Rigetto della domanda per lite temeraria e compensazione delle spese: la Cassazione detta le regole

Nel caso di rigetto della domanda ex art. 96 c.p.c. proposta dall’appellato e contestuale rigetto dell’appello, con conseguente conferma integrale della sentenza di primo grado, non ha luogo un’ipotesi di pluralità di domande effettivamente contrapposte idonea a determinare la soccombenza reciproca.

Con la pronuncia del 13 settembre 2019, n. 22952 il S.C. chiarisce che non possono porsi sul medesimo piano funzionale e processuale il rigetto delle domande proposte dall’attore o dall’appellante ed il rigetto della domanda per lite temeraria promossa dall’appellato, con conseguente impossibilità di applicare il meccanismo di compensazione delle spese ai sensi dell’art. 92 c.p.c Il caso. La vicenda decisa con la pronuncia in commento ha origine da un’azione di inefficacia di un fondo patrimoniale che viene rigettata in primo grado, unitamente alla domanda per lite temeraria promossa dai convenuti in considerazione del rigetto delle due domande, il Tribunale dispone la compensazione delle spese. I convenuti in primo grado promuovono quindi appello, contestando la sentenza nella parte in cui, equiparando la domanda principale e quella per lite temeraria e rigettandole entrambe, ha disposto la compensazione delle spese. La corte territoriale conferma la decisione, avverso la quale gli appellanti e convenuti in primo grado ricorrono in Cassazione. Il S.C., in particolare, rinviando alla corte territoriale per un nuovo esame, sostiene l’irragionevolezza dell’equiparazione tra il rigetto della domanda principale e quella per lite temeraria e ritenendo quindi non corretta, su queste basi, la compensazione delle spese. Lite temeraria come e perché. In linea di principio, secondo la prevalente giurisprudenza, il presupposto per l'applicabilità della norma di cui all'art. 96 c.p.c. - nel rispetto del principio secondo cui la responsabilità processuale aggravata si sostanzia in una forma di danno punitivo teso a scoraggiare l'abuso del processo e preservare la funzionalità del sistema giustizia con la censura di iniziative giudiziarie avventate o meramente dilatorie - è la presenza, in capo al destinatario della condanna, della mala fede o della colpa grave previsti per la lite temeraria di cui al comma 1 di detta norma. In particolare, si richiede a un requisito oggettivo costituito dalla soccombenza totale , con la conseguente condanna alle spese b un requisito soggettivo costituito dalla mala fede o colpa grave del soccombente, il verificarsi di un conseguente danno a carico del vincitore. L'ampia formulazione del comma 3 consente, inoltre, al giudice di emettere condanna anche d'ufficio della parte soccombente e quindi a prescindere da una specifica domanda in tal senso al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata” e quindi sganciata dalla prova del quantum del danno riportato dalla parte vittoriosa. Lite temeraria e domanda principale quale rapporto. Il punto centrale della sentenza è la valutazione del rapporto tra domanda principale e lite temeraria promossa dalla parte convenuta o appellata . Secondo un primo orientamento infatti, le domande comunque si contrappongono ed il rigetto di entrambe determina la possibilità per il giudice di disporre la compensazione delle spese. Diversamente, un altro orientamento al quale aderisce la sentenza in commento, considera la domanda per lite temeraria meramente accessoria rispetto all’effettivo tema di lite cui va rapportata la verifica della soccombenza. In particolare, il rigetto della domanda per lite temeraria promossa dall’appellato ed il rigetto dell’appello non costituisce un’ipotesi di pluralità di domande contrapposte idonea a determinare la soccombenza reciproca e, quindi, la compensazione delle spese legali. Lite temeraria e prova del danno. La Cassazione affronta anche i profili relativi al regime probatorio per l’accoglimento della domanda per lite temeraria. La responsabilità per lite temeraria, infatti, ha natura extracontrattuale e la domanda di cui all'art. 96, comma 1, c.p.c. richiede pur sempre la prova, incombente sulla parte istante, sia dell'an e sia del quantum debeatur, o comunque postula che, pur essendo la liquidazione effettuabile di ufficio, tali elementi siano in concreto desumibili dagli atti di causa. Nel caso di specie, la domanda era stata rigettata nei gradi di merito posto che da parte di chi era stata promossa non era stata fornita prova del danno, ma si è era limitata ad allegare, senza riscontro probatorio, una generica compromissione dello stile di vita, notevolmente aggravato dal dover seguire la vicenda giudiziaria, con tutte le conseguenze del caso. Lite temeraria e determinazione equitativa. In tema di responsabilità aggravata, inoltre, deve osservarsi che la determinazione equitativa della somma dovuta dal soccombente alla controparte in caso di lite temeraria non può essere parametrata all'indennizzo di cui alla l. n. 89 del 2001 - il quale, ha natura risarcitoria ed essendo commisurato al solo ritardo della giustizia - laddove la funzione prevalente della condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c. è punitiva e sanzionatoria. Lite temeraria e ricorso per Cassazione. Da ultimo, si richiama un costante orientamento della giurisprudenza per il quale la proposizione di un ricorso per Cassazione in palese violazione dell'art. 366 c.p.c., tale da concretare un errore grossolano del difensore nella redazione dell'atto, giustifica la condanna della parte - che risponde delle condotte del proprio avvocato ex art. 2049 c.c. - al risarcimento dei danni per responsabilità processuale aggravata ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 3 aprile – 13 settembre 2019, n. 22952 Presidente Giusti – Relatore Grasso Fatti di causa Ce.Ag. e S.L. avevano citato in giudizio nel 2001 D.M. e C.C. al fine di ottenere declaratoria di nullità o inefficacia del fondo patrimoniale che i convenuti avevano costituito il 2/9/1996, o, in subordine la revocatoria del negozio in parola. L’adito Tribunale di Pesaro, oltre a rigettare la domanda attorea, disattese la domanda di risarcimento dei danni, per responsabilità aggravata da lite temeraria, proposta dai convenuti e ciò non ritenendo il comportamento, consistente nella instaurazione della lite, permeato da dolo o colpa grave e compensò le spese di lite, in ragione del rigetto sia della domanda attorea che di quella per lite temeraria. La Corte d’appello di Ancona confermò la sentenza di primo grado con la quale era stata disattesa la domanda di condanna per lite temeraria, che era stata avanzata, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 1, dai convenuti D.M. e C.C. , condannando costoro alla rifusione delle spese del grado in favore di Ce.Ag. e S.L. . La Corte territoriale rilevò - che, avendo i convenuti collegato la loro domanda risarcitoria alla instaurazione del giudizio, l’esistenza del richiesto atteggiamento psicologico, in termini di malafede o colpa grave, andava esclusa, alla luce della circostanza che, al momento della costituzione del fondo patrimoniale, sussisteva comunque una possibile ragione di credito per effetto della proposizione, da parte del Ce. e della S. , della domanda di risarcimento dei danni conseguenti alla esecuzione dei lavori, essendo il giudizio originato dalla stessa ancora pendente a quel momento, e prestandosi la costituzione del fondo patrimoniale, rientrante in una tipologia di atti normalmente utilizzati per neutralizzare pretese creditorie altrui, a giustificare sospetti circa l’intento dei suoi autori di sottrarre i beni alla garanzia dei creditori o, comunque, in ordine alla loro consapevolezza di ledere ragioni creditorie altrui - che la domanda di condanna per lite temeraria appariva carente anche in punto di prova del danno. Avverso la statuizione d’appello ricorrono D.M. e C.C. sulla base di due motivi. Ce.Ag. e S.L. sono rimasti intimati. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo i ricorrenti denunziano violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2059 c.c., in riferimento all’art. 96 c.p.c., comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Questi, in sintesi, gli assunti impugnatori - la disposizione di cui all’art. 96 c.p.c., comma 1, ha carattere sanzionatorio” e, per contro, la sentenza impugnata ha avallato la sostanziale impunità della proposizione di domande palesemente infondate, che però sconvolgono la vita di coloro costretti a difendersi da tali attacchi - la decisione si caratterizza, a causa dell’errore interpretazione degli artt. 2043 e 2059 c.c., per la sua anomala motivazione, tale da doversi giudicare apparente e non condivisibile - l’asserto secondo il quale gli appellanti avevano dedotto, ma non provato il danno non patrimoniale, è erroneo, stante che lo stato di sofferenza psichica e morale avrebbe dovuto ritenersi provato ex se. 1.1. La doglianza è destituita di giuridico fondamento. A voler, per un attimo, glissare sull’insanabile contraddizione insita nella denunzia di motivazione apparente cioè, graficamente insussistente o, comunque, tale da non rendere in alcun modo comprensibile l’asserto argomentativo e, allo stesso tempo, non condivisibile, risulta evidente che la sentenza gravata ha esposto, e in forma pienamente comprensibile, le ragioni della decisione sul punto. Spiega, infatti la Corte locale che a gli attori avevano fatto derivare il denunziato danno dall’instaurazione della lite e non già dalla trascrizione della domanda giudiziale b esso pregiudizio sarebbe consistito nel tempo dedicato e da dedicare alla presente causa e sottratto alle ordinarie occupazioni , nonché nell’apprensione e nello stress derivatone, oltre al discredito presso i terzi. Il Giudice di secondo grado, con apprezzamento in questa sede incensurabile, ha, in primo luogo, escluso che il Ce. e la S. fossero incorsi in malafede o anche solo in colpa grave atteggiamento psicologico, che al momento dell’instaurazione del giudizio non sussisteva alla luce della circostanza che, al momento della costituzione del fondo patrimoniale, sussisteva comunque una possibile ragione di credito in ragione della proposizione della domanda di risarcimento dei danni conseguenti alla esecuzione dei lavori, essendo il giudizio originato dalla stessa ancora pendente a quel momento, e prestandosi la costituzione del fondo patrimoniale a giustificare sospetti circa l’intento dei suoi autori di sottrarre i beni alla garanzia creditoria . La sentenza ha, poi, escluso che il danno fosse stato provato dagli appellanti, gravati dal relativo onere, sia pure con le attenuazioni illustrate nelle sentenze della Corte di cassazione n. 1140/2007 e 9080/2013. Per un verso, conclude la sentenza, il D. e la C. non avevano fatto accompagnare la pretesa da alcun concreto elemento tale da rendere attendibile l’asserto di danno patrimoniale e, per altro verso, appariva irriducibilmente generica l’allegazione dello stato di stress e di apprensione . La Corte d’appello di Ancona ha infatti precisato che nella specie la deduzione del danno conseguito al fatto che i convenuti sarebbero stati costretti, per effetto del giudizio instaurato nei loro confronti, a sottrarre tempo, da dedicare alla causa, alle ordinarie occupazioni in particolare il D. alla sua attività lavorativa di design nel settore dei mobili non sono accompagnate da concreti elementi atti a consentire un’attendibile liquidazione del lamentato pregiudizio, così come del tutto generica è l’allegazione dello stato continuo di stress e di apprensione originato dalla pendenza della lite, e ciò anche alla luce delle numerose controversie intercorse tra le parti aspetto questo desumibile dal contenuto delle difese svolte dagli stessi appellanti . La statuizione della Corte d’appello di Ancora si sottrae alle censure dei ricorrenti. Per un verso, infatti, in materia di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., ai fini della condanna al risarcimento dei danni, l’accertamento dei requisiti costituiti dall’aver agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave implica un apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità Cass., Sez. II, 12 gennaio 2010, n. 327 Cass., Sez. III, 29 settembre 2016, n. 19298 . Per l’altro verso, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, con riguardo alla condanna al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 1, è onere della parte che richiede il risarcimento dedurre e dimostrare la concreta ed effettiva esistenza di un danno che sia conseguenza del comportamento processuale della controparte, sicché il giudice non può liquidare il danno, neppure equitativamente, se dagli atti non risultino elementi atti ad identificarne concretamente l’esistenza, desumibili anche da nozioni di comune esperienza e dal pregiudizio che la parte resistente abbia subito per essere stata costretta a contrastare un’iniziativa del tutto ingiustificata dell’avversario Cass., Sez. I, 4 novembre 2005, n. 21393 Cass., Sez. I, 30 luglio 2010, n. 17902 . Si è infatti chiarito che un tema di responsabilità aggravata per lite temeraria, che ha natura extracontrattuale, la domanda di cui all’art. 96 c.p.c., comma 1, richiede pur sempre la prova, incombente sulla parte istante, sia dell’an e sia del quantum debeatur, o comunque postula che, pur essendo la liquidazione effettuabile di ufficio, tali elementi siano in concreto desumibili dagli atti di causa Cass., Sez. Lav., 15 aprile 2013, n. 9080 . Non sussiste, pertanto, la dedotta violazione di legge, non potendosi condividere la ricostruzione in assorbente chiave sanzionatorio repressivo della disposizione in esame, alla quale i ricorrenti correlano una nozione di danno in re ipsa, non previsto dalla legge. Non interferisce con la superiore osservazione la circostanza che la legge consente al giudice la liquidazione anche d’ufficio del quantum. La disposizione, infatti, diretta ad agevolare e semplificare la determinazione quantitativa del risarcimento, svincola la parte dal rigoroso rispetto dell’onere allegativo, ma non ne autorizza l’ingiusto arricchimento attraverso l’attribuzione di una somma di denaro alla quale non corrisponda alcun danno da risarcire. 2. Con il secondo motivo il ricorso prospetta violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92, in riferimento all’art. 96 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4. Questi, in sintesi, gli assunti impugnatori - ingiusta appare agli occhi dei ricorrenti la decisione di compensare le spese a fronte della posizione totalmente vittoriosa dei convenuti, equiparandosi la domanda principale a quella accessoria di condanna per lite temeraria - una tale equiparazione trova smentita nella più recente giurisprudenza di legittimità. 2.1. Reputa il Collegio che la censura meriti di essere accolta. Sulla questione sollevata con il motivo si confrontano due indirizzi. Secondo un primo indirizzo, che ha trovato consacrazione in Cass., Sez. VI-2, 14 ottobre 2016, n. 20838, il rigetto della domanda ex art. 96 c.p.c., malgrado l’accoglimento di quella principale proposta dalla stessa parte, configura un’ipotesi di soccombenza reciproca idonea a giustificare la compensazione delle spese di lite ai sensi dell’art. 92 c.p.c., atteso che, in applicazione del principio di causalità, sono imputabili a ciascuna parte gli oneri processuali causati all’altra per aver resistito a pretese fondate o per aver avanzato istanze infondate. Altro e successivo orientamento di legittimità ha espresso il principio secondo il quale il rigetto, in sede di gravame, della domanda, meramente accessoria, ex art. 96 c.p.c., a fronte dell’integrale accoglimento di quella di merito proposta dalla stessa parte, in riforma della sentenza di primo grado, non configura un’ipotesi di parziale e reciproca soccombenza, nè in primo grado nè in appello, sicché non può giustificare la compensazione delle spese di lite ai sensi dell’art. 92 c.p.c. Cass., Sez. VI-3, 12 aprile 2017, n. 9532 . Questa seconda opzione interpretativa risulta essere stata condivisa, sulla base di un incisivo ordito motivazionale, da una successiva decisione Cass., Sez. VI-3, 15 maggio 2018, n. 11792 . La Corte, dopo aver dato atto di volersi confrontare con il primo orientamento, propende per la seconda opzione interpretativa, stante la natura meramente accessoria della domanda ex art. 96 c.p.c., rispetto all’effettivo tema di lite cui va rapportata la verifica della soccombenza domanda che presuppone, quale condizione necessaria - anche se non sufficiente - per il suo accoglimento, proprio il riconoscimento della soccombenza integrale della parte cui si attribuisce l’illecito processuale , nel caso – come quello all’esame - di rigetto della domanda ex art. 96 c.p.c., proposta dagli appellati e di rigetto dell’appello con conseguente conferma del rigetto della domanda proposta in primo grado dagli appellanti non dà luogo ad una ipotesi di pluralità di domande effettivamente contrapposte idonea a determinare la soccombenza reciproca sulla quale il Tribunale ha fondato la compensazione delle spese di lite di secondo grado”. Il Collegio reputa doversi dare continuità a questo secondo indirizzo, del quale condivide la struttura argomentativa portante. A voler completare la delineazione del quadro pare utile precisare che il dato dirimente è rappresentato non tanto dalla natura dell’istanza, che si traduce, per forza di cose, in una domanda, pur indubbiamente accessoria, quanto nella testuale condizione necessaria della riconosciuta integrale soccombenza del preteso litigante temerario. L’ostacolo alla tesi opposta non si rinviene nella dedotta mancanza di contrapposizione delle domande tutte le domande che le parti si rivolgono contro sono contrapposte per forza di cose, non essendo richiesto che siano simmetriche , ma nell’accessorietà della domanda per lite temeraria, la quale, come puntualmente osservato, presuppone che la controparte risulti integralmente soccombente. D’altra parte, non dovrebbero sorgere ostacoli ad una condanna ai sensi dell’art. 92, seconda parte, c.p.c., a carico dell’istante per responsabilità aggravata, ex art. 96 c.p.c., ove, a sua volta, abbia trasgredito al dovere di cui all’art. 88 c.p.c Ha pertanto errato la Corte d’appello a confermare la compensazione delle spese processuali disposta dal Tribunale, sul presupposto - qui disatteso - che il rigetto della domanda di condanna per lite temeraria proposta dai convenuti totalmente vittoriosi sul merito della lite determinasse una loro soccombenza reciproca. 3. In ragione di quanto esposto la sentenza deve essere cassata con rinvio in relazione all’accolto motivo, rimettendosi al Giudice del rinvio il regolamento delle spese del presente giudizio. P.Q.M. accoglie il secondo motivo, rigetta il primo cassa, in relazione al motivo accolto, la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Ancona, in diversa composizione, anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.