Sposata da 5 anni con un italiano: sì al permesso di soggiorno anche senza convivenza coniugale

Rimesso in discussione il provvedimento con cui la Questura ha respinto la richiesta di rinnovo presentata da una donna di origini marocchine. Una volta accertata l’esistenza delle nozze con un italiano, è da ritenere irrilevante il richiamo alla presunta mancata convivenza tra i coniugi.

Straniera sposata regolarmente da cinque anni con un cittadino italiano. Plausibile la sua richiesta di ottenere un permesso di soggiorno permanente per motivi di famiglia. Irrilevante, a questo proposito, la presunta mancanza di convivenza della coppia di sposi Cassazione, sentenza n. 10925/19, sez. I Civile, depositata il 18 aprile . Soggiorno. Protagonista della vicenda è una cittadina marocchina, sposatasi nel 2009 con un uomo italiano, di origini pugliesi. Quelle nozze le hanno consentito di ottenere il titolo di soggiorno per motivi di famiglia con validità quinquennale . Cinque anni dopo, nel 2014, la donna presenta istanza per il rinnovo del ‘permesso’, mediante rilascio del titolo permanente . Ma a sorpresa arriva una risposta negativa dalla Questura. Decisivo l’esito di plurimi accertamenti sul nucleo familiare , accertamenti che hanno permesso di evidenziare la carenza della convivenza coniugale . Il decreto emesso dalla Questura viene impugnato dalla straniera ma questa azione si rivela inutile, poiché i Giudici, prima in Tribunale e poi in Corte d’appello, confermano il no” all’ipotesi del rinnovo del permesso di soggiorno . Convivenza. A stravolgere l’esito della vicenda è la Cassazione, smentendo l’ottica adottata in secondo grado ed evidenziando che tra i criteri di riconoscimento iniziale e conservazione dei titoli di ‘soggiorno’ non può farsi rientrare, nell’ipotesi del coniuge del cittadino italiano, la convivenza effettiva tra moglie e marito. In aggiunta viene osservato che il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi familiari in favore di un cittadino extracomunitario, coniuge di un cittadino italiano, non richiede né il requisito oggettivo della convivenza tra il cittadino italiano e il convivente – salve le conseguenze dell’accertamento di un matrimonio fittizio o di convenienza – né quello del pregresso regolare soggiorno del richiedente . Di conseguenza, è viziato il provvedimento della Questura poiché non si giustifica in forza della valutazione della natura fittizia del vincolo coniugale, ma in virtù della mancanza di prova della convivenza, all’esito di indagini svolte a seguito della richiesta di rinnovo del permesso . Necessario, ora, un nuovo giudizio in Appello, dove, però, tenendo conto delle indicazioni fornite dalla Cassazione, pare plausibile l’accoglimento della richiesta presentata dalla cittadina marocchina.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 15 febbraio – 18 aprile 2019, numero 10925 Presidente Bisogni - Relatore Federico Ritenuto in fatto Az. Le., cittadina marocchina, contraeva matrimonio in omissis con il sig. Ca. Da., ed, in quanto coniuge di un cittadino italiano, ai sensi dell'art. 2 co. 1 lett. b numero 1 del D.Lgs. 30/2007, chiedeva ed otteneva ex art. 10 il titolo di soggiorno per motivi di famiglia, con validità quinquennale. In prossimità della scadenza dello stesso presentava, in data 20.5.2014, istanza per il rinnovo, mediante rilascio del titolo permanente. La Questura di Foggia espletava plurimi accertamenti ai fini della verifica del nucleo famigliare. In data 24.9.2015 veniva emanato provvedimento di reiezione della richiesta del rinnovo del permesso di soggiorno rilevata la carenza della convivenza coniugale. Avverso detto decreto la Le. proponeva ricorso ex art. 702 bis c.p.c, che veniva respinto dal Tribunale di Foggia e la Corte d'Appello di Bari, con la sentenza numero 1995/2017, confermava integralmente la pronuncia di primo grado. Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, Az. Le Il Ministero dell'Interno e la Questura di Foggia resistono con controricorso. Considerato in diritto Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 10, 14, 17, 23 del D.Lgs. 30/2007 e dell'art. 16 della Direttiva 2004/38/CE , in relazione all'art. 360 numero 3 c.p.c. per avere la Corte territoriale valorizzato il requisito della mancata convivenza tra i coniugi e non aver ritenuto che la ricorrente aveva già maturato il diritto all'ottenimento del permesso di soggiorno permanente a far data dal luglio del 2014. Il secondo motivo denuncia l'errata applicazione dell'art. 30 co. 1 bis del D.Lgs. 286/1998, la violazione degli artt. 2, 10, 14, 17, 23 del D.Lgs. 30/2007, degli artt. 35, 31. Co. 3 e 28 co. 1 della direttiva 2004/38/CE in relazione all'art. 360 numero 3 c.p.c. nonché la nullità della sentenza per violazione dell'art. 112 c.p.c. in relazione all'art. 360 numero 4 c.p.c. per avere la Corte territoriale fondato il provvedimento di rigetto sul carattere fittizio del matrimonio, mentre il provvedimento di rigetto della questura era unicamente fondato sul rilievo della mancata convivenza. Il terzo motivo denuncia l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell'art. 360 numero 5 c.p.c, per non avere la Corte territoriale tenuto conto che la ricorrente aveva consolidato la propria posizione giuridica soggettiva, avendo vissuto nel territorio italiano nei precedenti cinque anni in particolare la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare lo status di familiare di un cittadino UE della ricorrente e la persistente efficacia del proprio matrimonio, celebrato nel 2009, da cui derivava de plano il riconoscimento del diritto di soggiorno gli accertamenti della Corte d'appello sarebbero infine irrilevanti ed inconferenti ed espressi in termini meramente ipotetici. I prime due motivi che, in quanto connessi, vanno unitariamente esaminati, sono fondati. Conviene premettere che il presente giudizio ha ad oggetto l'impugnazione del provvedimento emesso in data 24.9.2015, con il quale la Questura di Foggia ha rigettato il rinnovo del premesso di soggiorno dell'odierna ricorrente a causa della mancata prova della effettiva convivenza tra i coniugi. Premessa la piena applicabilità alla fattispecie dedotta nel presente giudizio della disciplina contenuta nel D.Lgs.30 del 2007, deve escludersi che tra i criteri di riconoscimento iniziale e conservazione dei titoli di soggiorno previsti da tale normativa possa farsi rientrare, nell'ipotesi del coniuge del cittadino italiano o dell' UE la convivenza effettiva, trattandosi di criterio rimasto estraneo sia all'art. 7, comma 1, lett. d , relativo al diritto di soggiorno del familiare del cittadino italiano, sia alle previsioni di cui agli artt. 12 e 13 del D.Lgs. numero 30 del 2007, che regolano il primo il mantenimento del diritto di soggiorno in caso di divorzio o annullamento del matrimonio e pongono, per il secondo, il limite del pericolo per l'ordine e la sicurezza pubblica Cass.12745/2013 . Il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi familiari in favore di un cittadino extracomunitario, coniuge di un cittadino italiano, non richiede né il requisito oggettivo della convivenza tra il cittadino italiano e il richiedente - salve le conseguenze dell'accertamento di un matrimonio fittizio o di convenienza, ai sensi dell'art. 35 della direttiva 2004/38/CE del 29 aprile 2004 e dunque, dell'art. 30, comma 1 bis, del D.Lgs. 25 luglio 1998, numero 286 - né quello del pregresso regolare soggiorno del richiedente Cass. 5303/2014 . Orbene, con riferimento alla fattispecie dedotta in giudizio, come già evidenziato, il diniego di permesso di soggiorno è stato determinato dal difetto del requisito della convivenza. Ne consegue che l'accertamento giurisdizionale è strettamente vincolato dalla motivazione del provvedimento amministrativo e deve limitarsi al riscontro, alla luce della disciplina applicabile, delle condizioni riconducibili all'unione coniugale. Le norme al riguardo applicabili sono gli artt. 12 e 13 del cit. D.Lgs. 30/2007. La prima disposizione disciplina le ipotesi in cui il divorzio e l'annullamento del matrimonio contratto con il cittadino italiano conducono alla perdita del diritto al soggiorno, escludendone la privazione automatica. L'art. 13 comma 1 richiede l'ulteriore condizione che il titolare del diritto di soggiorno non costituisca un pericolo per l'ordine e la sicurezza pubblica. Il requisito dell'effettiva convivenza è dunque del tutto estraneo alla disciplina del D.Lgs. numero 30/2007, mentre è tuttora vigente, anche perché espressamente previsto dall'art. 35 della Direttiva 2004/38/CE, il divieto di abuso del diritto e di frode, realizzabili mediante matrimoni fittizi contratti all'esclusivo fine di aggirare la normativa pubblicistica in tema d'immigrazione. Orbene, la sentenza impugnata ha respinto il ricorso della richiedente proprio in forza del carattere fittizio del matrimonio, ma si è in tal modo discostata, in violazione dell'art. 112 c.p.c., dal thema decidendum del presente giudizio, quale determinato dalla motivazione del provvedimento di diniego del questore e dai motivi della impugnazione della ricorrente, che delimitano l'ambito dell'accertamento giurisdizionale. Il provvedimento del questore impugnato, infatti, non si giustifica in forza della valutazione della natura fittizia del vincolo coniugale, ma in virtù della mancanza di prova della convivenza all'esito di indagini svolte a seguito della richiesta di rinnovo del permesso nell'anno 2014. Il diniego di rinnovo, risulta dunque fondato su accertamenti espletati dall'autorità di pubblica sicurezza con riferimento alla data della richiesta anno 2014 , a fronte di un matrimonio celebrato dalla ricorrente con un cittadino italiano ben 5 anni prima l'8.7.2009 senza che nel lungo periodo di tempo intercorrente da tale data fino alla richiesta di rinnovo del permesso risulti effettuata alcuna contestazione sulla natura fittizia del matrimonio e conseguente situazione di abuso del diritto da parte della richiedente. In conclusione, il carattere fittizio del matrimonio, che non è stato specificamente contestato alla ricorrente e non risulta posto a fondamento del provvedimento impugnato è cosa ben diversa dal requisito della convivenza Cass. 5303/2014 Cass. 12745/2013, cit., in motivazione che costituisce l’ oggetto dell'impugnazione e che è stata erroneamente intesa nel provvedimento del questore di diniego del rinnovo come requisito oggettivo del diritto al soggiorno. Da ciò la nullità della sentenza, che ha confermato il provvedimento di diniego sulla base di una ratio estranea alla motivazione del provvedimento impugnato. L'accoglimento dei primi due motivi assorbe l'esame del terzo. La sentenza impugnata va dunque cassata e, decidendo la causa nel merito, va accolta l'impugnazione della richiedente avverso il provvedimento di diniego del rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di famiglia emesso dal Questore di Foggia il 24.9.2015. Considerata la particolarità e controvertibilità delle questioni trattate, va disposta l'integrale compensazione tra le parti delle spese dell'intero giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, dichiara la nullità del provvedimento di rifiuto del rinnovo del permesso di soggiorno emesso dal Questore di Foggia nei confronti di Az. Le Dichiara interamente compensate le spese dell'intero giudizio.