Il preliminare di compravendita non è soggetto a revocatoria ordinaria

Il contratto preliminare di vendita di un immobile non produce effetti traslativi e non è dunque qualificabile come atto di disposizione del patrimonio assoggettabile ad azione revocatoria ordinaria, la quale può invece avere ad oggetto il successivo contratto definitivo.

Così la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 17067/19, depositata il 26 giugno. La vicenda. Una banca agiva in giudizio, in qualità di creditrice del promissario venditore, fideiussore di una società in stato di liquidazione, per la revocazione di un contratto preliminare di vendita avente ad oggetto un immobile. La domanda veniva accolta sia in primo che in secondo grado. La promissaria acquirente ha quindi proposto ricorso per cassazione. Azione revocatoria e contratto preliminare. Tra i motivi di ricorso viene lamentato il fatto che la Corte di merito abbia ritenuto il preliminare di vendita compreso tra gli atti soggetti a revocatoria ordinaria. Tale affermazione non viene condivisa dagli Ermellini che ritengono fondata la censura sottolineando che il contratto preliminare di vendita di un immobile non produce effetti traslativi e non è dunque qualificabile come atto di disposizione del patrimonio assoggettabile ad azione revocatoria ordinaria. Quest’ultima potrebbe infatti avere ad oggetto l’eventuale contratto definitivo di compravendita successivamente stipulato. Per riprendere le parole della Corte la sussistenza del presupposto dell’ eventus damni per il creditore va accertata con riferimento alla stipula del contratto definitivo, mentre l’elemento soggettivo richiesto dall’art. 2091 c.c. in capo all’acquirente va valutato con riguardo al momento della conclusione del contratto preliminare, momento in cui si consuma la libera scelta delle parti . Tale conclusione, seppur non univoca nella giurisprudenza e nella dottrina, viene condivisa dalla decisione in commento che dà atto di come tra il contratto preliminare ed il definitivo possano intervenire altre vicenda a segnare l’estinzione del creditore e che sarebbero ingiustamente irrilevanti se fosse revocato il preliminare. Viene inoltre precisato che non vale in senso opposto la considerazione che il preliminare è soggetto a trascrizione, in quanto adempimento rilevante ai soli fini di pubblicità dell’atto che non trasforma la stipulazione preliminare in atto di disposizione né toglie valore al fatto che il danno si debba verificare al momento del definitivo e non prima di esso . Per questi motivi, la Corte accoglie il ricorso e rinvia alla Corte d’Appello in diversa composizione.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 29 aprile – 26 giugno 2019, n. 17067 Presidente Amendola – Relatore Cricenti Fatti di causa MPS Gestione Crediti ha agito per la revocazione di un contratto preliminare di vendita che D.F. ha stipulato con C.A. , con atto notarile del 10.5.2001, cedendo a quest’ultima l’unico suo immobile di proprietà, sito nel Comune di Prato. MPS ha agito come creditrice del D. , il quale si era costituito fideiussore della società Lanificio Dienneci s.r.l., e che, dopo l’insolvenza di quest’ultima, aveva messo in mora il garante con atto del 10.5.2001, quindi coevo al contratto preliminare oggetto di revocazione. Il Tribunale, in primo grado, ha accolto la domanda ravvisando nell’atto di vendita preliminare un danno per la banca, sorretto dalla volontà del promittente di sottrarsi alla garanzia e dalla conoscenza della elusività della vendita da parte della promissaria acquirente. La Corte di appello ha confermato questa decisione, ma attraverso rationes decidendi ulteriori e diverse. In primo luogo, la corte di secondo grado ha ritenuto tardiva l’eccezione, fatta dalla C. , circa la non assoggettabilità a revocazione del contratto preliminare, in quanto fatta per la prima volta in comparsa conclusionale. In secondo luogo, entrando però poi nel merito della eccezione, ha ritenuto il contratto preliminare, al pari di quello definito, un atto passibile di revocazione. La sola promissaria acquirente, C.A. , ricorre per cassazione con quattro motivi. V’è costituzione di MPS, con controricorso. Ragioni della decisione 1.- Merita osservare come la corte di appello, in primo luogo, ritiene che la questione della proponibilità dell’azione revocatoria verso il preliminare è tardiva, se proposta, come ha fatto la ricorrente, per la prima volta con la comparsa conclusionale in appello. Si tratterebbe infatti di un tema nuovo, che amplia l’ambito del decidere, e quindi modifica la domanda. Tuttavia, pur ritenendo tardiva la questione rectius, l’eccezione , la corte entra comunque nel merito, e ritiene che il contratto preliminare costituisca, al pari del definitivo, un atto soggetto ad azione revocatoria, per i suoi anticipati effetti traslativi. 2.- La ricorrente propone avverso tali rationes decidendi tre dei quattro motivi di ricorso. Il primo contesta erronea interpretazione degli artt. 112, 113 e 345 c.p.c., norme che, se correttamente intese, non rendono inammissibile per tardività la eccezione di improponibilità della revocazione del contratto preliminare. Si tratterrebbe, invero, a differenza di quanto opinato dalla corte di merito, di una eccezione in senso lato, in quanto eccezione che introduce una questione giuridica e non amplia il tema della decisione. Il ricorrente, nel merito, con il secondo motivo, ritiene che il preliminare è atto non traslativo e dunque non idoneo a generare la sottrazione del bene alla garanzia del creditore. E dunque postula una erronea interpretazione dell’art. 2901 c.c Entrambi i motivi sono fondati. 2.1.- Quanto al primo motivo, la corte di merito ha ritenuto tardiva la questione sollevata dal ricorrente secondo cui il preliminare non rientra nel novero degli atti soggetti a revocatoria ordinaria. Secondo la corte si tratterebbe di un tema nuovo, come tale inammissibile se proposto per la prima volta con la comparsa conclusionale. La tesi del giudice di merito è del tutto infondata. La questione di quali siano gli atti che, ai sensi dell’art. 2901 c.c., ponendosi come atti di disposizione del patrimonio, sono soggetti a revocatoria, è una questione di interpretazione dell’ambito di questa norma. L’argomento secondo cui non vi farebbero parte i contratti preliminari è un argomento che dunque sollecita una diversa interpretazione della norma di riferimento, sulla base degli stessi fatti già esistenti e già acquisiti al processo, e non di fatti nuovi ed ulteriori. Per meglio dire, il ricorrente, nel porre la questione di come si debba intendere l’espressione atti di disposizione del patrimonio di cui all’art. 2901 c.c. suggerisce di intendere la norma in un senso anziché in un altro, e dunque pone una questione di mera interpretazione della disposizione di riferimento. Si tratta dunque di argomenti difensivi che mirano, in base ai fatti già allegati, a proporre un’alternativa interpretazione della norma, e che, se anche assumessero la veste di una eccezione in quanto volti a paralizzare la pretesa altrui di certo integrerebbero una eccezione in senso lato, che nè la legge, nè la natura stessa della eccezione, pongono come proponibile a pena di decadenza entro certi termini. Su questo ultimo punto va ricordato che secondo una regola ormai risalente Cass. sez. U. 1099 del 1998 seguita fino a Cass. 27405/2018 , si tratterebbe della eccezione di un fatto che, già allegato al processo ossia la revocazione del preliminare rientra nel potere di rilevazione del giudice, posto che non è integrativo della fattispecie difensiva, nè una norma impone l’onere alla parte di formulare l’eccezione entro un dato termine. Va tuttavia considerato che, pur se espressamente enunciata in comparsa conclusionale, la questione della revocabilità del preliminare era stata comunque posta nel corso del giudizio di appello. 2.2.- Ciò posto, è fondato anche il secondo motivo. Invero il contratto preliminare di vendita di un immobile non produce effetti traslativi e, conseguentemente, non è configurabile quale atto di disposizione del patrimonio, assoggettabile all’azione revocatoria ordinaria, che può, invece, avere ad oggetto l’eventuale contratto definitivo di compravendita successivamente stipulato pertanto, la sussistenza del presupposto dell’ eventus damni per il creditore va accertata con riferimento alla stipula del contratto definitivo, mentre l’elemento soggettivo richiesto dall’art. 2901 c.c. in capo all’acquirente va valutato con riguardo al momento della conclusione del contratto preliminare, momento in cui si consuma la libera scelta delle parti Cass. 15215/2018 . L’orientamento merita di essere condiviso, nonostante alcune contrarie opinioni dottrinali. Infatti, a suo sostegno opera intanto un argomento letterale, che vuole assoggettabili a revoca solo gli atti di disposizione. È noto cosa si intende per atto di disposizione, vale a dire un atto che segna la risoluzione del rapporto tra un bene ed il suo titolare venditore, ad esempio e la ricostituzione di questo rapporto in capo ad altro titolare ad esempio, acquirente . Il contratto preliminare non opera una vicenda simile, non risolve il rapporto tra il bene ed il suo titolare, e di conseguenza non è immediata causa della vicenda successiva, la ricostituzione di quel rapporto in capo ad altro diverso soggetto. Si può obiettare che l’interpretazione letterale è inadeguata, e che occorre invece considerare lo scopo della operazione economica, in quanto con il preliminare il promittente assume impegno di vendere, e questo impegno è già un peso nel suo patrimonio, una sorta di vincolo sul bene che prelude alla sottrazione di quest’ultimo alla garanzia del creditore. Ma questa obiezione è poco perspicua, in quanto da un lato dovrebbe, per coerenza, comportare l’ascrizione al novero degli atti revocabili di ogni assunzione di obbligazione, contro la ratio stessa della norma, ma soprattutto non tiene conto del fatto che, proprio per via della sequenza tra preliminare e definitivo, solo quest’ultimo può costituire un danno per il creditore. Infatti, tra il preliminare ed il definitivo ben possono intervenire vicende che segnano l’estinzione del credito, e che sarebbero ingiustamente irrilevanti se fosse revocato il preliminare. Ciò non comporta che il preliminare sia atto irrilevante ai fini della revocatoria, in quanto, pur dovendosi considerare come atto di disposizione il definitivo, proprio perché il preliminare è già un vincolo preordinato ad una disposizione patrimoniale, gli stati soggettivi vanno verificati al momento del preliminare, poiché è in quel momento che si forma la volontà di disporre, sebbene l’effetto non sia ancora prodotto. Naturalmente su questa ricostruzione non può pesare la circostanza che il preliminare è oggi atto soggetto a trascrizione, che, come è noto, rileva solo per la pubblicità dell’atto, e che non trasforma la stipulazione preliminare in atto di disposizione nè toglie valore al fatto che il danno si debba verificare, per le ragioni già dette, al momento del definitivo e non prima di esso. La trascrizione, del resto, non aggiunge nulla alla tesi, qui avversata, che sia sufficiente l’assunzione dell’obbligo di contrarre a manifestare danno per il creditore se è sufficiente l’assunzione dell’obbligo non v’è ragione di invocare la trascrivibilità di tale impegno. E dunque è argomento inutile per la stessa tesi favorevole alla revocatoria. Il terzo motivo, proponendo la stessa questione sotto diverso vizio, è da considerarsi assorbito, e cosi il quarto che attiene al regime delle spese, e che viene meno dovendosi rinviare la causa al giudice di merito, per gli accertamenti di fatto imposti dalla diversa regola di giudizio. Il ricorso va dunque accolto e, cassata la sentenza, la causa va rinviata alla corte di appello di Firenze. P.Q.M. La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso, dichiara assorbiti gli altri, cassa e rinvia alla corte di appello di Firenze in diversa composizione anche per le spese.