Magistrato “ritardatario”? Il CSM deve comunque considerare gli sforzi profusi per l’abbattimento dell’arretrato

In tema di responsabilità disciplinare del magistrato ex art. 2, lett. q, d.lgs. n. 109/2006, ricorre l’esimente della giustificabilità del ritardo reiterato nel deposito dei provvedimenti oltre la soglia di illiceità prevista dalla norma ove l’attività lavorativa dell’incolpato risulti inesigibile con riferimento alla gravosità del complessivo carico di lavoro, alla qualità dei procedimenti trattati e definiti, agli indici di laboriosità e operosità comparati con quelli degli altri magistrati dell’ufficio, nonché allo sforzo profuso per l’abbattimento dell’arretrato.

Così la Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 25020/19, depositata il 7 ottobre. La fattispecie. La sentenza in commento tra origine dal ricorso proposto da un magistrato avanti alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione avverso la sentenza emessa dalla Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura con cui era stata condannata alla sanzione della censura in quanto responsabile dell’illecito disciplinare di cui agli artt. 1 e 2 comma 1, lett. q, d.lgs. n. 109/2006 per aver asseritamente ritardato in modo reiterato, grave e ingiustificato il compimento di atti relativi all’esercizio delle proprie funzioni di Giudice e, in particolare, per aver depositato nel periodo compreso fra i mesi di gennaio e dicembre 2016 sentenze civili con ritardi superiori al triplo dei termini previsti dalla legge e, specificamente, trenta sentenze con ritardi superiori a un anno, di cui diciassette con un ritardo superiore a 800 giorni e con un picco massimo di 994 giorni . Per poter sanzionare i magistrati ritardatari” occorre una valutazione complessiva del carico di lavoro dell’ufficio e degli sforzi profusi per l’abbattimento dell’arretrato. Secondo la ricorrente, la decisione della Sezione Disciplinare del CSM sarebbe viziata da una serie di errori logici e retta da motivazioni contraddittorie, non essendo – a suo dire – stati sufficientemente tenuti in considerazione dal giudicante una serie di elementi quali il corretto computo dei termini relativamente all’asserito ritardo nel deposito delle sentenze, l’effettivo carico del ruolo, la deposizione del Presidente del Tribunale presso il quale operava – che aveva evidenziato l’efficienza e l’alta qualità dei provvedimenti della ricorrente stessa – e l’erronea sovrapposizione della valutazione della gravità dei ritardi su quella della loro giustificabilità. Le Sezioni Unite hanno accolto il ricorso del magistrato censurando il mancato rispetto, da parte del Consiglio Disciplinare, della costante giurisprudenza di legittimità secondo cui, in tema di responsabilità disciplinare del magistrato ex art. 2, lett. q, d.lgs. n. 109/2006, ricorre l’esimente della giustificabilità del ritardo reiterato nel deposito dei provvedimenti oltre la soglia di illiceità prevista dalla norma ove l’attività lavorativa dell’incolpato risulti inesigibile con riferimento alla gravosità del complessivo carico di lavoro, alla qualità dei procedimenti trattati e definiti, agli indici di laboriosità e operosità comparati con quelli degli altri magistrati dell’ufficio, nonché allo sforzo profuso per l’abbattimento dell’arretrato. In particolare, la durata ultrannuale dei ritardi nel deposito dei provvedimenti giurisdizionali non comporta l’ingiustificabilità assoluta della condotta del Magistrato, ma è giustificabile in presenza di circostanze proporzionate all’ampiezza del ritardo. Pertanto, il notevole carico di lavoro dal quale risulti gravato il magistrato è idoneo ad assumere rilievo quale causa di giustificazione per il ritardo ultrannuale nel deposito dei provvedimenti giurisdizionali ove – tenuto conto degli standard di operosità e laboriosità mediamente sostenuti dagli altri magistrati dell’ufficio, a parità di condizioni di lavoro – vi sia una considerevole sproporzione, a suo danno, del carico di lavoro, così da rendere inesigibile, per il Magistrato incolpato, l’apprestamento di una diversa organizzazione, idonea a scongiurare quei gravi ritardi, fermo restando, in ogni caso, il suo onere di segnalare al capo dell’ufficio giudiziario la prolungata situazione di disagio lavorativo in cui venga a trovarsi per consentire, a questi, l’adozione di idonei rimedi, non essendo consentito all’interessato di effettuare autonomamente la scelta di assumere in decisione cause civili in eccesso rispetto alla possibilità di redigere tempestivamente le relative motivazioni. Secondo gli Ermellini, nel caso di specie è mancata la valutazione da parte della Sezione Disciplinare di una serie di elementi fattuali cui la stessa motivazione fa riferimento, non avendo il CSM tenuto conto della cooperazione del Giudice il Dirigente dell’ufficio nell’approntare e nell’attuare una più razionale conformazione del ruolo istruttorio e collegiale al fine di consentire una riduzione ed eliminazione del grave arretrato formatosi in tempi e per responsabilità pacificamente estranee al difetto di diligenza dell’incolpata.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 26 febbraio – 7 ottobre 2019, n. 25020 Presidente Petitti – Relatore Bisogno Rilevato che 1. C.A. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 146/2018 della Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura che l’ha condannata alla sanzione della censura dichiarandola responsabile dell’illecito disciplinare di cui al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 1 e art. 2, comma 1, lett. q per aver ritardato in modo reiterato, grave e ingiustificato il compimento di atti relativi all’esercizio delle proprie funzioni di giudice presso il Tribunale di Macerata e in particolare per aver depositato nel periodo compreso fra il gennaio 2016 e il dicembre 2016 sentenze civili con ritardi superiori al triplo dei termini previsti dalla legge e specificamente 30 sentenze con ritardi superiori a un anno di cui 17 con ritardo superiore a 800 giorni con un picco massimo di 994 giorni . 2. Il ricorso si articola in quattro motivi illustrati anche da memoria difensiva. 3. Con il primo motivo si deduce la manifesta illogicità e/o contraddittorietà della motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.c., comma 1, lett. e anche per aver il giudice di prime cure valutato il ritardato deposito delle sentenze facendo erroneo riferimento al momento in cui sono state effettivamente depositate ma non al momento in cui i termini sono venuti a naturale scadenza violazione ed erronea applicazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1 e art. 2, comma 1, lett. q . 4. La ricorrente ritiene la motivazione affetta da grave illogicità e contraddittorietà laddove ha considerato che la esigibilità di un diverso e più virtuoso comportamento organizzativo dovesse riferirsi alle condizioni lavorative esistenti al momento del deposito delle sentenze e non invece al momento della scadenza del termine previsto dalla legge per il deposito ovvero più correttamente al momento del superamento della soglia del triplo di tale termine. Ciò nonostante sia chiara nella motivazione della sentenza impugnata la constatazione circa le ingestibili condizioni di lavoro esistenti sino ad almeno il settembre del 2015 quando il Presidente della sezione civile del Tribunale di Macerata riuscì a riportare il numero dei procedimenti gravanti sul ruolo della dottoressa C. da 1.200 - 1.400 a circa 650. La Sezione disciplinare del C.S.M. avrebbe dovuto al contrario valutare che solo quando il ruolo cominciò a diventare gestibile si posero le condizioni per eliminare la situazione di ritardo anche grave in cui versava a causa dell’insostenibile carico di lavoro pregresso. 5. Con il secondo motivo si deduce la contraddittorieta della motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.c., comma 1, lett. e per aver il giudice di prime cure travisato la testimonianza del Presidente del Tribunale di Macerata resa in data 18 giugno 2018 violazione ed erronea applicazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1 e art. 2, comma 1, lett. q . 6. Secondo la ricorrente dalla deposizione del Presidente I. emergono una serie di elementi completamente ignorati dal giudice di prime cure. In particolare non è stato considerato come dalla deposizione del responsabile dell’ufficio risultavano le condizioni di abbandono del ruolo, la sua composizione con cause ultradecennali o prossime alla ultraventennalità, il carico del lavoro nel settore civile su soli due magistrati, le valutazioni sempre molto favorevoli relative alla dottoressa C. sulla alta qualità dei suoi provvedimenti sulla massima disponibilità nelle supplenze e nelle applicazioni, sull’impegno su materie eterogenee come quelle del diritto di famiglia e del diritto del lavoro oltre al settore civile ordinario e alla partecipazione alla sezione promiscua. L’omessa valutazione di tutti questi elementi è secondo la ricorrente decisiva ai fini del giudizio sulla giustificabilità o meno dei ritardi perché incidono sulla valutazione della laboriosità e della organizzazione e consentono di verificare l’esigibilità di una tempestività nel deposito dei provvedimenti. 7. Con il terzo motivo si deduce la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.c., comma 1, lett. e sotto il profilo della asserita mancata giustificazione dei ritardi violazione ed erronea applicazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1 e art. 2, comma 1, lett. q . 8. Secondo la ricorrente la motivazione della sentenza impugnata risente di una erronea sovrapposizione della valutazione della gravità dei ritardi su quella della loro giustificabilità. Valutazione che è invece stata operata correttamente dal C.S.M. laddove le ha riconosciuto, il 19 ottobre 2017, il positivo superamento della seconda valutazione di professionalità a decorrere dal 6 dicembre 2015, ritenendo in particolare che i ritardi in cui è incorsa sono giustificati e non consentono, di per sé, la formazione di un giudizio di carenza in ordine al parametro della diligenza. 9. Con il quarto motivo si deduce la motivazione mancante recte apparente in ordine al mancato riconoscimento dell’esimente di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3 bis ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e inosservanza della legge speciale di cui all’art. 3 bis citato ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b . 10. Rileva la ricorrente di aver invocato in via subordinata l’applicazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3 bis e valuta come assolutamente carente la motivazione della sentenza impugnata e ciò in quanto la stessa si è sottratta al compito affidato da tale norma di valutare la offensività della fattispecie tipica disciplinarmente rilevante, anche quella che abbia nella gravità uno dei suoi elementi costitutivi. Sicché escludere la esimente della scarsa offensività in relazione alla constatazione della gravità dei ritardi significa concretamente omettere il giudizio richiesto dall’art. 3 bis del D.Lgs. n. 109. Mentre tale giudizio poteva essere compiuto positivamente valutando nel suo complesso il comportamento del magistrato e la sua incidenza sulle condizioni dell’ufficio in cui ha prestato servizio. Nello specifico la ricorrente rivendica che a fronte di un ruolo drammaticamente compromesso ed ereditato al primo incarico quale giudice del Tribunale di Macerata ella ha lavorato intensamente producendo una alta qualità di provvedimenti e seguendo specifici programmi di rientro dall’arretrato pre-esistente al suo arrivo concordando tali programmi con il suo Presidente che l’ha definita nella sua deposizione una collega di massima disponibilità, di alta qualità del lavoro oltre che di grande laboriosità. Una serie di elementi che rendono del tutto inattendibili le asserite violazioni del dovere di operosità e tempestività e organizzazione nell’adempimento dei propri compiti. Ritenuto che 11. Il ricorso, che deve essere esaminato unitariamente per la evidente connessione dei motivi in cui è articolato, è fondato. La Sezione disciplinare non ha infatti tenuto adeguatamente conto della giurisprudenza di legittimità secondo cui, in tema di responsabilità disciplinare del magistrato D.Lgs. n. 109 del 2006, ex art. 2, lett. q , ricorre l’esimente della giustificabilità del ritardo reiterato nel deposito dei provvedimenti oltre la soglia di illiceità prevista dalla norma ove l’attività lavorativa dell’incolpato risulti inesigibile con riferimento alla gravosità del complessivo carico di lavoro, alla qualità dei procedimenti trattati e definiti, agli indici di laboriosità ed operosità comparati con quelli degli altri magistrati dell’ufficio, nonché allo sforzo profuso per l’abbattimento dell’arretrato. In particolare la durata ultrannuale dei ritardi nel deposito dei provvedimenti giurisdizionali non comporta l’ingiustificabilità assoluta della condotta dell’incolpato, ma è giustificabile in presenza di circostanze proporzionate all’ampiezza del ritardo. Pertanto il notevole carico di lavoro dal quale risulti gravato il magistrato è idoneo ad assumere rilievo quale causa di giustificazione per il ritardo ultrannuale nel deposito dei provvedimenti giurisdizionali ove - tenuto conto degli standards di operosità e laboriosità mediamente sostenuti dagli altri magistrati dell’ufficio, a parità di condizioni di lavoro - vi sia una considerevole sproporzione, a suo danno, del carico di lavoro, sì da rendere inesigibile, per il magistrato incolpato, l’apprestamento di una diversa organizzazione, idonea a scongiurare quei gravi ritardi, fermo restando, in ogni caso, il suo onere di segnalare al capo dell’ufficio giudiziario la prolungata situazione di disagio lavorativo in cui venga a trovarsi per consentire, a questi, l’adozione di idonei rimedi, non essendo consentito all’interessato di effettuare autonomamente la scelta di assumere in decisione cause civili in eccesso rispetto alla possibilità di redigere tempestivamente le relative motivazioni Cass. Civ. S.U. nn. 14526 del 28 maggio 2019, 21624 del 19 settembre 2017, 15813 del 29 luglio 2016, 19449 del 30 settembre 2015 e 14268 dell’8 luglio 2015 . 12. Sebbene la motivazione della sentenza impugnata riservi ampio spazio, nella sua ricostruzione dell’illecito disciplinare in contestazione, alla esigenza di verificare oltre alla gravità e alla reiterazione del ritardo nel deposito dei provvedimenti anche la mancanza di giustificazione del ritardo, tuttavia non ritiene quest’ultimo elemento come uno dei tre elementi costitutivi dell’illecito. Questa interpretazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. q non appare convincente e ha una evidente influenza sulla decisione di merito che ne rende poco comprensibile e comunque contraddittoria la motivazione. 13. A parte il dato testuale della disposizione normativa appena citata che pone sullo stesso piano i tre elementi della gravità, reiterazione e della assenza di giustificazione, la ricostruzione interpretativa recepita dalla Sezione disciplinare comporta una configurazione in termini oggettivi dell’illecito sulla base della sola verifica dei primi due elementi del testo normativo e tende ad attribuire un ruolo secondario e subordinato alla verifica del terzo elemento. Ne deriva un discostamento dalla ratio legis che intende sanzionare esclusivamente il ritardo addebitabile al difetto di diligenza e laboriosità del magistrato o, in altri termini, intende sanzionare esclusivamente il mancato adempimento del dovere di puntualità nella redazione dei provvedimenti se esso sia concretamente esigibile. 14. Al di là comunque di questa posizione interpretativa, che il Collegio, per quanto si è appena detto, intende riaffermare essendo consustanziali al venire in essere dell’illecito i tre elementi della gravità, reiterazione e della mancanza di giustificazione del ritardo, va ribadito che il dovere di autorganizzazione, che la sentenza impugnata ritiene violato sulla base di una motivazione sostanzialmente apodittica e che ha portato alla affermazione della non giustificabilità dei ritardi, non può non costituire un elemento centrale della verifica della esigibilità di una condotta più tempestiva da parte del magistrato. Come tale non può costituire un mero riferimento di stile ma deve rendere manifeste le ragioni per cui una diversa organizzazione del lavoro sarebbe stata non solo possibile ma anche idonea a ottenere un adempimento significativamente più tempestivo nel deposito dei provvedimenti. 15. Nella specie tale approfondimento non solo è mancante ma risulta anche contraddetto da una serie di elementi fattuali cui la stessa motivazione fa riferimento. In particolare non si è tenuto conto della cooperazione della dottoressa C. con il dirigente dell’ufficio nell’approntare e nell’attuare una più razionale conformazione del ruolo istruttorio e collegiale al fine di consentire una riduzione ed eliminazione del grave arretrato formatosi in tempi e per responsabilità pacificamente estranee al difetto di diligenza dell’incolpata. Al contrario si è considerato non più giustificabile il ritardo nel deposito dei provvedimenti durante l’anno 2016 perché alla fine del 2015 era stata già effettuata una più razionale ripartizione del carico di lavoro senza verificare però se tale intervento necessitasse di tempi non immediati per produrre degli effetti deflettivi e di riduzione dei ritardi. 16. Inoltre non è stato affatto preso in considerazione il profilo professionale della dottoressa C. nonostante il positivo superamento della seconda valutazione di professionalità con decorrenza dal 6 dicembre 2015 sancito proprio dal C.S.M. con provvedimento del 19 ottobre 2017 che ha ritenuto giustificati i ritardi in quanto non imputabili a un difetto di diligenza. 17. Va pertanto cassata la decisione impugnata per consentire una valutazione più approfondita e aderente alla giurisprudenza citata e all’affermazione di principio per cui il difetto di esigibilità, secondo un parametro di diligenza media, non consente l’insorgere di all’affermazione di principio per cui il difetto di esigibilità, secondo un parametro di diligenza media, non consente l’insorgere di responsabilità disciplinare ai sensi del D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 2, comma 1, lett. q e, nella valutazione relativa, l’affermazione della carente organizzazione del lavoro richiede una verifica in concreto sia della attuabilità di una diversa organizzazione che della sua eventuale efficacia al fine di eliminare o quantomeno ridurre i ritardi oggetto dell’incolpazione. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa e rinvia alla Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura. Dispone omettersi in caso di pubblicazione della presente sentenza l’indicazione del nome e di ogni altro elemento identificativo della ricorrente.