Straniero in fuga perché cristiano: la mancata pratica religiosa in Italia ne smentisce il racconto

Niente protezione per un uomo originario del Mali. Lui ha sostenuto di essere cristiano e di essere scappato per timore di persecuzioni da parte degli zii di fede musulmana. Questo racconto è smentito dalla condotta tenuta in Italia, ossia la mancata pratica del credo cristiano.

In fuga per ragioni di fede. Ma una volta approdato in Italia la – mancata – pratica religiosa smentisce totalmente il racconto dello straniero, che può perciò dire addio a ogni ipotesi di protezione” e prepararsi al ritorno in patria Cassazione, ordinanza n. 1348/20, sez. I Civile, depositata oggi . Pratica. Protagonista della vicenda è un uomo, originario del Mali, che cerca rifugio in Italia, spiegando di non voler rientrare nel Paese di origine perché, essendo egli cristiano, teme di subire persecuzioni di natura religiosa da parte degli zii musulmani” che addirittura avevano preteso l’abiura”. Questo racconto è però ritenuto poco credibile e quindi non sufficiente per concedere protezione” allo straniero. Su questo punto i Giudici della Cassazione condividono la visione tracciata tra primo e secondo grado, laddove ci si è soffermati soprattutto sul comportamento tenuto dall’uomo in Italia. In sostanza, la presunta appartenenza dello straniero alla religione cristiana è radicalmente smentita dalla sua verificata ignoranza dei principi fondamentali e dei riti di detto credo, peraltro neppure da lui praticato in Italia, Paese in cui la professione della fede cristiana non incontra alcuna limitazione”.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 3 luglio 2019 – 22 gennaio 2020, n. 1348 Presidente Bisogni – Relatore Scordamaglia Fatti di causa 1. La Corte di appello di Genova, con sentenza pubblicata il 5 febbraio 2018, ha rigettato l'appello proposto avverso l'ordinanza del Tribunale della stessa città del 10 gennaio 2017, che aveva respinto il ricorso presentato da Ci. So., cittadino del Mali, contro il provvedimento della Commissione territoriale di diniego della richiesta di protezione internazionale, sub specie di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria, e, in subordine, della protezione umanitaria. A motivo della decisione la Corte territoriale ha rilevato come non ricorressero i presupposti di nessuna delle misure tutorie invocate - quando al riconoscimento dello stato di rifugiato -richiesto dall'appellante in ragione del paventato timore di rimanere esposto, egli cristiano, alle persecuzioni di natura religiosa ipotizzabili, in caso di rimpatrio, da parte degli zii musulmani, che ne avevano preteso l'abiura -, perché la narrazione dei fatti giustificativi del diritto ad ottenere la protezione invocata era manifestamente generica, lacunosa e contraddittoria su elementi significativi, nonché sguarnita di elementi di corroborazione, e perché la paventata persecuzione non sarebbe provenuta dai soggetti indicati dall'art. 5 D.Lgs. n. 251 del 2007 - quanto alla protezione sussidiaria, perché le fonti internazionali compulsate rapporti dell'UNHCR 2016 - 2017 attestavano che i conflitti armati, pur presenti nelle aree settentrionali e centrali del Mali, non interessavano la zona meridionale del Paese nella quale si trovava, in particolare Kayes, regione di provenienza del richiedente - quanto alla protezione umanitaria, perché il richiedente - il cui racconto, come anticipato, era caratterizzato da gravi lacune ed inverosimiglianze - nulla aveva allegato in ordine ad una sua effettiva integrazione socio-lavorativa in Italia, non essendo sufficienti, in funzione del riconoscimento della misura di protezione minore, le sole buone possibilità di inserimento. 2. Il ricorso per cassazione è affidato a due motivi, che denunciano I. - il vizio di violazione di legge, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, cod.proc.civ., in relazione agli artt. 3, commi 3 e D.Lgs. n. 251 del 2007, 8, comma 3, e 27 D.Lgs. n. 25 del 2008, comma 6, D.P.R. 21/15, avendo il giudice censurato omesso di indicare le specifiche carenze e contraddizioni, nonché i difetti di allegazione, suscettibili di connotare in termini di inverosimiglianza la narrazione del richiedente carenze e difetti che, in ogni caso, avrebbero dovuto essere colmati in virtù dei poteri di collaborazione officiosa delle Autorità decidenti II. - il vizio di violazione di legge, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 5, comma 6, e 19 D.Lgs. 286 del 1998, non avendo la Corte territoriale fatto corretta applicazione della norma richiamata, dovendosi riconoscere i seri motivi posti a fondamento del permesso di protezione umanitaria nella situazione socio-politica del Paese di origine del richiedente e nell'incolmabile sproporzione rispetto a quella esistente nel Paese ospitante. 3. L'intimato Ministero dell'Interno non si è costituito in giudizio. Ragioni della decisione 4. Il ricorso è infondato. 4.1 II primo motivo denuncia la violazione dell'art. 3, comma 5, D.Lgs. n. 251 del 2007, per la mancata collaborazione istruttoria officiosa prestata dalle Autorità decidenti in relazione a lacune narrative ed insufficienze probatorie del richiedente la protezione internazionale. 4.2 La Corte di appello ha argomentato nel senso che, quand'anche fosse accertato in Mali il rischio di persecuzioni in pregiudizio dei cristiani, l'allegata appartenenza alla religione cristiana da parte del richiedente era radicalmente smentita dalla sua verificata ignoranza dei principi fondamentali e dei riti del detto credo, peraltro neppure da lui praticato in un paese, quale l'Italia, in cui la professione di esso non incontrava alcuna limitazione. Per altro verso nulla è stato allegato dal richiedente quanto al rifiuto o all'impossibilità delle autorità pubbliche del Mali o di organizzazioni che controllano lo Stato o una sua parte consistente di fornire protezione adeguata ai cristiani vittime di persecuzioni religiose Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 25873 del 18/11/2013, Rv. 628471 - 01 . 5. Il secondo motivo che discute dei seri motivi idonei a giustificare il rilascio del permesso di protezione umanitaria è generico, perché declinato in maniera del tutto astratta, senza, cioè, alcun addentellato alla situazione concreta del richiedente, pure esaminata nella sentenza impugnata. 5.1. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere rigettato. Non ricorrono i presupposti per l'applicazione del doppio contributo di cui all'art. 13, comma 1-quater D.P.R. 115/2002, essendo stato il ricorrente ammesso al patrocinio a spese dello Stato. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.