Nuovo termine di decadenza più breve: per i diritti quesiti decorre dalla data di entrata in vigore della legge

Quando per l’esercizio di un diritto il codice stabilisce un termine di decadenza più breve di quello stabilito dalle leggi anteriori, il nuovo termine si applica anche all’esercizio di diritti sorti anteriormente, ed alle prescrizioni ed usucapioni in corso, ma il nuovo termine decorre dalla data di entrata in vigore della nuova legge.

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 15315 depositata il 6 giugno 2019. Il fatto. Un istituto di credito proponeva atto di citazione in opposizione a precetto e all’esecuzione con il quale un legale aveva richiesto, poiché terzo pignorato in un procedimento che vedeva come originario debitore l’INPS, il pagamento delle somme così come assegnate dal Giudice dell’Esecuzione. In particolare, con detta opposizione l’istituto bancario chiedeva, previa sospensione del titolo, dichiararsi l’illegittimità dell’atto di precetto opposto ritenendo prescritto il credito, inefficace l’ordinanza di assegnazione in virtù della disposizione introdotta dall’art. 14, comma 1- bis , d.l. n. 669/1996 e succ. mod., in vigore dal 25 novembre 2003 in base alla quale l’ordinanza che dispone ai sensi dell’art. 533 c.p.c. l’assegnazione dei crediti di pagamento perde efficacia se il creditore procedente, entro il termine di un anno dalla data in cui è stata emessa, non provvede all’esazione delle somme assegnate . L’attore si costituiva eccependo nel merito di aver regolarmente interrotto i termini di prescrizione dandone prova documentale attraverso il deposito in atti di copia della lettera interruttiva dei termini prescrizionali, con relativo avviso di spedizione e ricezione inviata all’Istituto bancario, nonché per conoscenza all’Ente previdenziale . Il Giudice di Pace territorialmente competente accoglieva l’opposizione e dichiarava l’illegittimità dell’atto di precetto, in quanto l’ordinanza di assegnazione doveva essere ritenuta priva di ogni efficacia per effetto della sopravvenuta perenzione di cui all’art. 44, comma 3, lett. c , d.l. n. 296/2003 non avendo il creditore provveduto all’esazione nei termini previsti della norma. L’attore proponeva appello, deducendo che erroneamente il Giudice di Pace avesse ritenuto che la decadenza di cui all’art. 44, d.l. n. 296/2003 fosse applicabile anche all’ordinanza in questione, pronunciata prima dell’entrata in vigore della suddetta disposizione, così violando il principio tempus regit actum , e di aver interrotto la prescrizione. Il Tribunale adito, tuttavia, confermava la sentenza resa dal giudice di prime cure affermando l’inefficacia dell’ordinanza di assegnazione precettata in ragione della immediata applicabilità delle nuove disposizioni e affermando, sotto altro aspetto, che la missiva inviata dall’attore non fosse idonea ad interrompere la prescrizione. L’attore proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza resa dal Tribunale. Nella specie, gli Ermellini hanno ritenuto il ricorso complessivamente inammissibile poiché lo stesso non soddisfa il requisito della sommaria esposizione dei fatti di causa, previsto a pena di inammissibilità dall’art. 366, n. 3 , c.p.c Nel ricorso, infatti, spiegano i Giudici, dopo la sommaria indicazione delle ragioni dell’opposizione a precetto e delle difese della parte opposta, vi è la pedissequa riproduzione dell’intero e letterale contenuto degli atti processuali che oltre ad essere del tutto superflua, è inidonea a soddisfare la necessità della sintetica esposizione dei fatti, in quanto equivale ad affidare alla Corte, dopo averla costretta a leggere tutto, la scelta di quanto effettivamente rileva in ordine ai motivi di ricorso. Tuttavia, il Collegio di legittimità ai sensi dell’art. 363, comma 3, c.p.c., ha ritenuto nella specie, di dover esaminare le questioni in diritto nell’interesse della legge, in quanto il ricorso pone una questione nuova, e di particolare importanza essendo suscettibile di consistenti ricadute applicative. In particolare, secondo gli ermellini la norma di cui all’art. 44, d.l. n. 296/2003 introduce certamente un nuovo termine annuale di decadenza, in luogo dell’ordinario termine decennale di prescrizione nei confronti di una P.A. ed Enti ad essa equiparati. Nel caso di specie, deve ritenersi che la nuova norma non introduca un termine di decadenza retroattivo in senso proprio, perché stabilisce un termine di decadenza più breve rispetto a quello precedente che sulla scorta del principio che la giurisprudenza di legittimità ha estrapolato dall’art. 252 disp. att. c.p.c. si applica dalla data in vigore della nuova legge. In tal modo, secondo i Giudici, si realizza il bilanciamento tra due contrapposte esigenze, quella di tutelare l’interesse del privato, che si vede gravato di una nuova decadenza, a non subire gli effetti negativi di un proprio comportamento inerte in un tempo in cui non avrebbe avuto ragioni sollecitatorie per attivarsi, e l’interesse pubblico a garantire l’efficacia del fine sollecitatorio perseguito dal legislatore. Concludendo. I Giudici, concludono affermando che il legittimo affidamento della parte che subisce il nuovo termine decadenziale risulta salvaguardato dalla decorrenza dello stesso solo a partire dalla data di entrata in vigore della novella legislativa.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 18 dicembre 2018 – 6 giugno 2019, n. 15315 Presidente De Stefano – Relatore Rubino I fatti di causa 1.-Con atto di citazione in opposizione a precetto e all’esecuzione, il Banco di Napoli presentò formale opposizione all’atto di precetto notificato in data 10.02.2014 unitamente all’ordinanza di assegnazione n. 15905/2002, emessa il 15.10.2002,con il quale l’avvocato O.G. aveva richiesto all’istituto, terzo pignorato, in un procedimento che vedeva come originario debitore l’INPS, il pagamento delle somme così come assegnate dal Giudice dell’Esecuzione con la predetta ordinanza di assegnazione in uno alle spese successive di cui all’atto di precetto. 2. - Con tale opposizione, notificata in data 24.02.2014, il Banco di Napoli chiese, previa sospensione dell’efficacia del titolo, dichiararsi l’illegittimità dell’atto di precetto opposto ritenendo prescritto il credito, inefficace l’ordinanza di assegnazione in virtù della disposizione introdotta dal D.L. n. 669 del 1996, art. 14, comma 1 bis, come modificato dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 44, comma 3, lett. a , conv. con L. n. 326 del 2003, in vigore dal 25.11.2003 in base al quale l’ordinanza che dispone ai sensi dell’art. 533 c.p.c. l’assegnazione dei crediti di pagamento perde efficacia se il creditore procedente, entro il termine di un anno dalla data in cui è stata emessa, non provvede all’esazione delle somme assegnate dettato per le esecuzioni forzate a carico delle pubbliche amministrazioni, con ambito di applicazione esteso agli istituti esercenti forme di previdenza e assistenza obbligatorie , e infine illegittima la notifica al terzo pignorato dei due atti, con vittoria di spese. 3. - Si costituì l’avv. O. , opponendosi alla richiesta di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo. Nel merito, egli dichiarò che aveva regolarmente interrotto i termini di prescrizione dandone prova documentale avendo depositato in atti copia della lettera interruttiva dei termini prescrizionali, con relativo avviso di spedizione e ricezione, inviata al Banco di Napoli e per conoscenza all’Inps, e avendo esibito gli originali degli stessi in udienza come da verbali di causa che fosse legittima la notifica al terzo direttamente dell’atto di precetto che le ordinanze di assegnazione fossero titoli esecutivi con efficacia decennale se emesse fino all’entrata in vigore del D.L. n. 269 del 2003 convertito in L. n. 326 del 2003, e che l’ordinanza in questione, essendo stata emessa prima della modifica del 2003 e stante il principio tempus regit actum, fosse valida ed efficace e non soggetta al termine di perenzione . 4. - Il Giudice di Pace di Napoli, con sentenza n. 11352/2015, depositata il 30.3.2015, accolse l’opposizione e dichiarò l’illegittimità dell’atto di precetto, in quanto l’ordinanza di assegnazione doveva essere ritenuta priva di ogni efficacia per effetto della sopravvenuta perenzione di cui al D.L. n. 296 del 2003, art. 44, comma 3, lett. c non avendo il creditore provveduto all’esazione nei termini previsti dalla norma. 5. - L’avvocato O.G. propose appello, deducendo che erroneamente il Giudice di Pace avesse ritenuto che la decadenza di cui al D.L. n. 296 del 2003, art. 44 fosse applicabile anche all’ordinanza in questione, pronunciata prima dell’entrata in vigore della suddetta disposizione, così violando il principio tempus regit actum, e di aver interrotto la prescrizione. 6. - Si costituì in giudizio il Banco di Napoli, eccependo l’inammissibilità e l’infondatezza dell’appello, e riproponendo i motivi di opposizione non esaminati dal Giudice di prime cure, in quanto ritenuti assorbiti. 7. - Il Tribunale confermò la sentenza di primo grado, affermando l’inefficacia dell’ordinanza di assegnazione precettata in ragione della immediata applicabilità delle nuove disposizioni e affermando, sotto altro aspetto, che la missiva inviata dall’avv. O. non fosse idonea a impedire la decadenza nè a interrompere la prescrizione in quanto l’elencazione da parte dell’appellante di una congerie di somme non specificate, previste in svariate ordinanze di assegnazione non indicate, in relazione a cui veniva fornito solo il numero di procedura e il nominativo del procedente, non potesse rivestire i crismi della riscossione, nemmeno tentata . 8. - In particolare, il Tribunale riteneva che, per costante giurisprudenza costituzionale, il valore del legittimo affidamento trovi copertura nell’art. 3 Cost., ma che tale copertura non sia assoluta e inderogabile, la posizione giuridica che dà luogo a un ragionevole affidamento potendo essere incisa in senso peggiorativo in presenza di un determinato interesse pubblico che imponga interventi normativi diretti a incidere anche su posizioni consolidate, a condizione che venga rispettato il limite della proporzionalità rispetto agli obiettivi di interesse pubblico perseguiti e che l’intervento normativo successivo possa incidere non solo su situazioni di mero affidamento come nel caso di specie , ma anche su diritti soggettivi, unica condizione essendo che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate su leggi precedenti, l’affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto e con il contemperamento del principio generale contenuto nell’art. 252 disp. att. c.c., in base al quale, quando per l’esercizio di un diritto il codice stabilisce un termine più breve di quello stabilito dalle leggi anteriori, il termine si applica anche all’esercizio dei diritti sorti anteriormente e alle prescrizioni e usucapioni in corso, ma il nuovo termine decorre dall’entrata in vigore della legge. 9. - Essendo il precetto stato notificato solo in data 10.2.2014, a termine annuale, pur decorrente dall’entrata in vigore della legge ampiamente decorso, rigettava l’appello. 10. - Avverso la sentenza n. 2572/2017, depositata il 3.3.2017 dal Tribunale di Napoli propone ricorso per Cassazione, con due motivi, l’avv. O.G. , nei confronti di Banco di Napoli e di INPS. 11. - Resiste con controricorso il Banco di Napoli, che ha anche depositato memoria. Le ragioni della decisione 1.- Con il primo motivo, si deduce la violazione e/o falsa applicazione del R.D. 16 marzo 1942, n. 262, art. 11 e del D.L. n. 669 del 1996, art. 14 così come modificato dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 44, comma 3 convertito in L. 24 novembre 2003, n. 326, nonché dell’art. 1219 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Il ricorrente lamenta in primo luogo che il Giudice di secondo grado, ritenendo applicabile al caso di specie il termine decadenziale annuale introdotto con la D.L. n. 269 del 2003, art. 44, comma 3, conv. in L. n. 326 del 2003 sebbene l’ordinanza con la quale era stato assegnato il credito all’avv. O. fosse stata depositata in un arco temporale antecedente l’entrata in vigore della nuova normativa, abbia violato le disposizioni di legge sia interne che comunitarie, e in primo luogo l’art. 11 preleggi. Non nega che il principio tempus regit actum, in relazione alle leggi civili, sia privo di rango costituzionale e possa essere derogato dal legislatore ordinario, ma ritiene che la retroattività debba essere bilanciata con i principi e i valori costituzionalmente garantiti quali il legittimo affidamento, la ragionevolezza, la certezza delle situazioni giuridiche e l’uguaglianza, e che inoltre la retroattività debba essere sancita espressamente dal legislatore o comunque debba ricavarsi in maniera non equivoca dalla formulazione della norma, nel dubbio dovendo considerarsi la legge irretroattiva. Afferma che la L. n. 326 del 2003, relativa al caso trattato all’art. 44, comma 3, nulla dica dei rapporti e situazioni sorti antecedentemente con la conseguenza che, nel caso in esame, il principio tempus regit actum trovi la sua piena e concreta applicazione. Il ricorrente deduce che la giurisprudenza di legittimità abbia insistito più volte sul tema della retroattività, e che la stessa Corte costituzionale abbia affermato che la tutela dei principi costituzionali garantiti al singolo non possa essere mortificata dalla tutela dell’interesse pubblico o dalla necessità di contenimento della spesa pubblica. In via subordinata, il ricorrente lamenta che, qualora si voglia considerare applicabile il termine decadenziale introdotto dall’art. 44, comma 3 anche alle fattispecie creditorie sorte prima dell’entrata in vigore della nuova normativa, tale termine avrebbe potuto cominciare a decorrere solo a partire dall’entrata in vigore della suddetta legge. Il ricorrente deduce che, nel caso di specie, in osservanza del disposto dell’art. 1219 c.c., il creditore in data 10.05.2004 avesse inviato un’intimazione di pagamento al terzo debitore, nella quale era espressamente indicata la volontà di procedere a esazione con esplicita richiesta di pagamento di quanto a lui spettante in forza delle ordinanze di assegnazione emesse al termine di varie procedure esecutive, ivi specificamente indicate che nella suddetta intimazione di pagamento si ritrovassero tutti gli elementi che consentono la precisa individuazione del credito, quali il nome della parte, il corrispondente numero di R.E. e l’autorità competente che ha emanato i provvedimenti e, inoltre, che il creditore procedente sia libero di scegliere se comunicare oppure notificare l’ordinanza di pagamento. Lamenta pertanto che la missiva del 10.05.2004 debba considerarsi atto idoneo ed efficace al fine di intimare il pagamento al debitore, Banco di Napoli, e ciò renda la predetta missiva idonea allo scopo cui era destinata, e quindi pienamente interruttiva del termine decadenziale di cui al D.L. n. 669 del 1996, art. 14 così come modificato dal D.L. n. 269 del 2003, art. 44, comma 3 conv. in L. n. 326 del 2003. 2.- Con il secondo motivo, si deduce la violazione e/o falsa applicazione del D.L. n. 669 del 1996, art. 14 così come modificato dal D.L. n. 269 del 2003, art. 44, comma 3 conv. in L. n. 326 del 2003, nonché dell’art. 6 CEDU, dell’art. 1 Prot. 1 CEDU, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Il ricorrente ricorda come la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sia apparsa alquanto rigida in relazione alla possibile applicazione retroattiva delle leggi civili, avendo più volte affermato che, se in linea di principio non sia vietato al legislatore introdurre nuove disposizioni aventi effetto retroattivo, i diritti derivanti da leggi in vigore, il principio della preminenza del diritto e la nozione di equo processo di cui all’art. 6 della Convenzione si oppongano all’ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia e anche nelle cause pendenti in cui lo Stato è parte allo scopo di influenzare la conclusione giudiziaria della controversia. Sostiene che la suddetta ingerenza del legislatore sia ammessa solo quando sussistano imperativi motivi di interesse generale idonei a giustificarla, e che tali motivi non possano dipendere esclusivamente dalla necessità di salvaguardare l’equilibrio finanziario dello Stato incidendo su situazioni sostanziali già acquisite. Deduce che, in base alla giurisprudenza della Corte EDU cita Raffinerie greche Stran e Stratis Andreatis c. Grecia, 1994 e, per l’Italia, Agrati c. Italia del 2011 e Arras ed altri c. Italia del 2012 , l’intervento legislativo con efficacia retroattiva, quando comporti conseguenze negative di carattere economico, violi le norme di diritto Europeo incidendo di fatto su una legittima aspettativa delle parti coinvolte. Il ricorrente lamenta pertanto che il termine decadenziale di cui al D.L. n. 669 del 1996, art. 14, comma 1-bis, essendo stato introdotto solo nel 2003, possa trovare applicazione esclusivamente nell’ambito di ordinanze emesse a seguito di procedimenti esecutivi incardinati in data successiva al 24.11.2003 che, in caso contrario, il termine annuale di decadenza, di fatto, andrebbe a ledere il diritto di tutela della legittima aspettativa dei creditori procedenti in violazione dell’art. 1 del protocollo 1 CEDU che, tra i Paesi condannati dalla Corte di Strasburgo per violazione di quest’ultimo, vi sia anche l’Italia e che il dovere di leale cooperazione degli Stati, posto dall’art. 4 del Trattato sull’Unione Europea, sia anche il dovere dei giudici nazionali di garantire la tutela giurisdizionale spettante ai singoli in forza delle norme di diritto comunitario aventi efficacia diretta, nonché di interpretare il proprio diritto nazionale alla luce della lettera e dello scopo di atti quali le direttive onde consentire il risultato di cui all’art. 249, comma 3. 3.- Il ricorso è complessivamente inammissibile. Esso non soddisfa infatti il requisito della sommaria esposizione dei fatti di causa, previsto a pena di inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., n. 3 . Nel ricorso, dopo la sommaria indicazione delle ragioni dell’opposizione a precetto e delle difese della parte opposta, vi è la pedissequa riproduzione della sentenza di primo grado, dell’atto di appello, della comparsa conclusionale di parte appellante e della sentenza di appello. In tal modo non risulta assolto l’onere processuale di sommaria esposizione dei fatti di causa. Il ricorso per cassazione redatto per assemblaggio, attraverso la pedissequa riproduzione dell’intero, letterale, contenuto degli atti processuali, è carente del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3 , che non può, a fronte dell’utilizzo di tale tecnica, neppure essere desunto, per estrapolazione, dall’illustrazione del o dei motivi fra le tante da ultimo Cass. 22 febbraio 2016, n. 3385 . La pedissequa riproduzione dell’intero, letterale, contenuto degli atti processuali è infatti, per un verso, del tutto superflua, non essendo affatto richiesto che si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale si è articolata, mentre, per altro verso, è inidonea a soddisfare la necessità della sintetica esposizione dei fatti, in quanto equivale ad affidare alla Corte, dopo averla costretta a leggere tutto anche quello di cui non occorre sia informata , la scelta di quanto effettivamente rileva in ordine ai motivi del ricorso fra le tante Cass. 22 novembre 2013, n. 26277 . Il ricorso per cassazione cd. assemblato mediante integrale riproduzione di una serie di documenti, implicando un’esposizione dei fatti non sommaria, viola l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, ed è pertanto inammissibile, salvo che, espunti i documenti e gli atti integralmente riprodotti, in quanto facilmente individuabili ed isolabili, l’atto processuale, ricondotto al canone di sinteticità, rispetti il principio di autosufficienza Cass. 4 aprile 2018, n. 8245 . Nel caso in esame, il ricorso proposto non supera questa verifica, perché, ove si espungano dal testo di esso gli atti assemblati residuerebbe solo la sommaria indicazione delle ragioni dell’opposizione a precetto e delle difese della parte opposta la quale è del tutto insufficiente ai fini dell’indicazione della sommaria esposizione dei fatti di causa, non certo limitabile agli atti introduttivi del giudizio. 4.-Tuttavia, ritiene il collegio di avvalersi dei poteri di cui all’art. 363 c.p.c., comma 3, e di dover comunque esaminare le questioni in diritto poste dal ricorso, pronunciando un principio di diritto nell’interesse della legge, in quanto il ricorso pone una questione nuova, e di particolare importanza essendo suscettibile di consistenti ricadute applicative. Il ricorso, in particolare, pone la questione se il D.L. n. 669 del 1996, art. 14, comma 1 bis, come modificato dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 44, comma 3, lett. a , conv. con L. n. 326 del 2003, in vigore dal 25.11.2003, laddove dispone che in relazione all’esecuzione forzata nei confronti delle pubbliche amministrazioni e degli enti ed istituti esercenti forme di previdenza ed assistenza obbligatorie organizzati su base territoriale l’ordinanza che dispone ai sensi dell’art. 553 c.p.c. l’assegnazione dei crediti di pagamento perde efficacia se il creditore procedente, entro il termine di un anno dalla data in cui è stata emessa, non provvede all’esazione delle somme assegnate introduca un termine di decadenza a carico dell’assegnatario, se la disposizione operi anche retroattivamente, e in questo caso se essa si possa ritenere in contrasto con le norme Cedu. La norma senz’altro introduce un nuovo termine annuale di decadenza, in luogo dell’ordinario termine decennale di prescrizione, per procedere all’esazione di una ordinanza di assegnazione nei confronti di una pubblica amministrazione ed enti ad essa a questo fine equiparati. Non può in assoluto escludersi la legittimità di un termine decadenziale che incida su diritti quesiti, con efficacia retroattiva. Tuttavia, nel caso di specie deve ritenersi che la nuova norma non introduca un termine di decadenza retroattivo in senso proprio, sulla base del principio di diritto già più volte affermato da questa Corte, che trae il suo fondamento dall’art. 252 disp. att. c.c., in base al quale quando per l’esercizio di un diritto il codice stabilisce un termine più breve di quello stabilito dalle leggi anteriori, il nuovo termine si applica anche all’esercizio di diritti sorti anteriormente, e alle prescrizioni ed usucapioni in corso, ma il nuovo termine decorre dalla data di entrata in vigore della nuova legge. In tal modo si realizza a meno che non esista una disposizione espressa nel senso della retroattività della norma, e non è il nostro caso il bilanciamento tra due contrapposte esigenze, quella di tutelare l’interesse del privato, che si vede gravato da una nuova decadenza, a non subire gli effetti negativi di un proprio comportamento inerte in un tempo in cui non avrebbe avuto ragioni sollecitatorie per attivarsi, e l’interesse pubblico a garantire l’efficacia del fine sollecitatorio perseguito dal legislatore in questo senso Cass. n. 13355 del 2014 . il legittimo affidamento della parte che subisce il nuovo termine decadenziale risulta salvaguardato dalla decorrenza dello stesso solo a partire dalla data di entrata in vigore della novella legislativa. Il termine di decadenza introdotto, per provvedere alla esazione delle somme dovute, di un anno, può poi ritenersi congruo nella sua durata ad evitare una indebita e sproporzionata compressione del diritto del privato alla soddisfazione dei propri interessi patrimoniali quanto al parametro della durata del termine di decadenza, ai fini di valutarne l’idoneo bilanciamento dei contrapposti interessi, v. in tema di somministrazione di lavoro, Cass. n. 7788 del 2017 la decadenza di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 4, e la conseguente proroga, di cui al comma 1-bis del medesimo articolo, si applicano anche ai contratti a termine in somministrazione cessati o stipulati prima della data di entrata in vigore della legge stessa 24 novembre 2010 , senza la necessità di una specifica previsione di deroga all’art. 11 preleggi, atteso che la nuova norma non ha modificato la disciplina del fatto generatore del diritto ma solo il suo contenuto di poteri e facoltà, suscettibili di nuova regolamentazione perché ontologicamente e funzionalmente distinti da esso e non ancora consumati, dovendosi pertanto escludere ogni profilo di retroattività nè l’introduzione del nuovo termine di decadenza con efficacia ex nunc determina una violazione dell’art. 24 Cost., art. 47 della Carta dei diritti fondamentali della UE o 6 e 13 della CEDU, essendo stato assicurato un ambito temporale quantitativamente congruo per la conoscibilità della nuova disciplina, attesa la proroga disposta in sede di prima applicazione dal citato comma 1-bis . La necessità di individuare un punto di equilibrio tra i due contrapposti interessi è stata affermata più volte da questa Corte, in particolare dalla sezione lavoro, ed anche dalle Sezioni unite v. in particolare Cass. S.U. n. 15352 del 2015, a proposito del termine triennale di decadenza introdotto in relazione al conseguimento dell’indennizzo in favore di soggetti danneggiati da emotrasfusioni dalla L. 25 luglio 1997, n. 238 in quella occasione la Corte ha affermato che il predetto termine si applica anche in caso di epatite postrasfusionale contratta prima del 28 luglio 1997, data di entrata in vigore della detta legge, con decorrenza, però, da tale data, dovendosi ritenere, conformemente ai principi generali dell’ordinamento in materia di termini, che, ove una modifica normativa introduca un termine di decadenza prima non previsto, la nuova disciplina operi anche per le situazioni soggettive già in essere, ma che la decorrenza del termine resti fissata con riferimento all’entrata in vigore della modifica legislativa v. anche Cass. n. 2420 del 2016, in materia di intermediazione lavorativa . Si può pertanto enunciare il seguente principio di diritto nell’interesse della legge, facendo uso delle facoltà di cui all’art. 363 c.p.c., comma 3 Il D.L. n. 669 del 1996, art. 14, comma 1 bis, come modificato dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 44, comma 3, lett. a , conv. con L. n. 326 del 2003, in vigore dal 25.11.2003, introduce un termine di decadenza annuale per mettere in esecuzione l’ordinanza di assegnazione nei confronti delle pubbliche amministrazioni ed enti equiparati, applicabile dall’entrata in vigore della norma 25 novembre 2003 . Ne consegue che esso si applichi anche in relazione alle ordinanze di assegnazione emesse prima di tale data, in relazione alle quali la procedura esecutiva deve essere iniziata, o quanto meno deve essere effettuata l’intimazione di pagamento, a mezzo della notifica del precetto, a pena di decadenza, entro un anno dal 25 novembre 2003, cioè da quando il privato, conseguita la possibilità di avere contezza della introduzione di una nuova decadenza, avrebbe potuto e dovuto attivarsi per non perdere il proprio diritto . Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come al dispositivo. Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e il ricorrente risulta soccombente, pertanto egli è gravato dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Pone a carico del ricorrente le spese di giudizio sostenute dalla parte controricorrente, che liquida in complessivi Euro 1.000,00 oltre 200,00 per esborsi, oltre contributo spese generali ed accessori. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.