La decadenza dalla domanda riconvenzionale nel rito del lavoro per omessa richiesta di una nuova udienza

Nel rito del lavoro, la decadenza prevista dall’art. 418 c.p.c. per il caso in cui il convenuto che abbia proposto regolare domanda convenzionale non abbia contestualmente chiesto al giudice la fissazione di una nuova udienza, non opera laddove l’attore sia comparso all’udienza originariamente stabilita o alla nuova udienza eventualmente fissata d’ufficio dal giudice senza eccepire l’irritualità degli atti successivi.

Sul tema la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 2334/19, depositata il 29 gennaio, che ha messo fine ad una controversia nata da un rapporto di locazione. Al di là della vicenda contrattuale, che ruota sulla legittimità del canone, merita attenzione il motivo con cui il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato il primo motivo dell’appello incidentale con cui si lamentava dell’inammissibilità della domanda riconvenzionale avente ad oggetto la ripetizione di una somma di denaro , perché introdotta senza la richiesta di fissazione di una nuova udienza ai sensi dell’art. 418 c.p.c Domanda riconvenzionale. Richiamando alcuni precedenti arresti giurisprudenziali in particolare Cass. 16955/07 , il Collegio precisa che, nelle controversie soggette al rito del lavoro artt. 409 e ss. c.p.c. , l’inosservanza da parte del convenuto che abbia proposto regolare domanda convenzionale del disposto di cui all’art. 418 c.p.c. che impone, a pena di decadenza dalla domanda stessa, di richiedere al giudice, con apposita istanza, la fissazione di una nuova udienza non comporta la decadenza prevista dalla stessa norma laddove l’attore ricorrente compaia all’udienza originariamente stabilita ex art. 415 c.p.c. o alla nuova udienza eventualmente fissata d’ufficio dal giudice, senza eccepire l’irritualità degli atti successivi ed accettando così il contraddittorio anche rispetto alle pretese avanzate con la domanda riconvenzionale. Infatti, chiariscono ulteriormente gli Ermellini, osta ad una declaratoria di decadenza sia la rilevanza da riconoscere, ai sensi dell’art. 156, comma 3, c.p.c. alla realizzazione della funzione dell’atto, sia il difetto di eccezione della sola parte che, in forza dell’art. 157, comma 2, sarebbe legittimata a far valere il vizio , essendo posta nel suo interesse la decadenza. Deve dunque escludersi che la domanda di fissazione dell’udienza possa rappresentare un elemento costitutivo della domanda riconvenzionale giacchè l’istanza di fissazione concerne la vocatio in jus ed è perciò esterna” rispetto alla proposizione della domanda riconvenzionale la quale, ai sensi dell’art. 416, comma 2, c.p.c., si realizza con la editio actionis . Applicando tali principi al caso di specie, dove il ricorrente non aveva rilevato la nullità per mancata richiesta di fissazione di una nuova udienza, circostanza neppure rilevata dal giudice, la questione risulta indeducibile in sede di impugnazione. Correggendo dunque la motivazione del provvedimento impugnato che avrebbe dovuto per questi motivi dichiarare infondato il motivo d’appello incidentale, la S.C. rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 12 aprile 2018 – 29 gennaio 2019, n. 2334 Presidente Frasca – Relatore Moscarini Rilevato che F.M.G. con ricorso del 16/03/2012, premesso di aver condotto in locazione per uso abitativo un appartamento in omissis , di proprietà di S.B. dal 15/02/1992 al 19/09/2001, di aver corrisposto alla locatrice un canone mensile superiore a quello legale per un importo complessivo, indebitamente versato, di Euro 22.788,36, chiese al Tribunale di Brindisi di dichiarare illegittimo il canone convenuto tra le parti e di condannare la locatrice alla restituzione della somma versata in eccedenza rispetto al canone legale. La S. dedusse che l’originaria locazione, sorta in virtù di contratto verbale del 15/02/1992, si era estinta a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 431 del 1998 e che le parti, in data 1/2/1999, avevano stipulato un nuovo contratto scritto, con un canone liberamente concordato, superando la previgente applicazione del canone legale. Quanto alla restituzione di somme indebitamente versate fu eccepita la prescrizione e, in via riconvenzionale, fu chiesta la condanna della F. al rimborso di Euro 67,00 versata all’Agenzia delle Entrate per la registrazione della risoluzione anticipata del contratto dell’1/2/1999. Il Tribunale di Brindisi, con sentenza del 2013, accolse la domanda principale e condannò la S. a restituire alla F. la somma di Euro 22.788,36 oltre accessori e, in accoglimento della domanda riconvenzionale, condannò la F. a restituire la somma di Euro 67,00 compensando le spese. La Corte d’Appello di Lecce, adita dalla S. , con sentenza del 23/4/2015, per quel che ancora rileva in questa sede, ha accolto l’appello della S. , affermando che la statuizione del Tribunale secondo la quale le parti avevano convenuto sulla data di scadenza del contratto di locazione 14/1/2012 con assoggettamento del contratto al regime della L. n. 392 del 1978, non poteva essere condivisa in quanto l’abbandono del procedimento di sfratto per finita locazione aveva trovato giustificazione, non tanto nella concorde volontà di ritenere concluso il contratto a quella data, ma in ragioni di opportunità legate ad una soluzione della controversia in tempi certi, senza che ciò potesse o dovesse indurre il giudice a ritenere l’applicabilità del canone legale anche al periodo successivo alla stipula del secondo contratto. Ad avviso della Corte d’Appello il nuovo contratto, stipulato nel 1999, secondo la disciplina della nuova L. n. 431 del 1998, ebbe efficacia novativa del rapporto di guisa da escludere la tesi della mera formalizzazione scritta del precedente contratto verbale. Per sostenere detta tesi le parti avrebbero dovuto allegare elementi di prova in tal senso laddove, invece, non vi era, alcun riferimento al pregresso rapporto locatizio e vi era previsione, sulla durata del rapporto, del tutto distinta rispetto a quella del precedente contratto verbale. Il Giudice ha dunque ritenuto legittimo il nuovo canone liberamente concordato dalle parti, ha ritenuto prescritto il diritto di restituzione delle somme versate in eccedenza rispetto al canone legale, ha rigettato l’appello incidentale relativo alla somma di Euro 67. Avverso quest’ultima sentenza F.M.G. propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi illustrati da memoria. Resiste S.B. con controricorso illustrato da memoria. Considerato che 1. Con il primo motivo omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione fra le parti, ex art. 360, comma 1, n. 5 la ricorrente censura l’impugnata sentenza nella parte in cui non ha condiviso l’assunto del Tribunale circa la concorde indicazione della data di scadenza dell’originario contratto verbale alla data del 14/1/2012, omettendo di dare giusta considerazione alla raccomandata A/R, prodotta dalla ricorrente, del 23/05/2011 con la quale la F. , facendo riferimento al contratto stipulato in data 15/1/1992, dava regolare disdetta, invitando la conduttrice a rilasciare l’immobile alla scadenza del 14/01/2012, con ciò mostrando di ritenere intercorso un unico rapporto locatizio. Se si fosse considerato tale documento e valorizzata l’ordinanza del Tribunale di Brindisi del 7/4/2011 che, in accoglimento dell’opposizione della F. , aveva qualificato il contratto del 18/2/1999 quale mera regolarizzazione del precedente contratto verbale, la conclusione del giudice sarebbe stata necessariamente diversa. 1.1 Il motivo è inammissibile. In primo luogo, perché non deduce l’omesso esame di un fatto alla stregua di quanto indicato dalle Sezioni Unite nelle sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014, ma lamenta l’omesso esame di un documento, cioè di una risultanza istruttoria e, fra l’altro, se si volesse intendere come suo oggetto il fatto in esso documentato, si dovrebbe rilevare che manca la dimostrazione della decisività della sua ipotetica considerazione, atteso che esso, rappresentato dall’espressione contratto di locazione stipulato in data 15 gennaio 1992 viene in realtà utilizzato nel motivo per attribuirgli un certo significato sulla base del riferimento ad altri elementi, di cui si postula un apprezzamento. In ogni caso l’illustrazione del motivo, pur localizzando il documento nel fascicolo di primo grado dell’opponente, omette di precisare se e dove il fatto di cui qui si assume omesso l’esame sarebbe stato, sulla base del documento, non solo allegato atteso che produrre un documento non significa automaticamente allegare ciò che in esso è rappresentato, supponendo l’allegazione un’attività enunciativa nella sua rilevanza, sì da essere oggetto di discussione fra le parti, ma anche, in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, se e come lo stesso documento fosse stato prodotto in primo grado e quindi in appello siccome ritenuto necessario da Cass., Sez. Un., nn. 28547 del 2008 e 7161 del 2010, ex multis . 2.1 Con il secondo motivo/A violazione e falsa applicazione degli artt. 1230, 1231 c.c., ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e con il secondo motivo/B violazione e falsa applicazione della L. n. 431 del 1998, art. 14, commi 4 e 5, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la ricorrente censura la sentenza nella parte in cui ha riconosciuto la natura novativa del secondo contratto nonostante mancasse l’espressa volontà delle parti di considerare sé medesime impegnate in un nuovo rapporto locatizio. Mancherebbe, in violazione degli artt. 1230 e 1231 c.c., l’accertamento da parte del giudice del merito, della non equivoca volontà delle parti di estinguere l’obbligazione originaria la sentenza avrebbe errato nel ritenere che fosse la parte interessata alla tesi della perdurante validità del primo contratto a dover provare la continuità e non anche fosse onere della proprietaria locatrice provare, con puntuale specificità, sia l’animus che la causa novandi. 2.2 Il motivo è inammissibile. In disparte e considerazioni relative alla insindacabilità dell’accertamento di merito svolto dalla Corte d’Appello in ordine agli elementi costitutivi della novazione, che appare certamente sottratto al sindacato di questa Corte, risolvendosi in una sollecitazione al riesame della quaestio fatti siccome emergente dalle risultanze probatorie, occorre rilevare che la prospettazione della parte ricorrente si infrange contro il giusto rilievo che l’impugnata sentenza ha fatto ravvisando che la postulazione della mancanza di novazione supponeva, essendosi passati da un contatto verbale ad uno scritto, l’esistenza di concreti e significativi elementi che deponessero in quel senso siffatta ravvisata necessità di elementi in quel senso, avuto riguardo ad una evoluzione del rapporto così radicale quale il passaggio da una pattuizione verbale ad un contratto scritto risulta in iure anche un ragionamento corretto, atteso che risponde all’id quod plerumque accidit che nel decidersi a detta rilevante evoluzione formale del regolamento, la mancanza di documentazione del rapporto preesistente suggerisca alle parti, ove esse non intendano novare la situazione un’opportuna evocazione del rapporto orale anteriore. Tanto si osserva non senza doversi pure rimarcare come l’introduzione della L. n. 431 del 1998, avesse contemplato dell’art. 1, comma 4, che la stipula di validi contratti di locazione necessitasse di forma scritta ed il fenomeno della rinnovazione volontaria di contratti pregressi fosse espressamente previsto dalla norma dell’art. 2, comma 2, della stessa Legge e determinasse la soggezione del contratto rinnovato alla disciplina della stessa legge. 3. Con il terzo motivo violazione e falsa applicazione della L. n. 392 del 1978, art. 79, comma 2, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la ricorrente censura il capo di sentenza relativo alla prescrizione del diritto alla restituzione delle somme versate in eccedenza rispetto al canone legale, a seguito del decorso di un termine decennale, tra la data di estinzione del contratto verbale del 1992 1/2/1999 e la data di instaurazione del giudizio di primo grado. Secondo la ricorrente, in base alla giurisprudenza di questa Corte relativa alla L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 79, comma 2, qualora il conduttore abbia osservato il termine semestrale di decadenza per l’esercizio dell’azione di ripetizione dell’indebito, sarebbe salvo dal compimento della prescrizione, che non potrebbe essergli opposta. 3.1. Il motivo, una volta disattesa la tesi che il contratto del 1999 non sarebbe stato un nuovo contratto soggetto alla disciplina della L. n. 431 del 1998, resta assorbito, perché ha come presupposto proprio detta tesi. E ciò in disparte il problema che l’applicazione dell’art. 79, avrebbe avuto alla luce della sua abrogazione per le locazioni ad uso abitativo per effetto della L. n. 431 del 1998, art. 14. 4. Con il quarto motivo violazione e falsa applicazione dell’art. 418 c.p.c., comma 1 e art. 112 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la ricorrente censura l’impugnata sentenza nella parte in cui ha rigettato il primo motivo dell’appello incidentale della F. , con il quale essa si era doluta dell’inammissibilità della domanda riconvenzionale spiegata dalla S. ed avente ad oggetto la richiesta di ripetizione della somma di Euro 67,00. Il motivo di appello incidentale era stato proposto facendo valere la circostanza che la domanda riconvenzionale era stata introdotta senza la richiesta di fissazione di una nuova udienza ai sensi dell’art. 418 c.p.c Il motivo sostiene che erroneamente la corte territoriale avrebbe dato rilievo al precedente di cui a Cass. n. 10404 del 2009, che ritenne irrilevante la violazione qualora non eccepita. Si invoca invece l’orientamento affermato da Cass. n. 23815 del 2007 secondo cui nelle controversie soggette al rito di cui agli artt. 409 c.p.c. e segg., l’inosservanza dell’onere, posto dall’art. 418 c.p.c., a carico del convenuto, di chiedere la fissazione di una nuova udienza comporta la decadenza dalla riconvenzionale e l’inammissibilità di questa, decadenza che non è sanata dall’emissione da parte del giudice, in difetto della specifica istanza, del decreto di fissazione della nuova udienza o dall’accettazione del contraddittorio ad opera della controparte o per aver quest’ultima sollevato l’eccezione esclusivamente nel corso del giudizio di appello e che, attenendo alla regolarità del contraddittorio, è rilevabile anche d’ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo tale principio trova applicazione anche qualora la domanda riconvenzionale sia proposta dall’attore nei confronti del convenuto cosiddetta reconventio reconventionis , atteso che una corretta lettura dello stesso art. 418 c.p.c., impone di ritenere che in tal caso l’attore è soggetto agli stessi obblighi e alle medesime preclusioni previste per il convenuto che proponga una domanda riconvenzionale e che si dice ribadito per la verità a torto, dato che la sentenza si è occupata di altra questione da Cass. n. 11679 del 2014. 4.1. Il motivo non è fondato, anche se esige la correzione della motivazione della sentenza impugnata. L’orientamento condiviso dalla sentenza impugnata era stato affermato e ampiamente motivato anche da Cass. n. 16955 del 2007, la quale aveva così statuito Nel rito del lavoro, l’inosservanza da parte del convenuto, che abbia ritualmente proposto, ai sensi dell’art. 416 c.p.c., domanda riconvenzionale, del disposto di cui dell’art. 418 c.p.c., comma 1 - il quale impone, a pena di decadenza dalla domanda riconvenzionale medesima, di chiedere al giudice, con apposita istanza contenuta nella memoria di costituzione in giudizio, di emettere ulteriore decreto per la fissazione della nuova udienza - non determina la decadenza stabilita ex lege qualora l’attore ricorrente compaia all’udienza originariamente stabilita ex art. 415 c.p.c., ovvero alla nuova udienza di cui all’art. 418 c.p.c., eventualmente fissata d’ufficio dal giudice, senza eccepire l’irritualità degli atti successivi alla riconvenzione ed accettando il contraddittorio anche nel merito delle pretese avanzate con la stessa domanda riconvenzionale. Infatti, osta ad una declaratoria di decadenza sia la rilevanza da riconoscere, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 3, alla realizzazione della funzione dell’atto, sia il difetto di eccezione della sola parte che, in forza dell’art. 157 c.p.c., comma 2, sarebbe legittimata a far valere il vizio, essendo appunto quella nel cui interesse è stabilita la decadenza stessa, dovendosi inoltre escludere che l’istanza di fissazione dell’udienza rappresenti un elemento costitutivo della domanda riconvenzionale tale che in suo difetto non possa neppure reputarsi proposta la domanda stessa , giacché l’istanza di fissazione concerne la vocatio in jus ed è, perciò, esterna rispetto alla proposizione della riconvenzionale, la quale, ai sensi dell’art. 416 c.p.c., comma 2, si realizza con la editio actionis . Si tratta dell’orientamento che appare condivisibile, in quanto l’altro ha come presupposto che la violazione delle preclusioni sia rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio. Ciò alla luce del recente principio di diritto secondo cui la regola di cui all’art. 157 c.p.c., comma 3, secondo cui la parte che ha determinato la nullità non può rilevarla, non opera allorquando si tratti di una nullità rilevabile anche d’ufficio, ma tale inoperatività, essendo correlata alla durata del potere officioso del giudice, dura fino a che esso persiste e, dunque, fino a quando il giudice davanti al quale la nullità si è verificata non decide omettendo di rilevarla. Una volta sopravvenuta tale decisione omissiva, la regola dell’art. 157, comma 3, invece si riespande e, pertanto, la parte che ha dato causa alla nullità con il suo comportamento ed anche quella che non l’ha rilevata così contribuendo al permanente della nullità non possono dedurla come motivo di nullità della sentenza, a meno che si tratti di una nullità per cui la legge prevede il rilievo officioso ad iniziativa del giudice anche nel grado di giudizio successivo che riceve l’impugnazione Cass. n. 21381 del 2018 . Nel caso di specie, non avendo rilevato la qui ricorrente la nullità determinata dalla mancata richiesta di fissazione di nuova udienza e non avendola rilevata nemmeno il giudice di primo grado, che aveva il potere di farlo, la relativa questione era ormai indeducibile in sede di impugnazione e, pertanto, il primo motivo dell’appello incidentale avrebbe dovuto dichiararsi infondato per tale ragione. La motivazione della sentenza impugnata va corretta in parte qua ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c 5. Conclusivamente il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, stesso art. 13, comma 1 bis. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 3.000 oltre Euro 200 per esborsi , più accessori di legge e spese generali al 15%. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, stesso art. 13, comma 1 bis.