In fuga dalla condanna a morte: protezione possibile

Riprende vigore la richiesta avanzata da un cittadino della Nigeria. Per i Giudici, difatti, il rischio di subire una tale terribile pena rileva come presupposto per la protezione, anche se essa implica una previa accusa di commissione di un reato così sanzionato in patria.

Via dalla terra d’origine per allontanare lo spettro della pena di morte. Questo dato può essere sufficiente per riconoscere protezione in Italia al cittadino straniero. Irrilevante, invece, il fatto che quella terribile sanzione possa essere collegata alla commissione di qualche grave reato Cassazione, ordinanza n. 23459/19, sez. I Civile, depositata il 20 settembre . Reato. Ultime speranze in Cassazione per lo straniero – un uomo, originario della Nigeria – approdato in Italia per evitare la pena di morte. Respinta nei passaggi precedenti, difatti, la sua richiesta di protezione. In Appello, in particolare, i Giudici hanno definito strumentale il riferimento fatto dall’uomo alla instabile situazione politica generale del Paese di origine, e soprattutto hanno osservato che il timore di condanna a morte non può dirsi bastevole alla protezione quando, come in questo caso, vi siano fondati motivi per ipotizzare la commissione di un reato da parte del richiedente protezione. Danno. E in Cassazione il cittadino nigeriano vede riaccesa la propria speranza. Dal ‘Palazzaccio’, difatti, arriva una censura netta al ragionamento dei Giudici d’Appello, la cui tesi è in contrasto con i principi che governano il sistema di protezione internazionale, tanto da non poter in nessun modo essere avallata . In prima battuta viene osservato che lo straniero ha posto a fondamento della domanda non solo l’esistenza di una situazione di pericolosità discendente da un conflitto tra comunità tribali nel suo villaggio di origine, ma anche il fatto che la situazione politica della Nigeria era caratterizzata da una situazione di conflitto armato interno, tale da rendere insicura la permanenza in quel territorio . A fronte di tale quadro, però, sarebbe stato necessario un approfondimento sulla situazione in Nigeria, approfondimento che invece è totalmente mancato. A questa lacuna si potrà porre rimedio in un nuovo processo in appello. Per quanto riguarda poi il pericolo lamentato dall’uomo per l’applicazione della pena di morte in caso di ritorno in patria, i Giudici evidenziano che egli ha riconosciuto di essere stato accusato di vari reati porto illegale di armi, rapina e omicidio commessi durante gli scontri locali e per i quali in Nigeria era prevista d era stata in concreto ad altri comminata la pena di morte ma aggiungono che questo dato non è sufficiente ad escludere l’ipotesi della protezione . Ciò perché la normativa considera danno grave, ai fini della protezione sussidiaria, proprio la condanna a morte o la possibile esecuzione della pena di morte e questo implica una previa accusa di commissione di un reato in tal modo punito in patria . Tirando le somme, per i Giudici il rischio di subire un tale trattamento rileva di per sé come presupposto della protezione , soprattutto alla luce di informazioni aggiornate sul contesto del sistema criminale del Paese di provenienza dello straniero.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 28 giugno – 20 settembre 2019, n. 23459 Presidente Didone – Relatore Terrusi Rilevato che Os. Au., nigeriano, ricorre per cassazione, con cinque mezzi, nei confronti della sentenza con la quale la corte d'appello di Perugia ha respinto il suo gravame nel procedimento instaurato per il riconoscimento della protezione internazionale il ministero dell'interno non ha svolto difese. Considerato che mediante cinque motivi il ricorrente denunzia nell'ordine i la nullità della sentenza per motivazione solo apparente ii l'omesso esame di fatti decisivi a proposito della condizione di pericolosità e di violenza generalizzata esistente in Nigeria iii l'omesso esame delle dichiarazioni rese dinanzi alla commissione territoriale quanto alla propria condizione di vulnerabilità iv la violazione o falsa applicazione del'art. 14 del D.Lgs. n. 251 del 2007 e l'omesso esame delle fonti informative a proposito della domanda di protezione sussidiaria v l'errata applicazione dell'art. 5 del t.u. imm. a proposito del rigetto della domanda di protezione umanitaria il ricorso è fondato in relazione al secondo e al quarto mezzo, assorbenti ed esaminabili unitariamente per connessione dalla sentenza risulta che il richiedente aveva posto a fondamento della domanda non solo l'esistenza di una situazione di pericolosità discendente da un conflitto tra comunità tribali nel suo villaggio di origine, ma anche il fatto che a la situazione politica della Nigeria era caratterizzata da una situazione di conflitto armato interno tale da rendere la permanenza insicura in quel territorio, e che b egli stesso era stato accusato di vari reati commessi durante gli scontri locali porto illegale di armi, rapina e omicidio per i quali in Nigeria era prevista ed era stata in concreto ad altri comminata la pena di morte in tal senso il richiedente aveva invero appellato la decisione di primo grado la corte d'appello ha liquidato la prima questione affermando che, anche ammessa la verità delle dichiarazioni del richiedente , per quanto ragionevolmente contestate, il riferimento alla situazione politica generale della Nigeria era da ritenere strumentale , non avendovi il richiedente fatto cenno nella dichiarazione resa dinanzi alla commissione territoriale, e comunque del tutto sproporzionato rispetto alla zona di provenienza e che il timore di condanna a morte non poteva dirsi bastevole alla protezione sussidiaria quando, come nel caso di specie, vi fossero stati, ex art. 16 del D.Lgs. n. 251 del 2007, fondati motivi di commissione di un grave reato la tesi della corte d'appello è in contrasto con i principi che governano il sistema di protezione internazionale, tanto da non poter in nessun modo essere avallata le laconiche argomentazioni in ordine alla situazione della Nigeria non assolvono l'onere di cooperazione gravante sul giudice, poiché non rileva che il richiedente abbia fatto cenno o meno alla condizione di instabilità del paese di provenienza dinanzi alla commissione territoriale il riconoscimento della protezione sussidiaria, in particolare ai sensi dell'art. 14 lett. c del D.Lgs. n. 251 del 2007, postula sempre una verifica aggiornata al momento della decisione ex aliis Cass. n. 17075-18 ed è pacifico che la necessità di ricevere protezione dal paese ospitante può sorgere anche in un momento successivo rispetto alla partenza del richiedente dal Paese di origine ovvero all'arrivo in quello ospitante v. Cass. n. 9427-18 la corte territoriale non ha chiarito se le dichiarazioni del ricorrente fossero o meno attendibili, mentre è certo che, esclusa l'inattendibilità di esse, occorreva verificare, mediante i poteri officiosi di indagine e di informazione di cui all'art. 8, terzo comma, del D.Lgs. n. 25 del 2008, se la situazione di esposizione a pericolo per l'incolumità fisica indicata, astrattamente riconducibile a una situazione tipizzata di rischio, fosse effettiva nel Paese nel quale si sarebbe dovuto disporre il rimpatrio a tal riguardo, una volta allegato il pericolo di danno di cui all'art. 14, lett. c , del D.Lgs. n. 251 del 2007 violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato determinativa di minaccia grave alla vita o alla persona e i conseguenti fatti costitutivi del diritto, il giudice del merito deve infatti adempiere al dovere di accertamento e di cooperazione, e ciò può fare solo indicando specificatamente le fonti in base alle quali l'accertamento è stato svolto con l'esito infine ritenuto v. Cass. n. 11312-19 niente di tutto questo emerge dalla motivazione della sentenza, la quale dunque va da questo primo punto di vista cassata non meno grave errore è poi quello che mina l'assunto della corte del merito a proposito della presunta irrilevanza del paventato rischio del richiedente di subire, in patria, la pena di morte, allorquando vi siano fondati motivi per ritenere commesso un reato a prescindere dal fatto che la sentenza non ha spiegato, salvo un laconico riferimento ad ammissioni fatte dal richiedente, quali fossero i suddetti fondati motivi , vi è che l'art. 14, lett. a , del D.Lgs. n. 251 del 2007 considera danno grave, ai fini della protezione sussidiaria, proprio la condanna e morte o la possibile esecuzione della pena di morte il che implica giustappunto una previa accusa di commissione di un reato in tal modo punito in patria per la contraddizione che non consente, il rischio di subire un tale trattamento rileva di per sé come presupposto della protezione, nel senso che l'art. 16, lett. b , a sua volta prevedendo come causa di esclusione della protezione internazionale la circostanza che sia stato commesso, nel territorio nazionale o all'estero, un grave reato, niente toglie al dovere del giudice di assumere informazioni in ordine al possibile trattamento che il sistema criminale del paese di provenienza riserva, in questa prospettiva, al richiedente nel caso concreto il richiedente aveva giustappunto allegato che, per le accuse contro di lui formulate, sarebbe stato passibile di morte, e ciò avrebbe dovuto condurre la corte territoriale a esaminare la posizione del medesimo anche alla luce di informazioni aggiornate sul contesto del sistema criminale della Nigeria, onde così pervenire a un giudizio completo sulla coerenza e sulla stessa attendibilità del rischio paventato l'impugnata sentenza va dunque cassata restano assorbiti gli altri motivi la causa deve essere rinviata alla medesima corte d'appello, in diversa composizione, per nuovo esame il giudice del rinvio provvedere anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il secondo e il quarto motivo, assorbiti gli altri, cassa l'impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla corte d'appello di Perugia.