Anche asfaltare la strada può essere considerata opera pubblica o di pubblica utilità ai fini espropriativi

Le trasformazioni di una strada, nello specifico renderla asfaltata da parte del civico ente nell’ambito di una procedura espropriativa, che incida sull’accesso di una proprietà privata, non può essere considerata quale mera modifica alla viabilità, per integrare invece una vera e propria opera pubblica ex art. 46, l. n. 2359/1865.

La vicenda processuale. I fatti di causa possono essere così sintetizzati. Il proprietario di un immobile lamentava che la P.A., nell’ambito di una attività di esproprio per pubblica utilità, gli aveva cagionato un danno risarcibile riconducibile ad abusi edilizi. Il carattere illecito delle opere consisteva, essenzialmente, nella realizzazione da parte del civico ente di un abbassamento del profilo longitudinale del piano stradale nella realizzazione di una aiuola spartitraffico. Da qui l’applicazione dell’art. 2043 c.c. e non già dell’art. 46, l. n. 2359/1865. La Corte d’appello motivava la propria decisione nel ritenere che, nel caso in esame, non veniva in rilievo un’opera pubblica, ma solo la modifica della disciplina viaria, mentre gli inconvenienti lamentati dal proprietario potevano essere superati agevolmente con la realizzazione di opere in pristino da parte pubblica. Il ricorso in Cassazione. Il proprietario dell’immobile spiega ricorso incidentale, lamentando la violazione dell’art. 46 summenzionato. Censura la motivazione della Corte d’Appello, nel senso che non sarebbe stata realizzata un’opera pubblica. Al contrario la spiacevole situazione” era stata determinata dalla realizzazione di una strada a senso unico in uscita e dalla modifica della viabilità cittadina. La decisione della Corte di Cassazione. La Corte di nomofilachia ritiene fondato il ricorso. I lavori eseguiti possono rientrare nell’alveo dell’opera di pubblica utilità, perché la strada interessata non era asfaltata pertanto le trasformazioni intervenute non possono essere ricondotte ad una mera modifica dell’assetto viario cittadino. Peraltro, l’esistenza del pregiudizio finirebbe per rimettere ala incontrollabile e incoercibile iniziativa della P.A.” la sua rimozione. In applicazione analogica dell’art. 1, comma 2, d.P.R. n. 327/2001 norma non applicabile direttamente ratione temporis gli Ermellini ritengono che debba essere considerata opera pubblica o di pubblica utilità anche la realizzazione degli interventi necessari per l’utilizzazione da parte della collettività di beni o terreni, o di un loro insieme, di cui non è prevista la materiale modificazione. Da qui l’accoglimento del ricorso, con rinvio alla Corte d’appello in diversa composizione.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 9 gennaio - 6 giugno 2019 n. 15401 Presidente Tirelli – Relatore De Marzo Fatti di causa 1. Con sentenza depositata il 30 marzo 2012 la Corte d’appello di Venezia, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha condannato il Comune di Asolo a pagare a B.R. la somma di Euro 28.500,00, oltre interessi legali dalla data della pubblicazione sino al soddisfo, a titolo di indennizzo L. 25 giugno 1865, n. 2359, ex art. 46. 2. Per quanto ancora rileva, la Corte territoriale ha osservato a che era condivisibile la conclusione del Tribunale, secondo il quale la domanda era stata proposta in termini di danno - indennizzo da fatto lecito , alla luce dell’espresso tenore delle conclusioni rassegnate, con la conseguenza che la richiesta di risarcimento del danno, formulata in via subordinata, non era sorretta da alcun apparato argomentativo e non poteva essere fondata sul criptico riferimento all’esecuzione di imprecisati interventi abusivi b che dalla consulenza tecnica svolta in primo grado e dalle ulteriori indagini svolte dinanzi alla Corte d’appello, era emerso in termini inequivoci il pregiudizio derivato al fondo del B. dalle opere di sistemazione viaria realizzata dal Comune di Asolo, in relazione alle vie omissis c che, in effetti, dapprima a seguito del nuovo ampio marciapiede costruito tra la strada pubblica e la proprietà B. nel 1992 - 1993 e, quindi, con la realizzazione nel 1996 di una aiuola spartitraffico, in corrispondenza dell’antico accesso carraio, posto all’altezza della confluenza delle due strade ricordate, divenute entrambe a senso unico, si era verificata la totale impraticabilità di siffatto accesso, alla luce anche del notevole dislivello - circa sessanta centimetri in corrispondenza del cancello formatosi tra il confine del fondo e il marciapiede per l’abbassamento della quota stradale d che, al contrario, il maggior traffico derivato alla via Risorgimento dalle modifiche della viabilità e dalla sua trasformazione in strada a senso unico, rappresentava una mera conseguenza dei generali mutamenti dell’assetto viario cittadino e, pertanto, non assumeva rilievo ai fini dell’indennizzo richiesto e che, pertanto, era irrilevante il maggior livello di immissioni sonore correlato all’intensificazione del traffico, in ogni caso contenute nei limiti previsti dalla normativa all’epoca della conclusione dei lavori f che, al contrario, doveva essere confermato il rigetto della pretesa relativa alla minore godibilità dell’autorimessa a servizio della villa, in quanto tale situazione, per un verso, non era causalmente riferita alla costruzione di opere pubbliche, ma derivava dal mutato assetto viario, e, per altro verso, era agevolmente rimediabile con l’intervento dell’Amministrazione comunale e attraverso gli accorgimenti suggeriti dal consulente tecnico d’ufficio. 3. Avverso tale sentenza il Comune di Asolo ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un motivo. Il B. ha resistito con controricorso e ha proposto ricorso incidentale, affidato a due motivi, cui ha resistito, a sua volta, il Comune di Asolo con controricorso. Il B. ha depositato memoria. Ragioni della decisione 1. Con l’unico motivo del ricorso principale del Comune di Asolo si lamentano violazione e falsa applicazione della L. n. 2359 del 1865, art. 46, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Secondo il ricorrente, la Corte territoriale, dopo avere escluso che il B. avesse proposto una domanda risarcitoria, aveva accolto la pretesa indennitaria fondata sul citato art. 46, senza avvedersi che le opere viarie che avevano cagionato il pregiudizio al fondo dell’attore non erano state il frutto di una attività lecita della Amministrazione, ma abusi edilizi, idonei a giustificare l’accoglimento di una pretesa risarcitoria ai sensi dell’art. 2043 c.c Il carattere illecito delle opere in esame, oltre ad essere stato dedotto proprio dal B. , era stato confermato dalle indagini espletate dal consulente tecnico d’ufficio incaricato dalla Corte d’appello. La doglianza è infondata. È certamente esatto che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, la responsabilità prevista dall’art. 46 cit. non è ricollegabile ad un fatto illecito, ma ad un’attività lecita della Pubblica Amministrazione, consistente nell’esecuzione di un’opera pubblica che comporti direttamente l’imposizione di una servitù o la produzione di un danno di carattere permanente all’altrui proprietà, e trova fondamento in un principio di giustizia distributiva, per cui non è consentito soddisfare l’interesse generale attraverso il sacrificio del singolo senza che quest’ultimo ne sia indennizzato Cass., sez. un., 26 marzo 2003, n. 10163 Cass. 11 giugno 2003, n. 9341 Cass. 9 marzo 2004, n. 4720 Cass. 26 maggio 2017, n. 13368 . Tuttavia, il Comune ricorrente, a tacer d’altro, non considera che la sentenza impugnata fonda la sua responsabilità essenzialmente sulla realizzazione dell’abbassamento del profilo longitudinale della via Risorgimento, ossia su una attività che, alla stregua del brano della relazione di consulenza trascritto in ricorso, non risulta tra gli interventi abusivi. La realizzazione dell’aiuola - al contrario, in effetti, abusiva - è profilo concorrente, la cui assenza non avrebbe inciso sul pregiudizio comunque realizzato per l’accesso alla proprietà. 2. Con il primo motivo del ricorso incidentale si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, omessa pronuncia sulla domanda di risarcimento dei danni e, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Rileva il ricorrente incidentale a che proprio l’esposizione dei dati processuali effettuata dal Comune di Asolo dimostrava che l’indicazione della causa petendi della domanda risarcitoria era stata tutt’altro che criptica, con riferimento al carattere abusivo dell’aiuola spartitraffico, che aveva costituito anche oggetto di richieste istruttorie e di quesiti al consulente b che, in ogni caso, poiché la pretesa era stata limitata alla diminuzione di valore per effetto della perdita dell’accesso carraio, determinare se essa fosse derivata da una lecita opera pubblica o da un’opera abusiva sarebbe sostanzialmente irrilevante, alla luce della identità degli effetti. Il rigetto del ricorso principale consente di ritenere assorbita la doglianza indicata, proprio alla luce dell’indicata considerazione svolta dallo stesso B. . In effetti, quest’ultimo, per quanto detto, insiste nel sostenere di avere proposto anche una domanda risarcitoria, ma senza che da tale premessa possa scaturire, una volta rigettato il ricorso principale, alcun risultato favorevole. 3. Con il secondo motivo del ricorso incidentale si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione della L. n. 2359 del 1865, art. 46, e, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, insufficiente e contraddittoria motivazione. Si rileva a che la estrema pericolosità della uscita in retromarcia dall’autorimessa era stata determinata esclusivamente dal complesso delle opere edilizie e programmatorie che avevano cambiato la viabilità della via OMISSIS b che illogicamente la Corte d’appello aveva valorizzato la possibilità di eliminare il pregiudizio con interventi di facile realizzazione e minimo costo da parte del Comune, senza considerare che soltanto l’Amministrazione avrebbe potuto provvedervi e, in concreto, non li aveva eseguiti. La doglianza è fondata. La motivazione della sentenza impugnata ruota, come s’è visto, attorno a due argomenti a non viene in rilievo un’opera pubblica, ma solo la modifica della disciplina viaria b gli inconvenienti lamentati dal B. sarebbero agevolmente superabili con la realizzazione di alcune opere da parte del Comune. Entrambi i profili non sono sorretti da giuridico fondamento. Quanto al primo, il ricorso osserva che tale spiacevole situazione è stata determinata esclusivamente dal complesso delle opere edilizie e programmatorie che hanno cambiato la viabilità di via del Risorgimento . Si aggiunge, in altro luogo dell’impugnazione, che la realizzazione di una strada a senso unico in uscita è stata accompagnata, proprio in conformità alla sua funzione, dalla asfaltatura della stessa. Quest’ultima circostanza emerge, peraltro, anche dalla sentenza impugnata. Rispetto a tali indicazioni, non è condivisibile l’argomento sviluppato dalla sentenza impugnata, secondo cui il pregiudizio lamentato non sarebbe derivato dalla realizzazione di un’opera pubblica. In realtà, il D.P.R. n. 327 del 2001, art. 1, comma 2, - norma non direttamente applicabile ratione temporis, ma idonea ad esprimere i risultati interpretativi raggiunti in materia - considera opera pubblica o di pubblica utilità anche la realizzazione degli interventi necessari per l’utilizzazione da parte della collettività di beni o di terreni, o di un loro insieme, di cui non è prevista la materiale modificazione o trasformazione. Nel caso di specie, è la stessa Corte territoriale a riconoscere che la via Risorgimento, sino ad anni recenti, era una strada non asfaltata destinata di fatto all’utilizzo di poche proprietà frontistanti, con la conseguenza che le trasformazioni intervenute non possono essere ricondotte ad una mera modifica dell’assetto viario cittadino. Quanto al secondo profilo, esso contrasta anche con argomenti logici, in quanto conferma – anziché smentire – l’esistenza del pregiudizio e finisce per rimettere alla incontrollabile e incoercibile iniziativa della P.A. la sua rimozione. 4. In conclusione, il ricorso principale va rigettato, con conseguente assorbimento del primo motivo del ricorso incidentale. All’accoglimento del secondo motivo di quest’ultimo ricorso consegue la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, che provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. Rigetta il ricorso principale accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale, assorbito il primo motivo del medesimo ricorso cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto rinvia alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.