L’estensione del pignoramento è ammessa solo ai creditori chirografari intervenuti tempestivamente

A seguito di modiche apportate dal d.l. n. 35/2005, conv. in l. n. 263/2005, l’art. 500 c.p.c. consente che tutti i creditori, anche se tardivi, purché muniti di titolo esecutivo, possano compiere atti di impulso della procedura e l’estensione del pignoramento è divenuto un istituto di carattere generale detta estensione trova però uno sbarramento nell’udienza in cui si dispone la vendita o l’assegnazione, momento in cui si cristallizza” l’oggetto della procedura. Dunque, solo ai creditori chirografari intervenuti tempestivamente e cioè prima che si sia tenuta l’udienza in cui è disposta la vendita o l’assegnazione , è concesso di poter chiedere di estendere il pignoramento. Nell’espropriazione di crediti presso terzi l’intervento è da intendersi tempestivo se avviene nella prima udienza di comparizione delle parti, indicata dal ricorrente nella citazione o altrimenti disposta dal giudice.

A norma dell’art. 5- quinques , l. n. 89/2001 c.d. legge Pinto introdotto dal d.l. n. 35/2013, conv. in l. n. 64/2013 - che in quanto norma di interpretazione autentica, trova immediata applicazione anche ai procedimenti esecutivi in corso e anche ai titoli conseguiti prima dell’entrata in vigore della normativa se il l’intervento è svolto dopo l’entrata in vigore della stessa - sono ammessi solo pignoramenti diretti con esclusione del pignoramento presso terzi e solo nei confronti del Ministero di Giustizia e non del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Tale in sintesi il contenuto della sentenza della Corte di Cassazione n. 25026, depositata l’8 ottobre 2019, che ora andiamo ad analizzare più da vicino. I fatti di causa. Viene respinto l’intervento in una procedura esecutiva presso terzi - attivata in base ad un credito ex lege Pinto l. n. 89/2001, sulla ragionevole durata del giusto processo - con cui un creditore anche questo, ex lege Pinto chiede l’estensione del pignoramento medesimo il giudice dichiara preclusa la possibilità di un intervento in estensione nonché il difetto di legittimazione passiva del MEF il Ministero dell’Economia e delle Finanze . Proposta opposizione agli atti esecutivi, il creditore si vede negare la richiesta anche in tale sede il Tribunale condivide infatti la decisione del giudice dell’esecuzione e spiega che la preclusione al pignoramento anche in estensione sulla base della legge previgente deriva dalla norma di cui all’art. 5- quinques della legge Pinto introdotto dal d.l. n. 35/2013, conv. in l. n. 64/2013 che dalle lettera della norma possa evincersi con chiarezza che i pignoramenti non diretti effettuati dopo l’entrata in vigore della legge siano nulli che il rispetto della ratio della noma, cioè quella di procedere ad un’ordinata programmazione dei pagamenti di quanto liquidato ai sensi della legge Pinto, non può ammettere una diversa conclusione che dunque un intervento in una procedura esecutiva già in corso all’entrata in vigore della nuova legge, non sia fondato su un diritto quesito, ma risponda solo allo scopo di eludere il dettato normativo. La preclusione in ogni caso non deriva solo dalla norma di cui all’art. 5- quinques cit., ma anche dalle norme generali in materia di espropriazione forzata l’intervento è infatti tardivo perché proposto oltre la prima udienza e come tale, ai sensi dell’art. 499, co.4 c.p.c., non ammesso alla facoltà di estensione del pignoramento inoltre alla stessa conclusione portano la lettura sistematica delle norme in materia di pignoramenti plurimi, oltre che ragioni di economia processuale. L’estensione del pignoramento è ammessa solo ai creditori chirografari intervenuti tempestivamente. Proposto il ricorso per Cassazione, questo viene respinto con riferimento al terzo motivo, con cui il ricorrente contesta l’interpretazione, effettuata dal Tribunale, della norma generale contenuta nell’art. 499, comma 4, c.p.c. Tale interpretazione, secondo il ricorrente, viola gli artt. 499, comma 4, 500 e 528 c.p.c. nonché l’art. 12 delle Preleggi andando oltre il dettato letterale della norma, s’introduce una preclusione non prevista normativamente, a danno dei creditori chirografari non intervenuti tempestivamente. L’art. 499, comma 4, c.p.c. prevede che ai creditori chirografari, intervenuti tempestivamente, il creditore pignorante ha facoltà di indicare, con atto notificato o all'udienza in cui è disposta la vendita o l'assegnazione, l'esistenza di altri beni del debitore utilmente pignorabili, e di invitarli ad estendere il pignoramento se sono forniti di titolo esecutivo o, altrimenti, ad anticipare le spese necessarie per l'estensione. Se i creditori intervenuti, senza giusto motivo, non estendono il pignoramento ai beni indicati ai sensi del primo periodo entro il termine di trenta giorni, il creditore pignorante ha diritto di essere loro preferito in sede di distribuzione.” A sostegno della propria tesi, il ricorrente afferma che lo scopo dell’art. 499 comma 4 cit. è quello di proteggere il credito principale che può essere solo pregiudicato dagli interventi per crediti chirografari tempestivi e non quello di impedire agli interventori chirografari tardivi di chiedere l’estensione del pignoramento che essi del resto, ai sensi dell’art. 500 c.p.c. possono dare impulso alla procedura provocandone i singoli atti che l’attività dei singoli è da imputarsi alla collettività dei creditori e che il creditore fornito di titolo opterà per un nuovo pignoramento solo ove ravveda un’inesistenza, nullità o inefficacia originaria dell’atto. Statuisce in contrario la Corte che il dettato normativo dell’art. 499, comma 4, c.p.c. come modificato dal d.l. n. 35/2005, conv. in l. n. 263/2005 è chiaro. È vero che l’art. 500 c.p.c. anche questo a seguito delle modifiche del D.L. cit. consente che tutti i creditori, anche quelli tardivi, purché muniti di titolo esecutivo, possano compiere atti di impulso della procedura. Ed è anche vero che le norme ex D.L. cit. hanno reso l’estensione del pignoramento un istituto di carattere generale e non più circoscritto alla procedura mobiliare e ciò al fine di una migliore soddisfazione dei creditori. Ma tale estensione trova uno sbarramento nell’udienza in cui si dispone la vendita o l’assegnazione, momento in cui si cristallizza” l’oggetto della procedura, e ciò anche a tutela del debitore. Ecco perché dunque solo ai creditori chirografari intervenuti tempestivamente, e cioè prima che sia tenuta l’udienza in cui è disposta la vendita o l’assegnazione , è concesso di poter chiedere di estendere il pignoramento in mancanza di indicazione del creditore . Dunque, solo un intervento tempestivo e munito di titolo legittima la richiesta di estensione del pignoramento, che va effettuata entro l’udienza in cui è disposta la vendita o l’assegnazione . Nell’espropriazione di crediti presso terzi, secondo l’orientamento prevalente, a cui la Corte si associa, l’intervento è da ritenersi tempestivo se avviene nella prima udienza di comparizione delle parti, nella quale il terzo rende la dichiarazione, intendendosi tale quella indicata dal creditore nell’atto di citazione o altrimenti disposta dal giudice si richiama Cass. n. 20595/2010 . Inoltre, l’intempestività dell’intervento può essere rilevata dal giudice, al quale spetta una maggiore potestà di verifica a compensazione dell’assenza di contradditorio dovuto all’assenza di controversie in punto di diritto, salvo ipotesi di parentesi di carattere cognitivo , nonché dello squilibrio tra le due parti del processo, creditore e debitore, in favore della prima. Il giudice è inoltre tenuto ad individuare il ricavato utilmente distribuibile” si richiamano Cass. nn. 2043/2017 e 19858/2011 . Nel caso di specie, osserva la Corte, l’intervento è avvenuto oltre l’udienza di assegnazione del credito e la richiesta di estensione del pignoramento è stata rigettata dal giudice dell’opposizione in applicazione di quanto previsto della norma generale di cui all’art. 499 c.p.c., prima ancora di considerare le novità normative inerenti alla sole procedure esecutive per il recupero dei crediti ex lege Pinto. Sugli altri motivi di ricorso. La tardività dell’intervento dell’art. 499 c.p.c. fa venire meno la rilevanza delle altre censure, affrontate in sintesi dal Giudici di Legittimità e ritenute comunque infondate. Con il primo motivo, il ricorrente aveva contestato l’omessa pronuncia circa l’assenza di legittimazione passiva del MEF. Ed invero, osserva la Corte, la questione circa la legittimazione del MEF, in effetti non è affrontata nella sentenza impugnata, ma il motivo è inammissibile, essendo la questione ivi assorbita dall’inammissibilità dell’intervento, in quanto la nuova normativa, di immediata applicazione ammette solo il pignoramento diretto si richiama per un caso simile, Cass. n. 29027/2018 . Anche il secondo motivo è dichiarato infondato. La parte aveva sostanzialmente contestato, per violazione dell’art. 12 delle Preleggi, l’applicazione dell’art. 5quinques cit. alle procedure esecutive di qualsiasi genere, essendo la norma riferita alle sole procedure attivate verso le tesorerie centrali e provinciali dello Stato dunque non applicabile ai pignoramenti rivolti alle Poste e nemmeno all’istanza di estensione dello stesso. Per la Corte, l’immediata applicabilità della nuova disciplina ai procedimenti in corso perché norme di interpretazione autentica comporta che non si può procedere a pignoramenti verso il MEF, ma solo verso il Ministero di Giustizia menziona Cass. n. 29027/2018 e solo per pignoramento diretto fatto salvo il pignoramento presso terzi , e ciò vale anche per i titoli conseguiti prima della modifica normativa e dunque emessi contro il MEF e a questo notificati se, come nella specie, l’intervento è avvenuto invece successivamente alla riforma. Peraltro, non può ammettersi che il creditore si giovi dell’avere violato anche le norme previgenti, avendo pignorato anche un soggetto diverso dal tesoriere Poste . Quanto al quarto motivo, il punto 1, con cui si lamenta il mancato delle norme artt. 547 e 548 c.p.c. circa la procedura della mancata dichiarazione della Banca d’Italia, non supera il principio dell’autosufficienza, non riportandosi la lettera della dichiarazione. Mentre il punto 2, afferente alla questione di legittimità costituzionale alla luce del principio di uguaglianza delle norme di cui alla legge Pinto in quanto renderebbero più gravosa l’azione esecutiva dei creditori di relativo indennizzo rispetto agli altri, la questione non ha rilievo nella specie, essendo assorbita dal fatto che l’intervento del ricorrente era comunque tardivo ai sensi delle norme generali. Un monito è rivolto infine a chi propone ricorso in cassazione contro sentenze in seguito ad opposizione ad atti esecutivi in tali casi, è necessario riprodurre nel ricorso i testi ritenuti di rilievo e allegarli infatti, la Corte ha facoltà di richiedere ex art. 369 c.p.c., previa richiesta del ricorrente, vale per il fascicolo d’ufficio dell’opposizione, ma non quello dell’esecuzione.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 5 marzo – 8 ottobre 2019, n. 25026 Presidente De Stefano – Relatore Rubino I fatti di causa 1.- Nella procedura esecutiva R.G.E. n. 6090/2013 pendente dinanzi al Tribunale di Roma, promossa per un credito ex lege Pinto dal creditore principale M.B.M. contro il Ministero della Giustizia debitore e il Ministero dell’Economia e delle Finanze ente deputato al pagamento per legge, da ora innanzi, M.E.F. e nei confronti della Banca d’Italia e di Poste Italiane quali terzi pignorati, Banca d’Italia rendeva dichiarazione di quantità positiva, accantonando somme utilmente pignorabili, e Poste Italiane, a seguito dell’accertamento dell’obbligo del terzo, rendeva anch’essa dichiarazione positiva, a rettifica della precedente, con la quale veniva accantonata la somma di Euro 18.494,31. Dopo la udienza fissata per l’assegnazione, interveniva A.M.F. , creditore anch’egli di un indennizzo ex lege Pinto, il quale procedeva ad estendere il pignoramento già eseguito dal creditore principale nei confronti di entrambi i terzi pignorati, ex art. 499 c.p.c Successivamente all’estensione di detto pignoramento, Poste Italiane S.p.a. rese un’ulteriore dichiarazione datata 26.06.2014 , in aggiunta alla precedente di rettifica dell’8.05.2014 , con riferimento agli interventi spiegati, accantonando le somme corrispondenti al totale degli stessi, pari a Euro 16.560,67. Il Giudice dell’esecuzione, con ordinanza del 10.3.2015, comunicata il 23 marzo 2015, provvide a distribuire le somme secondo un piano di riparto che non teneva conto della dichiarazione di estensione del pignoramento dell’A. , dichiarando preclusa la possibilità di procedere al pignoramento in estensione, nonché carente di legittimazione passiva il MEF. Procedette quindi al riparto sulla base della dichiarazione resa da Poste all’esito del giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo, rispetto alla quale il credito dell’A. rimaneva totalmente insoddisfatto. 2. - Propose opposizione agli atti esecutivi Nel giudizio si costituiva soltanto Poste Italiane S.p.a. e solo ai fini dell’integrità del contraddittorio , confermando l’accantonamento delle somme di cui alla seconda dichiarazione e relative agli interventi. Rimasero invece contumaci il Ministero della Giustizia, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e la Banca d’Italia. 3. - Il Tribunale di Roma rigettò l’opposizione agli atti esecutivi affermando di condividere la tesi del Giudice dell’Esecuzione, già da questi espressa nella precedente ordinanza dell’agosto 2014 con riguardo al carattere preclusivo della disposizione D.L. 8 aprile 2013, n. 35, ex art. 6, comma 6 convertito con modificazioni nella L. 6 giugno 2013, n. 64, che ha introdotto l’art. 5 quinquies nella legge Pinto, quanto alla possibilità di procedere a pignoramenti, anche in estensione, sulla base della legge anteriormente vigente riteneva che la lettera della citata legge rendesse evidente che gli atti di pignoramento di qualsiasi genere posti in essere dopo l’entrata in vigore della legge sarebbero stati nulli se non posti in essere nella forma del pignoramento diretto che la ratio della norma era quella di assicurare un’ordinata programmazione dei pagamenti dei creditori di somme liquidate a norma della suddetta legge, e che una diversa interpretazione si sarebbe posta in conflitto con i motivi che avevano portato all’emanazione della disposizione affermava che coloro che intervengono in procedure già in corso all’entrata in vigore della legge, non abbiano alcun diritto quesito da far valere ma operino esclusivamente allo scopo di superare il chiaro dettato normativo che a ciò dovesse aggiungersi la considerazione di ordine processuale, sulla base delle regole procedurali generali, per cui l’intervento dell’opponente era stato effettuato dopo la prima udienza ed era quindi tardivo e come tale, ex art. 499 c.p.c., privo della facoltà di estendere il pignoramento che a tale conclusione si dovesse pervenire anche attraverso una lettura sistematica delle norme riguardanti plurimi pignoramenti considerato che la riunione dei pignoramenti è anch’essa consentita entro la prima udienza , nonché in base a ragioni di economia processuale. 4. - Avverso la sentenza n. 7824/2017 del Tribunale di Roma, pubblicata il 19 aprile 2017, propone ricorso per Cassazione, con quattro motivi, illustrato da memoria, A.M.F. . Il Ministero della Giustizia, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, la Banca d’Italia e le Poste Italiane S.p.a. non hanno svolto in questa sede attività difensiva. Le ragioni della decisione Con il primo motivo, deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione al D.L. n. 83 del 2012, art. 55, comma 2-bis, conv. in L. n. 134 del 2012, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ovvero denuncia l’omessa pronuncia sulla ritenuta carenza di legittimazione passiva del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Il ricorrente lamenta che -come aveva già evidenziato formulando uno specifico motivo di opposizione agli atti - il G.E., nell’ordinanza di assegnazione opposta, abbia richiamato, quale parte integrante, il contenuto della precedente ordinanza depositata il 12 agosto 2014, con la quale questi aveva affermato che il creditore procedente ha agito in via esecutiva, anche nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze sulla base di un titolo esecutivo in materia di c.d. legge Pinto emesso nei confronti del Ministero della Giustizia in data successiva all’entrata in vigore dell’art. 55 - 2 bis, introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, come modificato dalla L. di Conversione n. 134/2012 . . Afferma che, per contro, rispetto al M.E.F. avrebbe dovuto ritenersi sussistente la legittimazione passiva, in quanto il suddetto titolo era stato emesso e notificato quando ancora esso era l’Ente tenuto per legge al pagamento degli indennizzi ex L. n. 89 del 2001 per i debiti del Ministero della giustizia e che correttamente lo stesso fosse stato notificato al predetto Ministero, il quale era obbligato per legge a pagare entro i 120 giorni dalla notifica del titolo esecutivo che, decorso infruttuosamente detto termine, il M.E.F. fosse comunque rimasto debitore e che pertanto, in presenza della dichiarazione positiva da parte della Banca d’Italia, unitamente a quella delle Poste, le somme potessero essere assegnate per intero a tutti i creditori, principale e intervenuti, essendovi abbondante capienza, senza neppure la necessità di ricorrere all’estensione del pignoramento. Il ricorrente deduce che il grossolano errore, in forza del quale il G.E. ha ritenuto non legittimato passivo il M.E.F., e su cui il Giudice del merito sarebbe stato chiamato a pronunciarsi e a rimediarvi in sede di opposizione, emerga proprio dagli atti e che inoltre il titolo de quo sia stato anche notificato al M.E.F. anteriormente alla data di entrata in vigore della citata norma. Nella ricostruzione del ricorrente, il giudice avrebbe errato nel ritenere non più legittimato passivamente il M.E.F. nel caso di specie, perché il titolo dell’A. è stato ottenuto - nei confronti del Ministero della Giustizia, e notificato al M.E.F. quale incaricato del pagamento - quando la nuova norma non era stata ancora introdotta. Con il secondo motivo, si deduce la falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 5-quinques così come introdotto dal D.L. 8 aprile 2013, n. 35, art. 6, comma 6, convertito con modificazioni nella L. 6 giugno 2013, n. 64 e dell’art. 12 preleggi, in relazione agli art. 499 c.p.c., comma 4 e art. 500 c.p.c. ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Il ricorrente lamenta che il Giudice del merito, da un lato abbia affermato di non considerare la questione, non rilevata dal giudice dell’esecuzione, della dubbia ammissibilità di un pignoramento nei confronti di un ministero operato non presso il tesoriere ma presso un soggetto diverso , e dall’altro, tuttavia, nel condividere la tesi accolta dal G.E., relativa al preteso carattere preclusivo dell’art. 6 citato, abbia trattato Poste Italiane esattamente alla stessa stregua di una Tesoreria, falsamente applicandole la citata L. n. 89 del 2001, art. 5-quinques. Il ricorrente deduce che tale disposizione non si applichi al caso di specie in quanto la stessa, per espressa e inequivoca previsione normativa, si applicherebbe solo alle procedure esecutive presso le tesorerie centrali e provinciali dello Stato e che la stessa non trovi applicazione nemmeno nelle ipotesi in cui il creditore intervenuto estenda il pignoramento del creditore principale. Il ricorrente lamenta che l’estensione del pignoramento da parte di Poste Italiane non avrebbe potuto essere impedita, nemmeno a volerla considerare, errando, un nuovo pignoramento non ostandovi infatti alcuna disposizione attualmente vigente, anche in virtù della qualità del terzo che, nel caso de quo, non sarebbe una Tesoreria. Il ricorrente deduce che, contrariamente a quanto affermato in sentenza, il citato art. 5-quinquies non riguardi quindi gli atti di pignoramento di qualsiasi genere . Lamenta che il Tribunale abbia fornito un’interpretazione forzata della citata norma, che andrebbe al di là del dato letterale, al punto di creare una norma che non esiste, con pregiudizio dell’odierno ricorrente, in aperta violazione dell’art. 12 preleggi. Con il terzo motivo, si deduce la violazione dell’art. 499 c.p.c., comma 4, artt. 500 e 528 c.p.c. nonché dell’art. 12 preleggi ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, affermandosi l’ammissibilità della estensione del pignoramento da parte del terzo interventore tardivo. Il ricorrente lamenta che il Giudice, anche qui in violazione dell’art. 12 preleggi, sia andato oltre il dato testuale delle norme, introducendo, a danno dei creditori chirografari in tempestivi, un’esclusione assolutamente non prevista. Afferma che, con la previsione di cui all’art. 499 c.p.c., comma 4, il legislatore abbia previsto la possibilità dell’estensione del pignoramento, da parte degli altri creditori successivamente intervenuti, ad altri beni utilmente pignorabili ciò a tutela del credito principale il quale infatti potrebbe essere intaccato solo da quello dei creditori chirografari tempestivi, e giammai per voler escludere quei creditori che intervengono tardivamente dalla possibilità di chiedere anch’essi l’estensione del pignoramento e che, del resto, l’art. 500 c.p.c. preveda espressamente la possibilità, per i creditori intervenuti, di provocare singoli atti di espropriazione. Deduce che gli interventori siano dunque titolari di poteri di impulso, tra i quali proprio quello di cui ai richiamati artt. 499 c.p.c., comma 4, che consente loro l’estensione del pignoramento che l’attività compiuta dai singoli creditori sia imputata a tutti collettivamente, e che il creditore titolato sceglierà di dar vita a un autonomo pignoramento successivo solo nell’ipotesi in cui si intraveda una inesistenza, nullità o inefficacia originaria dell’atto. Con il quarto motivo, si deduce la violazione degli artt. 547 e 548 c.p.c. ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ovvero che non sia stata seguita la corretta procedura per l’ipotesi di mancata dichiarazione del terzo. 4.1 Il ricorrente lamenta che, contrariamente a quanto ritenuto in sentenza, la dichiarazione resa dalla Banca d’Italia si riferisse necessariamente a entrambi i Ministeri ma che, in ogni caso, volendo ammettere che la stessa si riferisse solo al M.E.F., allora il Giudice avrebbe dovuto disporre un rinvio dell’udienza per consentire al Terzo inadempiente di rendere la dichiarazione e in mancanza, per assegnare le somme considerando il credito non contestato. 4.2 Infine, in subordine, il ricorrente prospetta una questione di legittimità costituzionale 5-quinques citato, per violazione degli artt. 2, 3, 10, 24, 80 e 111 Cost., invocando la disapplicazione della norma o, in via ulteriormente subordinata, la rimessione degli atti alla Corte costituzionale. In particolare, il ricorrente lamenta che la norma crei un’inaccettabile disparità di trattamento, segnata dalla natura del titolo, tra i creditori di indennizzi derivanti dalla L. Pinto , n. 89 del 2001 ai quali verrebbe sottratto il diritto di agire esecutivamente presso le Tesorerie dello Stato, ovvero, se interpretata nel senso inteso dal Giudice di merito, anche presso terzi diversi da queste ultime e i creditori di somme diverse i quali invece non patirebbero alcuna limitazione che ai creditori ex L. Pinto sia praticamente impedita l’esecuzione forzata nei confronti del Ministero della Giustizia perché sarebbe sufficiente non stanziare in contabilità fondi soggetti ad esecuzione forzata e che pertanto l’Amministrazione giudiziaria italiana continui a violare il diritto previsto dal par. 6 della Convenzione, frapponendo ostacoli di ogni tipo all’effettiva tutela accordata al cittadino italiano che abbia subito la violazione del diritto alla ragionevole durata del processo. Il ricorso supera a stento i rilievi di inammissibilità in quanto consente con difficoltà di trarne le indicazioni minime indispensabili a ricostruire la cronologia di alcune scansioni processuali, necessarie per poter esaminare e quindi valutare nel merito l’ammissibilità e la fondatezza di un ricorso in materia di opposizione agli atti esecutivi, in cui l’individuazione dei tempi dei provvedimenti del giudice e delle reazioni ad essi delle parti sono essenziali fin particolare, e possibile che l’ordinanza del g.e. dell’agosto 2014 avesse espressamente dichiarato inammissibile l’estensione del pignoramento, nel qual caso l’A. avrebbe dovuto impugnare con opposizione agli atti esecutivi quel provvedimento, e la successiva opposizione contro l’ordinanza distributiva, di cui al presente ricorso, avrebbe dovuto dichiararsi inammissibile, ma, in mancanza della produzione del provvedimento in questa sede e della riproduzione del testo di esso, non se ne ha certezza . Giova ricordare a questo proposito che, pur potendo la Corte di cassazione, ex art. 369 c.p.c., previa richiesta del ricorrente, acquisire il fascicolo d’ufficio, esso consta del solo fascicolo della opposizione esecutiva, e non anche del fascicolo dell’esecuzione, che non si ha facoltà di richiedere. È particolarmente importante, quindi, nei ricorsi per cassazione che traggono origine da opposizioni agli atti esecutivi, rispettare scrupolosamente il principio di completezza del ricorso, riproducendo nel ricorso, in tutto o in parte, a seconda delle questioni poste, il testo dei documenti o provvedimenti salienti e rinnovandone la produzione in cassazione. Pur volendo ritenere sufficientemente chiarificatrici le scarne indicazioni fornite dal ricorrente, il ricorso è comunque infondato. È preliminare l’esame del terzo motivo, la cui infondatezza fa degradare a sostanzialmente irrilevanti le censure contenute negli altri. 3. Il terzo motivo è manifestamente infondato, a fronte del chiaro dato testuale costituito dall’art. 499 c.p.c., comma 4, come modificato dal D.L. n. 35 del 2005, convertito in L. n. 263 del 2005, in vigore dal 1 marzo 2006. È ben vero che, sulla base proprio delle significative modifiche normative introdotte all’epoca nella disciplina delle esecuzioni gli interventori, ancorché tardivi, purché muniti di titolo esecutivo, hanno in generale facoltà di compiere atti di impulso della procedura esecutiva. suddette riforme hanno anche trasformato l’istituto dell’estensione del pignoramento, prima previsto solo per l’esecuzione mobiliare, in strumento generale, che può trovare applicazione, per la migliore soddisfazione dei creditori, in relazione a qualunque forma espropriativa, ma entro uno spazio ben individuato. L’estensione del pignoramento - disciplinata all’interno dell’articolo del codice dedicato all’intervento - non può trovare ingresso cioè in ogni momento del processo ma solo, al più tardi, entro l’udienza in cui è disposta la vendita o l’assegnazione, in cui si cristallizza definitivamente, anche a tutela del debitore, l’oggetto della procedura. È correlata all’esigenza di circoscrivere ad una determinata fase la possibilità di estendere il pignoramento, la previsione dell’art. 499 c.p.c., comma 4, secondo la quale solo ai creditori chirografari, intervenuti tempestivamente, il creditore pignorante ha facoltà di indicare, con atto notificato preventivamente o all’udienza indicata, l’esistenza altri beni utilmente pignorabili, o, in mancanza di tale indicazione, il creditore intervenuto tempestivamente ha facoltà di chiedere l’autorizzazione all’estensione. Quindi, solo l’interventore tempestivo, beninteso munito di titolo esecutivo, è titolare della specifica facoltà di chiedere l’estensione del pignoramento, ed essa può essere esercitata non oltre l’udienza in cui è disposta la vendita o l’assegnazione. Secondo la migliore dottrina, che perviene a risultati allineati alla giurisprudenza di legittimità, la tempestività o meno dell’intervento va valutata facendo riferimento alle norme che disciplinano i diversi modelli di espropriazione. Nell’espropriazione di crediti presso terzi, tenuto conto della disciplina pro tempore applicabile, l’intervento di altri creditori, ex art. 551 c.p.c., non può avvenire oltre la prima udienza di sparizione delle parti, nella quale il terzo rende la dichiarazione di cui all’art. 547 c.c., per tale dovendosi intendere quella indicata nella citazione notificata al terzo ovvero quella differita d’ufficio dal giudice Cass. n. 20595 del 2010 . La tempestività dell’intervento, inoltre, è questione rilevabile d’ufficio in questo senso Cass. n. 2043 del 2017, Cass n. 19858 del 2011, che richiama la particolare struttura del processo esecutivo, in. cui l’istituzionale carenza di contraddittorio in senso tecnico per l’assenza di controversie in punto di diritto salvi gli incidenti - o parentesi cognitivi costituiti soprattutto dalle opposizioni , in uno alla altrettanto istituzionale soggezione processuale di uno dei due soggetti necessari - e cioè del debitore - cui è riconosciuto il potere di impulso e cioè al creditore, devono essere compensate da una più intensa potestà di verifica anche formale della sussistenza di condizioni e presupposti per la corrispondenza del processo stesso alla sua funzione. Rientra inoltre tra i doveri del giudice dell’esecuzione, all’udienza fissata per l’assegnazione del credito o la distribuzione del ricavato, determinare quale sia il ricavato utilmente distribuibile in relazione all’oggetto del pignoramento. Poiché nel caso di specie è intervenuto, incontestatamente, soltanto dopo l’udienza fissata per l’assegnazione del credito, dell’estensione effettuata tardivamente correttamente il giudice dell’esecuzione non ha tenuto conto e, correttamente, il giudice dell’opposizione ha rigettato l’opposizione, confermando la legittimità della esclusione dell’A. dal piano di riparto in quanto non utilmente collocabile, perché ha qualificato l’intervento come tardivo, con preclusione all’ampliamento dell’oggetto originario del pignoramento, prima ancora di considerare le specifiche questioni originate dalle modifiche normative introdotte dalla L. n. 89 del 2001, art. 5 quinquies introdotto dal D.L. 8 aprile 2013, n. 35, art. 6, comma 6, convertito con modificazioni nella L. 6 giugno 2013, n. 64 per le sole procedure esecutive per la riscossione forzata degli indennizzi ex lege Pinto. La resistenza della decisione impugnata in relazione al sopra enunciato profilo della radicale carenza in capo al ricorrente, in quanto interventore tardivo, della facoltà di procedere all’estensione del pignoramento e di beneficiarsene, fa venir meno la decisività delle altre censure, comunque infondate. Brevemente, quanto al primo motivo, effettivamente la sentenza impugnata non affronta ex professo il profilo della sussistenza o meno della legittimazione passiva del Ministero della Economia e Finanze. Il motivo è comunque inammissibile, perché estraneo alla ratio decidendi. La questione della legittimazione passiva del Ministero dell’Economia e finanze, infatti, nel giudizio di opposizione all’esecuzione rimane assorbita dall’inammissibilità del ricorso all’esecuzione presso terzi, in quanto la nuova normativa, di immediata applicazione, prevede solo il pignoramento diretto come già affermato, in precedente controversia che presenta profili di analogia con l’attuale, da Cass. n. 29027 del 2018 . Anche il secondo motivo, oltre che alquanto oscuro, è infondato. Alla luce della nuova previsione normativa, di interpretazione autentica e quindi immediatamente applicabile ai procedimenti esecutivi in corso v. Cass. n. 25068 del 2017, cui si richiama Cass. n. 11678 del 2018 per i crediti ex lege Pinto, al fine di assicurare un’ordinata programmazione dei pagamenti, non si può più procedere a pignoramenti, anche in estensione, nei confronti del M.E.F. ma solo nei confronti del Ministero della Giustizia Cass. n. 29027 del 2018 , solo nelle forme del pignoramento diretto, con esclusione del pignoramento presso terzi, e l’ufficio competente è tenuto a vincolare l’ammontare per cui si procede solo se esistano in contabilità fondi destinati ad esecuzione forzata, è intervenuto sulla base di un titolo formatosi prima della modifica normativa, ma ha effettuato l’intervento successivamente all’entrata in vigore della modifica stessa, quindi non avrebbe potuto giovarsi di un pignoramento intrapreso nelle forme del pignoramento presso terzi e nei confronti di soggetto non più legittimato passivamente, nè tanto meno potrebbe giovarsi come sembra adombrare col secondo motivo, di non aver rispettato neppure la normativa previgente, avendo pignorato anche un soggetto Poste diverso dal tesoriere. Il motivo di cui al punto 4.1. del ricorso, che fa riferimento all’omessa considerazione della dichiarazione positiva resa dall’altro terzo pignorato, Banca d’Italia, è travolto in ogni caso dal difetto di autosufficienza, atteso che non riporta il tenore della dichiarazione. Infine, la questione di legittimità costituzionale prospettata al punto 4.2. del ricorso, che denuncia la violazione del principio di uguaglianza tra categorie di creditori, rendendo più disagevole ai creditori di indennizzi ex lege Pinto la possibilità di soddisfarsi, è irrilevante, atteso che essendo il suo intervento tardivo, l’A. non avrebbe avuto diritto ad effettuare l’estensione del pignoramento e sarebbe rimasto comunque insoddisfatto in ragione della tardività del proprio intervento, ed a prescindere dalle questioni contesse alla introduzione della previsione dell’art. 5 quinquies nel corpo della L. n. 89 del 2001 rimanendo fuori dal presente giudizio, per il citato difetto di autosufficienza, le ragioni della mancata assegnazione al creditore principale delle somme accantonate da Banca d’Italia . Nulla sulle spese, non avendo gli intimati svolto attività difensiva in questa sede. Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e il ricorrente risulta soccombente, pertanto egli è gravato dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso principale, se dovuto, a norma del comma 1 bis del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Pone a carico del ricorrente le spese di giudizio sostenute dalla parte controricorrente, che liquida in complessivi Euro 2.000,00 oltre 200,00 per esborsi, oltre contributo spese generali ed accessori. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto.