Compensazione delle spese: «giusti motivi» impliciti nella motivazione complessiva del provvedimento

In tema di procedimento avanti il Garante della Privacy ante d.lgs. n. 101/2018 il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese per giusti motivi deve trovare un adeguato supporto motivazionale, anche se, a tal fine, non è necessaria l'adozione di motivazioni specificamente riferite a detto provvedimento purché, tuttavia, le ragioni giustificatrici dello stesso siano chiaramente e inequivocabilmente desumibili dal complesso della motivazione adottata a sostegno della statuizione di merito o di rito .

Il caso. Tizio svolgeva un ricorso al Garante per la Protezione dei Dati Personali, ma quest'ultimo dichiarava il non luogo a provvedere sull’istanza compensando in parte le spese di lite. Tizio proponeva allora ricorso al Tribunale avverso tale provvedimento contestando la compensazione. Il Tribunale respingeva il gravame e la parte ricorreva infine in Cassazione. Il ricorso in Cassazione si basa sull'asserita violazione e falsa applicazione dell'art. 92 c.p.c. e dell'art. 149, comma 2, d.lgs. n. 196/2003 in tema di regolazione delle spese di lite nei procedimenti dinanzi al Garante della Privacy. Secondo il ricorrente il Garante aveva errato compensando le spese senza indicare i giusti motivi a fondamento di simile statuizione. In primo luogo la Corte valuta la procedibilità del gravame dato che il ricorrente non aveva prodotto con il ricorso in Cassazione la copia autentica della decisione impugnata. Nello specifico la parte aveva prodotto solo una stampa della sentenza del Tribunale senza però una certificazione di conformità, né da parte del cancelliere, né da parte del difensore ai sensi dell'art. 16- bis , comma 9- bis , d.l. n. 179/2012. Il ricorrente ha provveduto a depositare tale ultima attestazione solo con la memoria ex art. 372 c.p.c. in vista dell'udienza fissata dinanzi alla Corte. Gli Ermellini giudicano comunque procedibile il ricorso richiamando il fondamentale arresto delle Sezioni Unite n. 22438/2018 a mente del quale Il deposito in cancelleria, nel termine di 20 giorni dall’ultima notifica, di copia analogica del ricorso per cassazione predisposto in originale telematico e notificato a mezzo posta elettronica certificata, senza attestazione di conformità del difensore ex art. 9, commi 1- bis e 1- ter , l. n. 53/1994 o con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non ne comporta l’improcedibilità ai sensi dell’art. 369 c.p.c. sia nel caso in cui il controricorrente anche tardivamente costituitosi depositi copia analogica di detto ricorso autenticata dal proprio difensore, sia in quello in cui, ai sensi dell’art. 23, comma 2, d.lgs. n. 82/2005, non ne abbia disconosciuto la conformità all’originale notificatogli. Anche ai fini della tempestività della notificazione del ricorso in originale telematico sarà onere del controricorrente disconoscere la conformità agli originali dei messaggi di PEC e della relata di notificazione depositati in copia analogica non autenticata dal ricorrente. Ove, poi, il destinatario della notificazione a mezzo PEC del ricorso nativo digitale rimanga solo intimato, il ricorrente potrà depositare, ai sensi dell’art. 372 c.p.c. e senza necessità di notificazione ai sensi del secondo comma della medesima disposizione , l’asseverazione di conformità all’originale ex art. 9, legge n. 53/1994 della copia analogica depositata sino all’udienza di discussione art. 379 c.p.c. o all’adunanza in camera di consiglio artt. 380- bis , 380- bis .1 e 380- ter c.p.c. . In difetto, il ricorso sarà dichiarato improcedibile. Nel caso in cui il destinatario della notificazione a mezzo PEC del ricorso nativo digitale depositi il controricorso e disconosca la conformità all’originale della copia analogica informe del ricorso depositata, sarà onere del ricorrente, nei termini anzidetti sino all’udienza pubblica o all’adunanza di camera di consiglio , depositare l’asseverazione di legge circa la conformità della copia analogica, tempestivamente depositata, all’originale notificato. In difetto, il ricorso sarà dichiarato improcedibile . In sostanza in mancanza di attestazione di conformità del ricorso nativo” digitale e notificato telematicamente a mezzo PEC , lo stesso non è dichiarato improcedibile se il controricorrente costituendosi non disconosce la copia analogica depositata dal ricorrente e priva quindi di attestazione di conformità o se, a propria volta, costituendosi con il controricorso depositi una copia analogica del ricorso notificato autenticata dal proprio difensore. Se invece il controricorrente disconosce la copia analogica non attestata prodotta dal ricorrente, sarà onere di quest'ultimo depositare ai sensi dell'art. 372 c.p.c. fino all'udienza o fino all'adunanza in camera di consiglio l'attestazione di conformità. Se l'intimato non dovesse costituirsi nel giudizio di Cassazione, il ricorrente potrà comunque evitare la pronuncia di improcedibilità depositando l'attestazione con relativa sottoscrizione fino all'udienza di discussione o fino all'udienza in camera di consiglio . Ciò anche nell'ipotesi in cui vi fossero più intimati e solo alcuni depositassero controricorso. Nel caso di specie - come detto - Tizio ha provveduto all’attestazione con la memoria ex art. 372 c.p.c. escludendo così ogni censura di improcedibilità. Spese del procedimento In ordine al tema della compensazione delle spese legali la Cassazione respinge il ricorso giudicandolo non fondato. In primo luogo gli Ermellini osservano che sulla regolamentazione delle spese nel procedimento dinanzi al Garante della Privacy occorre fare riferimento all'art. 152, d.lgs. n. 196/2003 applicabile ratione temporis alla fattispecie oggi abrogato dall'art. 15, d.lgs. n. 101/2018 che ha adeguato il codice in materia di protezione dei dati personali d.lgs. n. 196/2003 alle disposizioni del Regolamento UE 2016/679 . La norma del decreto specificava che in caso di adesione spontanea è dichiarato il non luogo a provvedere. Se il ricorrente lo richiede, è determinato in misura forfettaria l'ammontare delle spese e dei diritti inerenti al ricorso, posti a carico della controparte o compensati per giusti motivi anche parzialmente . Per comprendere cosa si intende per giusti motivi occorre però fare riferimento agli orientamenti sviluppatasi in argomento sull'art. 92 c.p.c. la norma peraltro a seguito di successive modifiche ha visto l’introduzione nel 2009 del concetto di gravi ed eccezionali ragioni per poi mutare complessivamente il tenore della disposizione nel 2014 . La giurisprudenza è arrivata così ad affermare che solo il diniego di compensazione può non essere motivato dal giudice, mentre l'esercizio del potere di compensazione deve essere necessariamente giustificato. In argomento si è però precisato che non è necessaria l'adozione di motivazioni specificamente riferite al provvedimento di compensazione purché le ragioni siano inequivocabilmente desumibili dal complesso della motivazione a sostegno della decisione di merito o di rito Cass., SSUU, n. 20598/2008 . Nel caso di specie secondo la Cassazione la motivazione complessiva del provvedimento del Garante rendeva manifesta la ragione della compensazione in particolare il Garante aveva affermato che il titolare del trattamento dei dati aveva dato riscontro alla richieste del ricorrente solo nel corso del procedimento stesso dimostrando come la compensazione delle spese fosse stata stabilita in virtù di tale condotta processuale e perciò il ricorso di Tizio viene respinto.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 14 marzo – 11 giugno 2019, n. 15712 Presidente Genovese – Relatore Di Marzio Fatti di causa 1. - Con sentenza del 25 maggio 2016 il Tribunale di Roma ha respinto il ricorso proposto da D.S.F. nei confronti del Garante per la protezione di dati personali e della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense contro il provvedimento con cui lo stesso Garante aveva dichiarato non luogo a provvedere su un ricorso ivi proposto dallo stesso D.S. , compensando in parte le spese di lite e ponendole a carico della Cassa per il solo ammontare di Euro 150,00. Il Tribunale, a fronte del ricorso con cui il D.S. aveva censurato la compensazione delle spese, ha osservato che la disposizione dettata dall’art. 92 c.p.c. non trova applicazione nei procedimenti destinati a svolgersi dinanzi al Garante, come si desume dalla stessa lettera dell’art. 149, comma 2, del codice della privacy, che fa riferimento alla possibilità di una compensazione delle spese per giusti motivi valutazione in sé difficilmente sindacabile , evenienza invece esclusa nel processo civile, sulla base del testo vigente del citato art. 92. 2. - Per la cassazione della sentenza D.S.F. ha proposto ricorso affidato ad un motivo ed ha depositato documenti e prodotto memoria. Il Garante per la protezione di dati personali ha resistito con controricorso. La Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense non ha spiegato difese. 3. - Il ricorso, avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., sulla base della proposta del relatore di dichiarazione di improcedibilità per mancato deposito della copia autentica della sentenza impugnata, è stato rimesso poi alla pubblica udienza. Ragioni della decisione 1. - Il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 149, comma 2, e della L. n. 241 del 1990, art. 3, censurando la sentenza impugnata per aver omesso di considerare che il Garante non aveva indicato quali fossero i giusti motivi tali da legittimare la disposta parziale compensazione. 2. - Il ricorso, diversamente da quanto già indicato nella proposta del relatore a seguito della quale era stata fissata udienza camerale di cui all’art. 380 bis c.p.c., non è improcedibile, pur avendo il ricorrente violato la previsione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, in forza del quale, insieme col ricorso, deve essere depositata a pena di improcedibilità copia autentica della sentenza impugnata, mentre, nel caso in esame, il deposito ha avuto ad oggetto una stampa della sentenza mancante della prescritta certificazione di conformità, sia ad opera del cancelliere, sia ad opera del difensore in applicazione del D.L. n. 179 del 2012, art. 16-bis, comma 9-bis convertito con modificazioni nella L. n. 221 del 2012 introdotto dal D.L. 24 giugno 2014, n. 90, art. 52, comma 1, lett. a , convertito con modificazioni dalla L. 11 agosto 2014, n. 114 . Tale ultima certificazione il ricorrente ha ritenuto di depositare soltanto con la nota di deposito ex art. 372 c.p.c. in vista dell’udienza del 5 luglio 2018. Nondimeno, ritiene il Collegio che, anche con riguardo alla sentenza impugnata debba farsi applicazione del principio già affermato dalle Sezioni Unite, secondo cui Il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notifica, di copia analogica del ricorso per cassazione predisposto in originale telematico e notificato a mezzo PEC, senza attestazione di conformità del difensore ex art. 9, commi 1 bis e 1 ter, della L. n. 53 del 1994 o con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non ne comporta l’improcedibilità ove il controricorrente anche tardivamente costituitosi depositi copia analogica del ricorso ritualmente autenticata ovvero non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all’originale notificatogli D.Lgs. n. 82 del 2005, ex art. 23, comma 2. Viceversa, ove il destinatario della notificazione a mezzo PEC del ricorso nativo digitale rimanga solo intimato così come nel caso in cui non tutti i destinatari della notifica depositino controricorso ovvero disconosca la conformità all’originale della copia analogica non autenticata del ricorso tempestivamente depositata, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità sarà onere del ricorrente depositare l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica sino all’udienza di discussione o all’adunanza in camera di consiglio Cass., Sez. Un., 24 settembre 2018, n. 22438 . Sicché è parimenti da ritenere che possa essere depositata nei predetti termini la certificazione di conformità del provvedimento impungato in effetti v. poi Cass., Sez. Un., 25 marzo 2019, n. 8312 . 3. - Il ricorso è infondato, corretta come segue la motivazione posta dal Tribunale a sostegno della decisione. Vale anzitutto osservare che il ricorrente non ha richiamato a proposito l’art. 92 c.p.c., che non trova nella specie applicazione, giacché il Garante ha provveduto sulle spese in applicazione non di detta norma - la quale più non contempla la compensazione sic et simpliciter per giusti motivi fin da quando la L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a , ha stabilito che i giusti motivi dovessero essere esplicitamente indicati nella motivazione -, bensì del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 152, oggi abrogato dal D.Lgs. 10 agosto 2018, n. 101, art. 15, comma 1, lett. c , n. 1 , il quale stabiliva che In caso di adesione spontanea è dichiarato non luogo a provvedere. Se il ricorrente lo richiede, è determinato in misura forfettaria l’ammontare delle spese e dei diritti inerenti al ricorso, posti a carico della controparte o compensati per giusti motivi anche parzialmente . Avuto riguardo alla formulazione letterale del citato art. 152, laddove si riferisce alla compensazione per giusti motivi , senza ulteriore specificazione, merita allora rammentare l’evoluzione giurisprudenziale manifestatasi con riguardo alla nozione di giusti motivi accolta illo tempore dall’art. 92 c.p.c., nel testo antecedente alla novella di cui si è detto ed a quelle successive che hanno condotto all’attuale testo della disposizione - peraltro emendato da Corte Cost. 19 aprile 2018, n. 77 -, che consente la compensazione nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti . Ebbene, l’interpretazione giurisprudenziale della norma riconosceva originariamente al giudice un amplissimo ed insindacabile potere discrezionale e ciò stava a significare che egli, nel disporre la compensazione per giusti motivi, non era sottoposto a nessun obbligo di motivazione, sicché neppure era tenuto ad indicare quali fossero i motivi giustificativi adottati a fondamento della compensazione. L’esigenza di evitare che la discrezionalità potesse sconfinare nell’arbitrio aveva poi indotto parte della giurisprudenza ad ammettere la sindacabilità della statuizione sulle spese quando il giudice avesse esplicitato i giusti motivi di compensazione ed essi fossero risultati illogici od incongrui. In seguito, l’atteggiamento della giurisprudenza è mutato. Questa Corte è giunta così ad affermare che solo il diniego di compensazione può non essere motivato viceversa, l’esercizio del potere di compensazione, per non risolversi in mero arbitrio, deve essere necessariamente motivato, nel senso che le ragioni in base alle quali il giudice abbia accertato e valutato la sussistenza dei presupposti di legge devono emergere, se non da una motivazione esplicitamente specifica , quantomeno da quella complessivamente adottata a fondamento dell’intera pronuncia, cui la decisione di compensazione delle spese accede. Questo il principio Nel regime anteriore a quello introdotto dal L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a , il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese per giusti motivi deve trovare un adeguato supporto motivazionale, anche se, a tal fine, non è necessaria l’adozione di motivazioni specificamente riferite a detto provvedimento purché, tuttavia, le ragioni giustificatrici dello stesso siano chiaramente e inequivocamente desumibili dal complesso della motivazione adottata a sostegno della statuizione di merito o di rito . Ne consegue che deve ritenersi assolto l’obbligo del giudice anche allorché le argomentazioni svolte per la statuizione di merito o di rito contengano in sé considerazioni giuridiche o di fatto idonee a giustificare la regolazione delle spese adottata, come - a titolo meramente esemplificativo - nel caso in cui si dà atto, nella motivazione del provvedimento, di oscillazioni giurisprudenziali sulla questione decisiva, ovvero di oggettive difficoltà di accertamenti in fatto, idonee a incidere sulla esatta conoscibilità a priori delle rispettive ragioni delle parti, o di una palese sproporzione tra l’interesse concreto realizzato dalla parte vittoriosa e il costo delle attività processuali richieste, ovvero, ancora, di un comportamento processuale ingiustificatamente restio a proposte conciliative plausibili in relazione alle concrete risultanze processuali Cass., Sez. Un., 30 luglio 2008, n. 20598 . Nel caso di specie il garante ha osservato che il titolare del trattamento aveva fornito idoneo riscontro alle richieste del ricorrente, seppur solo nel corso del procedimento , il che rende del tutto manifesto come la parziale compensazione sia stata disposta in ragione della condotta processuale della Cassa, adesiva alla domanda spiegata, sicché, come riconosce lo stesso ricorrente a pagina 4 del ricorso, la liquidazione è stata effettuata solo dell’importo documentato, quindi solo Euro 150,00, pari ai diritti di segreteria versati dal ricorrente con la presentazione del ricorso al Garante . E dunque la motivazione complessiva del provvedimento rende manifesta la ragione della disposta compensazione. È assorbita la censura concernente la violazione della L. n. 241 del 1990, art. 3. Resta da dire che non vanno esaminate le istanze di rinvio pregiudiziale svolte dal ricorrente nella memoria del 28 giugno 2018, giacché svolte sul presupposto della trattazione camerate del ricorso, che, come si è visto, è stato invece rimesso alla pubblica udienza. 3. - Le spese meritano di essere compensate in ragione dell’assenza di specifici precedenti in termini. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato. P.Q.M. rigetta il ricorso, dichiarando, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.