In fuga dagli “zii vampiri”: racconto assurdo e protezione negata

Chiusa dalla Cassazione l’incredibile battaglia giudiziaria portata avanti da un cittadino gambiano che, approdato in Italia, ha chiesto il riconoscimento della protezione, spiegando di essere fuggito dal proprio Paese per paura di essere divorato dagli zii vampiri.

Il timore di essere aggredito da presunti vampiri – di famiglia, per giunta – non può essere sufficiente per ottenere accoglienza e protezione in Italia. Così i Giudici del Palazzaccio hanno chiuso la assai singolare querelle giudiziaria riguardante un uomo originario del Gambia Cassazione, ordinanza n. 10226/19, sez. I Civile, depositata l’11 aprile . Parenti. Protagonista dell’assurda vicenda è un cittadino del Gambia, che, una volta approdato in Italia, chiede il riconoscimento della protezione internazionale , spiegando di avere lasciato il Paese in seguito ad un conflitto insorto con gli zii paterni . A colpire sono i dettagli della storia da lui raccontata i familiari si presentavano nella sua stanza di notte per succhiargli il sangue , spiega, così come avevano fatto con i suoi genitori causandone poco a poco la morte . Per completare il quadro, infine, l’uomo aggiunge un ulteriore particolare il padre prima di morire gli ha rivelato che gli zii erano dei vampiri e gli ha consigliato di fuggire dal Gambia. Ecco spiegata, quindi, la sua decisione di abbandonare la terra natia per raggiungere, nel dicembre del 2015, l’Italia. La richiesta di protezione è connessa, ovviamente, proprio al timore dell’uomo di essere divorato dai vampiri parenti, una volta ritornato in patria. Incubi. Immaginabile la risposta della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale no” secco alla richiesta presentata dallo straniero. No” condiviso dai Giudici del Tribunale, i quali considerano il racconto da lui fatto privo di un grado attendibile di credibilità intrinseca, anche a prescindere alla assoluta inverosimiglianza della natura vampiresca degli zii . E identica posizione assume anche la Cassazione, che respinge definitivamente l’ipotesi di protezione in favore del cittadino gambiano. Impossibile riconoscere anche solo una parvenza di verosimiglianza al racconto fatto dall’uomo, e ciò anche con riferimento a un atteggiamento di prevaricazione o di sfruttamento assunto nei suoi riguardi dai parenti del padre deceduto . Non a caso, è proprio lo straniero ad escludere che gli zii gli creassero, di giorno, problemi o che qualcosa capitasse al fratello più piccolo . Assolutamente non credibile, poi, il riferimento alla natura vampiresca degli zii . A questo proposito, i Giudici provano a trovare una spiegazione a un racconto assurdo a loro parere si può ipotizzare che lo straniero soffra di incubi notturni, ma, aggiungono, tale circostanza è del tutto irrilevante ai fini della protezione richiesta .

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 6 marzo – 11 aprile 2019, numero 10226 Presidente Schirò – Relatore Cesare Fatti di causa 1. Con decreto del 15/5/2018, notificato il 16/5/2018, il Tribunale di Milano ha respinto il ricorso ex articolo 35 bis D.Lgs. 25/2008 presentato da Eb. To., alias Eb. To., cittadino gambiano, avverso il provvedimento della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Milano che aveva respinto la sua richiesta di protezione internazionale e in subordine di protezione umanitaria. Il richiedente, cittadino gambiano, di religione musulmana, di etnia sarakoulè, aveva raccontato di aver lasciato il suo Paese di origine nel 2013 in seguito ad un conflitto insorto con gli zii paterni, che si presentavano nella sua stanza di notte, per succhiargli il sangue, così come avevano fatto con i suoi genitori, causandone, poco a poco, la morte poco prima del decesso, nel 2013, il padre gli aveva rivelato che gli zii erano vampiri, consigliandogli di fuggire nel dicembre del 2015 era arrivato in Italia temeva in caso di rientro in patria di essere divorato dai vampiri. Secondo il Tribunale, il racconto del ricorrente era privo di un grado attendibile di credibilità intrinseca, anche a prescindere dalla assoluta inverosimiglianza della natura vampiresca degli zii non vi erano gli estremi per una forma di protezione internazionale con riferimento alla situazione generale del Gambia, anche a prescindere dalla mancanza di qualsivoglia aggancio alle vicende personali del richiedente ha infine escluso una particolare situazione di vulnerabilità e di insormontabili difficoltà di reintegrazione in patria. 2. Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso Eb. To., con atto notificato il 14/6/2018, svolgendo quattro motivi. L'intimata Amministrazione dell'Interno ha notificato controricorso in data 25/7/2018 chiedendo il rigetto del ricorso. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360, numero 4 e numero 3, cod.proc.civ., il ricorrente denuncia error in procedendo e violazione o falsa applicazione di legge in relazione all'articolo 3, D.Lgs. 251/2007, alla Direttiva 2004/83/CE e all'articolo 8 del D.Lgs.25/2008. 1.1. Compito del Giudice, secondo il ricorrente, non è valutare la genericità e/o credibilità e/o inattendibilità del richiedente asilo, bensì verificare se sia o meno formata la prova in base ai requisiti prescritti dalla normativa speciale dell'articolo 3 D.Lgs. 251/2007. Il ricorrente osserva inoltre che ai fini della plausibilità il racconto deve reggere e i fatti riportati dal sig. Ce. si presume rectius To. erano appunto plausibili, perché la narrazione aveva una sua logica ed è riferita a vicende che realmente si verificano in Gambia. Rilevava infatti la condizione familiare vissuta dal richiedente e da lui riportata a tinte forti. Occorreva inoltre verificare la capacità e la volontà dello Stato di accordare protezione e il rischio di subire trattamenti inumani o degradanti, verificando d'ufficio le condizioni del Paese di origine. 1.2. Il Tribunale ha escluso che il racconto del richiedente raggiungesse un sufficiente grado di attendibilità, anche con riferimento a un atteggiamento di prevaricazione o sfruttamento assunto nei suoi riguardi dai parenti del padre deceduto e prescindendo dall'assoluta inverosimiglianza della natura di vampiri degli zii. Lo stesso ricorrente esclude che gli zii di giorno gli creassero qualsiasi problema o che qualcosa capitasse al fratello più piccolo. 1.3. E' ben noto che nel procedimento per il riconoscimento della protezione internazionale è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui all'articolo 8, comma 3, del D.Lgs. numero 25 del 2008, se la situazione di esposizione a pericolo per l'incolumità fisica indicata dal ricorrente, astrattamente riconducibile ad una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, sulla base ad un accertamento che deve essere aggiornato al momento della decisione Sez.6, 28/06/2018, numero 17075 . La valutazione della credibilità soggettiva del richiedente non può essere legata alla mera presenza di riscontri obiettivi di quanto da lui narrato, incombendo al giudice, nell'esercizio del potere-dovere di cooperazione istruttoria, l'obbligo di attivare i propri poteri officiosi al fine di acquisire una completa conoscenza della situazione legislativa e sociale dello Stato di provenienza, onde accertare la fondatezza e l'attualità del timore di danno grave dedotto Sez.6, 25/07/2018, numero 19716 . Il giudice deve tuttavia prendere le mosse da una versione precisa e credibile, se pur sfornita di prova, perché non reperibile o non esigibile, della personale esposizione a rischio grave alla persona o alla vita tale premessa è indispensabile perché il giudice debba dispiegare il suo intervento istruttorio ed informativo officioso sulla situazione persecutoria addotta nel Paese di origine le dichiarazioni del richiedente che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. numero 251 del 2007, articolo 3, non richiedono un approfondimento istruttorio officioso, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall'impossibilità di fornire riscontri probatori Sez.6, 27/06/2018, numero 16925 Sez.6, 10/4/2015 numero 7333 Sez.6, 1/3/2013 numero 5224 . Il quinto comma dell'articolo 3 del D.Lgs.251/2007 stabilisce che anche in difetto di prova, la veridicità delle dichiarazioni del richiedente deve essere valutata alla stregua dei seguenti indicatori a il compimento di ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda b la sottoposizione di tutti gli elementi pertinenti in suo possesso e di una idonea motivazione dell'eventuale mancanza di altri elementi significativi c le dichiarazioni del richiedente debbono essere coerenti e plausibili e non essere in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso, di cui si dispone d la domanda di protezione internazionale deve essere presentata il prima possibile, a meno che il richiedente non dimostri un giustificato motivo per averla ritardata e la generale attendibilità del richiedente, alla luce dei riscontri effettuati. Il contenuto dei parametri sub c ed e , sopra indicati, evidenzia che il giudizio di veridicità delle dichiarazioni del richiedente deve essere integrato dall'assunzione delle informazioni relative alla condizione generale del paese, quando il complessivo quadro allegativo e probatorio fornito non sia esauriente, purché il giudizio di veridicità alla stregua degli altri indici di genuinità intrinseca sia positivo Sez.6, 24/9/2012, numero 16202 del 2012 Sez.6, 10/5/2011, numero 10202 . Le dichiarazioni intrinsecamente inattendibili non richiedono pertanto un approfondimento istruttorio officioso, purché la mancanza di veridicità non derivi esclusivamente dall'impossibilità di fornire riscontri probatori sulla situazione oggettiva dalla quale scaturisce la situazione di rischio descritta. Beninteso, il principio che le dichiarazioni del richiedente che siano inattendibili non richiedono approfondimento istruttorio officioso va precisato e contestualizzato nel senso che ciò vale per il racconto che concerne la vicenda personale del richiedente, che può rilevare ai fini dell'accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o ai fini dell'accertamento dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, di cui all'articolo 14 lett. a e b del D.Lgs.251/2007. Invece il dovere del giudice di cooperazione istruttoria, una volta assolto da parte del richiedente la protezione il proprio onere di allegazione, sussiste sempre, anche in presenza di una narrazione dei fatti attinenti alla vicenda personale inattendibile e comunque non credibile, in relazione alla fattispecie contemplata dall'articolo 14, lett. c , del D.Lgs. numero 251 del 2007 Sez.I, 31/1/2019 numero 3016 . Inoltre questa Corte ha di recente ribadito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, ex articolo 3, comma 5, lettera c , del D.Lgs. numero 251 del 2007. Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell'articolo 360, comma 1, numero 5 cod.proc.civ. come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, o come motivazione apparente, o come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l'ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito Sez. 1 , numero 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 - 01 Sez. 6 - 1, numero 33096 del 20/12/2018, Rv. 652571 - 01 . 1.4. Non sembra neppur comprensibile la tesi del ricorrente secondo il quale i fatti riportati erano plausibili, la narrazione aveva una sua logica e si riferiva a vicende che realmente si verificano in Gambia. L'unica spiegazione ragionevole, secondo la stessa logica del racconto, è che il To. soffrisse di incubi notturni, comunque superati come osservato a pagina 7, secondo capoverso , circostanza di per sé del tutto irrilevante ai fini della protezione richiesta. 2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360, numero 4 e numero 3, cod.proc.civ., il ricorrente denuncia error in procedendo e violazione o falsa applicazione di legge in relazione all'articolo 14 D.Lgs.251/2007 e alla Direttiva 2004/83/CE, avendo il Tribunale mancato di verificare se alla situazione di violenza diffusa nel paese fosse stato contrapposto un efficace e concreto intervento ad opera delle autorità statuali. Il ricorrente propone censura di violazione di legge per dissentire nel merito dalla valutazione espressa dal Tribunale alle pagine 6 e 7 sulla base della consultazione di fonti internazionali della situazione generale del paese di provenienza, che ha condotto i Giudici milanesi a escludere motivatamente escluso l'attuale sussistenza di una situazione di conflitto armato, di violenza indiscriminata, di insicurezza generalizzata o comunque di allarme sociale, tale da giustificare la richiesta protezione sussidiaria. 3. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360, numero 4 e numero 3, cod.proc.civ., il ricorrente denuncia error in procedendo e violazione o falsa applicazione di legge in relazione all'articolo 5 , comma 6, D.Lgs.286/1998, della Direttiva 2004/83/CE, degli articolo 2 Cost e all'articolo 8 CEDU. La valutazione circa la concessione della protezione umanitaria prescinde dall'assenza o meno di prove o principi di prova, va condotta d'ufficio e si deve fondare su di una valutazione comparativa volta a verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell'esercizio di diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile. Era mancata la corretta valutazione dei rischi in caso di rimpatrio e la debita valutazione comparativa alla luce del mutamento della vita del ricorrente in considerazione del suo inserimento lavorativo e sociale dopo l'espatrio. Il Tribunale a tal proposito si sarebbe sostanzialmente appiattito sulle stesse ragioni con cui aveva giustificato il rigetto della richiesta delle protezioni principale e sussidiaria. 3.2. Giova premettere, quanto alla disciplina transitoria, che questa Corte, con sentenza del 23/1/2019 numero 4890, condivisa dal Collegio che intende garantirle continuità, ha precisato che la normativa introdotta con il D.L. numero 113 del 2018, convertito nella legge numero 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina del permesso di soggiorno per motivi umanitari dettata dall'articolo 5, comma 6, del D.Lgs. numero 286 del 1998 e dalle altre disposizioni consequenziali, sostituendola con la previsione di casi speciali di permessi di soggiorno, non trova applicazione in relazione alle domande di riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell'entrata in vigore 5/10/2018 della nuova legge, che devono essere scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione. In tale ipotesi, all'accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base dei presupposti esistenti prima dell'entrata in vigore del D.L. numero 113 del 2018, convertito nella legge numero 132 del 2018, farà seguito il rilascio da parte del Questore di un permesso di soggiorno contrassegnato dalla dicitura casi speciali e soggetto alla disciplina e all'efficacia temporale prevista dall'articolo 1, comma 9, di detto decreto legge. 3.3. La censura è del tutto infondata e neppur si confronta con l'approfondita valutazione espressa dal Tribunale alla pagina 7 circa l'assenza di una situazione di vulnerabilità soggettiva meritevole di tutela attraverso il riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. 4. Con il quarto motivo di ricorso, proposto ex articolo 360, numero 4 e numero 3, cod.proc.civ., il ricorrente denuncia la nullità del decreto impugnato a causa dell'unica sottoscrizione apposta dal solo presidente estensore e non anche da almeno uno d gli altri componenti del collegio, in violazione della natura di sentenza collegiale del provvedimento e della garanzia rappresentata o per il richiedente asilo dalla trattazione e decisione collegiale. La censura è infondata. L'articolo 35 bis, comma 1, del D.Lgs.25/2008 prevede che le controversie aventi ad oggetto l'impugnazione dei provvedimenti previsti dall'articolo 35, sono regolate dalle disposizioni di cui agli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile rito camerale , ove non diversamente disposto. Il 13. comma dello stesso articolo espressamente prevede che la decisione sia adottata dal Tribunale nella forma del decreto ovviamente motivato , come del resto prevede in linea generale l'articolo 737 cod.proc.civ. Trova quindi applicazione, in difetto di diversa disciplina contenuta nella norma speciale, l'articolo 135, comma 4, cod.proc.civ., secondo il quale il decreto di un organo collegiale deve essere sottoscritto dal solo presidente del collegio. Nel caso, poi, il provvedimento è stato sottoscritto dalla dott.ssa Pa. Inumero , quale Presidente estensore, cosa perfettamente corretta quand'anche si si fosse trattato di sentenza, ai sensi di quanto disposto dall'ultimo comma dell'articolo 132 cod.proc.civ. 5. Il ricorso deve quindi essere rigettato e il ricorrente soccombente deve essere condannato a rifondere le spese di lite al controricorrente, liquidate come in dispositivo. Poiché risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere stata ammessa al Patrocinio a spese dello Stato non si applica l'articolo 13 comma 1- quater, D.P.R. 30 maggio 2002, numero 115. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare al controricorrente le spese di lite, liquidate in Euro 2.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.