Patrocinio gratuito in materia civile: inapplicabile la disciplina della liquidazione dei compensi in materia penale

Nella liquidazione del compenso al difensore della parte di un procedimento civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato deve trovare applicazione il dettato della norma di legge ex art. 130 d.P.R. n. 115/2002, non eludibile con il richiamo ad argomenti desunti dall’autonoma e diversa disciplina della liquidazione del compenso in relazione al processo penale ovvero con valutazioni atomistiche di natura economica invece che di sostenibilità economica del servizio pubblico reso.

Così la Corte di Cassazione, Sezione Seconda, con l’ordinanza n. 27712/19, depositata il 29 ottobre. La fattispecie. La sentenza in commento trae origine dal ricorso presentato da un avvocato che aveva a suo tempo prestato la propria attività in favore di un soggetto ammesso al gratuito patrocinio – in un giudizio all’esito del quale quest’ultimo era risultato vittorioso – avverso il decreto con cui il Presidente del Tribunale di Taranto aveva rigettato l’opposizione ex art. 170 d.P.R. n. 115/2002 proposta dallo stesso ricorrente contro l’asserita ingiusta tassazione applicata alla liquidazione del proprio compenso da parte del Giudice procedente. Il Presidente del Tribunale di Taranto, infatti, aveva ritenuto corretta la contestata riduzione ex art. 130 del sopra citato d.P.R. n. 115/2002 dal compenso dovuto al professionista, a prescindere dalla liquidazione delle spese a carico dell’avversario operata dal Giudice. In materia civile trova applicazione solo il d.P.R. n. 115/2002. Secondo la prospettazione del ricorrente, il decreto de quo sarebbe stato viziato in quanto il Giudice dell’opposizione non avrebbe ritenuto che l’importo liquidato a titolo di spese legali all’esito del giudizio a carico dell’avversario soccombente avrebbe dovuto corrispondere al compenso da riconoscere al difensore del soggetto ammesso al patrocinio a spese dello Stato, richiamando alcuni precedenti giurisprudenziali della stessa Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale in materia penale. Rigettando il ricorso, gli Ermellini hanno evidenziato che la liquidazione dei compensi nei procedimenti civili appare autonoma e disciplinata da uno specifico capo del d.P.R. n. 115/2002 rispetto alla disciplina in materia dettata per i procedimenti penali. I parametri di liquidazione applicabili per i procedimenti penali e civili appaiono diversi e totalmente autonomi, non essendovi dunque alcuna ragione per superare il chiaro disposto dell’art. 130 d.P.R. n. 115/2002 nella liquidazione del compenso a carico del difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato a seconda dell’esito – vittorioso o meno – della causa civile da essa promossa o subìta. Detta disposizione di legge non può neanche essere superata semplicemente sull’osservazione che potrebbe così profilarsi un indebito arricchimento dell’Erario posto che una tale doglianza apparirebbe coerente se sollevata dal soggetto pagatore e non già dal professionista che ha accettato l’applicazione della speciale tariffa. In definitiva, secondo la Corte di Cassazione, nella liquidazione del compenso al difensore di parte di un procedimento civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato deve trovare applicazione il dettato della norma di legge ex art. 130 d.P.R. n. 115/2002 non eludibile con il richiamo ad argomenti desunti dall’autonoma e diversa disciplina della liquidazione del compenso in relazione al processo penale ovvero con valutazioni atomistiche di natura economica invece che di sostenibilità economica del servizio pubblico reso.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 18 settembre – 29 ottobre 2019, n. 27712 Presidente/Relatore Gorjan Fatti di causa L’avv. G.M. ebbe ad espletare servigi professionali in causa di natura civile a favore di C.M. , soggetto ammesso al patrocinio a spese dello Stato risultato vittorioso. All’esito dell’attività professionale l’avv. G. chiese la liquidazione del compenso da parte del Giudice procedente e, ritenendo inadeguata la tassazione operata da questo, propose opposizione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 170. Il Presidente del Tribunale di Taranto, con il provvedimento oggi impugnato, respinse il ricorso dell’avv. G. ritenendo doverosa la riduzione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 130, del compenso dovuto al professionista a prescindere dalla liquidazione delle spese a carico dell’avversario, rimasto soccombente nella lite avviata dal C. , siccome operata dal Giudice della lite in sede contenziosa, e rilevando, comunque, il difetto di prova che la liquidazione di specie già scontasse la riduzione prescritta dalla legge. L’avv. G. avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione articolato su due motivi ed ha depositato il 9.9.2019 nota per la rimessione alle Sezioni Unite del procedimento. Il Ministero della Giustizia e la Procura della Repubblica di Taranto sono rimasti intimati. Ragioni della decisione Il ricorso proposto dall’avv. G.M. non ha pregio giuridico e va rigettato. Con il primo mezzo d’impugnazione il ricorrente denunzia violazione delle norme D.P.R. n. 115 del 2002, ex artt. 82, 130 e 133, poiché il Giudice dell’opposizione, con motivazione viziata, non ha ritenuto che l’importo liquidato a titolo di spese di lite all’esito del giudizio contenzioso a carico dell’avversario soccombente - somma assegnata a favore dell’Erario D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 133 – debba corrispondere al compenso da riconoscere al difensore del soggetto ammesso al patrocinio a spese dello Stato. Parte impugnante osserva, anzitutto come la sua nota spese depositata nel giudizio civile, in cui assisteva cliente ammesso al patrocinio a spese dello Stato, effettivamente prevedesse la decurtazione del compenso a sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 82. All’uopo, era stata chiesta l’acquisizione del fascicolo, afferente il procedimento, civile relativamente al quale era richiesta la liquidazione del compenso, nonché dell’incartamento afferente l’ammissione del cliente al patrocinio, ma un tanto non era stato effettuato dal Presidente, che non poteva quindi imputare ad esso ricorrente la mancata prova del deposito di notula, con la specifica previsione della riduzione, presso il Giudice del giudizio civile contenzioso presupposto. Nel merito poi il ricorrente porta a sostegno della sua critica, in buona sostanza, arresto di sezione penale di questa Suprema Corte circa la liquidazione delle spese a carico di parte civile ammessa al patrocinio rimasta vittoriosa, sulla scorta delle norme D.P.R. n. 115 del 2002, ex artt. 110 e 133, che ha trovato il conforto nell’insegnamento reso sul punto dalla Corte Costituzionale con ordinanza n. 270/12. Con la secondo ragione di doglianza - espressamente svolta in via subordinata al mancato accoglimento della prima ragione - il G. rileva nullità dell’ordinanza impugnata per il rigetto dell’istanza istruttoria ritualmente formulata, posto che il Presidente del Tribunale ha erroneamente omesso di acquisire il fascicolo del procedimento civile, in cui ebbe a svolgere la sua attività professionale, pur ritenendo rilevante documento in detto fascicolo presente. Osserva anzitutto il Collegio come il ricorrente ponga due questioni autonome tra loro, l’una di natura processuale circa l’onere probatorio e l’altra di natura dogmatica circa il contenuto del precetto legislativo. Con riguardo alla denunziata violazione di regole di diritto, l’avv. G. evoca il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 82 - che disciplina la liquidazione del compenso nell’ambito del procedimento civile - nonché gli artt. 131 e 133 citato D.P.R. - che regolamentano il pagamento delle spese liquidate a carico della parte non ammessa la patrocinio rimasta soccombente nella lite civile in favore dello Stato -. La sola prima norma assume rilievo nella specie, in quanto sulla stessa si fonda la soluzione illustrata dal Giudice tarantino, ancorata alle norme D.P.R. n. 115 del 2002, ex artt. 82 e 130, disciplina legislativa la quale espressamente prevede, in relazione alla controversia civile, che la somma da liquidare a compenso per l’opera professionale prestata in sede di lite civile sia dimidiata senza alcuna ipotesi di deroga. Parte impugnante al riguardo si limita a richiamare arresto di sezione penale di questa Corte del 2011 ed insegnamento desumibile dal richiamo a detto arresto operato dalla Corte costituzionale nella sua ordinanza di rigetto del 2012 per superare il dato letterale della specifica disposizione di legge - Cass. sez. 2 n. 22017/18, Cass. sez. L. n. 11590/19 - posta in tema di giudizio civile. L’opzione interpretativa espressa nell’arresto della sezione penale di questa Corte - sez. VI n. 46537/11 - non può esser evocato per disapplicare la chiara disposizione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 130 - che ha più volte superato il vaglio di legittimità della Corte costituzionale - per più ragioni concorrenti. Anzitutto, come acutamente sottolineato in altra decisione di questa Corte - Cass. sez. 2 n. 7560/19 - il soggetto, che nella questione esaminata dalla Corte in sede penale, si lamentava era l’imputato, il quale doveva versare all’Erario la somma liquidata dal Giudice penale a favore della vittoriosa parte civile, ammessa al patrocinio pubblico, mentre poi al difensore della stessa sarebbe stato liquidato un compenso potenzialmente diverso, stante i criteri di liquidazione posti dalla norma D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 82. Quindi non va omesso di considerare che sino alla riforma ex D.M. n. 140 del 2012, art. 9 - previsione di dimidiazione anche per i compensi afferenti la difesa nel procedimento penale - le competenze del professionista che aveva difeso imputato ammesso al patrocinio a spese dello Stato non subivano alcuna particolare decurtazione, bensì erano liquidate secondo i criteri ex art. 82 citato D.P.R Infine, come già ricordato da questa Sezione - Cass. n. 22017/18 - la liquidazione dei compensi nel procedimento civile appare autonoma e disciplinata da specifico capo del D.P.R. n. 115 del 2002, rispetto alla disciplina in materia dettata per il procedimento penale, siccome anche confermato da arresto della quarta sezione penale di questa Suprema Corte n. 26663/08. Posta in evidenza la concorrenza di specifica disciplina per la liquidazione del compenso in favore del difensore di parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato in materia civile, va rilevato come nella specie a lamentarsi del criterio di liquidazione posto da specifica norma di legge risulta essere il difensore della parte processuale vittoriosa ammessa al patrocinio a spese dello Stato. Tuttavia il professionista era ben a conoscenza che lo Stato avrebbe compensato il suo servigio utilizzando una tariffa speciale, ossia quella individuata mediante i parametri D.P.R. n. 115 del 2002, ex artt. 82 e 130, che puntualmente dispongono la liquidazione secondo i valori medi di tariffa professionale con la dimidiazione della somma così individuata. Inoltre, non va dimenticato che il difensore ha pure palesato volontà di accettare detta speciale tariffa iscrivendosi nell’apposito elenco, disciplinato dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 81, attestante la disponibilità ad assumere detto tipo di difesa. Dunque i parametri di liquidazione applicabili per il procedimento penale e civile appaiono diversi e totalmente autonomi, sicché non v’è ragione per superare il chiaro disposto del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 130, nella liquidazione del compenso a carico del difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato a seconda dell’esito - vittorioso o non - della causa civile da essa promossa o subita. La disposizione di legge nemmeno può essere superata semplicemente sull’osservazione che potrebbe così opinando profilarsi un indebito arricchimento dell’Erario - argomento ripreso anche da Cass. sez. 2 n. 18167/16 - siccome appare prospettato nel ricorso, posto che, come detto dianzi, una tale lamentale appare coerente se sollevata dal soggetto pagatore - soccombente chiamato a pagare all’Erario il compenso liquidato alla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato - e non già dal professionista che ha accettato l’applicazione della speciale tariffa. Inoltre la valutazione d’eventuale effetto d’arricchimento dell’Erario non va effettuata in modo atomistico con riguardo alla singola lite, bensì va considerato come la questione - alla luce dell’indicazione costituzionale portato in art. 81 Cost. - sia da esaminare avendo a parametro il pubblico servizio - difesa assicurata ai non abbienti - reso dallo Stato. Sicché un problema di arricchimento indebito si può porre solo se, considerato il bilancio economico del servizio reso nel suo complesso, lo Stato risulta incassare a titolo di spese di lite più di quanto eroghi a titolo di compensi per il patrocinio reso ai non abbienti. In definitiva nella liquidazione del compenso al difensore di parte di un procedimento civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato deve trovar applicazione il dettato della norma di legge D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 130, non eludibile con il richiamo ad argomenti desunti dall’autonoma e diversa disciplina della liquidazione del compenso in relazione al processo penale ovvero con valutazioni atomistiche di natura economica invece che di sostenibilità economica del servizio pubblico reso. Quanto al profilo afferente l’assolvimento o non dell’onere della prova,l’avv. G. sostiene come il Presidente del Tribunale abbia errato ad affermare che egli non aveva provato in causa che la sua nota spese - presentata al Giudice del processo contenzioso in cui ebbe a svolgere i servigi professionali al cliente ammesso al patrocinio a spese dello Stato - risultava redatta secondo i criteri D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 82, poiché invece un tanto era accaduto. Tuttavia il ricorrente svolge argomentazione critica eminentemente centrata sulla puntuale circostanza che nella sua nota spese in questione egli ebbe a liquidare il compenso richiesto, operando la decurtazione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 130. Ma tale argomento non si confronta con l’effettiva motivazione esposta dal Giudice nel provvedimento impugnato, posto che questi mise in evidenza come senza che vi sia prova che nel giudizio di merito il difensore . abbia presentato la propria nota spese parametrata ai criteri di cui all’art. 82 del T.U . e che essa abbia costituito base anche per condanna alle spese in favore dello Stato da parte del giudicante . Come s’apprezza immediatamente il Presidente del Tribunale tarantino non si limitò a rilevare l’assenza di prova che il compenso, chiesto con la nota spese nel procedimento presupposto, non fosse stato dimidiato - D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 130 - ma che non risultava prova e che la notula fosse sta redatta secondo i criteri ex art. 82 citato D.P.R. - compenso parametrato ai valori medi della tariffa - e che soprattutto il Giudicante la causa civile ebbe a provvedere alla liquidazione delle spese a favore dell’Erario in aderenza alla nota spese presentata dal difensore oggi impugnante. Un tanto anzi appare smentito dall’obiettiva circostanza - desumibile dal ricorso - che l’avv. G. chiese un compenso pari ad Euro 5.560,25 - dimidiato ad Euro 2.780,13 - mentre il Giudice liquidò all’Erario - D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 133 - la somma di Euro 2.000,00 oltre Euro 244.92 per esborsi. Dunque la mera circostanza che il compenso chiesto venne dimidiato non ancora prova e che furono,nel quantificare detto compenso, rispettati i parametri D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 82 e, soprattutto, che il Giudice intese liquidare le spese da versare all’Erario secondo le indicazioni della notula predisposta dal difensore avv. G. . Così inquadrato l’effettivo oggetto della censura appare evidente l’irrilevanza della richiesta probatoria avanzata dalla parte. Difatti, se è costante insegnamento di questa Suprema Corte - Cass. Sez. 2 n. 19690/15, Cass. sez. 2 n. 4194/17 - che il termine può - riferito all’acquisizione documentale - presente nel disposto D.P.R. n. 150 del 2011, ex art. 15, configura un potere-dovere del Giudice di decidere causa cognita e quindi non limitarsi ad operare meccanicisticamente in forza dell’onere della prova, tuttavia i documenti, di cui si chiede l’acquisizione devono comunque assumere rilevanza nell’economia della decisione. Nella specie invece detta documentazione - per altro nella piena disponibilità della parte - era richiesta al fine di documentare come il difensore avesse depositato, avanti il Giudice della causa di merito presupposta, nota spese conforme al dettato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 82 - uno degli argomenti usati dal Presidente del Tribunale di Taranto per rigettare l’opposizione - ma nulla viene argomentato con relazione all’ulteriore argomento, ossia che il Giudice di detto procedimento, nel liquidare le spese di lite a favore dell’Erario D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 133, intese osservare i canoni propri della liquidazione del compenso al difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato. Di qui irrilevanza dell’istanza istruttoria - implicitamente - disattesa dal Giudice dell’opposizione secondo la prospettiva dell’argomentazione critica mossa dall’avv. G. con il ricorso. Le argomentazioni spora esposte fondate su insegnamento desumibile da recente e coesa giurisprudenza di questa Corte consente di ritener ultronea la richiesta rimessione della questione alle sezioni unite di questa Corte suprema. Al rigetto del ricorso non consegue statuizione sulle spese, stante la mancata costituzione in giudizio dell’Amministrazione della Giustizia. Concorrono in capo al ricorrente le condizioni per il pagamento dell’ulteriore contributo unificato. P.Q.M. Rigetta il ricorso, nulla per le spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.