Problema di salute e integrazione sociale in Italia non salvano lo straniero

Respinta definitivamente la richiesta di protezione presentata da un cittadino pakistano. Impossibile, secondo i Giudici, riconoscergli una condizione di vulnerabilità, nonostante il problema di salute lamentato. Irrilevanti anche l’integrazione in Italia e l’assenza di condanne penali.

Il problema fisico – disturbo post traumatico da stress, per la precisione – e l’integrazione sociale raggiunta in Italia non bastano per consentire allo straniero di ottenere il permesso di soggiorno per restare in Italia Cassazione, ordinanza n. 625/20, sez. I Civile, depositata oggi . Protezione. Riflettori puntati sulla precaria posizione di un uomo, originario del Pakistan, che, approdato in Italia – arrivando dall’Austria –, vede respinta la sua richiesta di protezione internazionale”. Su questa posizione si attesta prima la ‘Commissione territoriale’ e poi il Tribunale in entrambi i casi lo straniero vede vicino lo spettro dell’addio all’Italia. A chiudere la questione provvede la Cassazione, cancellando anche le ultime speranze del cittadino pakistano. Corretta, in sostanza, la valutazione compiuta in Tribunale. E per i giudici del ‘Palazzaccio’ va respinta anche l’ipotesi ultima avanzata dall’uomo, cioè quella del riconoscimento della protezione umanitaria”. Su questo fronte, difatti, mancano i presupposti per parlare di vulnerabilità” con riferimento alla posizione dell’uomo, nonostante egli abbia lamentato un disturbo post traumatico da stress” in particolare, viene osservato che la presunta gravità della patologia è smentita dalla constatazione che lo straniero pur avendo presentato domanda di protezione internazionale in Austria, se ne è allontanato per venire in Italia, senza attende l’esito di quella procedura”. Per chiudere il cerchio, infine, viene anche chiarito che l’integrazione sociale” del cittadino pakistano, testimoniata dalla buona conoscenza della lingua italiana” e dallo svolgimento di un’attività lavorativa”, e la assenza di condanne penali”, non possono costituire la base per il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari”.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 20 novembre 2019 – 15 gennaio 2020, n. 625 Presidente Di Virgilio – Relatore Lombardo Fatti di causa 1. - Ka. Mu. Az., cittadino pakistano, chiese il riconoscimento della protezione internazionale. La Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale rigettò la domanda. 2. - Avverso tale provvedimento il richiedente propose ricorso al Tribunale di Trieste, che - con decreto del 18/05/2018 - confermò il provvedimento della Commissione territoriale. 3. - Per la cassazione di tale decreto ha proposto ricorso Ka. Mu. Az. sulla base di sei motivi. Ha resistito con controricorso il Ministero dell'Interno. Ragioni della decisione 1. - Col primo motivo di ricorso proposto ai sensi dell'art. 360 n. 3 cod. proc. civ. , si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto, per avere il Tribunale deciso senza che la Commissione territoriale avesse trasmesso la documentazione relativa alla procedura amministrativa. Il motivo è inammissibile. L'art. 35-bis del D.Lgs. n. 25 del 2008 prevede che La Commissione che ha adottato l'atto impugnato è tenuta a rendere disponibili con le modalità previste dalle specifiche tecniche di cui al comma 16, entro venti giorni dalla notificazione del ricorso, copia della domanda di protezione internazionale presentata, della videoregistrazione di cui all'articolo 14, comma 1, del verbale di trascrizione della videoregistrazione redatto a norma del medesimo articolo 14, comma 1, nonché dell'intera documentazione comunque acquisita nel corso della procedura di esame di cui al Capo III . La disposizione non prevede però l'obbligo di trasmissione e, tantomeno, la sanzione della nullità per la mancata trasmissione. Nella specie, il Tribunale ha supplito alla mancata disponibilità della documentazione relativa alla fase amministrativa della procedura, disponendo l'audizione del richiedente, che ha reso dichiarazioni. Quanto alla mancata acquisizione della documentazione relativa alla fase amministrativa della procedura, non trasmessa dalla Commissione territoriale, in disparte il rilievo che la parte avrebbe potuto procedere direttamente alla produzione della documentazione ritenuta rilevante, la censura difetta della necessaria specificità, perché non precisa se il richiedente abbia formalizzato o meno istanza di esibizione della detta documentazione ai sensi dell'art. 210 cod. proc. civ. e non illustra la decisività che tale documentazione avrebbe potuto avere cfr. Cass. Sez. 1, n. 3018 del 31/01/2019 Sez. 1, n. 3019 del 31/01/2019 . Sul punto, va ribadito il principio di diritto già enunciato da questa Corte, secondo cui, in tema di protezione internazionale, è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale si deduca l'omessa trasmissione degli atti da parte della Commissione territoriale e la conseguente assunzione della decisione da parte del Tribunale senza l'esame di tali atti, ove non siano state specificamente dedotte le conseguenze in termini di deficit probatorio che da tali omissioni siano derivate Cass., Sez. 1, n. 6061 del 28/02/2019 . 2. - Col secondo motivo proposto ai sensi dell'art. 360 n. 3 cod. proc. civ. , si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto, per avere il Tribunale omesso di acquisire informazioni sul paese di origine. Il motivo è inammissibile, in quanto il ricorrente non ha colto la ratio decidendi posta a fondamento della decisione impugnata, avendo il Tribunale esaminato la situazione interna del Paese di origine del richiedente, richiamando il contenuto delle COI e di altre fonti internazionali p. 4-5 del decreto impugnato . 3. - Col terzo motivo, si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ. , nonché il vizio di motivazione della sentenza impugnata ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ. , per avere il Tribunale ritenuto non credibile e non affidabile il racconto del richiedente. La censura è inammissibile, perché si risolve in una critica del giudizio di attendibilità del racconto del richiedente formulato dai giudici territoriali, che è insindacabile in sede di legittimità quando -come nel caso di specie - è giustificato da motivazione esente da vizi logici e giuridici. 4. - Col quarto motivo, si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ. , nonché il vizio di motivazione della sentenza impugnata ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ. , per avere il Tribunale ritenuto non attendibile il racconto del richiedente e per avere omesso di integrare d'ufficio la prova. Anche questa censura è inammissibile, sia per la ragione evidenziata nell'esame del precedente motivo, sia perché, in materia di protezione internazionale, ove il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nell'art. 3, comma 5, del D.Lgs. n. 251 del 2007 che trova applicazione tanto con riguardo alla domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiato, tanto con riguardo alla domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria, in ciascuna delle ipotesi contemplate dall'art. 14 dello stesso decreto legislativo abbia esito negativo, l'autorità incaricata di esaminare la domanda non deve procedere ad alcun ulteriore approfondimento istruttorio officioso, neppure concernente la situazione del Paese di origine da ultimo, Cass., Sez. 1, n. 15794 del 12/06/2019 . 5. - Col quinto motivo, si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ. , nonché l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ. , per avere il Tribunale ritenuto non pericolosa la regione di provenienza del richiedente. La censura è inammissibile, perché punta a criticare una valutazione di merito, non sindacabile in sede di legittimità, avendo il Tribunale giustificato la sua valutazione con motivazione esente da vizi logici e giuridici, fondata sulle risultanze delle COI e di altri report internazionali. 6. - Col sesto motivo, si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ. , nonché l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ. , per avere il Tribunale negato anche la protezione umanitaria. Anche questo motivo è inammissibile. Il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, nella disciplina di cui all'art. 5, comma 6, del D.Lgs. n. 286 del 1998 applicabile ratione temporis - secondo quanto statuito da Cass., Sez. Un. n. 29459 del 13/11/2019 - per essere stata la domanda di riconoscimento del permesso di soggiorno proposta prima dell'entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, conv., con modif., in L. n. 132 del 2018, che ne ha sostituito il testo , costituisce una misura atipica e residuale, volta ad abbracciare situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento di una tutela tipica status di rifugiato o protezione sussidiaria , non può disporsi l'espulsione e deve provvedersi all'accoglienza del richiedente che si trovi in condizioni di vulnerabilità, da valutare caso per caso Cass., Sez. 1, n. 13096 del 15/05/2019 Sez. 6 - 1, n. 23604 del 09/10/2017 . Ha precisato questa Corte che il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie deve essere frutto di valutazione autonoma caso per caso, non potendo conseguire automaticamente dal rigetto delle altre domande di protezione internazionale, essendo necessario considerare la specificità della condizione personale di particolare vulnerabilità del richiedente, da valutarsi anche in relazione alla sua situazione psico-fisica attuale ed al contesto culturale e sociale di riferimento Cass., Sez. 1, n. 13088 del 15/05/2019 . Il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari non può, pertanto, essere riconosciuto al cittadino straniero considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia oppure il contesto di generale e di non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza Cass., Sez. 6 - 1, n. 17072 del 28/06/2018 essendo invece necessario operare una valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine in raffronto alla situazione di integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell'esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale Cass., Sez. Un., n. 29459 del 13/11/2019 Sez. 1, n. 4455 del 23/02/2018 . Nella specie, non sussistono i dedotti vizi di legittimità, avendo il giudice territoriale puntualmente valutato la situazione del richiedente ed escluso la condizione di vulnerabilità dello stesso avuto riguardo alla sua situazione personale e a quella del paese di provenienza. Né è sufficiente, per ottenere la protezione umanitaria, lo svolgimento di attività lavorativa in Italia. Come statuito da questa Suprema Corte, l'integrazione sociale del ricorrente in ragione della buona conoscenza della lingua italiana, lo svolgimento di attività lavorativa in Italia e l'assenza di condanne penali non rilevano come presupposti per il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, che consegue, al contrario, alla sussistenza di seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano art. 5, comma 6, D.Lgs. 286/98 Cass., Sez. 6 - 1, n. 25075 del 2017, non massimata . Da ultimo, va rilevato che il Tribunale ha esaminato anche la patologia accusata dal richiedente disturbo post-traumatico da stress , pervenendo alla legittima conclusione che essa non dimostra la reale vulnerabilità del richiedente tale vulnerabilità, peraltro, risulta esclusa dalla condotta dello stesso, il quale, pur avendo presentato domanda di protezione internazionale in Austria, se ne è allontanato per venire in Itala, senza attendere l'esito della procedura. 7. - Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo. 8. - Sussistono i presupposti processuali perché la parte ricorrente versi - ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 - un ulteriore importo a titolo contributo unificato pari a quello previsto per la proposizione dell'impugnazione, se dovuto. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore del Ministero dell'Interno, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100,00 duemilacento per compensi, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.