Lo straniero non può essere espulso fino alla decisione sulla domanda di asilo

Ai sensi dell’art. 3 d.lgs. n. 25/2008 l’autorità competente all’esame delle domande di asilo è la commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale. Fino a che tale organo non si pronuncia lo straniero non può essere espulso dal territorio dello Stato.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con ordinanza n. 11309/19, depositata il 26 aprile. Il caso. Un cittadino straniero impugnava il decreto di espulsione emesso nei suoi confronti dal prefetto di Milano deducendo di aver voluto proporre domanda di protezione internazionale in sede di primo accesso. Il GdP respingeva l’opposizione sostenendo che il ricorrente non avesse provato l’esistenza dei presupposti per l’ottenimento della protezione internazionale vista la situazione che aveva nel Paese di origine. Così lo straniero ricorre per la cassazione di tale decisione atteso che il decreto di espulsione era stato adottato dopo che egli si era recato nell’ufficio della questura per presentare la richiesta di asilo politico sulla quale né il prefetto né il questore potevano interloquire, essendo la sua valutazione riservata alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale. Il rilevante ruolo della commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale. Come ha più volte affermato la Suprema Corte, chi ha proposto domanda di protezione internazionale è poi autorizzato a rimanere nel territorio dello Stato, ai fini esclusivi della procedura, fino alla decisione della competente commissione territoriale sulla domanda stessa, fatta salva l’ipotesi di cui all’art. 7 d.lgs. n. 25/2008. Orbene, nel caso in esame, risulta che il questore aveva trasmesso gli atti direttamente al prefetto per l’emissione del decreto espulsivo, non consentendo così al richiedente di ottenere dall’unico soggetto in ciò competente, ossia la commissione territoriale, la verifica delle condizioni di ammissibilità della domanda che aveva intenzione di avanzare. Per tali ragioni, il ricorso va accolto.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile, ordinanza 28 febbraio – 26 aprile 2019, n. 11309 Presidente Scaldaferri – Relatore Terrusi Rilevato che G.S. impugnava il decreto di espulsione emesso nei suoi confronti dal prefetto di Milano, deducendo, per quanto qui rileva, di aver inteso proporre domanda di protezione internazionale in sede di primo accesso nella resistenza dell’amministrazione, il giudice di pace respingeva l’opposizione poiché dal foglio notizie compilato dal richiedente era emerso che egli aveva dichiarato di esser giunto in Italia perché orfano e accusato di furto nel paese di origine il Senegal ad avviso del giudice di pace, quindi, in tale condizione doveva reputarsi corretta e comunque non abusiva la valutazione della questura di Milano circa l’insussistenza dei requisiti per accedere alla protezione internazionale, non avendo il ricorrente provato l’esistenza dei presupposti a essa associati G.S. ricorre per cassazione facendo rilevare, con unico motivo, la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 3, 6, 7 e 10, atteso che il decreto di espulsione era stato adottato dopo che egli si era recato presso gli uffici di questura al fine di presentare una richiesta di asilo politico , sulla quale nè il prefetto nè il questore avevano titolo per interloquire, essendo la relativa valutazione riservata alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale. Considerato che il ricorso è nei termini che seguono manifestamente fondato il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 7, prevede e disciplina il diritto del richiedente di rimanere nel territorio dello Stato durante l’esame della domanda di protezione internazionale, che egli ha parimenti diritto di formulare in sede di accesso ai sensi del D.Lgs. cit., art. 3, le autorità competenti all’esame delle domande di protezione internazionale sono le commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui all’art. 4 a sua volta l’ufficio di polizia di frontiera e la questura sono competenti soltanto a ricevere la domanda, secondo quanto previsto dall’art. 26 come questa Corte ha già sottolineato, chi ha proposto domanda di protezione internazionale è poi autorizzato a rimanere nel territorio dello Stato, ai fini esclusivi della procedura, fino alla decisione della commissione territoriale sulla domanda stessa, con la sola salvezza delle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 7, comma 2 v. Cass. n. 19819-18, seppure in tema di asilo tutto ciò comporta che, da un lato, sussiste il divieto di espulsione in presenza della rituale proposizione della domanda di protezione e, dall’altro, che non la questura come implicitamente ritenuto dal giudice di pace nel caso di specie ma unicamente la commissione territoriale è legittimata a esaminare il merito della suddetta eventuale domanda ora per quel che risulta dal ricorso il questore di Milano, dopo che il ricorrente si era presentato per fare la domanda di asilo politico , aveva attinto notizie sulle relative motivazioni come emergenti dal foglio notizie mentovato dal giudice di pace e, valutando negativamente la congruità delle medesime, aveva trasmesso gli atti direttamente al prefetto per l’emissione del decreto espulsivo in ciò tuttavia è da ravvisare l’illegittimità del provvedimento, erroneamente non colta dal giudice di pace, poiché con tale agire gli organi dell’amministrazione hanno di fatto impedito al ricorrente di ottenere dall’unico soggetto a ciò deputato la commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale la verifica delle condizioni di ammissibilità e di eventuale fondatezza della domanda che egli aveva intenzione oltre che pieno diritto di avanzare il ricorso va dunque accolto e, non sussistendo la necessità di ulteriori accertamenti di fatto, la Corte può decidere la causa anche nel merito ex art. 384 c.p.c. con pronuncia di annullamento del decreto di espulsione le spese processuali seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa il provvedimento impugnato e, decidendo nel merito, annulla il decreto di espulsione condanna l’amministrazione alle spese processuali, che liquida in 1.100,00 Euro per la fase di merito e 2.100,00 Euro per quella di legittimità, somme entrambe comprensive dell’importo di 100,00 Euro a titolo di esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella percentuale di legge.