Limiti temporali e contenutistici della richiesta di revocazione della sentenza per dolo della parte

Laddove il comportamento doloso di una delle parti sia conoscibile già al momento della sentenza di prime cure o durante il corso del termine per l’appello, tale vizio deve essere dedotto come motivo di appello. Ad ogni modo, il dolo processuale può costituire motivo di revocazione della sentenza solo laddove consista in un’attività deliberatamente fraudolenta, consistente in artifici o raggiri tali da paralizzare o sviare la difesa avversaria ed impedire l’accertamento della verità.

Così la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 1102/20, depositata il 20 gennaio. Il caso. Il Tribunale di Milano condannava parte convenuta al pagamento a favore dell’attrice del corrispettivo della cessione delle quote di partecipazione ad una società, non essendo riuscito a dimostrare l’avvenuto pagamento nelle mani dell’ex marito dell’attrice. Quest’ultimo veniva a sua volta convenuto in separato giudizio per la restituzione di quanto corrisposto. Nel corso di tale processo emergeva il comportamento doloso dei due ex coniugi in quanto l’ex moglie era presente e consenziente al momento della consegna degli assegni. La sentenza del Tribunale di Milano veniva dunque impugnata per revocazione straordinaria ex art. 395, n. 1, c.p.c A seguito della dichiarazione d’inammissibilità dell’impugnazione, la questione è giunta dinanzi alla Corte d’Appello che ha confermato la decisione precisando che la scoperta del dolo era procedente all’emissione della sentenza revocanda ed il termine perentorio di 30 giorni dalla scoperta del dolo era dunque decorso. Il soccombente ha dunque proposto ricorso per cassazione. Revocazione della sentenza. Premettendo che la scoperta del dolo della parte, dalla quale decorre il termine per proporre la revocazione, costituisce oggetto di accertamento di fatto riservato ai giudici di merito, il Collegio precisa che se il comportamento doloso era conoscibile già al momento della sentenza di prime cure o durante il corso del termine per l’appello, il vizio avrebbe dovuto essere fatto valere come motivo di appello e non con il rimedio straordinario della revocazione. La sentenza impugnata risulta inoltre coerente con il principio secondo cui il dolo processuale di una delle parti a danno dell’altro può costituire motivo di revocazione della sentenza solo laddove consista in un’attività deliberatamente fraudolenta, consistente in artifici o raggiri tali da paralizzare o sviare la difesa avversaria ed impedire l’accertamento della verità. Non sono dunque idonei in tal senso la semplice allegazione di fatti non veritieri favorevoli alla propria tesi, il silenzio su fatti decisivi della controversia o la mancata produzione di documenti, che possono configurare comportamenti censurabili sotto il diverso profilo della lealtà e correttezza processuale, ma non pregiudicano il diritto di difesa della controparte . In conclusione, la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 8 novembre 2019 – 20 gennaio 2020, n. 1102 Presidente Campanile – Relatore Lamorgese Rilevato in fatto che 1.- Il Tribunale di Milano, con sentenza dell’11 maggio 1998 n. 5275 , passata in giudicato, ha condannato P.M. a corrispondere a V.E. Euro 319850,00, quale corrispettivo della cessione delle quote di partecipazione nella Giemmeci sas, avendo ritenuto non provata l’affermazione del P. circa l’avvenuto pagamento nelle mani di D.G.M. , ex marito della V. . 2.- Il P. , con citazione notificata il 15 luglio 2004, ha promosso un separato giudizio contro D.G. per la restituzione di quanto corrispostogli, nel corso del quale egli aveva denunciato il comportamento doloso dei due ex coniugi nei suoi confronti, come si desumeva dalle dichiarazioni della V. all’udienza dell’11 dicembre 2007, che dimostravano che la donna era presente e consenziente quando egli consegnò gli assegni al D.G. la Corte d’appello di Milano, con sentenza dell’8 giugno 2008, ha accertato che il D.G. era debitore del P. e lo ha condannato a corrispondere Euro 134278,79, per avere trattenuto per sé parte del prezzo della cessione della società Giemmeci a lui consegnata, e al risarcimento del danno . 3.- Con atto del 10 gennaio 2008, il P. ha impugnato per revocazione straordinaria la succitata sentenza del Tribunale di Milano n. 5275 del 1998, a norma dell’art. 395 c.p.c., n. 1, ritenendola frutto del dolo della controparte, perché la V. e il D.G. erano consapevoli che il pagamento del prezzo era avvenuto nelle mani del D.G. , ma avevano taciuto detta circostanza, al fine di paralizzare la difesa del P. e impedire l’accertamento della verità. 4.- Il Tribunale di Milano, con sentenza del 23 novembre 2011, ha dichiarato l’impugnazione inammissibile. 5.- La Corte d’appello di Milano, con sentenza del 6 novembre 2015, ha rigettato il gravame per le seguenti ragioni la scoperta del dolo risaliva ad epoca precedente all’emissione della sentenza revocanda, avendo lo stesso P. riferito di essere consapevole del dolo a seguito della emanata sentenza in suo danno, con ciò implicitamente ammettendo che, alla data di introduzione del giudizio di revocazione, il termine perentorio di trenta giorni dalla scoperta del dolo era ampiamente decorso inoltre, anche a voler riferire la conoscenza del dolo alla data dell’udienza del 12.11.2007 in cui si svolse l’interrogatorio della V. , il termine di trenta giorni per proporre la revocazione era già decorso, essendo la citazione stata notificata il 16 e 23 gennaio 2008 il ricorso era inammissibile anche per ragioni di merito il P. non aveva indicato in modo specifico i fatti dimostrativi della condotta dolosa imputata agli ex coniugi in concorso tra loro e il Tribunale ne aveva escluso l’esistenza il P. avrebbe potuto proporre appello avverso la sentenza del 1998, mentre aveva preferito promuovere un autonomo giudizio nei confronti di D.G. la condotta denunciata era comunque censurabile unicamente sotto il profilo della correttezza professionale, nulla avendo impedito al P. di avvalersi dei mezzi di tutela offerti dall’ordinamento ai fini dell’accertamento della verità. 6.- Avverso questa sentenza il P. ha proposto ricorso per cassazione, illustrato da memoria, resistito dalla V. . Considerato in diritto che 1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 395 c.p.c., n. 1, art. 396 c.p.c., comma 1, e art. 398 c.p.c., comma 2, per avere ritenuto che la scoperta del dolo risalisse ad epoca precedente all’emissione della sentenza revocanda, travisando il senso di una sua dichiarazione che esprimeva unicamente un sospetto giuridicamente irrilevante circa l’esistenza del dolo, senza precludere la proponibilità del ricorso per revocazione nel termine decorrente unicamente dalla sicura e successiva scoperta del dolo inoltre, i giudici di merito avevano fatto decorrere il termine di trenta giorni per la proposizione della revocazione dall’udienza del 12.11.2007 , erroneamente indicata come data della dichiarazione testimoniale della V. dimostrativa del dolo infatti l’udienza si era svolta l’ 11.12.2007 e l’atto di citazione introduttivo del giudizio era stato spedito e quindi notificato il 10.1.2008 e non il il 16 e 23 gennaio come affermato nella sentenza impugnata, cioè nel rispetto del termine di trenta giorni previsto dagli artt. 325 e 326 c.p.c 1.1.- Il motivo è infondato nella parte in cui critica l’impugnata sentenza per avere valorizzato, ai fini della decorrenza del termine per la proposizione della revocazione straordinaria, di cui all’art. 326 c.p.c., comma 1, una dichiarazione del P. che si reputa indicativa di un mero sospetto circa l’esistenza del dolo imputato alla V. e al D.G. , cioè di un fatto inidoneo a valere come scoperta effettiva e completa del dolo revocatorio. Detta scoperta, da cui decorre il termine per proporre la revocazione, costituisce oggetto di un accertamento di fatto che è riservato ai giudici di merito, il cui convincimento non è censurabile per cassazione, ove motivato sulla base di argomentazioni plausibili e coerenti con il parametro legale della scoperta effettiva e completa, analogamente all’accertamento dell’esistenza stessa del dolo, per il quale non è sufficiente la sussistenza di un’attività deliberatamente fraudolenta della parte, ma è necessario anche che essa abbia determinato il convincimento del giudice e la conseguente sua decisione cfr. Cass., sez. un., n. 1602 del 1971 n. 1687 del 1984, n. 8342 del 1990 . Nella specie, la Corte territoriale, con apprezzamento di fatto congruo e incensurabile in sede di legittimità, ha constatato che il P. aveva dichiarato di essere venuto a conoscenza del dolo a seguito degli eventi processuali e della emanata sentenza del 1998 in suo danno , individuando in tale momento la conoscenza effettiva del dolo e non un mero sospetto, mentre la revocazione è stata proposta alcuni anni dopo. Se quindi il comportamento asseritamente doloso era conoscibile già al momento della sentenza del tribunale o durante il corso del termine per l’appello, il vizio avrebbe dovuto essere fatto valere come motivo di appello arg. ex art. 396 c.p.c. e non con il rimedio straordinario della revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 1 Cass. n. 11697 del 2013, n. 1647 del 2007, n. 6157 del 1978, n. 884 del 1977 . 1.2.- Non è dunque decisivo il vizio ulteriormente denunciato nel motivo circa l’indicazione della data dell’udienza 11 dicembre, anziché 12 novembre 2007, come si legge nella sentenza impugnata in questa sede cui il P. riferisce la scoperta del dolo, essendo il termine di trenta giorni a quella data ampiamente decorso. 1.3.- L’assunto di avere scoperto il dolo a seguito delle dichiarazioni rese dalla V. all’udienza sopra indicata è privo di specificità, non riportandosi nel ricorso il contenuto delle suddette dichiarazioni, ma solo l’equivoca circostanza che ella fosse presente nel momento in cui il P. effettuò la consegna di assegni postdatati nelle mani di D.G. , circostanza che non dimostra il dolo revocatorio, per il quale non è sufficiente la sussistenza di un’attività deliberatamente fraudolenta della parte, ma è necessario anche che essa abbia determinato il convincimento del giudice e la conseguente decisione Cass. n. 5068 del 1995 . La Corte territoriale, escludendo la rilevanza sul piano del dolo processuale della condotta di V. e D.G. - che, tra l’altro, ha costituito oggetto di valutazione anche nel giudizio promosso contro il D.G. -, ha compiuto un accertamento di fatto incensurabile in questa sede, all’esito del quale è rimasto escluso che detta condotta abbia alterato il dibattito processuale e determinato statuizioni diverse da quelle che sarebbero state altrimenti adottate. 2.- Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto, per avere ritenuto censurabile la condotta di V. e D.G. eventualmente sotto il profilo della correttezza professionale e non del dolo revocatorio, senza comprendere che essi erano autori di una macchinazione fraudolenta orchestrata ai suoi danni, mediante artifici e raggiri diretti a paralizzare la sua difesa in giudizio e a fuorviare il giudicante, al fine di ottenere da lui il pagamento del prezzo già corrisposto alla V. per il tramite del D.G. . 2.1.- La statuizione impugnata è conforme al principio secondo cui il dolo processuale di una delle parti in danno dell’altra può costituire motivo di revocazione della sentenza, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 1, solo quando consista in un’attività deliberatamente fraudolenta, concretantesi in artifici o raggiri tali da paralizzare, o sviare, la difesa avversaria ed impedire al giudice l’accertamento della verità, facendo apparire una situazione diversa da quella reale. Ne consegue che non sono idonei a realizzare la suddetta fattispecie la semplice allegazione di fatti non veritieri favorevoli alla propria tesi, il silenzio su fatti decisivi della controversia o la mancata produzione di documenti, che possono configurare comportamenti censurabili sotto il diverso profilo della lealtà e correttezza processuale, ma non pregiudicano il diritto di difesa della controparte, la quale resta pienamente libera di avvalersi dei mezzi offerti dall’ordinamento al fine di pervenire all’accertamento della verità Cass. n. 26078 del 2018 . Per altro verso, il motivo è in parte inammissibile, laddove si appunta su una ratio aggiuntiva e non determinante ai fini della decisione e si risolve, comunque, in una impropria critica di apprezzamenti di fatto operati dai giudici di merito, i quali hanno ritenuto che i comportamenti esaminati non abbiano assunto rilievo in concreto sul piano del dolo revocatorio, non avendo pregiudicato il diritto di difesa del P. . 3.- In conclusione, il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso, condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 4200,00. Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.