La tardività dell’impugnazione rilevata d’ufficio può fondare la decisione?

Il divieto di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio e non sottoposta al contraddittorio delle parti non riguarda il rilievo della tardività dell’impugnazione e dell’intervenuta decadenza dell’opposizione. Infatti, l’osservanza dei termini perentori entro cui proporre le impugnazioni o avviare le cause di contenuto oppositivo costituisce un parametro di ammissibilità della domanda alla quale la parte non può non prestare attenzione.

Lo ha chiarito la Cassazione con ordinanza n. 29803/19 depositata il 18 novembre. Il caso. In un contenzioso per il rispristino di una recinzione su un fondo, la Corte d’Appello rilevava d’ufficio la tardività dell’impugnazione proposta da S.C., osservando che, vertendosi in materia esecutiva, non potesse trovare applicazione la sospensione dei termini per il periodo feriale. Avverso tale decisione S.C. propone ricorso in Cassazione lamentando che la Corte d’Appello non avrebbe potuto dichiarare la tardività dell’impugnazione senza concedere alle parti un termine per il deposito di memorie contenenti osservazioni sulla questione rilavata d’ufficio. Principio di diritto. La Suprema Corte, ritenendo manifestamento infondato il motivo, richiama la giurisprudenza sul tema per poi affermare il principio di diritto secondo cui Non soggiace al divieto posto dall’art. 101 c.p.c. di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio e non sottoposta al contraddittorio delle parti, il rilievo della tardività dell’impugnazione e dell’intervenuta decadenza dell’opposizione. Ciò in quanto l’osservanza dei termini perentori entro cui devono essere proposte le impugnazioni artt. 325 e 327 c.p.c. o avviate le cause di contenuto oppositivo artt. 617 o 641 c.p.c. costituisce un parametro di ammissibilità della domanda alla quale la parte che sia dotata di una minima diligenza processuale non può non prestare attenzione, così da dover considerare già ex ante come possibile sviluppo della lite la rilevazione d’ufficio dell’eventuale violazione di siffatti termini . Chiarito ciò, il ricorso viene dichiarato inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 28 febbraio – 18 novembre 2019, n. 29803 Presidente Frasca – Relatore D’Arrigo Ritenuto C.S. proponeva opposizione avverso l’atto di precetto con il quale P.G. e P.P. le avevano intimato l’adempimento di un obbligo di fare consistente nel ripristino della recinzione di un muretto insistente sul fondo di sua proprietà, del quale le creditrici reclamavano il possesso. Il Tribunale di Sondrio ha respinto l’opposizione, condannando la C. al pagamento delle spese processuali. Avverso tale sentenza, pubblicata in data 17 aprile 2015, la C. ha proposto appello, consegnato all’ufficiale giudiziario per la notifica il 19 novembre 2015. Nel contraddittorio fra le parti, la Corte d’appello di Milano rilevava d’ufficio la tardività dell’impugnazione. In particolare, osservava che, vertendosi in materia esecutiva, non poteva trovare applicazione la sospensione dei termini per il periodo feriale, sicché la C. era decaduta dal termine di cui all’art. 327 c.p.c Tale decisione è stata fatta oggetto di ricorso per cassazione da parte della C. , per un unico motivo. Le P. hanno resistito con controricorso Il consigliere relatore, ritenuta la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 380-bis c.p.c. come modificato dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. e , conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197 , ha formulato proposta di trattazione del ricorso in camera di consiglio non partecipata. La ricorrente ha depositato memorie difensive, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c Considerato La C. , con l’unico motivo di ricorso, deduce la violazione dell’art. 101 c.p.c., comma 2, sostenendo che la Corte d’appello non avrebbe potuto dichiarare la tardività dell’impugnazione senza concedere alle parti un termine per il deposito di memorie contenenti osservazioni sulla questione rilevata d’ufficio. Il motivo è manifestamente infondato. La giurisprudenza di questa Corte interpreta l’art. 101 c.p.c., comma 2, come riferibile solamente alla rilevazione d’ufficio di circostanze che, modificando il quadro fattuale, comportino nuovi sviluppi della lite non presi in considerazione dalle parti Sez. 3, Sentenza n. 10062 del 27/04/2010, Rv. 612587 - 01 Sez. 5, Sentenza n. 11453 del 23/05/2014, Rv. 630981 - 01 Sez. 5, Sentenza n. 11928 del 13/07/2012, Rv. 623340 - 01 . La tardività dell’impugnazione, che costituisce una circostanza obiettiva che emerge dalla documentazione già in possesso delle parti e che le stesse possono agevolmente rilevare, non configura quello sviluppo inatteso per il quale si renda necessaria l’instaurazione del contraddittorio mediante l’assegnazione di uno specifico termine per memorie difensive. In particolare, il divieto della decisione sulla base di argomenti non sottoposti al previo contraddittorio delle parti non si applica alle questioni di rito relative a requisiti di ammissibilità della domanda previsti da norme la cui violazione è rilevabile in ogni stato e grado del processo, senza che tale esito processuale integri una violazione dell’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, il quale - nell’interpretazione data dalla Corte Europea ammette che il contraddittorio non venga previamente suscitato quando si tratti di questioni di rito che la parte, dotata di una minima diligenza processuale, avrebbe potuto e dovuto attendersi o prefigurarsi Sez. 3, Sentenza n. 15019 del 21/07/2016, Rv. 641276-01 . Alla luce delle superiori considerazioni, va dunque affermato il seguente principio di diritto Non soggiace al divieto posto dall’art. 101 c.p.c. di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio e non sottoposta al contraddittorio delle parti, il rilievo della tardività dell’impugnazione o dell’intervenuta decadenza dall’opposizione. Ciò in quanto l’osservanza dei termini perentori entro cui devono di cui devono essere proposte le impugnazioni artt. 325 e 327 c.p.c. o avviate le cause di contenuto oppositivo artt. 617 o 641 c.p.c. costituisce un parametro di ammissibilità della domanda alla quale la parte che sia dotata di una minima diligenza processuale non può non prestare attenzione, così da dover considerare già ex ante come possibile sviluppo della lite la rilevazione d’ufficio dell’eventuale violazione di siffatti termini . In ogni caso, la censura risulta non sorretta da interesse ad agire, dal momento che la C. non ha indicato quale sarebbe il diritto di difesa concretamente leso dalla mancata concessione del termine di cui all’art. 101 c.p.c., comma 2. In altri termini, non ha indicato in che modo, qualora gli fosse stato concesso l’invocato termine, avrebbe potuto contestare il rilievo di tardività, evitandone la pronuncia. Tale omissione non può ritenersi colmata per effetto di quanto esposto nelle memorie difensive depositate ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c Anzitutto, l’illustrazione di un interessa ad agire, che deve sussistere al momento della proposizione del ricorso per cassazione, non può essere validamente effettuata per la prima volta solamente con le citate memorie difensive. In secondo luogo, la C. sostiene che la privazione di un termine a difesa le avrebbe impedito di dedurre che il Tribunale di Sondrio, nel decidere la causa nel merito, avrebbe privato la stessa della natura esecutiva, così assoggettandola alla sospensione feriale ma tale tesi è palesemente erronea, in quanto l’esclusione dalla sospensione feriale riguarda non solo il processo esecutivo, ma anche le controversie oppositive, pure nella fase del merito. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, nella misura indicata nel dispositivo. Ricorrono altresì i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicché va disposto il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, di un ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello già dovuto per l’impugnazione da lei proposta. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore delle controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.