Le somme sottoposte a sequestro conservativo o pignoramento producono interessi?

La Corte Suprema di Cassazione, con sentenza n. 15308 del 6 giugno 2019 risponde positivamente al quesito, enunciando il seguente principio di diritto in caso di sequestro conservativo o di pignoramento di crediti, il terzo sequestratario o pignorato, costituito ex lege custode delle somme pignorate, è tenuto alla corresponsione degli interessi nella misura prevista dal rapporto da cui origina il credito pignorato e con le decorrenze ivi previste. Tali frutti civili si accrescono al compendio sequestrato o pignorato ai sensi dell'art. 2912 c.c. .

La vicenda dedotta in lite. Nell'ambito di un procedimento penale, il Tribunale di Lucca disponeva un sequestro conservativo a tutela dei crediti vantati dalle parti civili nei confronti degli imputati. Detto sequestro veniva eseguito su conti correnti, depositi e valori mobiliari giacenti presso una banca. A seguito della condanna provvisionale, il sequestro si convertiva in pignoramento e il giudice dell'esecuzione conferiva mandato ad un consulente tecnico d’ufficio per effettuare la ricognizione delle somme sequestrate e per versarle in un unico libretto di deposito bancario. Nel corso di questa operazione il c.t.u. rilevava che l'istituto di credito aveva trattenuto per sé le spese di custodia e non aveva corrisposto gli interessi dal 1992 al 2003 sulle somme depositate nonostante i solleciti ricevuti. Il giudice dell'esecuzione disponeva infine l'assegnazione delle somme versate sul libretto, senza dunque gli interessi. Le parti civili del procedimento sopra menzionato convenivano in giudizio la banca chiedendone la condanna al pagamento degli interessi e delle spese di custodia. Il Tribunale di Lucca respingeva dette richieste, osservando che se agli attori fossero stati assegnati gli interessi in sede esecutiva, essi avrebbero già avuto un titolo l'ordinanza di assegnazione per agire esecutivamente nei confronti della banca diversamente, avrebbero dovuto proporre opposizione agli atti esecutivi nei confronti del provvedimento del giudice dell'esecuzione che ometteva di disporre l'assegnazione degli interessi. Da qui il rigetto della domanda ritenuta infondata anche sul presupposto che nessuna norma di diritto sostanziale o processuale fonda l'assunto degli attori secondo il quale i crediti sequestrati sarebbero naturaliter produttivi di interessi . Al medesimo approdo il Tribunale perveniva anche relativamente alle spese di custodia, evidenziate nel rendiconto finale del custode e quindi implicitamente recepite nel provvedimento di assegnazione, avverso il quale avrebbe dovuto essere proposta opposizione. La Corte di Appello di Firenze confermava la decisione del Tribunale di Lucca, salvo il profilo delle spese di lite, e le parti civili ricorrevano per cassazione. La Corte di cassazione, pur dichiarando inammissibile il ricorso per un vizio relativo alla procura alle liti conferita al difensore nel precedente grado di giudizio, ritiene che la questione dibattuta dalle parti sia di importanza tale da meritare la pronuncia del principio di diritto ai sensi dell’art. 363 comma 3, c.p.c La produzione degli interessi sui crediti sequestrati. La Corte di Cassazione ricorda che il primo giudice ha respinto la domanda con due distinte rationes decidendi . Da un lato, il Tribunale ha osservato che se agli attori fossero stati assegnati gli interessi in sede esecutiva, essi avrebbero già avuto un titolo l'ordinanza di assegnazione per agire esecutivamente nei confronti della banca diversamente, avrebbero dovuto proporre opposizione agli atti esecutivi nei confronti del provvedimento del giudice dell'esecuzione che ometteva di disporre l'assegnazione degli interessi. Tale motivazione, ad avviso della Corte di legittimità, è sostanzialmente corretta e non presta il fianco a questioni che meritino una pronuncia nell'interesse nella legge. A diverse conclusioni deve pervenirsi, ad avviso della Corte, in merito alla statuizione del tribunale secondo cui nessuna norma di diritto sostanziale o processuale fonda l'assunto degli attori secondo il quale i crediti sequestrati sarebbero naturaliter produttivi di interessi . La questione di diritto di particolare interesse è, ad avviso del Supremo Collegio, se le somme sottoposte a sequestro conservativo art. 671 c.p.c. producano interessi ai sensi dell'art. 1282 c.p.c Questione che, puntualizza la Corte, si estende alle somme pignorate, posto che il sequestro conservativo su crediti si effettua nelle forme del pignoramento presso terzi art. 678, primo comma, c.p.c. e si converte in pignoramento al momento in cui il creditore sequestrante ottiene la sentenza di condanna esecutiva art. 685 c.p.c. . Il denaro contante pignorato presso il debitore produce interessi. Ricorda anzitutto la Corte di legittimità che la garanzia patrimoniale generica, con la quale il debitore risponde delle obbligazioni assunte, è costituita da tutti i beni presenti e futuri, materiali ed immateriali. Rientra nella prima specie, quella dei beni materiali, il denaro contante appartengono alla seconda categoria, quella dei beni immateriali, i diritti di credito pecuniari. In sede esecutiva le due ipotesi sono diversamente trattate. La prima ipotesi è considerata dall'art. 517, secondo comma, c.p.c., a mente del quale, nel corso dell'espropriazione mobiliare presso il debitore, l'ufficiale giudiziario, nella scelta delle cose da pignorare, deve in ogni caso preferire il denaro contante. Il denaro pignorato deve essere depositato dal cancelliere nelle forme dei depositi giudiziari art. 520 c.p.c. . L'art. 12 del regio decreto 10 marzo 1910, n. 149 Approvazione del Regolamento sul servizio dei depositi giudiziari prevede tuttora che, per l'esecuzione del deposito effettuato dal cancelliere, l'ufficio postale rilascia gratuitamente un libretto di risparmio non fruttifero. Tale norma, viene ricordato, è formalmente vigente, ma deve ritenersi che essa sia stata tacitamente abrogata per i sequestri penali, a seguito dell'istituzione del Fondo Unico Giustizia art. 61, comma 23, d.l. n. 112/2008 convertito in legge n. 133/2008 art. 2, d.l. n. 143/2008, convertito in legge n. 181/2008 e successive modificazioni . L'art. 34, comma 1, l. fall., come modificato dal d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, prevede, invece, che le somme a qualsiasi titolo riscosse dal curatore sono depositate sul conto corrente intestato alla procedura fallimentare aperto presso un ufficio postale o presso una banca. I depositi giudiziari possono eseguirsi, inoltre, presso la Cassa Depositi e Prestiti, secondo le modalità previste dalla circolare n. 1242 del 12 aprile 2001. Viene altresì segnalato che, nel frattempo, Poste Italiane ha sospeso l'emissione di libretti di risparmio non fruttiferi, sicché anche i depositi giudiziari effettuati presso gli uffici postali producono interessi, nella misura stabilita dal rapporto. Per un verso, puntualizza la Corte, è venuto meno il principio di esclusività degli uffici postali come gestori dei depositi giudiziari. Dall'altro, risulta superata anche la regola della natura non fruttifera del deposito giudiziario. In conclusione, il denaro contante pignorato presso il debitore produce interessi per tutto il tempo che dura la custodia, nella misura fissata dalla banca, dall'ufficio postale o dagli altri enti abilitati ad aprire un libretto di deposito o un conto corrente nel contratto, dagli usi ovvero, in mancanza, in quella legale art. 1825 c.c. . Gli interessi così maturati si accrescono al compendio sequestrato o pignorato ai sensi dell'art. 2912 c.c., secondo cui il pignoramento comprende i frutti anche civili della cosa pignorata. Segue sul diritto di credito oggetto del pignoramento presso terzi prosegue poi la Corte il proprio ragionamento segnalando che, qualora il denaro di spettanza del debitore esecutato non sia nella sua immediata disponibilità, ma costituisca oggetto di una prestazione che in suo favore deve essere seguita da un terzo, al pignoramento si procede nelle forme di cui all'art. 543 c.p.c In questo caso, l'oggetto del pignoramento non è il denaro contante, bensì il credito, come chiarito dallo stesso art. 543, primo comma, c.p.c., nonché dagli artt. 552, 553 e 554 c.p.c Precisa il Supremo Collegio che è pur vero che l'art. 547 c.p.c. nello stabilire il contenuto della dichiarazione c.d. di quantità che deve essere resa dal terzo pignorato, prevede che questi debba specificare di quali cose o di quali somme è debitore o si trova in possesso e quando ne deve eseguire il pagamento o la consegna . L'uso della espressione somme non consente tuttavia di dire che l'oggetto del pignoramento presso terzi sia costituito da denaro specificatamente individuato. Vi osta, osserva la Corte, il principio della fungibilità del denaro, in ragione del quale le obbligazioni pecuniarie si estinguono con moneta di pari importo avente corso legale al tempo del pagamento, per il suo valore nominale art. 1277 c.c. . Il concetto di somma cui fa riferimento l'art. 547 c.p.c. indica, dunque, l'ammontare nominale del debito, non l'individuazione specifica del denaro destinato al suo soddisfacimento. Chiarito che il pignoramento presso terzi ha ad oggetto un diritto di credito, consegue, conclude la Corte di Legittimità, che lo stesso va assegnato in pagamento ovvero venduto, nell'ipotesi prevista dall'art. 553, secondo comma, c.p.c. con tutte le caratteristiche degli accessori che derivano dalla sua fonte. È infatti espressione ricorrente, forse non del tutto appropriata sul piano tecnico, ma certamente dotata di forte capacità descrittiva, quella secondo cui la pronuncia dell'ordinanza di assegnazione prevista dall'art. 552 c.p.c. determina una cessione giudiziale del credito pignorato. Ne deriva che qualora il credito pignorato tragga origine da una fonte che prevede il decorso degli interessi, anche questi devono intendersi inclusi nell'oggetto del pignoramento. Del resto, anche per il pignoramento di crediti deve trovare applicazione quanto previsto dall'art. 2912 c.c., a mente del quale il pignoramento comprende gli accessori, le pertinenze e i frutti della cosa pignorata. In questo caso i frutti sono quelli civili indicati dall'art. 820, terzo comma, c.c., ossia gli interessi del capitale. Reputa in conclusione la Corte di Cassazione che qualora il terzo pignorato sia tenuto a corrispondere gli interessi al debitore esecutato, gli stessi vanno riconosciuti anche a vantaggio del creditore pignorante. La debenza degli interessi, pertanto, dipende dei criteri fissati dall'art. 1282 c.c. e la loro misura è stabilita nel titolo del credito pignorato. Quindi se, come nel caso affrontato, costituisce oggetto pignoramento o di sequestro il denaro giacente su un conto bancario, l'istituto di credito, costituito custode in quanto terzo pignorato art. 546 c.p.c. , è tenuto a corrispondere al creditore assegnatario non soltanto l'importo disponibile alla data di notifica dell'atto, ma anche gli interessi nel frattempo maturati, nella misura stabilita nel contratto bancario. Da qui il principio di diritto sopra menzionato.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 22 novembre 2018 – 6 giugno 2019, n. 15308 Presidente Vivaldi – Relatore D’Arrigo Fatti di causa Nell’ambito di un procedimento penale, il Tribunale di Lucca disponeva un sequestro conservativo a tutela dei crediti vantati dalle parti civili nei confronti degli imputati. Tale sequestro veniva eseguito su conti correnti, depositi e valori mobiliari giacenti presso la Banca Popolare di Novara poi divenuta Banco Popolare di Verona e Novara s.c.ar.l. . A seguito della condanna provvisionale, il sequestro - ai sensi dell’art. 686 c.p.c. - si convertiva in pignoramento e il giudice dell’esecuzione conferiva mandato ad un c.t.u. di effettuare la ricognizione delle somme sequestrate, per versarle in un unico libretto di deposito bancario. Nel corso di questa operazione il c.t.u. rilevava che l’istituto di credito aveva trattenuto per sé le spese di custodia per un importo complessivo di Euro 3.435,00 e non aveva corrisposto gli interessi dal 1992 al 2003 sulle somme depositate. Inutilmente sollecitata la Banca alla corresponsione di tali somma, il giudice dell’esecuzione disponeva infine l’assegnazione delle sole somme versate sul libretto. Quanto sopra premesso, l’avvocato Giunio Massa, quale procuratore speciale notarile di A.G. ed altre ottantanove persone, tutte parti civili del procedimento penale, conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Lucca, la Banca Popolare di Novara s.c.ar.l., chiedendo la condanna dell’istituto al pagamento degli interessi e delle spese di custodia di cui si è detto. L’istituto di credito eccepiva il difetto di legittimazione attiva degli attori e, nel merito, resisteva alle pretese azionate, sostenendone l’infondatezza. Il Tribunale di Lucca respingeva la domanda, osservando che se agli attori fossero stati assegnatati gli interessi in sede esecutiva, essi avrebbero già avuto un titolo l’ordinanza di assegnazione per agire esecutivamente nei confronti della banca diversamente, avrebbero dovuto proporre opposizione agli atti esecutivi nei confronti del provvedimento del giudice dell’esecuzione che ometteva di disporre l’assegnazione degli interessi. Pertanto, l’autonoma domanda di cognizione era ritenuta infondata in base alla stessa prospettazione degli attori , ma anche perché nessuna norma di diritto sostanziale o processuale fonda l’assunto degli attori secondo il quale i crediti sequestrati sarebbero naturaliter produttivi di interessi . A pari conclusioni il Tribunale perveniva anche per quanto concernente le spese di custodia, evidenziate nel rendiconto finale del custode e quindi implicitamente recepite nel provvedimento di assegnazione, avverso il quale avrebbe dovuto essere proposta opposizione ex art. 617 c.p.c La decisione è stata impugnata dagli attori. Gli appellanti hanno rilevato, anzitutto, che il Tribunale aveva, nella sostanza, sollevato d’ufficio un difetto di competenza funzionale, esercitando una facoltà ad esso preclusa in quanto posta in essere successivamente al termine previsto dall’art. 38 c.p.c Inoltre, hanno contrastato l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui i crediti sequestrati non sarebbero automaticamente produttivi di interessi, richiamando in senso contrario quanto disposto dall’art. 2912 c.c., a mente del quale il pignoramento si estende ai frutti naturali e civili della cosa pignorata. Ed ancora, gli appellanti hanno contestato che il giudice dell’esecuzione avesse approvato anche solo implicitamente un rendiconto del custode e le relative spese. Infine, hanno impugnato anche liquidazione delle spese di lite, ritenuta eccessiva. L’istituto di credito ha proposto appello incidentale, eccependo che il difensore degli appellanti, l’avvocato Francesco Luiso, era carente di ius postulandi. La Corte d’appello di Firenze ha accolto il gravame solo limitatamente alle spese di lite, che sono state rideterminate in misura inferiore. Di tale sentenza i ricorrenti hanno chiesto la cassazione per cinque motivi. Il Banco Popolare s.c.ar.l. ha resistito con controricorso e ha proposto ricorso incidentale basato su tre motivi, al quale i ricorrenti hanno, a loro volta, resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie difensive ai sensi dell’art. 378 c.p.c Ragioni della decisione 1.1 Va esaminato, in via preliminare, il primo motivo del ricorso incidentale, incentrato sul problema della validità del mandato alle liti conferito per il grado d’appello. Il motivo è fondato nei termini che seguono. 1.2 Va disattesa, anzitutto, l’eccezione di difetto di specificità formulata nel controricorso con il quale i ricorrenti hanno resistito al ricorso incidentale. Infatti, il contenuto del mandato conferito dalle parti offese all’avvocato Massa - la cui rappresentazione è necessariamente funzionale all’attività ermeneutica cui è chiamata questa Corte - è testualmente riprodotto nel ricorso incidentale v. pag. 35 , quantomeno con riferimento alle parti essenziali ai fini della decisione. La controricorrente ha altresì dedotto che le procure, più d’una, erano tutte di analogo tenore. I ricorrenti sostengono che questa affermazione è generica e che, di conseguenza, il ricorso incidentale sarebbe privo di specificità, quantomeno con riferimento al contenuto delle procure ulteriori rispetto a quella testualmente riprodotta. In realtà, la deduzione censurata è tutt’altro che generica, risultando, al contrario, assolutamente superflua l’analitica riproduzione di una serie di procure tutte di identico contenuto. Al contempo, si deve rilevare che i ricorrenti non hanno espressamente confutato la circostanza indicata dalla Banca, sicché non vi è alcun motivo per revocare in dubbio il fatto che le procure non espressamente ricopiate o allegate al ricorso incidentale fossero del medesimo tenore di quella testualmente riprodotta. 1.3 Venendo all’esame della censura, va premesso che gli attori, soccombenti in primo grado, sono stati assistiti per l’appello dall’avvocato Francesco Paolo Luiso, al quale il mandato difensivo era stato conferito dall’avvocato Massa, qualificatosi come procuratore speciale degli appellanti. In realtà, l’avvocato Massa non aveva la rappresentanza sostanziale degli appellanti allo stesso, infatti, era stato conferito un semplice mandato ad litem. Egli, pertanto, non aveva la facoltà di conferire, a sua volta, l’incarico difensivo ad un altro legale. In particolare, l’avvocato Massa acquisì i poteri rappresentativi ancor prima che avesse inizio il processo penale, in forza di una pluralità di procure speciali notarili rilasciate dalle varie parti offese affinché li rappresenti e difenda . quali parti lese, per l’esercizio dell’azione civile, in tutti i procedimenti penali, attualmente pendenti e che potrebbero essere aperti, relativamente a fatti ed eventi, penalmente perseguibili, collegati o collegabili a persone fisiche e/o giuridiche del Gruppo Intermercato e a qualsiasi altra società ad esso riferibile . Non vi è dubbio, dunque, che all’avvocato Massa fosse stato conferito un incarico difensivo per l’esercizio dell’azione risarcitoria in sede penale, civile o amministrativa. Del resto, che si trattasse di un vero e proprio mandato ad litem lo si ricava dall’espressa previsione che il potere di rappresentare e difendere i mandanti veniva conferito, quantomeno in alcune delle procure, per tutti i gradi di giudizio . Ciò posto, deve quindi escludersi che l’avvocato Massa avesse il potere di agire quale rappresentante sostanziale degli appellanti, conferendo, in nome e per conto degli stessi, l’incarico difensivo ad un secondo legale. 1.4 Al contempo, dalla lettura della procura speciale si evince che - a prescindere dalla circostanza che essa conferisse un potere di rappresentanza sostanziale o processuale - l’avvocato Massa ha comunque esorbitato l’ambito del mandato ricevuto. Questo, infatti, era circoscritto al solo esercizio dell’azione civile risarcitoria o restitutoria ai sensi dell’art. 74 c.p.p. nei confronti del Gruppo Intermercato e di chiunque altro sia chiamato come imputato o corresponsabile per i fatti sopra esposti e di fronte a qualsiasi giurisdizione, civile ed amministrativa . La causa proposta nei confronti della Banca Popolare di Novara, dunque, eccede i limiti della procura speciale dal punto di vista oggettivo e soggettivo. Sotto il primo profilo basta osservare che l’azione non ha ad oggetto di una domanda risarcitoria o restitutoria per i fatti di reato accertati nel corso del menzionato processo penale. In relazione all’ambito soggettivo, invece, è decisiva la circostanza che la Banca Popolare di Novara è - pacificamente - del tutto estranea alla vicenda penale, venendo in rilievo solo nella qualità di terzo sequestratario. 1.5 La Corte d’appello ha ritenuto di poter superare tali rilievi di nullità della procura, che costituivano oggetto di specifica deduzione difensiva dell’appellata, osservando che la questione è assorbita dalla circostanza che l’avv. Massa, sottoscrivendo la procura all’avv. Luiso in calce all’atto d’appello, ne ha fatto proprio il contenuto ed essendo legittimato in proprio al patrocinio, ciò sana ogni possibile vizio, facendo ricadere la fattispecie in quella dell’affiancamento a sé di altri difensori, previsto nelle procure speciali rilasciategli pag. 5 . Tale decisione è censurata, nell’ambito del motivo in esame, per due distinte ragioni, entrambe fondate. La prima è che la Corte d’appello dà per scontato che l’avvocato Massa fosse legittimato al patrocinio nella causa contro la Banca. Invece, come già chiarito par. 1.4 , il suo incarico difensivo era circoscritto alla sola azione risarcitoria nei confronti dei responsabili degli illeciti penali di cui erano rimasti vittime i suoi assistiti. Pertanto, l’avvocato Massa, quand’anche fosse stato munito di una procura alle liti, non avrebbe potuto comunque fare proprio il contenuto dell’atto d’appello relativo ad una controversia diversa da quella costituente oggetto del mandato ricevuto. In secondo luogo, va sottolineato che l’avvocato Massa conferì il mandato alle liti all’avvocato Luiso, precisando di agire non in proprio, ma quale procuratore speciale degli appellanti, come risulta pure dall’intestazione dell’atto al quale accede la procura difensiva. Di conseguenza, deve escludersi, secondo gli ordinari canoni interpretativi degli atti negoziali, che da un siffatto mandato possa ricavarsi la volontà del conferente di volersi appropriare, quale difensore, della paternità processuale dell’atto appello. 1.6 In conclusione, in accoglimento del primo motivo del ricorso incidentale, deve essere dichiarata la nullità della procura alle liti conferita dall’avvocato Massa all’avvocato Luiso al fine della proposizione dell’atto d’appello. 2. La superiore conclusione comporta l’inammissibilità dell’appello proposto dagli assistiti dell’avvocato Massa, per difetto di ius postulandi in capo dal difensore che ha sottoscritto l’atto l’avvocato Luiso . Pertanto, la sentenza impugnata deve essere cassata senza rinvio, ai sensi dell’art. 382 c.p.c., comma 3, accertando - quale conseguenza dell’inammissibilità dell’appello - l’intervenuto passaggio in giudicato della sentenza di primo grado. Ne deriva la reviviscenza della decisione sulle spese del giudizio di primo grado, che la corte territoriale aveva invece parzialmente riformato. Questa statuizione determina l’assorbimento degli ulteriori motivi del ricorso incidentale. 3. Il ricorso principale è inammissibile. Esso, infatti, è proposto nei confronti di una sentenza pronunciata in esito ad un gravame non validamente proposto. 4.1 Nonostante l’inammissibilità del ricorso principale, ricorrono le condizioni per pronunciare il principio di diritto nell’interesse della legge, ai sensi dell’art. 363 c.p.c., essendo stata prospettata una questione di particolare importanza. In particolare, il tribunale ha respinto la domanda con due distinte rationes decidendi. Per un verso, ha osservato che se agli attori fossero stati assegnatati gli interessi in sede esecutiva, essi avrebbero già avuto un titolo l’ordinanza di assegnazione per agire esecutivamente nei confronti della banca diversamente, avrebbero dovuto proporre opposizione agli atti esecutivi nei confronti del provvedimento del giudice dell’esecuzione che ometteva di disporre l’assegnazione degli interessi. Tale motivazione, sostanzialmente corretta, non presta il fianco a questioni che meritino una pronuncia nell’interesse nella legge. A diverse conclusioni deve pervenirsi, invece, per la seconda ratio decidendi, che si concreta nella seguente affermazione nessuna norma di diritto sostanziale o processuale fonda l’assunto degli attori secondo il quale i crediti sequestrati sarebbero naturaliter produttivi di interessi . 4.2 La questione di diritto di particolare interesse è, dunque, se le somme sottoposte a sequestro conservativo art. 671 c.p.c. producano interessi ai sensi dell’art. 1282 c.p.c La questione si estende alle somme pignorate, posto che il sequestro conservativo su crediti di effettua nelle forme del pignoramento presso terzi art. 678 c.p.c., comma 1 e si converte in pignoramento al momento in cui il creditore sequestrante ottiene la sentenza di condanna esecutiva art. 685 c.p.c. . 4.3 Prima di esaminare la questione di diritto nell’interesse della legge, è opportuno precisare che con il primo rilievo il tribunale ha individuato sostanzialmente una ragione di inammissibilità dell’opposizione, a prescindere dal fatto che la formula terminativa impiegata sia stata di rigetto . Pertanto, se il ricorso fosse stato ammissibile, in ogni caso si sarebbe dovuta pronunciare l’inammissibilità delle censure svolte nei confronti della seconda ragione della decisione di merito. Ciò in quanto, qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità con la quale si è spogliato della potestas iudicandi in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere, né l’interesse ad impugnare conseguentemente è inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione svolta ad abundantiam nella sentenza gravata. Sez. U, Sentenza n. 3840 del 20/02/2007, Rv. 595555 - 01 . 5.1 Venendo all’esame della questione, occorre muovere le considerazioni dalla circostanza che, com’è noto, la garanzia patrimoniale generica, con la quale il debitore risponde delle obbligazioni assunte, è costituita da tutti i beni presenti e futuri, materiali ed immateriali. Rientra nella prima specie, quella dei beni materiali, il denaro contante appartengono alla seconda categoria, quella dei beni immateriali, i diritti di credito pecuniari. In sede esecutiva le due ipotesi sono diversamente trattate. 5.2 La prima ipotesi è considerata dall’art. 517 c.p.c., comma 2, a mente del quale, nel corso dell’espropriazione mobiliare presso il debitore, l’ufficiale giudiziario, nella scelta delle cose da pignorare, deve in ogni caso preferire il denaro contante. Il denaro pignorato deve essere depositato dal cancelliere nelle forme dei depositi giudiziari art. 520 c.p.c. . Il R.D. 10 marzo 1910, n. 149, art. 12, Approvazione del regolamento sul servizio dei depositi giudiziari , prevede tuttora che, per l’esecuzione del deposito effettuato dal cancelliere, l’ufficio postale rilascia gratuitamente un libretto di risparmio non fruttifero. La norma è formalmente vigente, ma deve ritenersi che essa sia stata tacitamente abrogata per i sequestri penali, a seguito dell’istituzione del Fondo Unico Giustizia D.L. n. 112 del 2008, art. 61, comma 23, convertito in L. n. 133 del 2008 D.L. n. 143 del 2008, art. 2, convertito in L. n. 181 del 2008, e successive modificazioni . La L. Fall., art. 34, comma 1, come modificato dal D.Lgs. n. 9 gennaio 2006, n. 5, prevede, invece, che le somme a qualsiasi titolo riscosse dal curatore sono depositate sul conto corrente intestato alla procedura fallimentare aperto presso un ufficio postale o presso una banca. I depositi giudiziari possono eseguirsi, inoltre, presso la Cassa Depositi e Prestiti, secondo le modalità previste dalla circolare n. 1242 del 12 aprile 2001. Nel frattempo, Poste Italiane s.p.a. ha sospeso l’emissione di libretti di risparmio non fruttiferi, sicché anche i depositi giudiziari effettuati presso gli uffici postali producono interessi, nella misura stabilita dal rapporto. Per un verso, dunque, è venuto meno il principio di esclusività degli uffici postali come gestori dei depositi giudiziari. Dall’altro, risulta superata anche la regola della natura non fruttifera del deposito giudiziario. In conclusione, il denaro contante pignorato presso il debitore produce interessi per tutto il tempo che dura la custodia, nella misura fissata dalla banca, dall’ufficio postale o dagli altri enti abilitati ad aprire un libretto di deposito o un conto corrente nel contratto, dagli usi ovvero, in mancanza, in quella legale art. 1825 c.c. . Gli interessi così maturati si accrescono al compendio sequestrato o pignorato ai sensi dell’art. 2912 c.c., secondo cui il pignoramento comprende i frutti anche civili della cosa pignorata. 5.3 Invece, qualora il denaro di spettanza del debitore esecutato non sia nella sua immediata disponibilità, ma costituisca oggetto di una prestazione che in suo favore deve essere seguita da un terzo, al pignoramento si procede nelle forme di cui all’art. 543 c.p.c In questo caso, l’oggetto del pignoramento non è il denaro contante, bensì il credito, come testualmente chiarito dallo stesso art. 543 c.p.c., comma 1, nonché dagli artt. 552, 553 e 554 c.p.c È pur vero che l’art. 547 c.p.c., nello stabilire il contenuto della dichiarazione c.d. di quantità che deve essere resa dal terzo pignorato, prevede che questi debba specificare di quali cose o di quali somme è debitore o si trova in possesso e quando ne deve eseguire il pagamento o la consegna . Ma l’uso della espressione somme non consente di dire che l’oggetto del pignoramento presso terzi sia costituito da denaro specificatamente individuato. Vi osta il principio della fungibilità del denaro, in ragione del quale le obbligazioni pecuniarie si estinguono con moneta di pari importo avente corso legale al tempo del pagamento, per il suo valore nominale art. 1277 c.c. . Il concetto di somma cui fa riferimento l’art. 547 c.p.c., indica, dunque, l’ammontare nominale del debito, non l’individuazione specifica del denaro destinato al suo soddisfacimento. Una volta chiarito che il pignoramento presso terzi ha ad oggetto un diritto di credito, consegue che lo stesso va assegnato in pagamento ovvero venduto, nell’ipotesi prevista dall’art. 553 c.p.c., comma 2 con tutte le caratteristiche degli accessori che derivano dalla sua fonte. È infatti espressione ricorrente, forse non del tutto appropriata sul piano tecnico, ma certamente dotata di forte capacità descrittiva, quella secondo cui la pronuncia dell’ordinanza di assegnazione prevista dall’art. 552 c.p.c., determina una cessione giudiziale del credito pignorato. Pertanto, qualora il credito pignorato tragga origine da una fonte che prevede il decorso degli interessi, anche questi devono intendersi inclusi nell’oggetto del pignoramento. Del resto, anche per il pignoramento di crediti deve trovare applicazione quanto previsto dall’art. 2912 c.c., a mente del quale il pignoramento comprende gli accessori, le pertinenze e i frutti della cosa pignorata. Qui i frutti sono quelli civili indicati dall’art. 820 c.c., comma 3, ossia gli interessi del capitale. Consegue, in conclusione, che qualora il terzo pignorato sia tenuto a corrispondere gli interessi al debitore esecutato, gli stessi vanno riconosciuti anche a vantaggio del creditore pignorante. La debenza degli interessi, pertanto, dipende dei criteri fissati dall’art. 1282 c.c., e la loro misura è stabilita nel titolo del credito pignorato. Quindi se, come nel caso di specie, costituisce oggetto di pignoramento o di sequestro il denaro giacente su un conto bancario, l’istituto di credito, costituito custode in quanto terzo pignorato art. 546 c.p.c. , è tenuto a corrispondere al creditore assegnatariolnon soltanto l’importo disponibile alla data di notifica dell’atto, ma anche gli interessi nel frattempo maturati, nella misura stabilita nel contratto bancario. 5.4 Va dunque affermato - ai sensi dell’art. 363 c.p.c., comma 3 - il seguente principio di diritto In caso di sequestro conservativo o di pignoramento di crediti, il terzo sequestratario o pignorato, costituito ex lege custode delle somme pignorate, è tenuto alla corresponsione degli interessi nella misura prevista dal rapporto da cui origina il credito pignorato e con le decorrenze ivi previste. Tali frutti civili di accrescono al compendio sequestrato o pignorato ai sensi dell’art. 2912 c.c. . 6. In applicazione dell’art. 385 c.p.c., i ricorrenti principali vanno condannati in solido al pagamento, in favore della controricorrente e ricorrente incidentale, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Sussistono i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicché va disposto il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione da lui proposta, senza spazio per valutazioni discrezionali Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550 . P.Q.M. accoglie il primo motivo del ricorso incidentale, assorbiti i restanti dichiara inammissibile il ricorso principale e cassa senza rinvio la sentenza impugnata. Condanna i ricorrenti principali in solido al pagamento, in favore della controricorrente e ricorrente incidentale, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.