Ingresso e permanenza dello straniero nel territorio nazionale: la rilevanza della nozione di unità familiare

La rilevanza che il d.lgs. n. 286/1998 riconosce alla nozione di unità familiare, quale valore costituzionalmente garantito nei confronti degli effetti disgregativi connessi ai provvedimenti in materia di ingresso e permanenza dello straniero nel territorio nazionale, deve essere misurata sulla base delle disposizioni normative, le quali presuppongono che l’interessato sia in possesso di un valido permesso di soggiorno.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con sentenza n. 1665/19, depositata il 22 gennaio. Il caso. Il GdP di Ferrara rigettava il ricorso proposto da un cittadino del Marocco avverso il decreto di espulsione emesso dal Prefetto del luogo, poiché il Giudice escludeva l’applicabilità dell’art .5, comma 5, d.lgs. n. 286/1998 rilevando che lo straniero, pur avendo contratto regolarmente matrimoni con una connazionale soggiornante in Italia, non aveva il permesso di soggiorno valido. Avverso tale decisione, il cittadino straniero propone ricorso per cassazione. L’unità familiare. Al riguardo, occorre ricordare che il d.lgs. n. 286/1998 considera la nozione di unità familiare come un valore costituzionalmente tutelato nei confronti degli effetti disgregativi connessi ai provvedimenti in materia di ingresso e permanenza degli stranieri sul territorio italiano e deve essere misurata sulla base della disciplina delle singole disposizioni, le quali presuppongono che l’interessato o i suoi familiari siano in possesso di una valido ed efficace titolo di soggiorno. Pertanto, per lo straniero che esercita il diritto al ricongiungimento familiare, il succitato d.lgs. sottolinea che bisogna tener conto della natura e dell’effettività dei vincoli familiari, della durata del soggiorno e dell’esistenza di legami con il Paese d’origine e questo vale anche per lo straniero che abbia legami familiari nel nostro Paese anche se questi non si trova nella posizione di richiedente formalmente il ricongiungimento familiare. Sulla base di tali ragioni, la Suprema Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia al Giudice per nuovo esame.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 25 settembre 2018 – 22 gennaio 2019, n. 1665 Presidente Schiro’ – Relatore Mercolino Fatti di causa 1. Con ordinanza del 23 marzo 2017, il Giudice di pace di Ferrara ha rigettato il ricorso proposto da N.E. , cittadino del Marocco, avverso il decreto di espulsione emesso dal Prefetto di Ferrara il 30 gennaio 2017. A fondamento della decisione, il Giudice di pace ha escluso l’applicabilità del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 5, rilevando che il ricorrente, pur avendo contratto matrimonio con una propria connazionale regolarmente soggiornante in Italia, non era in possesso del permesso di soggiorno, essendo titolare di un permesso scaduto il 13 luglio 2015 e non rinnovato. Ha ritenuto altresì inapplicabile l’art. 30, comma 1, del D.Lgs. n. 286 cit., rilevando che il permesso di soggiorno per motivi di famiglia spetta agli stranieri regolarmente soggiornanti da almeno un anno che abbiano contratto matrimonio nel territorio dello Stato con cittadini italiani o di uno Stato membro dell’Unione Europea o con cittadini stranieri regolarmente soggiornanti. Ha riconosciuto invece l’applicabilità del ricongiungimento familiare, rilevando tuttavia che il ricorrente non aveva fornito la prova di avere avanzato la relativa richiesta, essendosi limitato a produrre un bollettino postale e la copia della ricevuta di un’assicurata spedita a mezzo posta. 3. Avverso la predetta ordinanza il N. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi. Gl’intimati non hanno svolto attività difensiva. La causa, avviata alla trattazione in camera di consiglio, con ordinanza del 15 marzo 2018 è stata rimessa alla pubblica udienza. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b , e della D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 art. 5, comma 5, art. 13, comma 2, e artt. 29 e ss., osservando che, nel ritenere legittima l’espulsione, l’ordinanza impugnata non ha tenuto conto della tutela rafforzata riconosciuta dalla legge allo straniero che abbia esercitato il diritto al ricongiungimento familiare o al familiare ricongiunto, avendo omesso di valutare la natura e l’effettività dei suoi vincoli familiari, nonché la durata del suo soggiorno nel territorio italiano, la sua situazione e quella dei suoi congiunti, senza considerare che la predetta tutela spetta a tutti coloro che vivono in Italia con una famiglia, indipendentemente dal titolo di soggiorno. 2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la manifesta illogicità della motivazione, ribadendo che, nell’escludere la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare, l’ordinanza impugnata ha omesso di valutare la sua situazione e di verificare la sopravvenienza di nuovi elementi idonei a consentirgli di sanare la sua posizione. Il Giudice di pace non ha infatti tenuto conto della ricevuta postale prodotta in giudizio, attestante l’attivazione del procedimento amministrativo per il rilascio di un permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare, il quale comporta ipso jure la sospensione del provvedimento di espulsione. 3. Il ricorso è fondato. È pur vero, infatti, che, come affermato dall’ordinanza impugnata, la rilevanza attribuita dal D.Lgs. n. 286 del 1998 alla nozione di unità familiare, quale valore costituzionalmente tutelato nei confronti degli effetti disgregativi potenzialmente connessi ai provvedimenti in materia di ingresso e permanenza degli stranieri sul territorio nazionale, dev’essere concretamente misurata sulla base della disciplina dettata dalle singole disposizioni, le quali, nel subordinare l’adozione dei predetti provvedimenti alla valutazione dei vincoli familiari contratti dall’interessato, presuppongono, in linea di massima, che quest’ultimo o i suoi familiari siano in possesso di un titolo di soggiorno valido ed efficace. Così, l’art. 28, comma 1, nel sancire in via generale il diritto a mantenere o a riacquistare l’unità familiare nei confronti dei familiari stranieri, ne subordina il riconoscimento, oltre che alle condizioni previste dal testo unico, alla titolarità della carta di soggiorno o di un permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno rilasciato per motivi di lavoro, per asilo, per studio, per motivi religiosi o per motivi familiari. L’art. 30, comma 1, consente il rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari, oltre che allo straniero che ha fatto ingresso in Italia con visto di ingresso per ricongiungimento familiare ovvero con visto di ingresso al seguito del proprio familiare lett. a , agli stranieri regolarmente soggiornanti ad altro titolo da almeno un anno che abbiano contratto matrimonio nel territorio dello Stato con cittadini italiani o di uno Stato membro dell’Unione Europea, ovvero con cittadini stranieri regolarmente soggiornanti lett. b , nonché al familiare straniero regolarmente soggiornante, in possesso dei requisiti per il ricongiungimento con il cittadino italiano o di uno Stato membro dell’Unione Europea residenti in Italia, ovvero con straniero regolarmente soggiornante in Italia lett. c . L’art. 5, comma 5, nel prevedere il rifiuto, la revoca o il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno in caso di mancanza originaria o sopravvenuta dei requisiti prescritti, impone di tener conto, ai fini dell’adozione del relativo provvedimento, anche della natura e dell’effettività dei vincoli familiari dell’interessato, a condizione che quest’ultimo abbia esercitato il diritto al ricongiungimento familiare o sia a sua volta un familiare ricongiunto. La valutazione dei predetti vincoli è imposta dall’art. 13, comma 2-bis, anche ai fini dell’adozione del provvedimento di espulsione nei confronti dello straniero che sia entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera o vi si sia trattenuto senza aver richiesto il permesso di soggiorno o dopo la revoca, l’annullamento, il rifiuto o la scadenza del permesso di soggiorno, a condizione che lo stesso abbia esercitato il diritto al ricongiungimento familiare. La rilevanza dei predetti presupposti ha subito peraltro un notevole ridimensionamento per effetto della dichiarazione d’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 5, cit., nella parte in cui, disponendo che la valutazione discrezionale da esso prevista trovasse applicazione soltanto nei confronti dello straniero che avesse esercitato il diritto al ricongiungimento familiare o del familiare ricongiunto, escludeva che la tutela rafforzata del vincolo familiare potesse operare in favore dello straniero che versasse nelle condizioni sostanziali per ottenere il ricongiungimento, ma non avesse fatto formale richiesta del relativo provvedimento. Pur riconoscendo che l’automatismo della misura espulsiva, in presenza dei presupposti di legge, rappresenta un riflesso del principio di stretta legalità che permea l’intera disciplina dell’immigrazione e che costituisce, anche per gli stranieri presidio ineliminabile dei loro diritti, consentendo di scongiurare arbitrii da parte dell’autorità amministrativa , la Corte costituzionale ha ritenuto infatti irragionevole la predetta esclusione, osservando che nell’ambito delle relazioni interpersonali, ogni decisione che colpisce uno dei soggetti finisce per ripercuotersi anche sugli altri componenti della famiglia e il distacco dal nucleo familiare, specie in presenza di figli minori, è decisione troppo grave perché sia rimessa ad automatismi procedurali, senza lasciare spazio ad un circostanziato esame della situazione particolare dello straniero interessato e dei suoi familiari . In proposito, è stato richiamato anche l’art. 8 della CEDU, che, nel riconoscere ad ogni persona il diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, esclude qualsiasi ingerenza dell’autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto, a meno che la stessa non sia prevista dalla legge e costituisca una misura necessaria, tra l’altro, alla pubblica sicurezza o alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati. In riferimento all’ipotesi, presa in considerazione dal Giudice delle leggi, di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno motivato con la pericolosità sociale del richiedente, è stato osservato che, sebbene tale disposizione non garantisca allo straniero il diritto di entrare o risiedere in un determinato Paese, e non escluda quindi il potere degli Stati di espellere gli stranieri condannati per reati puniti con pena detentiva, quando nel Paese dove lo straniero intende soggiornare vivono i membri stretti della sua famiglia, occorre bilanciare in modo proporzionato il diritto alla vita familiare del ricorrente e dei suoi congiunti con il bene giuridico della pubblica sicurezza e con l’esigenza di prevenire minacce all’ordine pubblico cfr. Corte cost., sent. n. 202 del 2013 . L’esigenza di un adeguato bilanciamento tra gl’interessi pubblici che la disciplina dell’immigrazione mira a salvaguardare e la tutela della vita familiare dello straniero trova riscontro nel consolidato orientamento della Corte EDU in tema d’interpretazione dell’art. 8 cit., il quale, nell’affermare che la CEDU non garantisce allo straniero il diritto di entrare o risiedere in un determinato Paese, ha ribadito che l’espulsione, pur costituendo un’interferenza nella vita privata o familiare, può ritenersi giustificata ai sensi del par. 2 dell’art. 8, purché avvenuta in conformità della legge e nel perseguimento del legittimo scopo di prevenire disordine e reati, individuando una serie di elementi la cui valutazione consente di stabilire, nel caso concreto, se la misura adottata possa considerarsi ragionevole e proporzionata a la natura e la gravità del reato commesso dal richiedente, b la durata del soggiorno nel Paese da cui dev’essere espulso, c il tempo trascorso dalla commissione del reato e la condotta tenuta dal richiedente, d la nazionalità delle persone interessate, e la situazione familiare del richiedente, ivi compresa la durata del matrimonio ed altri fattori sintomatici dell’effettività della vita di coppia, f la conoscenza del reato da parte del coniuge al tempo dell’instaurazione del vincolo familiare, g l’esistenza di figli e la loro età, h le difficoltà che il coniuge potrebbe incontrare nel Paese verso il quale il richiedente dev’essere espulso, i l’interesse ed il benessere dei figli, in particolare le difficoltà che ciascuno di essi potrebbe incontrare nel Paese verso il quale il richiedente dev’essere espulso, l la solidità dei legami sociali, culturali e familiari con il Paese ospite e con quello di destinazione cfr. ex plurimis, Corte EDU, 23/10/2018, Assem Hassan Ali c. Danimarca 1/12/2016, Salem c. Danimarca 3/07/2012, Samsonnikov c. Estonia 7/04/2009, Cherif e altri c. Italia . L’enunciazione dei predetti criteri postula una valutazione da effettuarsi caso per caso, la cui necessità può ritenersi di per sé sufficiente a giustificare l’esclusione di ogni automatismo non soltanto nell’ipotesi, specificamente presa in considerazione dalle predette sentenze, in cui la misura espulsiva tragga origine da un giudizio di pericolosità sociale dell’interessato, ma anche negli altri casi, meno gravi, previsti dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, e ciò indipendentemente dall’avvenuta presentazione di una formale istanza di ricongiungimento familiare in tal senso depone chiaramente l’espressione caso per caso , inserita nel comma secondo di tale disposizione dal D.L. 23 giugno 2011, n. 89, art. 3, comma 1, lett. c , n. 1, lett. a , convertito con modificazioni dalla L. 2 agosto 2011, n. 129, in attuazione della direttiva UE n. 2008/115/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008, il cui preambolo, al sesto considerando, afferma espressamente che le decisioni in materia di rimpatrio dei cittadini di Paesi terzi irregolarmente soggiornanti dovrebbero essere adottate caso per caso e tenendo conto di criteri obiettivi, non limitandosi quindi a prendere in considerazione il semplice fatto del soggiorno irregolare . Merita pertanto di essere ribadito il principio, enunciato da questa Corte in tema di espulsione, secondo cui il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2-bis, il quale impone di tener conto, nei confronti dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare, della natura e dell’effettività dei vincoli familiari, della durata del soggiorno, nonché dell’esistenza di legami con il paese d’origine, si applica, con valutazione da effettuarsi caso per caso, anche al cittadino straniero che abbia legami familiari nel nostro Paese, ancorché lo stesso non si trovi nella posizione di richiedente formalmente il ricongiungimento familiare cfr. Cass., Sez. 1, 22/07/2015, n. 15362 v. anche Cass., Sez. 6, 27/07/2017, n. 186e9 3/09/2014, n. 18608 . Non può conseguentemente condividersi l’ordinanza impugnata, la quale, nell’affermare la legittimità del provvedimento di espulsione, adottato ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2, lett. b , si è limitata a dare atto che il ricorrente non era in possesso di un valido titolo di soggiorno, in quanto titolare di un permesso scaduto e non rinnovato, negando qualsiasi rilievo al matrimonio da lui contratto con una connazionale regolarmente soggiornante in Italia, in virtù della mera considerazione che non risultava provata l’avvenuta presentazione di una formale istanza di ricongiungimento familiare. La mancanza di tale prova non poteva considerarsi infatti sufficiente ai fini del rigetto del ricorso, dovendosi ugualmente procedere, alla stregua dei richiamati principi, all’accertamento della ragionevolezza e proporzionalità del provvedimento di espulsione, mediante la valutazione in concreto di tutti gli elementi eventualmente forniti a sostegno dell’asserita instaurazione del vincolo familiare e della portata ed effettività degli obblighi dallo stesso derivanti, in relazione alla situazione del ricorrente e del coniuge. 4. L’ordinanza impugnata va dunque cassata, con il rinvio della causa al Giudice di pace di Ferrara, che provvederà, in persona di un diverso magistrato, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. accoglie il primo motivo di ricorso dichiara assorbito il secondo cassa l’ordinanza impugnata rinvia al Giudice di pace di Ferrara, in persona di un diverso magistrato, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.