La mancata integrazione del contraddittorio ha come unica conseguenza l’estinzione immediata del processo

Il termine concesso dal giudice per l’integrazione del contraddittorio nei casi previsti dall’art. 102 c.p.c. ha natura perentoria e non può essere né rinnovato né prorogato ai sensi dell’art. 153 codice di rito.

La mancata integrazione del contraddittorio comporta l’emissione del provvedimento di cancellazione della causa dal ruolo con conseguente ed automatica estinzione del processo. La fattispecie. Nel caso in esame la Corte d’Appello aveva disposto la rinnovazione della notifica dell’atto di appello in quanto invalido ai sensi dell’art. 330 codice di rito. L’appellante, in ottemperanza a tale decisione, aveva disposto una nuova notifica presso il domicilio eletto nonostante il decorso del termine lungo di prescrizione. Di conseguenza il Giudice di gravame, preso atto che la nuova notifica andava eseguita alle parti direttamente e non nel domicilio eletto, aveva disposto la cancellazione dalla causa da ruolo. D’altronde essendo nulla la notifica, ha sostenuto la Corte, non è possibile concedere un ulteriore termine alla parte. La tesi del ricorrente. A dire del ricorrente la Corte d’Appello avrebbe errato nel dichiarare l’estinzione d’ufficio in quanto detta deve essere sollevata dalla parte interessata. Inammissibilità dei motivi. In primo luogo il Supremo Collegio ribadisce il proprio orientamento asserendo che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile qualora i motivi siano privi di una possibilità di accoglimento. La giurisprudenza costante sul punto. Difatti, sul punto, vi è una giurisprudenza consolidata la quale sostiene che, nell’ipotesi di mancata integrazione del contraddittorio nei confronti dei litisconsorti necessari, determina automaticamente la cancellazione della causa dal ruolo, come imposto dall’art. 330 codice di rito, con conseguente estinzione del giudizio. Ciò senza la necessità che una delle parti interessate sollevi la relativa eccezione trattandosi di un provvedimento che implica una pronuncia di mero rito cognitiva dell’impossibilità di proseguire la causa in mancanza di una parte necessaria.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 8 marzo – 13 settembre 2019, n. 22866 Presidente Amendola – Relatore Moscarini Fatti di causa Con atto di citazione del 30/3/2000 R.A. , in proprio e quale genitore esercente la potestà sulla figlia minore R.L. , B.E. , D.T.O. , D.T.T. , D.T.G. convennero davanti al Tribunale di Isernia P.A. ed D.M.E. , in qualità di eredi del defunto P.D. , e la Bayerische Assicurazioni SpA per sentir accertare che P.D. era esclusivo responsabile di un sinistro occorso in data omissis sulla SS. nel Comune di , in occasione del quale il P. , sbandando e finendo nella opposta corsia di marcia, collideva violentemente con il veicolo della signora D.T.M.N. , proveniente da tale corsia. A seguito di tale collisione entrambi i conducenti perdevano la vita. Gli eredi del P. , nel costituirsi in giudizio, asserivano che la responsabilità del sinistro fosse imputabile ad Anas, quale ente manutentore della strada, a causa di materiali presenti sulla carreggiata e di un giunto di dilatazione non rimosso e proposero domanda riconvenzionale per sentir accertare la responsabilità del sinistro in capo alla D.T. . Il contraddittorio si costituì anche con Bayerische Assicurazioni S.p.A., Anas S.p.A. ed Ina Assitalia S.p.A. ora Generali , evocata da R.A. . Espletata prova testimoniale e CTU, il Tribunale di Isernia dichiarò cessata la materia del contendere tra gli attori e la Bayerische S.p.A. per intervenuta transazione rigettò la domanda formulata dagli eredi P. in riconvenzionale nei confronti di Anas dichiarò improponibile la domanda degli eredi P. nei confronti di Ina Assitalia condannò gli eredi P. alle spese. La Corte d’Appello di Campobasso, adita dagli eredi P. , con ordinanza del 20 luglio 2013, rilevò che l’atto di citazione in appello notificato in unica copia ad B.E. , D.T.O. , D.T.T. , era stato notificato in modo invalido ai sensi dell’art. 330 c.p.c nel testo vigente al momento in cui il procedimento aveva avuto inizio, dispose la rinnovazione della notifica della citazione in appello nel termine perentorio del 31/10/2013. A seguito di rinnovo della notifica con ordinanza pubblicata in data 22/8/2014 la Corte d’Appello dispose la cancellazione della causa dal ruolo, osservando che le notificazioni dell’atto di citazione in appello, essendo nel frattempo decorso il termine lungo ai sensi dell’art. 330 c.p.c., u.c., avrebbero dovuto essere fatte alla parte personalmente che essendo nulla la notifica non era possibile assegnare un termine ulteriore nè rimettere in termini la parte che l’art. 291 c.p.c. si applica anche in sede di appello. Gli eredi P. provvedevano allora a riassumere il giudizio ex art. 125 disp. att. c.p.c. e la Corte d’Appello, definitivamente pronunciando sulla domanda del ricorso in riassunzione, lo ha dichiarato inammissibile, in quanto il provvedimento di cancellazione della causa dal ruolo ai sensi dell’art. 291 c.p.c., comma 2 e art. 307 c.p.c., comma 3, implica l’automatica estinzione del processo senza alcuna possibilità di riassunzione. Tal estinzione è immediata ed opera anche in difetto di formulazione di una relativa eccezione Cass. n. 7640/2015 . Avverso la sentenza P.A. ed D.M.E. propongono ricorso per cassazione affidato a due motivi. Resistono con separati controricorsi Generali Italia S.p.A., Anas S.p.A. e R.L. e A. . Gli eredi P. hanno depositato ex art. 372 c.p.c. documentazione riguardante la variazione della denominazione sociale della intimata Darag Italia S.p.A. già Ergo, già Bayerische mai costituita in giudizio e memoria difensiva anche Anas ha depositato memoria. Ragioni della decisione 1.Con il primo motivo censurano la sentenza per violazione e o falsa applicazione dell’art. 307, commi 3 e 4 nella formulazione precedente alla novella di cui alla L. n. 69 del 20091, c.p.c., anche in relazione agli artt. 291 e 359 c.p.c., nonché di qualsiasi altra norma e principio in tema a di rilevabilità da parte del Giudice, dell’estinzione soltanto su eccezione sollevata dalla parte interessata e non d’ufficio, b e di ammissibilità della riassunzione e della riattivazione del giudizio di cui sia stata disposta la cancellazione della causa dal ruolo anche nel grado di appello art. 307 c.p.c., commi 1 e 2, e art. 359 c.p.c. con riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 . 2. Con il secondo motivo denunciano violazione e o falsa applicazione dell’art. 307, commi 1, 2 e 3 nella formulazione precedente alla novella di cui alla L. n. 69 del 2009, e 359 c.p.c., anche in relazione agli artt. 291 e 181 c.p.c. egualmente nella formulazione anteriore a tale novella, nonché di ogni altra norma e principio in tema di ammissibilità della riassunzione del giudizio di appello in ipotesi di cancellazione della causa dal ruolo art. 360 c.p.c., n. 3 . Con i due motivi i ricorrenti censurano la sentenza nella parte in cui ha ritenuto che l’estinzione del giudizio opera d’ufficio, ai sensi dell’art. 307 c.p.c., commi 3 e 4 e non anche su eccezione di parte, applicabile ratione temporis nel testo antecedente la novella del 2009, essendo il giudizio in uno stato di quiescenza conseguente alla cancellazione della causa dal ruolo. La Corte d’Appello avrebbe errato nell’affermare che il provvedimento di cancellazione automatica esclude la possibilità di riassunzione, in quanto l’estinzione opera di diritto, anche in difetto di una relativa eccezione. A sostegno di tale tesi citano una sentenza di questa Corte n. 10609 del 20/4/2010 secondo la quale, nel regime antecedente la novella del 2009, non è possibile assegnare all’ordinanza di cancellazione della causa dal ruolo il contenuto sostanziale di sentenza, di guisa che erroneamente il giudice d’appello avrebbe dichiarato inammissibile la riassunzione. Assumono anche che sarebbe errata la statuizione di impossibilità di riassunzione e l’automaticità dell’estinzione, anche in difetto di una relativa eccezione. Infine, con il secondo motivo ribadiscono che dall’esame dell’art. 307 c.c. e dell’art. 291 c.p.c., vigenti ante novella del 2009, la sentenza avrebbe errato nell’escludere la possibilità della riassunzione. 1.1 I motivi sono inammissibili perché privi di una ragionevole possibilità di accoglimento. La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nel senso di escludere che la mancata integrazione del contraddittorio a parti litisconsorti necessarie, determinata nel caso in esame dall’avvenuta notifica dell’atto al difensore e non alle parti personalmente, come imposto dall’ultimo comma dell’art. 330 c.p.c., determina la cancellazione della causa dal ruolo e l’estinzione automatica del giudizio senza possibilità per la parte di ottenere un nuovo termine per la riassunzione. Si veda a tal proposito la sentenza Cass., 2, n. 7460 del 14/4/2015 secondo la quale Il termine concesso dal giudice per l’integrazione del contraddittorio nei casi previsti dall’art. 102 c.p.c. ha natura perentoria e non può essere nè rinnovato, nè prorogato ai sensi dell’art. 153 c.p.c., sicché, in caso di mancata integrazione del contraddittorio nei confronti del litisconsorte necessario, il provvedimento di cancellazione della causa dal ruolo emesso dal giudice ex art. 291 c.p.c., comma 3, e art. 307, comma 3, comporta la contemporanea ed automatica estinzione del processo, anche in difetto di eccezione di parte, senza alcuna possibilità di riassunzione, trattandosi di un provvedimento che implica una pronuncia di mero rito ricognitiva dell’impossibilità di proseguire la causa in mancanza di una parte necessaria si veda anche Cass., 2, n. 10246 del 18/10/1997 Cass., 2 n. 3497 del 10/4/1999 Cass., 5, n. - 15062 del 5/8/2004, Cass., 1, n. 625 del 14/1/2008 . La pronuncia in esame ha ritenuto che il provvedimento di cancellazione della causa dal ruolo, ai sensi dell’art. 291 c.p.c., comma 2 e art. 307 c.p.c., comma 3, implica contemporanea e automatica estinzione del processo, senza alcuna possibilità di riassunzione. Tale estinzione è immediata ed opera anche in difetto di formulazione di una relativa eccezione Cass. n. 7640/2015 . La pronuncia è del tutto coerente con la giurisprudenza di questa Corte sicché essa va confermata. 2. Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile. È possibile disporre, per giusti motivi, la compensazione delle spese. Occorre altresì disporre, a carico dei ricorrenti, il cd. raddoppio del contributo unificato. P.Q.M. La Corte dichiara il ricorso inammissibile compensa le spese del giudizio di cassazione. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.