Idoneità della domanda introduttiva del giudizio ad interrompere il tempo necessario ad usucapire

In tema di usucapione, poiché, con il rinvio fatto dall'art. 1165 c.c. all'art. 2943 c.c., risultano tassativamente elencati gli atti interruttivi del possesso, non è consentito attribuire efficacia interruttiva ad atti diversi da quelli stabiliti dalla legge, con la conseguenza che non può riconoscersi tale efficacia se non ad atti che comportino, per il possessore, la perdita materiale del potere di fatto sulla cosa, ovvero ad atti giudiziali diretti ad ottenere ope iudicis la privazione del possesso nei confronti del possessore usucapiente.

Il caso. Nel 2005 una donna conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Brescia, il fratello e la sorella per addivenire alla divisione ereditaria dei beni immobili - lasciati dal genitore, deceduto nel 1985 - e detenuti dal fratello stesso, il quale si rifiutava di presentare il rendiconto della gestione e negava l’assenso a qualsiasi ipotesi di divisione amichevole. La donna chiedeva che fosse attribuita a ognuno degli eredi una porzione dei beni di valore corrispondente alla quota spettantegli, che al fratello fosse ordinato di presentare il rendiconto, addebitando il valore locativo al coerede, possessore e fruitore dei beni. Il fratello della donna si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto della domanda e sostenendo che, per pacifico riconoscimento degli altri coeredi, aveva sempre goduto del possesso degli immobili, tanto da averne usucapito la titolarità, e per tale motivo vi aveva apportato a proprie spese migliorie e riparazioni. Riteneva, inoltre, che dovesse essere integrato il contraddittorio, con la chiamata in giudizio anche di un altro fratello. Il Tribunale di Brescia, nel 2009, si pronunciava dichiarando lo scioglimento della comunione ereditaria tra i fratelli, attribuendo a ciascuno di essi beni per la quota di un quarto e approvando il progetto di divisione depositato nel 2007 e richiamato in sentenza. Avverso la decisione di primo grado l’uomo proponeva ricorso in Appello chiedendo il rigetto delle domande avanzate dalla sorella, la quale resisteva al gravame, ritenendolo infondato in fatto e in diritto. Gli altri fratelli restavano contumaci, sia nel primo che nel secondo grado. La Corte territoriale, nel 2013, con sentenza, accoglieva parzialmente l’impugnazione e riformava la sentenza. Avverso la decisione l’uomo proponeva ricorso per Cassazione, sulla base di un motivo. La donna resisteva in giudizio con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale condizionato, affidato a un motivo. Motivo di impugnazione. Con l’unico motivo, il ricorrente si doleva del fatto che la Corte d’Appello avesse errato nel ritenere che l’atto di citazione introduttivo del giudizio di divisione dell’asse ereditario fosse idoneo ad interrompere la prescrizione acquisitiva, non tenendo conto che l’azione di divisione ereditaria come azione petitoria non è idonea ad interrompere il possesso utile all’usucapione. La donna, con ricorso incidentale si lamenta del fatto che la Corte distrettuale non avesse esaminato l’eccezione relativa al difetto di un valido possesso ad usucapione. Più specificamente, per la donna il fratello aveva posseduto uti condominus e non uti dominus e, dunque, avrebbe dovuto dimostrare di aver posseduto attraverso un’attività durevole, apertamente connaturante e inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui. Osservazioni della Corte di Cassazione. Con riferimento al ricorso principale, i Supremi Giudici ritengono che, secondo l’orientamento di legittimità costante e pacifico, in tema di usucapione - poiché, con il rinvio che l’art. 1165 c.c. fa all’art. 2943 c.c., risultano tassativamente elencati gli atti interruttivi del possesso - non è consentito attribuire efficacia interruttiva ad atti diversi da quelli stabiliti dalla legge, con la conseguenza che non può riconoscersi tale efficacia se non ad atti che comportino, per il possessore, la perdita materiale del potere di fatto sulla cosa, ovvero ad atti giudiziali diretti ad ottenere ope iudicis la privazione del possesso nei confronti del possessore usucapiente. Per i Giudici della Seconda Sezione - considerato che con l’originaria domanda la donna voleva ottenere non solo lo scioglimento della comunione ereditaria ma altresì l’attribuzione della quota ereditaria alla stessa spettante – la domanda introduttiva del giudizio era diretta al recupero del godimento del bene, ovvero ad ottenere la privazione del possesso vantato dal fratello. Pertanto, l’atto di citazione veniva ritenuto idoneo ad interrompere il tempo necessario ad usucapire. Viene ritenuta, quindi, corretta l’affermazione della Corte distrettuale secondo la quale quando la domanda giudiziale contiene, oltre alla domanda di scioglimento della comunione ereditaria, anche quella di attribuzione di quota di spettanza, una tale domanda integra tutti i requisiti utili ad interrompere la prescrizione acquisitiva, essendo stato raggiunto lo scopo di ottenere la materiale separazione della quota del condividente dalla massa ereditaria. In merito poi al ricorso incidentale, il motivo resta assorbito dal rigetto del motivo del ricorso principale. Conclusione. I Giudici della Seconda Sezione civile della Corte di Cassazione, con l’ordinanza in oggetto, rigettano il ricorso principale, ritengono assorbito quello incidentale, condannano il ricorrente in solido a rimborsare alla parte controricorrente le spese del giudizio di legittimità. Danno atto altresì della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 9 gennaio – 30 aprile 2019, n. 11476 Presidente San Giorgio – Relatore Scalisi Fatti di causa Con atto di citazione, notificato il 29 agosto 2005, C.C. conveniva in giudizio i propri fratelli C.G. e A. , davanti al Tribunale di Brescia, proponendo domanda di divisione ereditaria dei beni immobili, siti in omissis , lasciati dal genitore C.B. , deceduto il omissis , e detenuti dal fratello G. , che si rifiutava di presentare il rendiconto della gestione e negava l’assenso a qualsiasi ipotesi di divisione amichevole. Chiedeva che a ciascun condividente fosse attribuita una porzione dei beni, di valore corrispondente alla quota spettantegli, che a C.G. fosse ordinato di presentare il rendiconto, con addebito del valore locativo al coerede, possessore e fruitore dei beni. Costituitosi in giudizio, C.G. chiedeva il rigetto della domanda per pacifico riconoscimento degli altri coeredi egli aveva sempre goduto del possesso degli immobili, tanto da usucapirne la titolarità e, proprio per tale riconoscimento, a sue spese, vi aveva apportato numerose riparazioni e migliorie. Pur contestando la pretesa di C.C. , rilevava che il litisconsorzio doveva essere integrato con la chiamata in giudizio anche del fratello Co.Al. . Ordinata l’integrazione del contraddittorio nei confronti di quest’ultimo, i convenuti C.A. e Co.Al. restavano contumaci. Istruita la causa, con espletamento di c.t.u. per la predisposizione del progetto di divisione, rigettate le istanze istruttorie per prove orali ritenute superflue, discusso il progetto di divisione all’udienza 17.12.2007 e preso atto della mancata accettazione da parte di C.G. , il giudice istruttore, faceva precisare le conclusioni alle parti. Il Tribunale, con sentenza n. 2519/09 del 22 luglio 2009 dichiarava lo scioglimento della comunione ereditaria tra C.G. , C. , A. e Al. con attribuzione a ciascuno di essi di beni per la quota di un quarto approvava e dichiarava definitivo il progetto di divisione depositato il 10.7.2007, richiamato integralmente nella sentenza attribuiva a C.C. l’assegno B , a C.G. l’assegno C , ad Co.Al. l’assegno A , ad C.A. l’assegno D condannava C.G. a pagare a C.C. Euro 161.411,96, oltre interessi legali dalla data del deposito della sentenza al saldo addebitava le spese della c.t.u. alla massa ereditaria dichiarava compensate le spese di lite tra le parti costituite nella misura di metà e condannava C.G. a rifondere a C.C. la rimanente quota, tenuto conto della sua opposizione al progetto poi confermato nella sentenza e della reiezione della maggior parte delle eccezioni da lui sollevate. Avverso questa sentenza interponeva appello C.G. chiedendo, in riforma della decisione, di respingere le domande dell’attrice. Reiterava le istanze istruttorie svolte in primo grado, chiedeva l’espletamento di c.t.u. con esclusivo riferimento al valore attuale degli immobili, per il ricalcolo dei conguagli dovuti. C.C. , resistendo al gravarne, ha chiesto di respingere l’appello, perché infondato in fatto e in diritto nel caso di riforma della sentenza, di pronunciare, comunque, lo scioglimento della comunione ereditaria, attribuendo a lei la proprietà esclusiva di una porzione di valore corrispondente alla quota di 1/4 dell’asse ereditario come accertato dal C.T.U. , con condanna di C.G. a corrisponderle i frutti civili, quale ristoro per la privazione della utilizzazione pro-quota dei beni da lui goduti. C.A. e Co.Al. rimanevano contumaci, anche nel grado di appello. La Corte di Appello di Brescia, con sentenza n. 766 del 2013, accoglieva parzialmente l’appello ed, in riforma della sentenza impugnata, disponeva l’assegnazione dei lotti a b c e d , rispettivamente ad Al. , C. , G. ed A. , e gli ultimi tre erano tenuti al conguaglio a favore del primo, riduceva la somma che C.G. doveva pagare a C.C. ad Euro 21.332,08, compensava per un terzo le spese processuali e condannava C.G. a pagare a C.C. i restanti due terzi. Confermava, per il resto, la sentenza impugnata. A sostegno di questa decisione, la Corte d’Appello di Brescia ha osservato, tra altro, che il Tribunale sarebbe incorso in un’omissione di pronuncia non avendo detto nulla circa i conguagli previsti dal CTU con l’assegnazione dei lotti A B C D assegnato ad Al. . La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da C.G. con ricorso affidato ad un motivo. C.C. ha resistito con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale condizionato affidato ad un motivo. C. Al. e A. in questa sede non hanno svolto alcuna attività giudiziale. Ragioni della decisione A.- Ricorso principale. 1.- Con l’unico motivo C. lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1165 e 2943 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Secondo il ricorrente, la Corte distrettuale avrebbe errato nel ritenere che l’atto di citazione introduttivo del giudizio di divisione dell’asse ereditario fosse idoneo ad interrompere la prescrizione acquisitiva, non tenendo conto che l’azione di divisione ereditaria quale azione petitoria non è idonea ad interrompere il possesso utile all’usucapione. Infatti, l’istanza di attribuzione della quota di spettanza mira esclusivamente ad ottenere una modifica sotto il profilo soggettivo della titolarità del diritto di proprietà sul bene, non manifesta la volontà di privare il possessore del potere di fatto sulla cosa, il quale, anzi, potrebbe continuare a godere del bene a prescindere dalle vicende modificative dell’assetto proprietario. 1.1.- Il motivo è infondato. È orientamento pacifico e costante di questa Corte quello secondo cui in tema di usucapione, poiché, con il rinvio fatto dall’art. 1165 c.c., all’art. 2943 c.c., risultano tassativamente elencati gli atti interruttivi del possesso, non è consentito attribuire efficacia interruttiva ad atti diversi da quelli stabiliti dalla legge, con la conseguenza che non può riconoscersi tale efficacia, se non ad atti che comportino, per il possessore, la perdita materiale del potere di fatto sulla cosa, ovvero, ad atti giudiziali diretti ad ottenere ope iudicis la privazione del possesso nei confronti del possessore usucapente Cass. n. 16234 del 25/07/2011 . Ora, nel caso in esame, considerato che la sig.ra C.C. con l’originaria domanda aveva chiesto, non solo lo scioglimento della comunione ereditaria, ma anche l’attribuzione della quota ereditaria a lei spettante, la domanda introduttiva del giudizio era diretta al recupero del godimento del bene, ovvero, ad ottenere, ope iudicis, la privazione del possesso vantato dal proprio fratello, C.G. , attuale ricorrente. Pertanto, nel caso specifico l’atto di citazione di cui si dice era idoneo ad interrompere il tempo necessario ad usucapire. Corretta è, dunque, l’affermazione della Corte distrettuale secondo cui quando la domanda giudiziale contiene, oltre alla domanda di scioglimento della comunione ereditaria, anche quella di attribuzione di quota di spettanza, una tale domanda integra tutti i requisiti utili ad interrompere la prescrizione acquisitiva, essendo stato raggiunto lo scopo di ottenere la materiale separazione della quota del condividente dalla massa ereditaria . Ricorso incidentale. 2.- Con l’unico motivo del ricorso incidentale la sig.ra C.C. denuncia la nullità della sentenza per omissione di pronuncia vizio del procedimento ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Secondo la ricorrente incidentale, la Corte distrettuale non avrebbe esaminato l’eccezione relativa al difetto di un valido possesso ad usucapione. In particolare, secondo la ricorrente, la Corte distrettuale non avrebbe considerato che il C.G. aveva posseduto il bene oggetto del giudizio uti condominus e non uti dominus e, pertanto, avrebbe dovuto dimostrare di aver posseduto attraverso un’attività durevole, apertamente connaturante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui Cass. 19478 del 2007 . 2.- È evidente che il motivo in esame rimane assorbito dal rigetto del primo motivo. In definitiva, va rigettato il ricorso principale assorbito quello incidentale di C.C. . Le spese seguono la soccombenza. Si dà atto che sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente principale. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito quello incidentale e condanna il ricorrente in solido a rimborsare alla parte controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.500,00, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% del compenso ed accessori, come per legge dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.