La condanna per responsabilità processuale aggravata è incensurabile in sede di legittimità

Il riscontro di ragionevolezza della statuizione assunta in sede di reclamo ex art. 96, comma 3, c.p.c. si sottrae a censura di legittimità ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., trattandosi di una questione di mero fatto che può essere indagata dalla Corte di Cassazione solo per i ricorsi proposti avverso le sentenze depositate prima dell’11.09.2012.

Così la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 27326/19, depositata il 24 ottobre. La vicenda processuale. Un condomino domandava al Tribunale la revoca ex artt. 1129, n. 11 e 1131 c.c. dell’amministratore pro tempore di un condominio. La domanda veniva rigettata in contumacia del resistente. Anche il gravame, in sede di reclamo, veniva rigettato con condanna a pagare a controparte, che questa volta si era costituita, la somma di Euro 1.000,00 ex 96, comma 3, c.p.c Nella parte motiva, il Tribunale evidenziava che vi erano profili di colpa del reclamante per aver impugnato un provvedimento di rigetto che era coerente con il materiale probatorio raccolto in corso di istruttoria. Avverso tale provvedimento, il condomino propone ricorso per cassazione. Il ricorso è affidato ad un unico motivo e si fonda sul presupposto che, mancando mala fede o colpa grave, non può essere applicato l’art. 96, comma 3, c.p.c Responsabilità aggravata e impugnabilità. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso perché in materia di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. tale apprezzamento di fatto non è censurabile in sede di legittimità. Trattasi, in altri termini, di questione di fatto” che può essere indagata solo per i ricorsi proposti avverso le sentenze depositate prima dell’11.09.2012. Ma comunque anche sotto questo profilo per la Corte di Cassazione l’iter motivazionale che sorregge il dictum del giudice di merito è ineccepibile, congruo ed esaustivo. Sussistono, infatti, gravi elementi di colpa insiti nella condotta di parte reclamante nell’essersi determinata a proporre il gravame e ciò sulla scorta di una attenta disamina del giudicante della res litigiosa. Anche se l’esperito ricorso per cassazione non è pretestuoso, altrettanto vero è per gli ermellini che il riscontro di ragionevolezza della statuizione assunta in sede di reclamo si sottrae a censura ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c In conclusione. L’insegnamento operativo che può trarsi dalla sentenza in commento è che in materia di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., ai fini della condanna al risarcimento dei danni, l'accertamento dei requisiti costituiti dall'aver agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, ovvero dal difetto della normale prudenza, implica un apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità. Tale principio risente di una eccezione il controllo di sufficienza della motivazione può essere proposto solo per i ricorsi proposti avverso sentenze depositate prima dell'11.09.2012.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 23 maggio – 24 ottobre 2019, n. 27326 Presidente D’Ascola – Relatore Abete Motivi in fatto ed in diritto Con ricorso depositato in data 31.3.2017 P.R. chiedeva al tribunale di Milano - tra l’altro - disporsi la revoca, ai sensi dell’art. 1129 c.c., n. 11, e art. 1131 c.c., di F.R. , socio e legale rappresentante dello Studio D.A. - Domus Ambrosiana s.r.l., dalla carica di amministratore del omissis . F.R. non si costituiva. Con decreto del 21.6.2017 il tribunale di Milano rigettava il ricorso. P.R. proponeva reclamo. Resisteva F.R. , in qualità di socio e legale rappresentante dello Studio D.A. - Domus Ambrosiana s.r.l Con decreto n. 5702/2017 la corte d’appello di Milano rigettava il reclamo, condannava la reclamante a rimborsare a controparte le spese del procedimento di reclamo nonché a pagare a controparte, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, la somma di Euro 1.000,00. Evidenziava la corte che i profili di consistente colpa insiti nella determinazione di proporre reclamo avverso un provvedimento del tutto coerente con le risultanze probatorie, giustificavano la condanna ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3. Avverso tale decreto ha proposto ricorso P.R. ne ha chiesto sulla scorta di un unico motivo la cassazione con ogni susseguente statuizione. Lo Studio D.A. - Domus Ambrosiana s.r.l. ha depositato controricorso ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese con condanna della ricorrente ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3. La ricorrente ha depositato memoria. Con l’unico motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e art. 96 c.p.c., comma 3. Deduce che difettano i presupposti della mala fede ovvero della colpa grave necessari ai fini della condanna ex art. 96 c.p.c., comma 3. Il motivo di ricorso va respinto. Si rappresenta che, in materia di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., ai fini della condanna al risarcimento dei danni, l’accertamento dei requisiti costituiti dall’aver agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave ovvero dal difetto della normale prudenza, implica un apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità, salvo - per i ricorsi proposti avverso sentenze depositate prima dell’11.9.2012 il che non è nel caso di specie - il controllo di sufficienza della motivazione cfr. Cass. 29.9.2016, n. 19298 . Più esattamente la valutazione ex art. 96 c.p.c., comma 3, del giudice del merito è censurabile ai sensi del novello art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, giacché - appunto - trattasi, siccome puntualmente ha posto in evidenza il controricorrente, di questione di fatto cfr. controricorso, pag. 4 . Del resto la ricorrente prospetta che la statuizione ex art. 96 c.p.c., comma 3, presuppone . la rimproverabilità della condotta del soccombente, che qui manca del tutto così ricorso, pag. 6 . In questi termini dunque - ossia nel solco dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 - è essenzialmente possibile far luogo al riscontro di ragionevolezza invocato dalla ricorrente cfr. ricorso, pag. 5 memoria, pag. 2 . Ebbene, alla luce dell’insegnamento n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte, l’iter motivazionale che sorregge, in parte qua agitur, il dictum della corte di merito risulta in toto ineccepibile ed assolutamente congruo e esaustivo. Da un lato è da escludere recisamente che taluna delle figure di anomalia motivazionale rilevanti alla stregua della summenzionata pronuncia delle sezioni unite possa scorgersi nelle motivazioni - surriferite - cui la corte distrettuale ha, in parte qua, ancorato la sua decisione. Si badi che la corte territoriale ha soggiunto che era prevedibile che il reclamato adducesse in sede di impugnazione ulteriori elementi di valutazione in suo favore. Dall’altro è da ritenere che la corte di Milano ha di sicuro disaminato il fatto storico dalle parti discusso, a carattere decisivo, connotante in parte qua la res litigiosa, ossia gli aspetti di grave colpa insiti nella determinazione di Rossella P. di proporre reclamo. Di talché per nulla si giustifica l’assunto della ricorrente secondo cui la corte milanese avrebbe fondato la condanna ex art. 96 c.p.c., comma 3 su un comportamento ipotetico e non attuale così memoria, pagg. 2 - 3 . Non vi è margine per far luogo in questa sede alla condanna della ricorrente ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3 la domanda ex art. 96 c.p.c. può essere proposta anche in sede di legittimità cfr. Cass. sez. un. 17.8.1990, n. 8363 . Non sussiste invero il presupposto della colpa grave cfr. Cass. sez. un. 20.4.2018, n. 9912, secondo cui la responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, a differenza di quella di cui ai primi due commi della medesima norma, non richiede la domanda di parte nè la prova del danno, ma esige pur sempre, sul piano soggettivo, la mala fede o la colpa grave della parte soccombente, sussistente nell’ipotesi di violazione del grado minimo di diligenza che consente di avvertire facilmente l’infondatezza o l’inammissibilità della propria domanda, non essendo sufficiente la mera infondatezza, anche manifesta, delle tesi prospettate peraltro, sia la mala fede che la colpa grave devono coinvolgere l’esercizio dell’azione processuale nel suo complesso, cosicché possa considerarsi meritevole di sanzione l’abuso dello strumento processuale in sé, anche a prescindere dal danno procurato alla controparte e da una sua richiesta, come nel caso di pretestuosità dell’azione per contrarietà al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata, ovvero per la manifesta inconsistenza giuridica o la palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione . Propriamente è da escludere che l’esperito ricorso per cassazione si sia risolto in una iniziativa pretestuosa. Vero è, certo, che il sollecitato riscontro di ragionevolezza della statuizione ex art. 96 c.p.c., comma 3, assunta dalla corte d’appello si sottrae a censura nel solco dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. E nondimeno l’invocato riscontro induce in pari tempo ad escludere che sussista violazione di quel grado minimo di diligenza che consente di avvertire facilmente l’infondatezza ovvero l’inammissibilità dell’intrapresa iniziativa processuale. In dipendenza del rigetto del ricorso la ricorrente va condannata a rimborsare al controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi del citato D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna la ricorrente, Rosella P. , a rimborsare al controricorrente, Studio D.A. - Domus Ambrosiana s.r.l., le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge rigetta l’istanza ex art. 96 c.p.c., comma 3 ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi del citato art. 13, comma 1 bis.