L’eccezione di tardività della riassunzione del giudizio deve essere eccepita subito

L’estinzione del processo per tardiva riassunzione può essere dichiarata dal giudice solo se eccepita dalla parte interessata prima di ogni altra istanza o difesa nel medesimo grado di giudizio in cui si verificati i fatti che hanno dato luogo all’estinzione e, pertanto, non può essere dedotta e rilevata in sede di impugnazione.

Così la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 16144/19, depositata il 17 giugno. La fattispecie. Nel caso in esame l’avvocato, nel corso dell’udienza di precisazione delle conclusioni, depositava l’atto con cui era stato notificato il decesso dell’assistito e la Corte d’Appello, dopo aver trattenuto la causa in decisione, emetteva ordinanza di interruzione del processo con effetto dalla data di notifica dell’evento interruttivo alle controparti. Il ricorso per riassunzione veniva notificato oltre tre mesi dopo la notizia del decesso della parte e, pertanto, le altre parti eccepivano la tardività della stessa e, in accoglimento di tale eccezione, il Giudice di gravame dichiarava l’estinzione del giudizio. L’art. 300 del codice di rito e l’individuazione del dies a quo del decorso del termine per la riassunzione del giudizio. La morte, o la perdita della capacità processuale della parte costituita, dichiarata in udienza o notificata alle altre parti dal suo legale produce, ai sensi dell’art. 300, comma 2, c.p.c. l’effetto automatico dell’interruzione del processo dal momento di tale dichiarazione o notificazione. Ne consegue che il termine per la riassunzione decorre dal momento della dichiarazione, o della notificazione dell’evento, alle altre parti senza che abbia alcun rilievo il momento in cui venga emesso il provvedimento dichiarativo dell’intervenuta interruzione. L’eccezione di estinzione. Inoltre la Corte ha argomentato che la tardività della riassunzione del giudizio può essere eccepita unicamente con la prima difesa disponibile a seguito della riassunzione stessa e, ove non sollevata, non può essere utilizzata come motivo di gravame. Ne consegue che la parte ha l’onere di eccepire immediatamente, a pena di decadenza, tale circostanza nella prima difesa successiva alla riassunzione del giudizio.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 8 novembre 2018 – 17 giugno 2019, n. 16144 Presidente Frasca – Relatore Scrima Fatti di causa M.I. propose appello avverso la sentenza del Tribunale di Palmi n. 269/06 emessa nel procedimento per querela di falso NRG 891/02 che, in accoglimento della domanda proposta da C.A. , aveva dichiarato la falsità della scrittura privata del 14 maggio 1987 tra il C. e il M. , avente ad oggetto la vendita in favore di quest’ultimo, del complesso immobiliare sito in VV per la somma di Euro 60.000,00. L’appellato si costituì resistendo al gravame con comparsa di risposta depositata in data 9 novembre 2006. Con ordinanza del 19-30 giugno 2008, rigettate le richieste istruttorie, la causa venne rinviata per la precisazione delle conclusioni, all’udienza del 9 gennaio 2014. Nelle more i procuratori costituiti di C.A. dichiararono il decesso del loro assistito, avvenuto in data omissis , con atto notificato ai procuratori costituiti dell’appellante in data 15 dicembre 2008. All’udienza del 9 gennaio 2014 si costituì l’avv. Rotolo in sostituzione dei procuratori già nominati dal M. , che avevano rinunciato al mandato, l’avv. Prestia depositò l’atto con cui era stato notificato al M. il decesso del C. e la causa venne rinviata per la precisazione delle conclusioni al 30 gennaio 2014. A tale ultima udienza la causa venne assunta in decisione con l’assegnazione dei termini ridotti a 20+20 ex art. 190 c.p.c Con ordinanza depositata il 20 marzo 2014 la Corte di appello dichiarò l’interruzione del giudizio con effetto dal 15 dicembre 2008, dando atto che medio tempore e sino alla pronuncia di tale ordinanza nessuna delle parti aveva riassunto la lite e che non poteva aver luogo alcuna dichiarazione di estinzione, pur sussistendone il presupposto e nonostante l’istanza degli avv. Misasi e Prestia, atteso il difetto di legittimazione a tanto dei detti professionisti, in quanto si era ormai esaurita - dal giorno della predetta notificazione del decesso del loro assistito - quella derivante in ultrattività del mandato loro conferito dal predetto. Con ricorso in riassunzione depositato il 27 marzo 2014 il nuovo difensore del M. chiese la fissazione di una nuova udienza, intendendo riassumere il giudizio. Con atto di citazione in riassunzione, notificato in data imprecisata come si legge nella sentenza impugnata in questa sede v. p. 2 ma comunque successiva al 27 marzo 2014 e anteriore al 18 novembre 2014, M.I. convenne in giudizio, dinanzi alla Corte di merito, C.V. , nella qualità di erede di C.A. , riproponendo le domande, eccezioni e deduzioni disattese dal Tribunale di Palmi con la sentenza n. 269/06. C.V. si costituì chiedendo la declaratoria di estinzione dell’impugnazione per tardività della riassunzione. La Corte di appello di Reggio Calabria, con sentenza n. 202/2017, depositata il 24 marzo 2017, dichiarò estinto il procedimento iscritto in grado di appello al n. 366/2006 e condannò l’appellante alle spese di quel grado. Avverso la sentenza della Corte di merito M.I. ha proposto ricorso per cassazione, basato su un unico motivo e illustrato da memoria, cui ha resistito C.V. , nella predetta qualità, con controricorso. La proposta del relatore è stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c Ragioni della decisione 1. In disparte i profili di improcedibilità del ricorso ex art. 369 c.p.c., per mancato deposito - sia da parte del ricorrente che del controricorrente - della copia autentica della sentenza impugnata con la relazione di notificazione, che si assume avvenuta in data 5 maggio 2017 v. Cass., sez. un., 2/05/2017, n. 10648, alla luce di Cass. 15/09/2017, n. 21386 , evidenziandosi che la notifica del ricorso risulta essere stata effettuata in data 29 giugno 2017 v. Cass., sez. un., 24/09/2018, n. 22438, § 25 , si rileva che, comunque, il ricorso all’esame è manifestamente infondato. 2. Con l’unico motivo proposto si lamenta Violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3, con riferimento agli artt. 77, 300, 307 c.p.c., art. 1722 c.c. . Il ricorrente sostiene, in particolare, che il decesso di C.A. , avvenuto e dichiarato nel corso del processo, determinando l’estinzione del mandato e della connessa procura alle liti, avrebbe comportato il venir meno di ogni potere sostanziale ed eventualmente processuale ex art. 77 c.p.c., del mandatario procuratore, sicché la mancanza di ius postulandi avrebbe privato il procuratore della possibilità di chiedere la precisazione delle conclusioni e l’estinzione del giudizio, in mancanza di conferimento di mandato da parte degli eredi di C.A. , ed infatti la Corte di merito, preso atto dell’avvenuto decesso del predetto, aveva dichiarato l’interruzione del giudizio. Nè, ad avviso del ricorrente, una volta riassunto il giudizio, potrebbe essere dichiarata l’estinzione del processo per omessa riassunzione giacché il Giudice può dichiararla solo se eccepita dalla parte interessata nel medesimo giudizio in cui si sono verificati i fatti che hanno dato luogo all’estinzione. Pertanto, secondo il M. , la sentenza impugnata, che ha dichiarato l’estinzione del giudizio, a suo dire, regolarmente dichiarato interrotto e tempestivamente riassunto, sarebbe illegittima. 2.1. Questa Corte ha già avuto modo di affermare che la morte o la perdita della capacità processuale della parte costituita, dichiarata in udienza o notificata alle altre parti dal suo procuratore, produce, ai sensi dell’art. 300 c.p.c., comma 2, l’effetto automatico dell’interruzione del processo dal momento di tale dichiarazione o notificazione, ed il conseguente termine per la riassunzione, come previsto in generale dall’art. 305 c.p.c., decorre dal momento della dichiarazione o della notificazione dell’evento alle altre parti, senza che abbia alcuna efficacia, a tal fine, il momento nel quale venga adottato o conosciuto il provvedimento giudiziale dichiarativo dell’intervenuta interruzione Cass., sez. un., 20/03/2008, n. 7443 Cass. 15/01/2013, n. 773 . Questa medesima Corte ha, altresì, precisato che, nell’ipotesi di morte o perdita della capacità della parte costituita, la dichiarazione dell’evento interruttivo può essere validamente effettuata dal difensore della parte colpita da esso al difensore della controparte, ai sensi del combinato disposto degli artt. 170 e 300 c.p.c., ed il termine per la riassunzione decorre da tale data, nella quale si realizza la conoscenza legale dell’evento interruttivo, e non da quella della formale dichiarazione di interruzione del processo Cass., ord., 15/09/2017, n. 21375 . 2.2. Alla luce dei ricordati principi e tenuto conto che, come evidenziato nella sentenza impugnata, la causa era già stata rinviata - con l’ordinanza del 19-30 giugno 2008 - all’udienza del 9 gennaio 2014, per la precisazione delle conclusioni, e che la notifica alla controparte del decesso di C.A. è avvenuta, come affermato dallo stesso ricorrente v. p. 2 del ricorso , a cura della difesa del C. , in data 15 dicembre 2008, si osserva che correttamente la Corte di merito, dopo aver assunto la causa in decisione all’udienza del 30 gennaio 2014, cui la causa era stata rinviata dall’udienza già fissata per la precisazione delle conclusioni del 9 gennaio 2014 v. sentenza impugnata p. 3 , con l’ordinanza del 17-20 marzo 2014, di fronte alla comparizione del difensore del ricorrente ed a quella dei difensori del de cuius, ritenne, in sostanza, irrilevante l’istanza di costoro volta alla declaratoria di estinzione del giudizio, essendo venuto meno lo ius postulandi dei predetti, in quanto era venuta meno la cd. ultrattività del mandato dal 15 dicembre 2008, e cioè dalla data di notifica alla controparte del decesso del loro assistito, e, dando rilievo a tale notifica, dichiarò il processo interrotto con effetto dal 15 dicembre 2008. Si osserva, altresì, che altrettanto correttamente la Corte territoriale ha, poi, dichiarato estinto il giudizio, una volta che, a seguito della notifica del ricorso per riassunzione, depositato il 27 marzo 2014, il difensore dell’attuale controricorrente, costituendosi, ha eccepito tale estinzione per tardività della riassunzione, ritenendo quella Corte fondata tale eccezione. Al riguardo si deve, infatti, in base ai principi sopra richiamati e che vanno ribaditi in questa sede, far riferimento, come dies a quo, ai fini della decorrenza del termine perentorio di cui all’art. 305 c.p.c., al momento della notifica, alla controparte, della morte del C. , notifica avvenuta, come più volte già rimarcato, in data 15 dicembre 2008, ed essendosi ormai verificato l’effetto estintivo dal 15 giugno 2009, come pure evidenziato dalla Corte di appello. Si precisa che, essendo stata eccepita l’estinzione del processo nel corso del giudizio di appello iniziato nel 2006 , in cui pure si è verificato il decesso di C.A. avvenuto in data OMISSIS , come dedotto dallo stesso ricorrente, v. ricorso, p. 2, e confermato dal controricorrente, v. controricorso, p. 1 e 2 , va disattesa, perché non corrispondente a quanto accaduto nella specie, la tesi del ricorrente, secondo cui la sentenza impugnata sarebbe illegittima, in quanto il giudice potrebbe, a suo dire, dichiarare l’estinzione del processo per omessa riassunzione solo se eccepita dalla parte interessata nel medesimo giudizio in cui si sono verificati i fatti che hanno dato luogo all’estinzione . Inoltre, non risulta pertinente il richiamo giurisprudenziale posto a supporto di tale tesi, avendo questa Corte, con la sentenza 1/10/2002 n. 14087, cui al riguardo ha fatto riferimento il M. , affermato il principio così ufficialmente massimato L’estinzione del processo per tardiva riassunzione può essere dichiarata dal giudice solo se eccepita dalla parte interessata prima di ogni altra sua istanza o difesa nel medesimo grado di giudizio in cui si sono verificati i fatti che hanno dato luogo all’estinzione, la quale pertanto non può esser dedotta e rilevata in sede di impugnazione. Nella fattispecie, la S.C. ha ritenuto tardiva l’eccezione, proposta dalla parte soltanto con l’atto di appello, essendosi il fatto estintivo verificato tra l’udienza di precisazione delle conclusioni e l’udienza collegiale di discussione in primo grado e non avendo la parte proposto l’eccezione a quest’ultima udienza . 3. Il ricorso va, pertanto, rigettato. 4. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, evidenziandosi che la causa, il cui valore dichiarato dal ricorrente è stato contestato dal controricorrente ai fini della liquidazione delle spese giudiziali v. III del controricorso, p. 6 , deve ritenersi di valore indeterminabile, alla luce del principio affermato da Cass. 23/06/2017, n. 15642, che il Collegio ritiene applicabile in tema di querela di falso, sia se proposta in via principale, sia se proposta in via incidentale. 5. Il controricorrente ha chiesto pure la condanna del ricorrente ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3. Osserva il Collego che tale norma non è applicabile ratione temporis nel caso all’esame, in quanto il predetto comma 3 è stato aggiunto all’art. 96 c.p.c., dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 12, a decorrere dal 4 luglio 2009 e, ai sensi della predetta L., art. 58, comma 1, tale disposizione si applica ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore, mentre la presente causa risulta iniziata in primo grado nel 2002, come si evince dal NRG 891/2002 con cui la stessa risulta essere stata iscritta presso il Tribunale di Palmi v. sentenza impugnata p. 2 . 6. Sussistono, invece, le condizioni per la condanna del ricorrente ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 4, norma introdotta dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 13, successivamente abrogata dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46, comma 20, ed applicabile al ricorso all’esame ratione temporis. Si evidenzia, infatti, che tale abrogazione è efficace, ai sensi della stessa L., art. 58, comma 1, soltanto per i ricorsi per cassazione proposti dopo l’entrata in vigore di detta legge contro provvedimenti pronunciati nell’ambito di giudizi introdotti in primo grado dopo di essa la norma abrogata ha, invece, continuato a disciplinare i ricorsi per cassazione proposti contro sentenze o provvedimenti pubblicati a far tempo dal 2 marzo 2006 D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27, comma 2 , ed anche dopo l’entrata in vigore della L. n. 69 del 2009, in giudizi instaurati in primo grado anteriormente a quest’ultima Cass. 11/03/2014, n. 55999 , come nel caso all’esame. Si osserva, inoltre, che la condanna ai sensi della norma in esame, a differenza di quella comminabile ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 1, non richiede la domanda di parte nè la prova del danno, ma tuttavia esige pur sempre, sul piano soggettivo, la malafede o la colpa grave della parte soccombente, la quale ultima sussiste anche nell’ipotesi di violazione del grado minimo di diligenza che consente di avvertire facilmente l’infondatezza o l’inammissibilità della propria domanda. Ebbene, la violazione del grado minimo di diligenza è certamente riscontrabile allorché, come nel caso di specie, con il ricorso per cassazione vengano formulate censure le quali, non solo sono manifestamente infondate o manifestamente inammissibili, ma appaiono basate su di un evidente errore nell’interpretazione di norme sostanziali o processuali in spregio al consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità, traducendosi in tal caso la proposizione del ricorso per cassazione oggettivamente in un abuso dei rimedi processuali, in quanto comporta un ingiustificato aggravamento del sistema giurisdizionale e un inutile dispendio di attività processuale, che hanno l’effetto di determinare un aumento del volume del contenzioso e, conseguentemente, di ostacolare la possibilità di definire in tempi ragionevoli i processi pendenti. Il ricorrente, pertanto, va condannato, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 4, al pagamento della somma di Euro 3.000,00 equitativamente determinata. 7. Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge, nonché al pagamento di Euro 3.000,00, ex art. 385 c.p.c., comma 4 ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.