dall’albergo per raggiungere un garage. I ricorrenti domandavo anche al giudice di ordinare l’apposizione di una sbarra elettronica che limitasse l’accesso e questi accoglieva la richiesta. Avverso l’ordinanza l’hotel proponeva opposizione agi atti esecutivi e il giudice dell’esecuzione disponeva la sospensione della procedura esecutiva opposta, assegnando alle parti un termie per riassumere il giudizio di merito. I proprietari del fondo chiedevano il rigetto dell’opposizione ma il Tribunale la accoglieva e annullava l’ordinanza resa ex art. 612 c.p.c. ritenendo che il titolo esecutivo contenesse un obbligo di non fare insuscettibile di trovare esecuzione coattiva mediante la realizzazione di opere materiali impeditive della reiterazione della condotta vietata. Avverso la decisione i proprietari del fondo ricorrono per Cassazione lamentando che la sentenza impugnata avesse ritenuto che il titolo esecutivo contenesse la condanna ad un non facere, insuscettibile di essere attuato coattivamente realizzando opere materiali impeditive della reiterazione della condotta vietata. Secondo i ricorrenti, invece, si tratta di un facere fungibile, essendo possibile che quanto disposto dalla sentenza venisse realizzato per ordine del giudice contro la volontà del condannato. La Cassazione, ritenendo infondato il motivo di ricorso, afferma il principio di diritto secondo cui La sentenza che, accogliendo un’azione negatoria servitutis , si limita ad accertare l’inesistenza della servitù non è utilizzabile come titolo esecutivo per richiedere al giudice dell’esecuzione ex art. 612 c.p.c., l’individuazione delle misure atte a garantire la protezione da turbative o molestie, ove sul punto non si sia pronunciato, con statuizione di condanna, il giudice del merito ai sensi dell’art. 949 c.c., comma 2. Allo stesso modo, nel caso di accertamento della servitù ai sensi dell’art. 1079 c.c., non è possibile rivolgersi al giudice dell’esecuzione per far cessare eventuali impedimenti o turbative se l’adozione dei provvedimenti occorrenti non sia stata disposta dal giudice del merito . Pertanto, osservano i giudici, i ricorrenti non potevano adire il giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 612 c.p.c., essendo sprovvisti di un titolo esecutivo che contenesse la specifica indicazione delle opere da compiere o delle misure da adottare individuate ai sensi dell’art. 949 c.c., comma 2. Alla luce di questo il ricorso viene rigettato.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 3, ordinanza 19 settembre 2019 – 26 maggio 2020, n. 9637 Presidente Frasca – Relatore D’Arrigo Ritenuto Z.V. e la moglie Za.Lo. nonché le figlie Z.L. e Z.A. , i primi quali usufruttuari e le seconde quali nude proprietarie del fondo servente, ricorrevano ex art. 612 c.p.c., nei confronti della Hotel B. S.r.l. e di B.B.M. personalmente, chiedendo l’esecuzione forzata di una sentenza del Tribunale di Belluno che accertava l’insussistenza della servitù di passaggio vantata dall’albergo per raggiungere un garage. In particolare, i ricorrenti chiedevano al giudice dell’esecuzione che ordinasse, in attuazione della sentenza, l’apposizione di una sbarra inamovibile lungo la rampa d’accesso. Con ordinanza dell’11 febbraio 2016 il giudice dell’esecuzione disponeva l’apposizione di una sbarra controllata elettronicamente. Contro tale ordinanza l’Hotel B. S.r.l. e B.B.M. proponevano opposizione agli atti esecutivi. Il giudice dell’esecuzione disponeva la sospensione della procedura esecutiva opposta, assegnando termine alle parti per riassumere il giudizio nel merito. A tale incombente provvedevano gli Z. -Za. , chiedendo che l’opposizione proposta dagli esecutati fosse rigettata. Il Tribunale di Belluno, invece, accoglieva l’opposizione e annullava l’ordinanza resa ex art. 612 c.p.c., ritenendo che il titolo esecutivo contenesse un obbligo di non fare insuscettibile di trovare esecuzione coattiva mediante la realizzazione di opere materiali impeditive della reiterazione della condotta vietata. Contro tale decisione gli Z. -Za. hanno proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi. Gli intimati hanno resistito con controricorso. Il consigliere relatore, ritenuta la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 380-bis c.p.c., come modificato dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. e , conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197 , ha formulato proposta di trattazione del ricorso in camera di consiglio non partecipata. Considerato Il primo motivo ruota intorno all’affermazione secondo cui il provvedimento del giudice dell’esecuzione che, nel contraddittorio fra le parti, decise per l’installazione della sbarra lungo la rampa di accesso al garage avesse natura decisoria - costituisse, cioè, una sentenza in senso sostanziale - e, di conseguenza, doveva essere impugnato dagli esecutati soccombenti mediante appello. Non essendo stato esperito il corretto mezzo di impugnazione, la decisione sarebbe passata in giudicato e quindi risulterebbe oramai intangibile. Il motivo è manifestamente infondato. I ricorrenti, infatti, si rifanno ad un orientamento già definitivamente superato al momento della proposizione del ricorso. Questa Corte, infatti, rivedendo le proprie precedenti posizioni, ha affermato che l’ordinanza resa ai sensi dell’art. 612 c.p.c., che illegittimamente abbia risolto una contesa tra le parti, così esorbitando dal profilo funzionale proprio dell’istituto, non è mai considerabile come una sentenza in senso sostanziale, decisiva di un’opposizione ex art. 615 c.p.c., ma dà luogo, anche qualora contenga la liquidazione delle spese giudiziali, ad una decisione soltanto sommaria, in quanto da ritenersi conclusiva della fase sommaria di una opposizione all’esecuzione, rispetto alla quale la parte interessata può tutelarsi introducendo un giudizio di merito ex art. 616 c.p.c., Sez. 3, Sentenza n. 15015 del 21/07/2016, Rv. 642689 - 01 v., da ultimo Sez. 3, Sentenza n. 7402 del 23/03/2017, Rv. 643692 - 01 Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 3888 del 16/02/2018, Rv. 648234 - 01 . Il ricorso non offre alcun elemento per rivedere tale orientamento, che anzi dimostra di non conoscere. Con il secondo motivo si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che il titolo esecutivo contenesse la condanna ad un non facere, insuscettibile di essere attuato coattivamente mediante la realizzazione di opere materiali impeditive della reiterazione della condotta vietata. Sostengono, invece, i ricorrenti che si trattasse di un facere fungibile, essendo ben possibile che quanto disposto dalla sentenza venisse realizzato contro la volontà del condannato, per ordine del giudice. Il motivo è infondato. Il Tribunale di Belluno, pronunciando la sentenza utilizzata quale titolo esecutivo, ha accertato l’insussistenza della servitù di passaggio vantata dall’Hotel B. per raggiungere il garage, passando attraverso i fondi degli Z. . Questa sentenza, avente contenuto di mero accertamento negativo, non contiene alcuna condanna suscettibile di esecuzione forzata ex art. 612 c.p.c Invero, trattandosi di un’azione negatoria, gli attori avrebbero dovuto chiedere al giudice del merito, ai sensi dell’art. 949 c.c., comma 2, l’ordine di cessazione delle turbative o delle molestie subite. In difetto, non possono ottenere dal giudice dell’esecuzione quella tutela che non hanno richiesto nel giudizio di cognizione. Si tratta di situazione speculare a quella che si verifica, ai sensi dell’art. 1079 c.c., per le azioni di difesa delle servitù l’adozione di provvedimenti condannatori idonei a far cessare eventuali impedimenti o turbative deve essere richiesta ed ottenuta nel giudizio di merito. Va dunque affermato il seguente principio di diritto La sentenza che, accogliendo un’azione negatoria servitutis, si limita ad accertare l’inesistenza della servitù non è utilizzabile come titolo esecutivo per richiedere al giudice dell’esecuzione ex art. 612 c.p.c., l’individuazione delle misure atte a garantire la protezione da turbative o molestie, ove sul punto non si sia pronunciato, con statuizione di condanna, il giudice del merito ai sensi dell’art. 949 c.c., comma 2. Allo stesso modo, nel caso di accertamento della servitù ai sensi dell’art. 1079 c.c., non è possibile rivolgersi al giudice dell’esecuzione per far cessare eventuali impedimenti o turbative se l’adozione dei provvedimenti occorrenti non sia stata disposta dal giudice del merito . In applicazione di tale principio deve quindi concludersi che i ricorrenti non potevano adire il giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 612 c.p.c., essendo sprovvisti di un titolo esecutivo che contenesse la specifica indicazione delle opere da compiere o delle misure da adottare individuate ai sensi dell’art. 949 c.c., comma 2. Con il terzo motivo i ricorrenti affermano che un sistema processuale che non preveda una forma di tutela sostanziale di un diritto giudizialmente accertato sarebbe incostituzionale, sicché l’unica interpretazione consentita è quella che preveda la possibilità, per il titolare di siffatto diritto, di ricorrere al giudice dell’esecuzione per ottenere l’individuazione delle opportune misure. Il motivo è infondato, essendo errata anzitutto la premessa. Infatti, in ragione di quanto sopra considerato, non è vero che il diritto non appronti meccanismi di tutela a protezione del diritto di proprietà o di servitù accertati, rispettivamente, ai sensi degli artt. 949 e 1079 c.c Tuttavia, una domanda il tal senso può - e deve - essere rivolta al giudice della cognizione la parte che ha ottenuto, a seconda dei casi, una pronuncia di mero accertamento negativo o positivo, non può, invece, rivolgersi direttamente al giudice dell’esecuzione per l’individuazione delle misure di protezione da turbative o molestie o per la rimozione di impedimenti. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio di legittimità sono compensate in ragione dell’assenza di specifici precedenti di legittimità in ordine alla questione trattata con il secondo motivo. Ricorrono, invece, i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicché va disposto il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, di un ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello già dovuto per l’impugnazione da lui proposta. P.Q.M. rigetta il ricorso. Compensa integralmente le spese processuali. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.