Sanzione disciplinare per il magistrato che revoca il patrocinio a spese dello Stato fuori dalle ipotesi contemplate...

Ove il Giudice abbia deciso, adottando le pur contrastanti soluzioni giuridiche in materia utilizzate dalla giurisprudenza di legittimità, non può ritenersi che lo stesso si sia discostato da canoni ermeneutici consolidati nel cercare una soluzione della questione problematica, ma soltanto che egli abbia utilizzato istituti giuridici in modo difforme dal dettato legislativo e fuori dei requisiti espressamente indicati dalla norma.

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la pronuncia n. 7832/20, depositata in cancelleria in data 15 aprile, è stata chiamata a decidere sul ricorso presentato da un magistrato avverso la sentenza resa dal Consiglio Superiore di Magistratura con la quale era stata irrogata la sanzione dell’ammonimento. Il fatto. La vicenda coinvolge un magistrato incolpato di aver violato le disposizioni di cui all’art. 136 del T.U. in materia di spese di giustizia per aver revocato l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato in una serie di procedimenti relativi al riconoscimento della protezione internazionale, con i quali i cittadini stranieri erano risultati vittoriosi nei confronti del Ministero dell’Interno. All’esito del procedimento era accaduto che l’incolpato avesse disposto la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato per poi condannare il Ministero dell’Interno e, quindi, lo Stato al pagamento delle spese legali in favore dei cittadini e direttamente ai loro procuratori, pur in mancanza di una specifica istanza dagli stessi formulata, e senza applicare ai parametri forensi la decurtazioni del 50% prevista ex lege . Il Magistrato aveva giustificato tale scelta sostenendo che una differente opzione avrebbe ingenerato confusione tra soccombente e colui a favore del quale vanno le spese e ciò anche in mancanza di una chiara disciplina normativa al riguardo. Tale contegno era stato ritenuto dal CSM negligentemente grave in quanto privo di un serio vaglio in ordine alla portata normativa delle disposizioni operanti in materia. Sinteticamente veniva rimproverato al Magistrato 1 la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato in 111 procedimenti ed al di fuori delle ipotesi tassativamente contemplate dal legislatore all’articolo 136 D.P.R. n. 115/2002 quali quelle della sopravvenuta modifica dei requisiti reddituali, della mala fede o della colpa grave della parte ammessa 2 l’idoneità della condotta del Magistrato alla realizzazione di un danno ingiusto a carico dello Stato, in ragione della liquidazione in misura superiore dei compensi liquidati in favore dei procuratori, senza cioè la decurtazione nella misura del 50%, danno scongiurato solo dalla riforma in sede di appello delle ordinanze emanate dal Magistrato. Ciò con conseguente permanenza della sussistenza dell’illecito disciplinare 3 la sussistenza dell’illecito anche con riferimento alla emissione di provvedimenti privi di giustificazione concreta e nei quali era stata solamente enunciata l’esistenza di presupposti di legge. Le criticità della sentenza del Consiglio Superiore della Magistratura. La Corte di Cassazione analizzando le censure mosse dal Magistrato incolpato ha riscontrato talune criticità nella sentenza del CSM. Per quanto in questa breve nota preme mettere in luce desta particolare interesse quella relativa alla violazione di legge per aver in buona sostanza il Giudice revocato il provvedimento di ammissione del Patrocinio a spese dello Stato con successiva liquidazione delle spese processuali in favore dei difensori qualificati antistatari ex lege . Il Giudice giustificava la sua scelta sulla scorta del fatto che sul punto vi fossero delle lacunose interpretazioni e che il permanere del patrocinio avrebbe determinato, di fatto, la disapplicazione del potere del giudice di attualizzare il principio della soccombenza. In ordine poi alla liquidazione diretta in favore del difensore il Magistrato faceva leva sull’articolo 1253 c.c. e sul concetto di estinzione delle obbligazioni per confusione. Sulla legittimità dei provvedimenti di condanna alle spese processuali in favore di una parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato ed a carico di un’amministrazione, la Suprema Corte ha evidenziato l’esistenza di orientamenti contrastanti che portano ad un problema di concreta compatibilità tra la normativa speciale del patrocinio a spese dello Stato e quella generale prevista dal codice di regolamentazione delle spese processuali. In tale contesto gli approdi della giurisprudenza nei casi in cui creditore e debitore siano due amministrazioni dello Stato non sono stati sempre univoci da una parte Cass. Civ. n. 30876/2018 si è affermato che la liquidazione degli onorari al difensore ammesso al patrocinio a spese dello Stato deve avvenire con istanza ad hoc rivolta al Giudice pre procedimento non potendo procedersi direttamente alla statuizione di condanna al pagamento delle spese processuali in favore dello Stato nella pronuncia che decide il merito, non essendo questa l’ipotesi riferibile all’art. 133 d.P.R. n. 115/2002, dall’altro lato è stata ammessa questa possibilità. Le riflessioni espresse dalle Sezioni Unite . Gli Ermellini hanno ritenuto che il Magistro incolpato di illecito disciplinare si sia trovato effettivamente a gestire un caso problematico privo di un quadro normativo ed un orientamento univoci. Tale situazione, a ben vedere, per quanto problematica avrebbe dovuto portare il magistrato ad optare per uno delle opzioni interpretative espresse dalla Giurisprudenza. Diversamente l’incolpato ha affrontato la questione in modo inedito avendo egli utilizzato la revoca dell’ammissione al patrocinio e la distrazione delle spese processuali direttamente agli avvocati, pur in assenza di una specifica istanza dagli stessi promossa. Quindi, ancorché il problema interpretativo fosse reale, il Magistrato ha fornito una risposta contrastante con la legge. In buona sostanza, la motivazione della violazione e discostamento da canoni ermeneutici consolidati è considerata erronea nella misura in cui non esistevano canoni ermeneutici consolidati nella fattispecie, quindi, il rimprovero mosso avrebbe dovuto riguardare la singolarità degli istituti giuridici utilizzati quali, come detto sopra, la revoca dell’ammissione al patrocinio e la necessità dell’istanza di parte per la distrazione delle spese. Inoltre, la Corte ha rivelato l’assenza della valutazione dell’ulteriore requisito per la sussistenza dell’illecito disciplinare che è quello della compromissione della considerazione del singolo magistrato e del prestigio dell’ordine giudiziario. Il ricorso sotto il profilo analizzato è stato accolto con rinvio ad altra sezione del CSM in diversa composizione.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 17 dicembre 2019 – 15 aprile 2020, n. 7832 Presidente Tirelli – Relatore Acierno Fatti di causa 1. La sezione disciplinare del CSM ha irrogato al ricorrente la sanzione dell’ammonimento per aver gravemente violato le disposizioni di cui all’art. 136 del T.U. in materia di spese di giustizia D.P.R. n. 115 del 2002 , avendo revocato l’ammissione al patrocino a spese dello Stato in una serie di procedimenti relativi al riconoscimento della protezione internazionale, ai ricorrenti, cittadini stranieri, vittoriosi nei confronti del Ministero dell’Interno con la motivazione, palesemente fuori dalle ipotesi di revoca previste dalla legge, di non voler ingenerare confusione tra soccombente e colui a favore del quale vanno le spese per aver violato anche gli artt. 82 e 130 del medesimo D.P.R., liquidando i compensi dei difensori dei ricorrenti, in conseguenza dell’illegittima revoca all’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, in misura eccedente i valori medi previsti nella Tabella allegata al D.M. n. 55 del 2014, decurtati del 50% per avere violato l’art. 93 c.p.c. ed art. 85 del T.U., in materia di spese di giustizia ed aver liquidato direttamente in favore dei difensori le spese processuali, qualificandoli erroneamente antistatari ex lege pur in assenza di una loro istanza, il tutto con grave negligenza consistente nell’omissione di un serio vaglio circa la portata applicativa delle disposizioni sopra citate. 2. È stata invece applicata l’esimente della scarsa rilevanza del fatto D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3 bis in relazione all’incolpazione rubricata alla lett. b e consistente nell’aver arrecato con le condotte descritte nel capo a un danno ingiusto all’Amministrazione resistente, per esserle state poste a carico le spese di lite nella misura intera prevista nella tariffa professionale, di molto superiore alla somma risultante dall’applicazione della legge. 3. Il ricorrente, infine, è stato assolto dall’incolpazione sub c consistente nell’aver motivato i provvedimenti relativi a quattro procedimenti di protezione internazionale descritti nella rubrica unicamente incollando articoli in lingua inglese estratti da siti internet. 4. A sostegno della decisione assunta la sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura ha affermato 4.1. sul capo a è stato rilevato che i provvedimenti illegittimi in tema di spese processuali hanno riguardato 111 procedimenti nei quali è stata riscontrata la palese violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, dovuta alla decisione di revocare l’ammissione a patrocinio a spese dello Stato fuori delle ipotesi tassativamente previste dalla norma ovvero la modifica sopravvenuta dei requisiti reddituali e la mala fede o colpa grave della parte ammessa 4.2 l’incolpato ha giustificato l’adozione dei provvedimenti in oggetto con l’esigenza di evitare il verificarsi dell’ipotesi normativa di estinzione dell’obbligazione per confusione art. 1253 c.c. che, nella specie, si sarebbe verificata per la concentrazione nello stesso soggetto della posizione del debitore e del creditore. A tal fine sarebbe stata disposta la revoca, il pagamento diretto ai difensori e la non applicazione della decurtazione prevista dalla legge. A sostegno della tesi esposta è stata invocata la sentenza delle S.U. n. 18583 del 2012 con la quale è stato escluso che possa essere pronunciata una condanna dell’amministrazione statale di pagamento delle spese processuali in favore di una parte ammessa al patrocinio a spese dello stato, dovendosi procedere alla rifusione di tali spese con separato procedimento D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 82. L’inapplicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 133, è confermata, peraltro, con riferimento ai procedimenti tributari dall’art. 141 del medesimo D.P.R., nel quale è stabilito espressamente che onorario e spese spettanti ai difensori siano liquidati con istanza separata ex art. 82. 4.3 Il Consiglio Superiore della Magistratura, pur dando atto di un acceso dibattito giurisprudenziale sul tema, attestato anche da diverso successivo orientamento delle S.U. 5819 del 2018 secondo il quale, invece può disporsi la condanna dell’Amministrazione al pagamento delle spese processuali perché le diverse articolazioni dello Stato sono dotate di autonoma personalità giuridica, ha affermato che l’interpretazione ed applicazione delle richiamate disposizioni effettuata dall’incolpato non trova alcun concreto riscontro e conforto nè nelle norme nè negli arresti giurisprudenziali, configurandosi in termini di macroscopica ed incontrovertibile difformità dell’interpretazione rispetto ai canoni ermeneutici già elaborati dalla giurisprudenza. In nessuna delle opzioni interpretative in campo è prevista la soluzione della revoca dell’ammissione al patrocinio, la liquidazione diretta ai difensori, senza la preventiva richiesta di distrazione e la non applicazione della decurtazione del 50%. L’attività ermeneutica ed applicativa svolta risulta priva di qualsiasi substrato normativo. Si configura la grave violazione di legge consistente nella approssimazione e scarsa ponderazione nell’applicazione delle disposizioni normative nonché anomalia ed abnormità nell’operato del magistrato. 5. In relazione al capo b la circostanza relativa alla riforma in sede di appello della quasi totalità delle ordinanze emesse dall’incolpato conduce all’applicazione dell’esimente della scarsa rilevanza del fatto ma non, come richiesto dalla Procura generale, dell’assoluzione per insussistenza del fatto, dal momento che la condotta del magistrato è stata idonea a provocare il danno ingiusto consistente nella liquidazione di compensi superiori ai valori medi previsti dai parametri forensi approvati con D.M. n. 55 del 2014, decurtati del 50%, e dunque con un esborso ingiustificato rispetto all’esatta applicazione delle norme. L’insussistenza dell’effettivo realizzarsi del danno patrimoniale dovuto all’esito delle impugnazioni, in conclusione, incide sulla valutazione del fatto ma non sulla sussistenza dell’illecito. 6. Quanto al capo c , l’art. 2, comma 1, lett. l , qualifica come illecito disciplinare l’emissione di provvedimenti privi di motivazione ovvero la cui motivazione consista nella mera affermazione della sussistenza dei presupposti di legge, senza alcuna indicazione in ordine alle circostanze di fatto dalle quali emerga la giustificazione della decisione. Nella specie, sebbene in motivazione si rinvengano passaggi costituiti dalla trascrizione di articoli in lingua inglese estratti da siti internet, è possibile ricostruire il percorso argomentativo utilizzato così da escludere la ricorrenza dell’illecito contestato. 7. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il Dott. M. . Non ha svolto difese la parte intimata. Ragioni della decisione 8. Nel primo motivo viene dedotta la violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 130 e D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1 e art. 2, comma 1, lett. g , oltre alla contraddittorietà ed illogicità manifesta della motivazione. 8.1 In primo luogo si deduce che la contestazione di cui al capo a si articola in tre sottocapi che non hanno autonomia ma vanno letti in maniera coordinata ed unitaria andando a costituire un’unica fattispecie, ruotando tutti attorno alla questione legislativa ed interpretativa relativa all’ipotesi in cui, all’esito del giudizio di merito, sia soccombente lo Stato - parte non ammessa al patrocinio - nei confronti della parte ammessa. Al riguardo l’art. 130 T.U. prevede la liquidazione, con decreto al difensore ammesso al patrocinio, degli onorari e delle spese in misura non superiore ai valori medi delle tariffe vigenti, ridotti alla metà e, dunque, regolamenta l’ipotesi di liquidazione in favore del difensore della parte ammessa al patrocinio, mentre il successivo art. 133, riguarda l’ipotesi della soccombenza della parte non ammessa, tra cui va ricompreso lo Stato. I due orientamenti della giurisprudenza di legittimità evidenziano un sistema di legge lacunoso ed incompleto se non contraddittorio. Ne consegue che non c’è certezza in relazione all’applicazione degli artt. 82 e 130, come contestato nel capo b . L’art. 82, attiene esclusivamente al rapporto tra la parte ed il difensore ed in questi limiti la cognizione è sottratta al giudice della controversia mentre quando si versa nell’ipotesi della soccombenza il potere di decidere spetta al giudice della controversia. Sarebbe una ingiustificata disparità di trattamento prevedere dei compensi dimidiati solo perché la parte soccombente è lo Stato rispetto alle altre parti soccombenti private. 8.2 Del resto, la sentenza impugnata appare riferirsi, in particolare, per la violazione di legge alla revoca e alla liquidazione dei compensi direttamente in favore dei difensori, qualificati antistatari ex lege. Al riguardo, ove si acceda alla più ragionevole tesi della ammissibilità della soccombenza dello Stato ed alla conseguente applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., il compenso liquidato è pari ai valori medi decurtati della metà, facendo corretta applicazione della tariffa in relazione al procedimento seguito sommario di cognizione e non camerale . Non si comprende, pertanto, quale sia la norma gravemente violata, non potendosi ritenere tali nè gli artt. 82 e 130, nè l’art. 133, applicato nella specie, tenuto conto che le opzioni interpretative fatte proprie dalla giurisprudenza di legittimità non esauriscono le ipotesi interpretative possibili e la scelta di una soluzione alternativa non determina di per sé sola una grave violazione di legge, tanto più a fronte di un impianto normativo così incompleto, lacunoso e contraddittorio. Pertanto, all’interno della preferibile tesi dell’applicabilità del principio della soccombenza si deve ritenere che si verifichi il fenomeno estintivo delle obbligazioni costituito dalla confusione art. 1253 c.c. . Il permanere dell’ammissione al patrocinio avrebbe determinato la sostanziale disapplicazione del potere dovere del giudice di adottare il principio della soccombenza. Per questo si è dato luogo alla revoca, anche fuori delle ipotesi dell’art. 136 T.U., relative ad ipotesi alternative e sanzionatorie della parte ammessa, non ritenendosi peraltro nè esclusive nè tassative le ipotesi indicate dalla norma. 8.3. Con la statuizione assunta si è voluto prendere atto di qualcosa di diverso, ovvero la soccombenza dello Stato quale parte non ammessa al patrocinio a spese dello Stato e la conseguente confusione, come modalità di estinzione dell’obbligazione, che si determina. La revoca deriva dall’applicazione dell’art. 1253 c.c L’inapplicabilità degli artt. 82 e 130, non può che condurre alla revoca. 8.4. Infine per quanto riguarda la liquidazione delle spese processuali a carico dello Stato esse devono essere liquidate direttamente a favore del difensore perché è costui e non il cliente, il beneficiario delle spese giudiziarie. Il rapporto è tra Stato e difensore. La parte è estranea a questo rapporto. Sarebbe, di conseguenza, discriminatorio per il difensore disporre nella specie la condanna a favore della parte, versando in condizioni analoghe a quelle dell’antistatario, atteso il divieto di cui all’art. 85 T.U Tale norma, peraltro, non risulta violata perché si tratta di spese di lite disposte dal giudice e perché la distrazione consegue alla revoca all’ammissione al gratuito patrocinio. 9. Nel secondo motivo viene censurata la incolpazione sotto il profilo della ignoranza o negligenza inescusabile, anche sotto il profilo della illogicità e contraddittorietà per aver ritenuto che la scelta interpretativa adottata dal ricorrente fosse priva di substrato normativo e dunque sintomatica di approssimazione e scarsa ponderazione oltre che indice di anomalia ed abnormità, trattandosi di un comportamento deontologicamente deviante posto in essere nell’esercizio delle funzioni. Non viene fornita una giustificazione dell’inesistenza del substrato normativo, ampiamente descritto nel primo motivo e della ignoranza e negligenza inescusabile. L’acceso dibattito giurisprudenziale, inoltre, evidenzia le difficoltà interpretative e l’esigenza di superarle con una soluzione diversa da quelle più frequentemente in campo ma all’interno della problematica da affrontare. Si deve ritenere, alla luce di una valutazione complessiva della vicenda e dell’atteggiamento tenuto dal magistrato, che vi sia stata ponderazione circa l’inapplicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 130 e circa le modalità applicative degli artt. 91 e 92 c.p.c., rispettose del principio di uguaglianza. Con la revoca del patrocinio, è stata salvaguardato l’art. 91 e si è evitata la formazione di un titolo giudiziale nel quale la qualità di debitore e di creditore coesistessero nello stesso soggetto in presenza di un quadro contrastante di interpretazione. 10. In ordine al capo B viene censurata l’omessa motivazione relativamente all’erronea applicazione delle tariffe professionali. Al riguardo il riferimento alla volontaria giurisdizione è errato essendo il procedimento sommario di cognizione, ratione temporis applicabile, contenzioso. Quanto all’applicazione dell’esimente, invece che riconoscere l’insussistenza dell’illecito, rileva il ricorrente che la fattispecie disciplinare contempla un illecito di evento. Pertanto ove l’evento-danno non si sia concretamente verificato non si è prodotto il fatto lesivo, non essendo sufficiente ad integrarlo la semplice idoneità della condotta. Tale conclusione coincide con le conclusioni della procura generale che hanno escluso la sussistenza dell’illecito. 10.1. Infine il danno non sussiste anche perché il compenso liquidato dal ricorrente è molto inferiore a quello che sarebbe derivato dall’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 130, ferma l’applicazione delle tariffe relative al procedimento sommario di cognizione. Il compenso di circa 3000 Euro coincide con le tariffe decurtate del 50% applicando lo scaglione del valore indeterminabile. 11. Ritiene il Collegio di dover esaminare in primo luogo le censure relative al capo b dell’incolpazione riguardante l’aver causato un danno ingiusto all’Amministrazione resistente nei giudizi ove è stata applicata con grave violazione di legge la revoca dall’ammissione al patrocinio a spese dello stato ed il pagamento dei compensi direttamente ai difensori, qualificati d’ufficio antistatari, in misura superiore a quella prevista dalla legge. 11.1 Al riguardo la norma che tipizza l’illecito richiede che mediante la violazione, nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali dei doveri di diligenza, laboriosità e correttezza si cagioni ad una delle parti nella specie l’Amministrazione resistente un danno ingiusto. La descrizione della fattispecie prevede tra gli elementi costitutivi la produzione del danno ingiusto. Le S.U. di questa Corte hanno ritenuto con la sentenza n. 26548 del 2013 che per integrare l’illecito disciplinare in oggetto è necessaria non soltanto la condotta, oggetto dell’addebito sub a ma anche l’evento lesivo, consistente in un pregiudizio patrimoniale oggettivamente apprezzabile S.U. 1606 del 2020 . 11.2 Nella sentenza disciplinare impugnata non sono stati correttamente applicati i principi soprarichiamati dal momento che, l’incontestata mancanza di un danno ingiusto è stata ritenuta un elemento rilevante soltanto al fine di applicare l’esimente di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3 bis, che, al contrario, si fonda sull’accertamento positivo di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito disciplinare cui segue la valutazione, svolta ex post, della scarsa rilevanza complessiva del fatto. Quando, come nella specie, manchi uno degli elementi costitutivi della fattispecie tipizzata, non può sostenersi la scarsa rilevanza del fatto ma se ne deve rilevare la mancanza, essendo precluso il giudizio successivo ex art. 3 bis. 11.3 Per quanto riguarda il capo b in conclusione, deve ritenersi che l’illecito disciplinare contestato non sia stato positivamente accertato. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, in applicazione dell’art. 384 c.p.c., comma 2, per tale capo il ricorrente deve essere assolto per l’esclusione dell’addebito. 12. I primi due motivi di ricorso, relativi alle censure di cui al capo a dell’incolpazione possono essere trattati congiuntamente perché logicamente connessi. Essi riguardano la contestazione dell’addebito di grave violazione di legge, determinata da ignoranza o negligenza o inescusabile in relazione alla statuizione, reiterata in un centinaio di pronunce, di revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato del cittadino straniero, in giudizi di protezione internazionale nei quali il Ministero dell’Interno era soccombente. Alla revoca, è conseguita la liquidazione delle spese processuali in favore dei difensori, qualificati antistatari ex lege. 12.1 Viene rilevato, nella sentenza impugnata, che la revoca è stata disposta fuori delle ipotesi indicate nel D.P.R. n. 115 del 2002, art. 133 e che la distrazione delle spese processuali è assoggettata all’istanza di parte. La violazione espressa della disciplina normativa sopra richiamata, non può essere giustificata dalla non omogeneità di orientamenti relativi all’applicazione del principio della soccombenza, quando il vincitore sia una parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato e l’altra parte sia una amministrazione dello Stato, dal momento che le soluzioni adottate sono macroscopicamente difformi ai canoni ermeneutici già elaborati dalla giurisprudenza e sono del tutto prive di substrato normativo. La violazione accertata risulta sintomatica di approssimazione e scarsa ponderazione nonché indice di anomalia e abnormità dell’operato del magistrato. 13. Deve rilevarsi, come adombrato anche nella sentenza impugnata, che si riscontra una non uniformità di orientamenti nella giurisprudenza della Corte di Cassazione in relazione alla legittimità della condanna alle spese processuali in favore di una parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato ed a carico di un’amministrazione statuale. Proprio in relazione alla sentenza n. 5819 del 2018, citata nella sentenza impugnata, l’Ufficio del Massimario ha predisposto una relazione di segnalazione di contrasto n. 51 del 2018 che pone in luce le difficoltà, le divergenze interpretative e le difformità tra l’orientamento espresso nell’ordinanza ed alcuni precedenti 18583 del 2012 . Successivamente con la pronuncia n. 30876 del 2018, si è nuovamente affermato, in contrasto con il precedente più recente, che la liquidazione degli onorari al difensore ammesso al patrocinio a spese dello Stato deve avvenire con istanza ad hoc rivolta al giudice del procedimento, non potendo procedersi direttamente alla statuizione di condanna al pagamento delle spese processuali in favore dello Stato nella pronuncia che decide il merito, non essendo riferibile a tale ipotesi il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 133. Dal quadro illustrato emergono alcuni profili da porre in rilievo. Il problema della compatibilità tra il quadro legislativo speciale relativo al patrocinio a spese dello Stato e quello generale codicistico relativo alla regolazione delle spese processuali non è stato risolto in modo omogeneo quando creditore e debitore siano due amministrazioni statuali, rendendo tale situazione fattuale di difficile il coordinamento tra il principio della soccombenza e il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 133. Ne consegue che il ricorrente si è trovato ad affrontare una questione effettivamente problematica, inserita in un quadro normativo non univoco, alla quale non sono state date risposte interpretative omogenee. Da tale premessa, condivisa, nella sostanza anche dalla sentenza impugnata, tuttavia, non è conseguita la scelta tra le opzioni ermeneutiche in campo, ma una soluzione fondata ed in ciò consiste la grave violazione di legge contestata sull’applicazione di istituti quali la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello stato e la distrazione delle spese processuali fuori del paradigma normativo. Ad un problema reale, produttivo di divergenze applicative effettive, è stata data una risposta contrastante con la lettera della legge, alla quale peraltro, in relazione all’estensione delle ipotesi di revoca, è stata fornita la giustificazione giuridica della natura non tassativa della norma e, quanto all’applicazione della distrazione delle spese processuali, alla necessità di evitare l’estinzione dell’obbligazione per confusione. 14. Non può, pertanto, ravvisarsi, come viene ritenuto nella sentenza impugnata, che il ricorrente si sia discostato da canoni ermeneutici consolidati nel cercare una soluzione della questione problematica sopraillustrata, dal momento che nella giurisprudenza di legittimità si confrontano orientamenti divergenti ed instabili, ma soltanto che siano stati utilizzati istituti giuridici, le ipotesi di revoca dall’ammissione al patrocinio a spese dello Stato e la necessità dell’istanza di parte per la distrazione delle spese processuali . in modo difforme dal dettato legislativo e fuori dei requisiti espressamente indicati dalla norma. 15. Così definito il perimetro della grave violazione di legge oggetto della contestazione, deve rilevarsi che risulta carente di giustificazione nel provvedimento impugnato la sussistenza dell’altro requisito ineludibile per l’integrazione dell’illecito disciplinare contestato, consistente nella compromissione della considerazione del singolo magistrato e del prestigio dell’ordine giudiziario S.U. 11069 del 2010 20819 del 2019 . Manca una valutazione di questo profilo. Nel provvedimento impugnato ci si limita a definire macroscopicamente errata l’interpretazione delle norme ed anomalo ed abnorme l’operato del magistrato. La violazione denunciata non viene collocata ed esaminata criticamente all’interno della complessiva valutazione dell’attività giurisdizionale, nè in relazione alla concreta4 esistenza del problema di compatibilità del quadro normativo speciale D.P.R. n. 115 del 2002 riguardante il patrocinio a spese dello Stato con quello codicistico in tema di applicazione del principio della soccombenza, nè in relazione allo sviluppo procedimentale dei giudizi oggetto di esame disciplinare e del loro esito che ha determinato l’accertamento negativo, coperto da giudicato, della sussistenza di danni patrimoniali. Alla rilevata violazione del dettato normativo non è seguita l’indagine sull’effetto perturbante della condotta e sulla sua natura deontologicamente deviante. 16. I motivi relativi al capo a dell’incolpazione, devono pertanto essere accolti con rinvio alla Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, in diversa composizione, perché completi l’esame dei requisiti dell’illecito disciplinare fornendo una giustificazione esplicita dell’effetto perturbante sulla considerazione del magistrato e sul prestigio dell’ordine giudiziario della condotta contestata alla luce di una valutazione complessiva dell’attività giurisdizionale all’interno della quale si è consumata la condotta stessa. 17. In conclusione, in relazione al capo a la pronuncia deve essere cassata con rinvio mentre sul capo b alla cassazione segue la pronuncia di merito. Le spese processuali devono essere integralmente compensate in relazione alla complessità della vicenda giuridico-interpretativa sottesa a quella disciplinare. P.Q.M. Accoglie il ricorso e decidendo nel merito in relazione al capo b dell’incolpazione, assolve il ricorrente dall’addebito contestato. In relazione al capo a cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura in diversa composizione. Compensa le spese processuali del presente giudizio. Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo presidente per impedimento dell’estensore ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a .