I termini per impugnare la sentenza del CSM decorrono dalla data di notifica della sentenza al Ministro competente

Ai fini della proposizione del ricorso per cassazione avverso le sentenze emesse dalla Sezione disciplinare del CSM, ai sensi dell’art. 24, comma 1, d.lgs. n. 109/2006, nel caso in cui il termine per impugnare decorra dal giorno in cui è stata eseguita la notificazione o la comunicazione dell’avviso di deposito, se queste ultime sono avvenute in date diverse nei confronti di ciascuno degli aventi diritto all’impugnazione, non torva applicazione la disposizione di cui all’art. 585, comma 3, c.p.p. con la conseguenza che il Ministro della Giustizia non può giovarsi, ai fini della tempestività del ricorso, della circostanza che la sentenza sia stata comunicata al Procuratore generale della Corte di Cassazione in una data successiva a quella della comunicazione avvenuta presso il Gabinetto del Ministro medesimo.

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 10935 depositata il 18 aprile 2019. Il fatto. Il Ministro della Giustizia proponeva azione disciplinare nei confronti di un giudice che, all’epoca dei fatti, aveva commesso diverse presunte mancanze ai doveri di diligenza e laboriosità in relazione ad una procedura di amministrazione di sostegno della quale il magistrato incriminato era stato titolare sino ad una certa data. In particolare, era stato ipotizzato che nella procedura in questione, il giudice avesse autorizzato un avvocato – dallo stesso nominato amministratore di sostegno di un soggetto giudicato non in grado di curare i propri interessi a causa di patologie celebrali connesse anche all’avanzare dell’età – ad effettuare una serie di spese prive di giustificazioni ovvero supportate da ragioni giustificative incoerenti con le effettive esigenze del beneficiario il tutto senza esaminare i rendiconti depositati, in modo tale da arrecare un danno ingiusto all’amministrato in termini di depauperamento del suo ingente patrimonio sia mobiliare che immobiliare. La Sezione disciplinare del CSM assolveva il magistrato posto sotto accusa dall’incolpazione allo stesso ascritta per essere rimasto escluso l’addebito. Difettava, infatti, ad avviso del giudice disciplinare, la prova di condotte omissive in violazione dei doveri di diligenza e laboriosità. Il Ministro della Giustizia proponeva ricorso per Cassazione avverso la predetta sentenza. Gli Ermellini hanno ritenuto il ricorso proposto dal Ministro ricorrente inammissibile per tardività. In particolare, secondo i giudici di legittimità, riguardo ai termini di impugnazione della sentenza emessa dalla Sezione disciplinare del CSM, il punto di partenza è costituito dall’art. 19, comma 2, d.lgs. n. 109/2006, a norma del quale la Sezione disciplinare è tenuta al deposito della motivazione entro 30 giorni dalla deliberazione . Tale disposizione – proseguono i giudicanti - va coordinata con quella dell’art. 24, comma 1, d.lsg. n. 1009/2006, secondo cui avverso le sentenze della Sezione disciplinare del CSM è possibile proporre ricorso per cassazione nei termini e con le forme previsti dal codice di procedura penale . Si impone, quindi, l’esame degli artt. 582 e 585 c.p.p. che regolano i modi e i tempi di presentazione dell’impugnazione. Nello specifico, l’art. 858 cit. dispone che il termine per proporre impugnazione sia di trenta giorni nel caso in cui non sia possibile, come nella specie, procedere alla redazione immediata dei motivi in camera di consiglio. Il giudice disciplinare pertanto, nel caso specifico si è avvalso dell’indicazione di un termine più lungo per il deposito della motivazione con conseguenze che si riflettono anche sui termini di impugnazione. Con riguardo invece al decorso del termine per proporre impugnazione il collegio evidenza che nella specie, in applicazione dell’art. 548, comma 2 cod. proc. pen., esso decorra dal giorno in cui è stata eseguita la notificazione o la comunicazione dell’avviso di deposito. Dagli atti risulta che la segreteria della Sezione disciplinare abbia trasmesso la copia della sentenza di assoluzione del magistrato incriminato, tra gli altri, al Gabinetto del Ministro, alla Direzione generale dei magistrati, alla segreteria della sezione disciplinare della Procura generale presso la Corte di Cassazione ed al difensore del Magistrato in sede disciplinare. La comunicazione al Ministro della Giustizia è prevista espressamente, nell’ipotesi in cui egli – come nella specie – abbia promosso l’azione disciplinare e la legge collega tale adempimento anche ai fini della decorrenza dei termini per la proposizione del ricorso alle sezioni unite della Corte di cassazione”. Concludendo. Secondo i magistrati, pertanto, essendo il computo dei giorni che decorrono dalla data della predetta comunicazione a quella del deposito del ricorso superiore ai trenta giorni utili per l’impugnazione, non si può fare altro che declarare l’irrimediabile la tardività dell’impugnazione medesima.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 9 – 18 aprile 2019, n. 10935 Presidente Cappabianca – Relatore Cirillo Fatti di causa 1. A seguito di una nota informativa trasmessa dal Procuratore generale della Corte d’appello di Caltanissetta all’Ispettorato generale del Ministero della giustizia, il Ministro promosse l’azione disciplinare nei confronti del Dott. C.R.G. , all’epoca dei fatti giudice del Tribunale di Palermo, per violazione del D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 1, e art. 2, comma 1, lett. a . L’incolpazione disciplinare per la quale il medesimo fu tratto a giudizio aveva ad oggetto presunte mancanze ai doveri di diligenza e laboriosità in relazione ad una procedura di amministrazione di sostegno della quale il Dott. C. era stato titolare fino al 23 marzo 2012. In particolare, si ipotizzava che in quella procedura il Magistrato avesse autorizzato l’avv. Francesco Pantaleone - da lui nominato amministratore di sostegno di S.G. , soggetto giudicato non in grado curare i propri interessi a causa di patologie cerebrali connesse anche con l’età avanzata - ad effettuare una serie di spese prive di giustificazione ovvero supportate da ragioni giustificative incoerenti con le effettive esigenze della beneficiaria il tutto senza esaminare i rendiconti depositati, in modo tale da arrecare un danno ingiusto alla persona amministrata. Il danno si era sostanziato, secondo l’incolpazione disciplinare, nel progressivo azzeramento del patrimonio mobiliare della S. - che dall’originaria disponibilità di Euro 210.000 si era ridotto a quella di Euro 24.486 nel momento della morte della stessa, avvenuta l’ omissis - oltre che nella stipula di un contratto assistenziale che aveva determinato il trasferimento della proprietà di un immobile del valore di circa Euro 500.000 in favore di una delle tre badanti dell’amministrata. 2. Con sentenza del 21 settembre 2018 la Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura ha assolto il Dott. C. dall’incolpazione a lui ascritta per essere rimasto escluso l’addebito. Ha osservato il giudice disciplinare che il Dott. C. era stato titolare della procedura di amministrazione di sostegno solo fino al 23 marzo 2012, momento in cui un collega era subentrato al suo posto. Ora, mentre la S. era deceduta il successivo omissis , la riduzione del patrimonio immobiliare risultava essersi verificata in gran parte in un periodo successivo alla gestione del procedimento da parte del Dott. C. , collocandosi appunto in tale periodo successivo il trasferimento di proprietà dell’immobile in favore di una delle badanti. Risultava unico, poi, il rendiconto dell’amministratore di sostegno, relativo al primo esercizio annuale, depositato nel periodo in cui la procedura di amministrazione era affidata al Dott. C. il quale aveva compiuto, in qualità di giudice tutelare, anche molteplici interventi sulle istanze dell’amministratore di sostegno. Difettava pertanto, ad avviso del giudice disciplinare, la prova di condotte omissive in violazione dei doveri di diligenza o di laboriosità. 3. Contro la sentenza della Sezione disciplinare del C.S.M. propone ricorso il Ministro della giustizia, col patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, con atto affidato a due motivi. Si è costituito in questa sede il Dott. C.R.G. , chiedendo anche con successiva memoria che il ricorso venga dichiarato tardivo, irricevibile, inammissibile o comunque infondato. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 , violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1, e art. 2, comma 1, lett. a , nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e . 2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 , violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1, e art. 2, comma 1, lett. a , nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e . 3. Osserva la Corte che il ricorso è inammissibile per tardività. 3.1. Giova premettere che queste Sezioni Unite hanno avuto modo già più volte di pronunciarsi sul problema dei termini di impugnazione delle sentenze emesse dalla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, maturando orientamenti ai quali la pronuncia odierna intende dare ulteriore continuità, con le precisazioni di cui si dirà. Il punto di partenza è costituito dal D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 19, comma 2, a norma del quale la Sezione disciplinare è tenuta al deposito della motivazione entro trenta giorni dalla deliberazione . Questa disposizione deve essere coordinata con quella del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 24, comma 1, secondo cui avverso le sentenze della Sezione disciplinare del C.S.M. è possibile proporre ricorso per cassazione nei termini e con le forme previsti dal codice di procedura penale . Il che è coerente con la particolare natura di un procedimento che, pur dovendosi celebrare davanti alle Sezioni Unite Civili di questa Corte - come previsto dall’art. 24, comma 2, cit., a seguito dell’intervento di cui alla L. 24 ottobre 2006, n. 269, art. 1, comma 3, lett. o , - mantiene un carattere assimilabile in qualche misura al processo penale. Si impone, quindi, l’esame degli artt. 582 e 585 c.p.p., che regolano i modi e i termini di presentazione dell’impugnazione. In particolare, l’art. 585, comma 1, lett. b , cit. dispone che il termine per proporre impugnazione sia di trenta giorni nel caso previsto dall’art. 544, comma 2, del medesimo codice norma, quest’ultima, che regola l’ipotesi in cui non sia possibile procedere alla redazione immediata dei motivi in camera di consiglio. Il che si è verificato nel caso di specie, nel quale la Sezione disciplinare del C.S.M. ha deliberato la sentenza in data 8 giugno 2018 ed ha depositato la motivazione il successivo 21 settembre 2018 né risulta che il giudice disciplinare si sia avvalso della previsione di cui all’art. 544 c.p.p., comma 3, che consente l’indicazione di un termine più lungo per il deposito della motivazione non superiore a novanta giorni , con conseguenze che si riflettono anche sui termini di impugnazione v. l’art. 585 c.p.p., comma 1, lett. c, non applicabile nel caso in esame . Individuato, nella specie, il termine per proporre ricorso per cassazione trenta giorni , si tratta di stabilire da quando esso cominci a decorrere. Tenendo presente, per quanto già detto, che la Sezione disciplinare ha depositato la propria motivazione non rispettando il termine di trenta giorni di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 19, comma 2, ne deriva come conseguenza che debba valere la previsione dell’art. 585 c.p.p., comma 2, lett. c , secondo cui il termine per impugnare decorre dalla scadenza del termine stabilito dalla legge o determinato dal giudice per il deposito della sentenza ovvero, nel caso previsto dall’art. 548, comma 2, dal giorno in cui è stata eseguita la notificazione o la comunicazione dell’avviso di deposito . E poiché, nel caso in esame, il deposito della sentenza non ha avuto luogo nel rispetto del termine fissato dalla legge, si rientra nell’ipotesi dell’art. 548, comma 2 con la conseguenza che il termine decorre dalla data della notificazione o comunicazione dell’avviso di deposito. Termine di trenta giorni, dunque, decorrente dalla comunicazione dell’avviso di deposito della sentenza. Ed è appena il caso di ricordare che simile ricostruzione del sistema è in armonia con una consolidata giurisprudenza di queste Sezioni Unite v., tra le altre, le sentenze 11 luglio 2008, n. 19279, 30 luglio 2008, n. 20601, 13 marzo 2009, n. 6059, e 29 marzo 2013, n. 7934 i cui principi sono stati da ultimo ribaditi nelle sentenze 27 dicembre 2017, n. 30979, 12 aprile 2018, n. 9157, 18 marzo 2019, n. 7622, e 19 marzo 2019, n. 7692 . 3.2. Fissato così il termine per impugnare e quello di decorrenza del medesimo, bisogna verificare, in concreto, in quali date la sentenza qui impugnata sia stata comunicata. Risulta dagli atti che la segreteria della Sezione disciplinare ha trasmesso copia della sentenza di assoluzione del Dott. C. , tra gli altri, al Gabinetto del Ministro, alla Direzione generale dei magistrati, alla segreteria della sezione disciplinare della Procura generale presso la Corte di cassazione ed al difensore del Magistrato in sede disciplinare. La comunicazione al Ministro della giustizia è prevista espressamente, nell’ipotesi in cui egli abbia promosso l’azione disciplinare come nella specie , dal D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 19, comma 3, e la legge collega tale adempimento anche ai fini della decorrenza dei termini per la proposizione del ricorso alle sezioni unite della Corte di cassazione . Detta comunicazione è partita dalla segreteria della Sezione disciplinare del C.S.M., come risulta dal relativo protocollo, in data 17 ottobre 2018 ma ciò che conta ai fini della decorrenza del termine di trenta giorni è, chiaramente, la data della ricezione. E dagli atti risulta che l’Ufficio del Gabinetto del Ministro ha firmato per ricevuta in data 18 ottobre 2018, il difensore del Dott. C. in data 17 ottobre 2018, mentre la segreteria della sezione disciplinare della Procura generale ha firmato il 24 ottobre 2018. La sentenza è stata poi impugnata soltanto dal Ministro della giustizia, col patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, depositando il ricorso presso la segreteria della Sezione disciplinare del C.S.M. in data 26 novembre 2018 in conformità alla previsione dell’art. 582 c.p.p., comma 1 . 3.3. Vanno affrontati, a questo punto, due ulteriori problemi. 3.3.1. Il primo riguarda i limiti di applicabilità alla fattispecie in esame della previsione dell’art. 585 c.p.p., comma 3, norma sulla quale si è pronunciata, a quanto risulta, soltanto la suindicata sentenza n. 7934 del 2013. Recita quella disposizione che quando la decorrenza dei termini di impugnazione è diversa per l’imputato e per il suo difensore opera per entrambi il termine che scade per ultimo . In coerenza con siffatta previsione queste Sezioni Unite hanno riconosciuto, con la citata sentenza n. 7934, che in caso di comunicazione della sentenza disciplinare in date diverse al magistrato incolpato ed al suo difensore in sede disciplinare debba trovare applicazione l’art. 585, comma 3, cit., con conseguente decorrenza del termine dall’ultima delle comunicazioni. Tale conclusione è in coerenza con la finalità della norma in esame, il cui obiettivo è quello di tutelare al massimo le posizioni dell’imputato e del suo difensore, tendenzialmente portatrici del medesimo interesse salvo il caso dell’art. 571 c.p.p., comma 4, secondo cui l’imputato può togliere effetto all’impugnazione proposta dal difensore . Nel caso in esame, come si è detto, la comunicazione dell’avviso di deposito della sentenza disciplinare è stata ricevuta in date diverse dal Gabinetto del Ministro 18 ottobre 2018 e dalla Procura generale della Corte di cassazione 24 ottobre 2018 . Entrambi i destinatari sono titolari del potere di impugnazione della sentenza assolutoria D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 24, comma 1 ma non è sostenibile che il Ministro della giustizia possa avvalersi, ai fini della decorrenza del termine per impugnare, della diversa e successiva data nella quale la sentenza è stata comunicata alla Procura generale. A tale conclusione deve pervenirsi, in conformità alle richieste del P.G. nell’udienza pubblica, perché il potere di impugnazione del Ministro e del Procuratore generale della Corte di cassazione sono del tutto autonomi, non subordinati l’uno all’altro per cui l’iniziativa assunta o non assunta dall’uno non va ad inficiare in alcun modo l’analogo potere spettante all’altro. Né può farsi a meno di rilevare che la facoltà di promuovere l’azione disciplinare - e, quindi, di avvalersi del conseguente potere di impugnazione delle sentenze emesse dalla Sezione disciplinare del C.S.M. - costituisce per il Ministro un’attribuzione di rilevanza costituzionale art. 107, comma 2, della Carta fondamentale . Detto in altri termini, il Ministro della giustizia avrebbe dovuto impugnare la sentenza oggi in esame entro i trenta giorni dalla data in cui essa è stata comunicata al suo Gabinetto, cioè entro il 17 novembre 2018 e poiché tale data cadeva in giornata di sabato, l’impugnazione avrebbe potuto essere tempestivamente proposta entro il 19 novembre 2018. Nè il Ministro poteva utilizzare, per così dire, la circostanza dell’avvenuta comunicazione al Procuratore generale in data 24 ottobre 2018 per proporre ricorso nei trenta giorni successivi. Consegue dal complesso di tali considerazioni che l’odierno ricorso, depositato, come si è detto, il 26 novembre 2018, è tardivo. Rilevano le Sezioni Unite, ad abundantiam, che esso sarebbe tardivo anche facendo decorrere il termine dalla data di comunicazione della sentenza al Procuratore generale. Ricevuta la comunicazione, da parte di quest’ultimo, il 24 ottobre 2018, poiché il mese di ottobre ha trentuno giorni, il termine andava infatti a scadere il 23 novembre 2018 venerdì il che comporta che il ricorso sarebbe ugualmente tardivo. 3.3.2. Residua, a questo punto, il secondo e ultimo problema, che le Sezioni Unite ritengono di dover affrontare perché di rilevanza generale, come ha rilevato anche il P.G. di udienza nella sua discussione orale. Si tratta di stabilire se sia o meno sostenibile che il termine per impugnare decorra, per il Ministro della giustizia, dalla comunicazione della sentenza all’Avvocatura generale dello Stato che, per legge, ha il patrocinio del Ministero. La risposta è negativa. Se è vero, come si è detto, che il potere di impugnazione delle sentenze disciplinari si fonda, per il Ministro, su di una previsione costituzionale, è altrettanto vero che tale attribuzione è personale in altri termini, la scelta se avvalersi o meno del potere di impugnazione è sua e soltanto sua, per cui l’Avvocatura dello Stato interverrà solo in un secondo momento - com’è avvenuto nel caso odierno - allo scopo di redigere il ricorso per cassazione e di sostenerne le ragioni nel prosieguo, fino alla discussione nella pubblica udienza davanti alle Sezioni Unite. In tal senso, del resto, milita anche la previsione testuale del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 19, comma 3, che prevede che la comunicazione sia fatta al Ministro della giustizia e non all’Avvocatura generale dello Stato. Ai fini del computo del termine di impugnazione, quindi, acquista rilievo la comunicazione fatta al Ministro personalmente, cioè con consegna al suo Gabinetto soltanto in un secondo momento, e cioè dopo che egli avrà esercitato il potere di impugnazione, l’Avvocatura generale dello Stato assumerà la funzione di rappresentanza ex lege in giudizio, ai sensi del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 11, con tutte le conseguenze derivanti dall’applicazione delle norme del processo civile al giudizio di cassazione, ai sensi del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 24, comma 2. Deve essere ribadito, infatti, il principio già enunciato da queste Sezioni Unite secondo cui il regime delle impugnazioni derivante dal D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 24, come modificato dalla L. n. 269 del 2006, è caratterizzato dall’applicazione delle norme processuali penali, per la fase introduttiva, e di quelle civili, per la fase del giudizio v., da ultimo, la sentenza 12 giugno 2017, n. 14550 . Ne consegue che non vi è contrasto tra l’odierna pronuncia ed i precedenti di questa Corte nei quali è stato disposto il rinvio dell’udienza ai fini della regolare instaurazione del contraddittorio nei confronti del Ministro della giustizia con notificazione all’Avvocatura generale dello Stato, trattandosi di vicende successive al momento della proposizione del ricorso davanti alle Sezioni Unite v. le ordinanze interlocutorie 31 luglio 2007, n. 16873, e 5 ottobre 2007, n. 20844 . 4. Devono essere enunciati, pertanto, i seguenti principi di diritto Ai fini della proposizione del ricorso per cassazione avverso le sentenze emesse dalla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, ai sensi del D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 24, comma 1, nel caso in cui il termine per impugnare decorra dal giorno in cui è stata eseguita la notificazione o la comunicazione dell’avviso di deposito, se queste ultime sono avvenute in date diverse nei confronti di ciascuno degli aventi diritto all’impugnazione, non trova applicazione la disposizione dell’art. 585 c.p.p., comma 3 ne consegue che il Ministro della giustizia non può giovarsi, ai fini della tempestività del ricorso, della circostanza che la sentenza sia stata comunicata al Procuratore generale della Corte di cassazione in una data successiva a quella della comunicazione avvenuta presso il Gabinetto del Ministro medesimo . In materia di impugnazione delle sentenze emesse dalla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, il sistema di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 24, è caratterizzato dall’applicazione delle norme processuali penali, per la fase introduttiva, e di quelle civili, per la fase del giudizio ne consegue che la comunicazione dell’avviso di deposito della sentenza prevista dall’art. 19, comma 3, del D.Lgs. cit. si perfeziona nei confronti del Ministro della giustizia, ai fini del decorso del termine per proporre ricorso per cassazione, con la ricezione della comunicazione da parte del Gabinetto del Ministro . 5. Il ricorso, pertanto, è dichiarato inammissibile. A tale esito segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55. Non si fa luogo al pagamento del doppio del contributo unificato, attesa la natura pubblica del Ministro ricorrente. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 4.000, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.