Tardivo versamento delle imposte e insussistenza del ravvedimento operoso

In caso di illecito disciplinare contestato al notaio, non si applica l’attenuante del ravvedimento operoso qualora il tardivo pagamento delle imposte non costituisca, appunto, un ravvedimento, ma l’elemento costitutivo dell’illecito disciplinare stesso.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 817/19, depositata il 15 gennaio, chiamata a decidere su una questione disciplinare relativa alla sospensione comminata ad un notaio in relazione alla violazione del codice deontologico. In particolare si contestava, durante il giudizio, che il notaio avesse commesso errori evitabili nella liquidazione degli atti da registrare, che si fosse sottratto al pagamento del proprio debito nei confronti di un avvocato e che si fosse rifiutato al pagamento di diversi versamenti fiscali. Il ravvedimento operoso. In particolare, con l’unico motivo di ricorso, il notaio ricorrente lamenta che la Corte territoriale avrebbe omesso erroneamente di ravvisare la sussistenza dell’attenuante del ravvedimento operoso, che deve essere configurato in relazione al suo atteggiamento, in quanto aveva comunque versato, in precedenza, le imposte richieste. Ed inoltre, il giudice di appello, sempre con riferimento alla sussistenza del ravvedimento operoso, avrebbe dovuto convertire la sanzione della sospensione in pena pecuniaria. Al riguardo intervengono gli Ermellini sottolineando come nel caso di specie l’illecito di natura disciplinare contestato al notaio è integrato dal versamento tardivo dei tributi, ossia questo non costituisce una condotta ulteriore rispetto al compimento dell’illecito, ma rappresenta l’oggetto stesso della contestazione disciplinare , mancando dunque il post factum che integra il necessario contenuto del ravvedimento operoso. Sulla base di ciò, la Suprema Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 21 settembre 2018 – 15 gennaio 2019, n. 817 Presidente Giusti – Relatore Oliva Fatti di causa Con decisione del 3.7.2014 la Commissione di Disciplina della Lombardia riteneva il notaio R.F.S. responsabile della violazione dell’art. 147, lett. a e b della Legge Notarile in relazione all’art. 1, commi 1 e 2, all’art. 22 lett. a e b del codice deontologico dei notai e gli comminava la sanzione di mesi cinque di sospensione. In particolare, veniva contestato al notaio di 1 aver commesso errori facilmente evitabili nella liquidazione degli atti da registrare, riscuotendo dai clienti l’esatto importo dovuto all’Erario ma ritardandone il versamento sino alla notifica dell’avviso di rettifica e liquidazione 2 essersi sottratto al pagamento del proprio debito nei confronti dell’avv. Paolo Sansone, costringendolo a compiere atti esecutivi peraltro conclusisi con esito negativo 3 essersi rifiutato di produrre al Consiglio notarile i documenti da quest’ultimo richiesti, tenendo in tal modo un atteggiamento non collaborativo 4 aver omesso diversi versamenti fiscali e contributivi e aver utilizzato promiscuamente conti bancari per esigenze personali e professionali. Il R. interponeva appello e la Corte di Appello di Milano confermava la decisione. La sentenza di appello veniva fatta oggetto di ricorso in Cassazione e questa Corte, con la sentenza n. 14130/2016, accoglieva il ricorso limitatamente al mancato esame, da parte della Corte di Appello, del motivo di gravame concernente il riconoscimento in favore del notaio dell’attenuante del ravvedimento operoso, rinviando la causa ad altra sezione della Corte di Appello di Milano. Quest’ultima, con l’ordinanza oggi impugnata n. 3040/2017, confermava il rigetto del gravame proposto dal notaio, compensando le spese del giudizio di legittimità. In particolare, la Corte territoriale escludeva l’attenuante di cui all’art. 144 Legge Notarile in base all’abitualità delle condotte contestate al notaio, al fatto che esse erano finalizzate a contenere gli scoperti di conto corrente dello studio e all’impossibilità di configurare una condotta di ravvedimento operoso nel mero pagamento, peraltro ritardato, delle imposte dovute, trattandosi di elemento costitutivo dell’illecito disciplinare. Propone ricorso per la cassazione di detta decisione il R. affidandosi ad un unico motivo. Resiste con controricorso il Consiglio Notarile di Milano. Il ricorrente ha depositato memoria. Ragioni della decisione Con l’unico motivo di ricorso, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione della L. 16 febbraio 1919, n. 89, art. 144, come modificata e integrata dal D.Lgs. 1 agosto 2006, n. 249, ed in particolare dall’art. 26 del predetto decreto, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Ad avviso del ricorrente la Corte territoriale avrebbe erroneamente omesso di ravvisare la sussistenza, nel caso di specie, dell’attenuante del ravvedimento operoso. Quest’ultimo avrebbe dovuto essere configurato alla luce dell’atteggiamento del notaio, che aveva comunque versato le imposte e quindi si era adoperato per rimuovere le conseguenze dell’illecito contestatogli. Inoltre, per effetto del ravvedimento, la Corte di Appello avrebbe dovuto convertire la sanzione in pena pecuniaria, posta l’obbligatorietà della misura di favore in presenza – appunto - di circostanze attenuanti quali il ravvedimento operoso. La doglianza è infondata. Ed invero nel caso di specie l’illecito disciplinare contestato al notaio è integrato dal tardivo versamento delle imposte, che pertanto non costituisce condotta ulteriore rispetto alla commissione dell’illecito, in funzione riparatoria delle sue conseguenze, ma rappresenta l’oggetto stesso della contestazione disciplinare. Manca pertanto, in concreto, il post-factum che integra il contenuto necessario del ravvedimento operoso. Correttamente pertanto la Corte d’appello ha escluso l’applicabilità dell’attenuante del ravvedimento operoso, rilevando che il tardivo pagamento delle imposte non costituiva un ravvedimento, ma l’ elemento costitutivo dell’illecito disciplinare , e quindi rappresentava la sostanza dell’illecito disciplinare contestato, avendo il notaio provveduto al pagamento in ritardo di imposte e tasse, pur a fronte della disponibilità dei relativi importi anticipati dai clienti, e ciò per esigenze finanziarie di carattere meramente personale. Non sono di conseguenza pertinenti, rispetto alla fattispecie concreta, i richiami al principio secondo cui la doverosità della condotta non costituisce argomento valido ad escludere l’attenuante del ravvedimento operoso Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3203 del 12/02/2014, Rv. 629349 Cass. Sez. 3, Sentenza n. 14238 del 17/12/1999, Rv. 532325 , posto che nel caso specifico non risulta esser stata posta in essere dal ricorrente alcuna condotta ulteriore a quella oggetto dell’incolpazione, alla quale possa essere ricondotto un effetto riparatorio delle conseguenze dannose dell’illecito. D’altra parte la Corte territoriale ha anche evidenziato, con motivazione priva di vizi logici e giuridici, che il notaio R. ha provveduto al pagamento della parcella all’avv. Sansone e alle riduzione della propria esposizione nei confronti delle Banche e dell’Agenzia delle Entrate esclusivamente per ottenere la revoca della sospensione cautelare applicata dalla CO.RE.DI. e la sua sostituzione con l’obbligo di depositare presso il Consiglio notarile di Milano, con cadenza bimestrale e per la durata di due anni, una analitica relazione, asseverata, redatta da iscritto all’Ordine dei commercialisti, circa, tra l’altro, l’effettivo versamento, diretto e tempestivo, di tutte le somme ricevute a titolo di anticipazioni su un conto corrente dedicato, presso ente di credito verso il quale il notaio non avesse alcuna esposizione debitoria. Il ricorso va di conseguenza rigettato. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. Poiché il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1-quater, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.200 di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15%, iva e cassa avvocati come per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.