Il rilascio di eventuali autorizzazioni non preclude la divisione giudiziale dell’immobile in comunione

Qualora la realizzazione di quanto indicato nella sentenza di divisione giudiziale richieda il rilascio di autorizzazioni, concessioni o altri provvedimenti della Pubblica Amministrazione che si pongano come elementi strumentali al conseguimento del risultato predetto, il giudice dell’esecuzione ha il potere di richiederli, collocandosi tale richiesta nella fase esecutiva di attuazione del diritto sostanziale riconosciuto nella sentenza.

Con la sentenza n. 11376 del 29 aprile 2019, il S.C. interviene su alcuni importi aspetti del procedimento di divisione giudiziale e, in particolare, precisa che il diritto alla divisione di un immobile non può essere ostacolato dalla necessità, nella fase esecutiva, di ulteriori autorizzazioni o titoli, posto che la divisione di un immobile può essere impedita solo dalla irrealizzabilità del frazionamento o dal notevole deprezzamento dell’immobile in caso di divisione. Il caso . La sentenza in commento definisce un giudizio di divisione nel quale erano state avanzate, da parte dell’odierno ricorrente per Cassazione, una serie di contestazioni in punto di validità e correttezza della divisione, relativamente alla natura del compendio in comunione. In particolare, sotto diverse angolazioni, veniva affrontata il tema dei diversi titoli in base ai quali i comproprietari avevano acquisito la proprietà del bene indiviso e l’ammissibilità o meno della divisione qualora risultassero necessari, per l’attuazione della divisione, ulteriori e diversi titoli autorizzativi nella fase di esecuzione del progetto divisionale. Motivi, questi, illustrati in primo grado, oggetto di appello e, da ultimo, alla base del ricorso per Cassazione avverso la sentenza di appello che aveva confermato la sentenza di primo grado, con la quale veniva accolta la richiesta di divisione del bene immobile. Il S.C., anche alla stregua della massima in esame, rigetta il ricorso e conferma la sentenza di appello, non ravvisando profili di indivisibilità del bene in parola. Modalità procedimentali del giudizio di divisione. Prima di esaminare i punti chiave della pronuncia in commento, può essere utile evidenziare, in una prospettiva sistematica, che per procedere alla divisione del bene comune occorre non soltanto che il bene sia naturalmente suscettibile di divisione fisica sul piano naturale e materiale e che in concreto, sia possibile formare porzioni suscettibili di autonomo e libero godimento ma anche, anzitutto, che tale divisione non comporti la creazione di servitù, pesi o limitazioni eccessivi tra le parti scaturenti dalla divisione. Il diritto alla divisione è un diritto potestativo? La Cassazione, con la sentenza in commento, nell’affrontare alcuni profili di rilievo della tematica della divisione giudiziale, rammenta che, secondo i principi generali dell’ordinamento, il diritto alla divisione è per il comproprietario un diritto potestativo, rappresentando quindi il riflesso dello sfavore che lo stesso ordinamento ha rispetto al mantenimento della comproprietà dell’immobile, soprattutto se tale comproprietà ha natura ereditaria. Tale diritto subisce un’eccezione in caso di non comoda divisibilità dell’immobile, che si verifica in caso di irrealizzabilità del frazionamento dell'immobile, o di realizzabilità a pena di notevole deprezzamento, o nel caso di impossibilità a formare in concreto porzioni suscettibili di autonomo e libero godimento, non compromesso come visto in precedenza - da servitù, pesi o limitazioni eccessivi, tenuto conto dell'usuale destinazione e della pregressa utilizzazione del bene stesso. Eccezioni al diritto alla divisione no se particolarmente complessa. Più articolata, perche presuppone un giudizio di comparazione, è l’altra serie di motivi per i quale non si addiviene ad un giudizio di divisione secondo la prevalente giurisprudenza, infatti, non sarebbe possibile procedere alla divisione di un immobile nel caso sia necessario realizzare opere complesse o particolarmente onerose, valutando l'onerosità con riferimento al bene oggetto di divisione infine la divisione non deve condurre ad un sensibile deprezzamento del valore delle porzioni rispetto al valore dell'intero. Giudizio di divisione e diversi titoli dei comproprietari. Il giudizio di divisione si presenta, nel pensiero dei giudici di Cassazione, connotato da particolari risvolti nel caso in cui la comunione derivi da diversi titoli in capo ai comproprietari oggetto specifico di un motivo di ricorso peraltro rigettato il S.C. evidenzia che la comunione su un bene immobile, esistente tra medesimi soggetti ma in virtù di titoli diversi, dà luogo alla formazione di autonome masse, imponendo quindi una diversificazione delle operazioni di divisione diversificazione che avviene secondo un criterio logico-cronologico, a partire dalla comunione più risalente per poi procedere via via allo scioglimento di quelle successive, senza che la valutazione delle richieste concorrenti di attribuzione sia influenzata dall'esito delle precedenti attribuzioni che hanno posto termine allo stato di indivisione su autonome comunioni. Questa circostanza, come visto, aveva costituito motivo di ricorso, che però viene respinto sul rilievo che, anche se la comunione derivava da titoli diversi, ci si trovava comunque in una situazione per la quale i due comproprietari erano tali nella misura del 50% cadauno di conseguenza, una diversificazione delle modalità di divisione non avrebbe portato a risultati diversi da quelli effettivamente voluti dalle parti e da quelli realizzabili in concreto. Divisione giudiziale e successivi titoli autorizzativi. L’ultimo profilo di interesse della sentenza, descritto nei termini della massima in epigrafe, riguarda le modalità di divisione ed il rapporto tra giudizio di divisione ed attuazione dello stesso. Sul punto, la sentenza, richiamando una consolidata giurisprudenza, conferma che non costituisce un motivo di diniego della divisione il fatto che nella fase di attuazione della stessa sia necessario richiedere ulteriori permessi o autorizzazioni di carattere amministrativo. Bisogna infatti distinguere la fase relativa alla divisione e quindi la sussistenza del diritto alla divisione secondo quanto detto in precedenza, e le modalità di attuazione, che sono rimesse alla fase esecutiva e, quindi, da realizzarsi sulla base delle indicazioni del giudice dell’esecuzione.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 19 febbraio 29 aprile 2019, n. 11376 Presidente San Giorgio Relatore Oliva Fatti di causa Con atto di citazione del 27.4.2009 P.C. conveniva F.M. innanzi il Tribunale di Sassari invocando la divisione di un terreno con sovrastante fabbricato che i condividenti avevano acquistato con due successivi atti pubblici, rispettivamente in data 10.3.2005 e in data 9.12.2005. Si costituiva in giudizio il convenuto eccependo che con atto del 28.11.2006 le parti avevano convenuto l’indivisibilità dei beni tra loro in comunione, dei quali invocava l’assegnazione previo il versamento del conguaglio dovuto all’attrice. Con sentenza non definitiva n. 1213/2002 il Tribunale dichiarava la divisibilità del compendio qualificando la scrittura del 28.11.2006 come atto unilaterale di obbligo sottoscritto dalle parti a favore del Comune di omissis al fine di ottenere un titolo autorizzativo per la realizzazione di un intervento edificatorio sul terreno de quo, peraltro mai realizzato dalle parti. Secondo il primo giudice, quindi, da tale atto non derivava alcun vincolo di indivisibilità del cespite tra i comproprietari. Con successiva sentenza definitiva n. 12/2004 il Tribunale scioglieva la comunione e procedeva all’assegnazione dei beni ai condividenti, con conguaglio di Euro 715 a favore dell’originario convenuto. Compensava le spese di lite per 1/3 ponendole per il resto a carico del convenuto, ripartendo invece quelle di C.T.U. in parti uguali tra i due condividenti. Interponeva appello avverso detta decisione il F. . Si costituiva la P. resistendo al gravame. La Corte di Appello di Sassari, con la sentenza oggi impugnata n. 325/2015, rigettava l’impugnazione condannando l’appellante alle spese del grado. Ricorre per la cassazione di detta decisione F.M. affidandosi a quattro motivi. Resiste con controricorso P.C. . Ragioni della decisione Con il primo motivo il ricorrente lamenta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, in quanto la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto inammissibile il primo motivo di appello a fronte del ravvisato giudicato formatosi sulla sentenza non definitiva n. 1213/2012 del Tribunale di Sassari. Ad avviso del ricorrente, la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare che l’inefficacia tra le parti del patto di non divisione del compendio contenuto nella scrittura del 28.11.2006, definitivamente accertata dal Tribunale di Sassari con la richiamata sentenza non definitiva, non comportava necessariamente l’inammissibilità del primo motivo di appello, con il quale l’odierno ricorrente aveva posto la diversa questione relativa alla proponibilità della domanda di divisione, formulata dalla P. con atto unitario nonostante i beni che ne costituivano oggetto fossero stati acquistati dalle parti con due distinti e successivi atti, senza che risultasse tra le parti alcun accordo per la divisione unitaria redatto nelle forme vincolate di cui all’art. 1350 c.c Ad avviso del ricorrente, la Corte territoriale avrebbe violato da un lato l’art. 324 c.p.c., e art. 2909 c.c., perché avrebbe esteso arbitrariamente i limiti del giudicato formatosi sulla sentenza non definitiva del Tribunale, e dall’altro l’art. 1350 c.c., perché avrebbe pronunciato, in difetto di accordo tra le parti, la divisione unitaria di beni aventi diversa provenienza. La censura è infondata. Occorre in primo luogo ribadire l’insegnamento di questa Corte, secondo cui Quando i beni in godimento comune provengono da titoli diversi, non si realizza un’unica comunione, ma tante comunioni quante sono i titoli di provenienza dei beni, corrispondendo, quindi, alla pluralità di titoli una pluralità di masse, ciascuna delle quali costituisce un’entità patrimoniale a sé stante. Pertanto, in caso di divisione del complesso, si hanno, in sostanza, tante divisioni, ciascuna relativa ad una massa e nella quale ogni condividente fa valere i propri diritti indipendentemente da quelli che gli competono sulle altre masse. Nell’ambito di ciascuna massa, inoltre, debbono trovare soluzione i problemi particolari relativi alla formazione dei lotti e alla comoda divisione dei beni immobili che vi sono inclusi Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 27645 del 30/10/2018, Rv.651175 conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2231 del 30/03/1985, Rv. 440114 . Va tuttavia considerato che il principio appena richiamato vale allorquando in relazione alle diverse masse corrispondenti ai vari titoli di acquisto dei beni da dividere si pongano, in concreto, questioni specifiche attinenti alla divisibilità o alle modalità concrete di divisione dei beni medesimi. Nel caso di specie i due comproprietari hanno acquistato, con due successivi atti, l’identico diritto di comproprietà - pari alla metà del totale per ciascuna di esse - su due porzioni di terreno, tra loro confinanti, in relazione alle quali hanno poi presentato al Comune di OMISSIS un unico progetto edilizio. Con i due titoli di acquisto, formalmente differenti ed autonomi, le parti sono divenute comproprietarie, per la medesima quota ideale del 50% cadauna, delle due porzioni di cui anzidetto. In relazione a detti beni la P. ha introdotto domanda di divisione e il F. , costituendosi, non ha eccepito alcunché. Solo con il primo motivo di appello ha sollevato la questione della autonomia delle masse corrispondenti ai due diversi titoli di acquisto, senza tuttavia ricollegarvi alcuna concreta lesione dei suoi diritti di comproprietà. Il F. infatti non ha lamentato che, per effetto della divisione disposta dal Tribunale, gli siano state assegnate porzioni di valore inferiore a quelle che gli sarebbero spettate, ovvero che non gli siano state assegnate porzioni sulle quali aveva compiuto attività migliorative o conservative di qualsiasi genere, o sulle quali vantava aspettative di qualsiasi tipo, ma si è limitato a dolersi del fatto che il primo giudice avesse pronunciato un’unica divisione. Di conseguenza la statuizione della Corte di Appello, che ha considerato la censura inammissibile perché non proposta dal F. nel corso del primo grado, può essere confermata, sia pure con diversa motivazione, posto che a detta censura non corrisponde ad alcun interesse concreto del F. . In questo senso, va ribadito il principio per cui L’interesse ad agire deve essere concreto ed attuale e richiede non solo l’accertamento di una situazione giuridica, ma anche che la parte prospetti l’esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice, poiché il processo non può essere utilizzato solo in previsione di possibili effetti futuri pregiudizievoli per l’attore, senza che siano ammissibili questioni d’interpretazioni di norme, se non in via incidentale e strumentale alla pronuncia sulla domanda principale di tutela del diritto ed alla prospettazione del risultato utile e concreto che la parte in tal modo intende perseguire Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2057 del 24/01/2019, Rv.652254 conf. Cass. Sez. L, Sentenza n. 6749 del 04/05/2012, Rv. 622515 . Anche nel motivo in esame, la questione della mancata considerazione delle due masse divisionali viene riproposta in termini astratti, tanto che il ricorrente conclude affermando che Conseguentemente, la Corte avrebbe dovuto rigettare la domanda di divisione unitaria in assenza dei presupposti, non potendo scegliere quale massa dividere se non a scanso di violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato cfr. pag. 11 del ricorso . Questa affermazione - in sé paradossale perché si sostanzia nella negazione del principio generale del favor divisionis che, invece, pervade l’intera materia del giudizio di divisione cfr. per tutte Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8629 del 29/08/1998, Rv. 518501 - è intrinsecamente errata, posto che il giudice di merito è titolare del potere - dovere di procedere alla qualificazione della domanda e deve sempre optare per l’interpretazione conservativa della volontà delle parti. Di conseguenza, correttamente il Tribunale ha ravvisato, nell’unitaria domanda di divisione proposta dalla P. , una richiesta di procedere alla divisione delle due comproprietà corrispondenti ai due diversi titoli di acquisto, del 10.3.2005 e del 9.12.2005 ed ha pronunciato di conseguenza, individuando due lotti, assegnandone uno a ciascun condividente e determinando il conguaglio dovuto a pareggio. Inoltre va osservato che il ricorrente non deduce, né nella narrazione in fatto contenuta in apertura del ricorso, né nel corpo del motivo in esame, che in concreto i beni assegnati a lui o alla condividente appartengano per intero ad una sola delle due masse di cui si discute. Anzi, per la verità occorre rilevare che il progetto divisionale che in concreto è stato accolto dal Tribunale e confermato dalla Corte di Appello prevede la divisione a metà del fabbricato insistente sul terreno di cui è causa, e che detto fabbricato è stato pacificamente acquistato dagli odierni condividenti con il primo atto del 10.3.2005 cfr. pag. 8 del ricorso . Di conseguenza, si configura anche un’ulteriore profilo di inammissibilità della censura per difetto della necessaria specificità il ricorrente infatti, nel dolersi della mancata considerazione autonoma di ciascuna massa, avrebbe dovuto dedurre, in concreto, che la divisione operata dal giudice di merito aveva compreso in una sola quota tutti, o la gran parte, dei beni appartenenti ad una massa, riservando all’altra quota tutti, o la gran parte, dei beni appartenenti ala seconda massa. In difetto di tale allegazione, la censura non supera il vaglio della specificità. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto sanabile, in base alla disposizione di cui al richiamato art. 30, comma 4 bis, la mancanza in atti del certificato di destinazione urbanistica dei terreni oggetto di divisione. Ad avviso del ricorrente, la Corte sassarina avrebbe dovuto tener conto che la norma di cui al comma 4 bis, si applica soltanto agli atti volontari e non anche alle sentenze. La doglianza è infondata. Il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30, comma 4 bis, infatti fa specifico riferimento agli atti di cui al comma 2, ai quali non siano stati allegati certificati di destinazione urbanistica, o che non contengano la dichiarazione di cui al comma 3 , stabilendo che essi possano essere confermati o integrati anche da una sola delle parti o dai suoi aventi causa, mediante atto pubblico o autenticato, al quale sia allegato un certificato contenente le prescrizioni urbanistiche riguardanti le aree interessate al giorno in cui è stato stipulato l’atto da confermare o contenente la dichiarazione omessa . Il comma 2, a sua volta, fa riferimento agli atti tra vivi, sia in forma pubblica sia in forma privata, aventi ad oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali relativi a terreni prevedendone la nullità, la non stipulabilità e la non trascrivibilità se non accompagnati dall’allegazione del certificato di destinazione urbanistica contenente le prescrizioni urbanistiche riguardanti l’area interessata. La formulazione letterale del comma 4 bis, che richiama espressamente gli atti di cui al comma 2, rende evidente che le due norme regolano il medesimo ambito di conseguenza, se si ritiene che il comma 2, si applichi anche alle sentenze che dispongono la divisione di beni immobili, non può non ritenersi applicabile ai predetti atti anche la successiva disposizione di cui al comma 4 bis. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente confermato lo scioglimento della comunione disposto dal Tribunale senza preventivamente accertare l’esistenza del certificato di destinazione urbanistica del fabbricato insistente sui terreni di cui è causa. La censura è infondata. La Corte di Appello ha infatti dato atto cfr. pag. 2 della sentenza impugnata che il C.T.U. aveva indicato, nella sua relazione, gli estremi della concessione edilizia in base alla quale fu in origine edificato il manufatto ed aveva dato atto che sullo stesso non erano stati realizzati, in seguito, interventi modificativi necessitanti il rilascio di ulteriori titoli autorizzativi. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta infine la violazione dell’art. 720 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perché la Corte di Appello avrebbe dovuto considerare che per attuare concretamente la divisione disposta dal Tribunale è necessario ottenere dal Comune di OMISSIS un permesso di costruire, specificamente in relazione alla progettata divisione del fabbricato in due porzioni. La doglianza è infondata, in quanto l’eventuale rilascio del titolo autorizzativo idoneo alla realizzazione concreta del progetto divisionale fatto proprio dal giudice di merito attiene alla fase esecutiva della sentenza che dispone la divisione. Può pertanto richiamarsi, anche per il caso di specie, il principio posto da questa Corte in tema di esecuzione forzata degli obblighi di fare o non fare, secondo cui qualora la realizzazione del risultato indicato dal titolo in questo caso, la sentenza di divisione richieda il rilascio di autorizzazioni, concessioni o altri provvedimenti da parte della P.A., che si pongano come elementi strumentali al conseguimento del risultato predetto, il giudice dell’esecuzione - opportunamente investito nelle forme di cui all’art. 612 c.p.c. e ss. - ha il potere di richiederli, collocandosi tale richiesta nella fase esecutiva dell’attuazione del diritto sostanziale riconosciuto con il titolo esecutivo Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10959 del 06/05/2010, Rv.612641 conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 13071 del 05/06/2007, Rv.597600 e Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3992 del 18/03/2003, Rv.561217 . Peraltro va anche ribadito che In materia di divisione giudiziale, la non comoda divisibilità di un immobile, integrando un’eccezione al diritto potestativo di ciascun partecipante alla comunione di conseguire i beni in natura, può ritenersi legittimamente praticabile solo quando risulti rigorosamente accertata la ricorrenza dei suoi presupposti, costituiti dall’irrealizzabilità del frazionamento dell’immobile, o dalla sua realizzabilità a pena di notevole deprezzamento, o dall’impossibilità di formare in concreto porzioni suscettibili di autonomo e libero godimento, tenuto conto dell’usuale destinazione e della pregressa utilizzazione del bene stesso Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14577 del 21/08/2012, Rv.623713 conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 16918 del 19/08/2015, Rv. 636128 cfr. anche Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12406 del 28/05/2007, Rv. 597810 . Il fatto che per attuare la divisione si debba ottenere uno specifico titolo autorizzativo dal Comune territorialmente competente non costituisce di certo l’eccezione alla comoda divisibilità di cui anzidetto. In definitiva il ricorso va rigettato. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. Poiché il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, va dichiarata la sussistenza, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dei presupposti per l’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 2.700 di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva e cassa avvocati come per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 1 bis, dello stesso art. 13.