Le Sezioni Unite intervengano sul computo dell’irragionevole durata del processo

La Seconda Sezione Civile, con tre ordinanze interlocutorie depositate il 15 gennaio 2019, rimanda alle Sezioni Unite diversi interrogativi in tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo e computo della durata in caso di mancato pagamento spontaneo da parte della P.A

Procedimento per equa riparazione e fase esecutiva. Con l’ordinanza interlocutoria n. 806/19, decidendo sul ricorso presentato da un soggetto che chiedeva l’indennizzo per equa riparazione per l’irragionevole durata di un procedimento ex lege Pinto svoltosi dinanzi alla al giudice dell’esecuzione di Roma in sede di ottemperanza, la II Sezione solleva la questione relativa al riconoscimento dell’indennizzo, per la prima volta, con pronuncia di legittimità. In tale contesto viene dunque chiesto alle Sezioni Unite di chiarire se si debba superare la concezione autonoma delle due fasi”, prescindendo, ai fini della continuità tra le stesse, da una instaurazione tempestiva della procedura esecutiva . Dubbia è anche la questione se il privato debba in ogni caso attendere l’infruttuoso maturare del termine di 6 mesi e 5 giorni prima di attivare la procedura esecutiva. Inoltre resta da chiarire se nell’arco temporale di 6 mesi dall’irrevocabilità della decisione di cognizione definitiva debba essere notificato l’atto di pignoramento o sia sufficiente la notifica del titolo esecutivo o dell’atto di precetto, se sia sufficiente per il privato notificare entro 6 mesi dall’irrevocabilità il titolo esecutivo all’Amministrazione o la notifica debba avvenire immediatamente. Infine, alle Sezioni Unite viene rimessa la decisione sul quesito relativo al termine di 120 giorni introdotto dall’art. 14 d.l. n. 669/1996, conv. in l. n. 30/1997 e se tale termine debba essere ricompreso in quello di 6 mesi e 5 giorni dall’esecutività del decreto di liquidazione del compenso entro il quale la PA sarebbe tenuta a pagare e se nell’eventualità in cui, per inerzia del creditore, il primo termine dovesse slittare in aventi a causa della tardiva notifica del titolo esecutivo, ciò dovrebbe gravare sul medesimo o dovrebbe restare a carico dello Stato . Processo esecutivo e computo dell’irragionevole durata. Facendo seguito all’azione esecutiva promossa nei confronti dello Stato da parte di un soggetto che si era visto riconoscere il diritto all’equa riparazione per irragionevole durata del processo, la medesima II Sezione, con l’ordinanza interlocutoria n. 802/2019, si trova a dover decidere sul computo dell’irragionevole durata nel caso in cui anche la fase esecutiva si protragga oltre ragione. Richiamando la giurisprudenza di legittimità, costituzionale e della Cedu sul punto e, in particolare, la sentenza delle SS.UU. n. 27365/2009, il Collegio rinvia alle Sezioni Unite il seguente interrogativo se la durata del processo esecutivo, promosso in ragione del ritardo dell’Amministrazione nel pagamento dell’indennizzo dovuto in forza del titolo esecutivo costituito dal decreto di condanna pronunciato dalla Corte d’Appello ai sensi dell’art. 3 l. n. 89/2001 ed azionato appunto nelle forme del processo esecutivo, debba o no essere calcolata ai fini del computo della durata irragionevole del processo per equa riparazione e, più in generale, se la durata del processo esecutivo, promosso per la realizzazione della situazione giuridica soggettivo da vantaggio fatta valere nel processo presupposto con esito positivo, debba o no essere calcolata ai fini del computo della durata irragionevole dello stesso processo presupposto . Processo c.d. Pinto su Pinto”. L’ordinanza interlocutoria n. 796/2019 rimette al Supremo Consesso il dubbio relativo al ritardo dello Stato nel pagamento delle somme liquidate da un decreto di condanna ex legge Pinto definitivo e notificato alla P.A. in forma esecutiva e alla possibilità che tale ritardo dia origine ad un diverso ed autonomo diritto, azionabile solo dinanzi alla CEDU ove eccedente i 6 mesi e 5 giorni, ovvero se possa essere fatto valere ai sensi della stessa l. n. 89/2001. Conseguentemente, dovrà essere chiarito se nel caso in cui il processo presupposto sia un processo ex legge Pinto c.d. Pinto su Pinto , ed al procedimento di cognizione, culminato con emissione di decreto di condanna per irragionevole durata del processo definitivo, abbia fatto seguito il procedimento esecutivo nei confronti della PA che non ha spontaneamente adempiuto, debba o meno essere considerato, ed in quali limiti, anche il periodo intercorso tra la notifica del titolo alla PA e l’instaurazione del processo esecutivo . Con un ultimo quesito, viene sollevata la questione se detto periodo possa o meno qualificarsi come periodo intermedio, trattandosi di un lasso temporale sottratto all’amministrazione della giustizia, ma in cui si perpetua l’inadempimento dello Stato alla realizzazione del diritto accertato nel processo di cognizione ex legge Pinto .

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza interlocutoria 19 aprile 2018 – 15 gennaio 2019, n. 806 Presidente Petitti – Relatore Penta Ritenuto in fatto Con ricorso presentato in data 4 marzo 2015 F.A. chiedeva il riconoscimento dell’indennizzo per equa riparazione L. n. 89 del 2001, ex art. 2 per violazione della Convenzione sulla salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, per non essere stato rispettato il termine ragionevole di durata del processo in relazione ad un procedimento ex lege Pinto svoltosi dinanzi alla Corte di Appello di Perugia e, dopo la fase di legittimità, per l’ottemperanza, davanti al giudice dell’esecuzione di Roma, avendo avuto lo stesso la durata complessiva di anni 4 e mesi 2 circa, dal 13.5.2010, data di deposito del ricorso dinanzi alla Corte di Appello di Perugia, all’1.7.20 14, data dell’ordinanza di assegnazione. Con decreto del 20.3.2015, il consigliere designato ingiungeva al Ministero della Giustizia di pagare al F. la somma complessiva di Euro 1.000,00, oltre accessori e spese di lite. Avverso tale decreto proponeva opposizione, ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 5 ter il Ministero, eccependo l’incompetenza per territorio dell’autorità adita e la decadenza ai sensi dell’art. 4 della predetta legge e dolendosi dell’erroneo calcolo della durata complessiva del procedimento. La Corte d’Appello di Firenze, con decreto del 20.1.2016, accoglieva l’opposizione sulla base delle seguenti considerazioni 1 prive di pregio erano le eccezioni di incompetenza posto che il procedimento rispetto al quale era lamentata la violazione della ragionevole durata era stato definito da un giudice del distretto di Corte di Appello di Perugia e di decadenza atteso che il termine semestrale di proponibilità della domanda L. n. 89 del 2001, ex art. 4 era stato rispettato 2 quanto all’ulteriore doglianza, nel vaglio della durata dell’unitario procedimento che si snoda attraverso le fasi della proposizione del ricorso dinanzi alla Corte d’Appello, del ricorso per Cassazione e della fase esecutiva, dalla totalità del periodo dovevano essere espunti i cc.dd. tempi morti del procedimento medesimo, in forza di quanto previsto dall’art. 2, comma 2-quater, in quanto non ascrivibili al sistema giudiziario essendo sottratti alle possibilità organizzative dell’Amministrazione giudiziaria 3 dal computo dovevano essere, quindi, detratti L. n. 89 del 2001, ex art. 1, comma 2-quater a il periodo intercorrente tra la data di emissione del decreto che aveva definito il grado di merito e il deposito del ricorso in Cassazione b il periodo intercorrente tra la definizione del processo di cognizione e l’inizio del processo esecutivo, da identificarsi, quest’ultimo, con la notifica dell’atto di pignoramento ex art. 491 c.p.c. 4 in applicazione dei su esposti principi alla fattispecie, la durata totale doveva essere determinata in 30 mesi e 23 giorni, pari a 2 anni, 6 mesi e 23 giorni, superiore al periodo ritenuto congruo e ragionevole di 30 mesi e 5 giorni id est, 2 anni, 6 mesi e 5 giorni , ma con un ritardo inferiore a 6 mesi, donde l’impossibilità, contrariamente a quanto affermato nel decreto opposto, di riconoscere qualsivoglia risarcimento. Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso per cassazione F.A. , sulla base di due motivi. Ha resistito con controricorso il Ministero della Giustizia, il quale ha, a sua volta, proposto ricorso incidentale condizionato fondato su due motivi. In prossimità dell’udienza camerale, il ricorrente ha depositato memoria difensiva. All’udienza del 15.12.2017 il Collegio ha rinviato la causa in pubblica udienza, ravvisando, alla luce dell’ordinanza interlocutoria n. 20835 adottata da questa stessa Sezione in data 6.9.2017, la necessità di un approfondimento della questione di diritto sollevata. In prossimità dell’udienza pubblica del 19.4.2018 il ricorrente ha depositato ulteriore memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c Considerato in diritto 1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, artt. 2 e 4 per non aver la corte locale preso in considerazione, al fine di scrutinare se fosse stato superato il periodo di durata ragionevole del procedimento, il termine di 120 giorni dalla notifica del titolo esecutivo, in pendenza del quale la parte privata non può, ai sensi del D.L. n. 669 del 1996, art. 14 notificare alcun atto di precetto per aver ritenuto che l’inizio del processo esecutivo dovesse essere identificato con la notifica dell’atto di pignoramento, laddove il predetto processo inizierebbe, a differenza dell’espropriazione forzata, con la notifica del titolo esecutivo e del precetto. 2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., per averlo la corte locale condannato al pagamento integrale delle spese di lite, nonostante esistesse all’epoca un orientamento della S.C. e della Corte Europea di Strasburgo di segno contrario. 2.1. In sintesi, il ricorrente sostiene che occorrerebbe altresì considerare il termine di 120 giorni dalla notifica del titolo esecutivo, nel corso del quale il danneggiato non può notificare l’atto di precetto, e che già con quest’ultimo inizia il processo esecutivo. Sostiene altresì che, nel computo del periodo complessivo, andrebbe considerato l’arco temporale che va dall’ottenimento del titolo esecutivo di liquidazione dell’equa riparazione alla notifica dell’atto di pignoramento. 3. Con il primo motivo del ricorso incidentale il Ministero denuncia la violazione o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 4 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non aver la corte territoriale considerato l’alternativa tra il ritenere la procedura esecutiva una fase dell’unitario giudizio ex L. n. 89 del 2001 con la conseguenza che la competenza andava individuata in base al luogo del procedimento esecutivo ed H ritenere, più correttamente, che si fosse al cospetto di due giudizi dovendosi, per l’effetto, ai fini della eventuale decadenza, aversi riguardo alla definitività della decisione di merito . 4. Con il secondo motivo del ricorso incidentale il Ministero si duole della violazione della L. n. 89 del 2001, art. 3 per non aver la corte di merito dichiarato la propria incompetenza in favore della Corte d’Appello di Perugia. 5. Osserva il Collegio che, con riferimento alle questioni sottese al primo motivo del ricorso, si rende opportuno, alla luce dell’evoluzione recente della giurisprudenza CEDU, sottoporre le stesse alle Sezioni Unite di questa Corte, trattandosi di questioni di massima di particolare importanza che concernono numerose controversie pendenti dinanzi ai giudici di merito. 6. I rapporti tra la normativa interna come interpretata dalla Corte di Cassazione e la giurisprudenza della Corte EDU. La L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 4 cd. legge Pinto , nella formulazione applicabile all’epoca dei fatti controversi, recita va come segue La domanda di riparazione può essere proposta durante la pendenza del procedimento nel cui ambito la violazione si assume verificata, ovvero, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione, che conclude il medesimo procedimento, è divenuta definitiva . 6.1. Per quanto riguarda il nesso tra il procedimento di merito e il procedimento di esecuzione, la giurisprudenza della Corte di cassazione ha evidenziato due tesi opposte. Secondo un orientamento più risalente, il procedimento di merito e quello di esecuzione potevano essere considerati come un tutt’uno. La Corte di cassazione affermava che la data in cui la decisione che concludeva detto procedimento era divenuta definitiva , ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 4 doveva essere quella in cui il diritto rivendicato all’inizio del procedimento di merito trovava la sua realizzazione effettiva alla fine del giudizio di ottemperanza. Questa seconda procedura eventuale era attivata dall’interessato a causa dell’inerzia dell’amministrazione, quando quest’ultima non si conformava alla decisione divenuta esecutiva si vedano, fra altre, le sentenze n. 7978/2005, n. 14595/2008 e n. 1019/2009 di questa Suprema Corte . 6.1.1. La riportata giurisprudenza è stata progressivamente abbandonata. Invero, questa Corte ha successivamente affermato si veda, in particolare, la sentenza n. 1732/2009 che le due fasi dovevano essere considerate autonome, e ciò in ragione delle caratteristiche della procedura di esecuzione. Le Sezioni Unite sono poi intervenute una prima volta nel 2009, con le sentenze nn. 27348 e 27365, per risolvere il conflitto e armonizzare la giurisprudenza in materia. Nei passaggi principali delle sentenze citate, le Sezioni Unite hanno affermato che Non può ritenersi corretto neppure quanto afferma la ricorrente in ordine al fatto che la Corte di Strasburgo, nell’interpretare la CEDU, avrebbe elaborato un concetto di giusto processo , nel quale devono necessariamente considerarsi unitari o come due fasi del medesimo processo L. n. 89 del 2001, art. 4 sui diritti e obblighi di natura civile art. 6 Conv. , il giudizio di cognizione e quello solo eventuale di esecuzione, per considerare unica la loro complessiva durata con la conseguente ammissibilità della domanda di equa riparazione proposta in pendenza del giudizio esecutivo o di ottemperanza ovvero entro sei mesi dal primo atto satisfattivo adottato dal giudice della fase esecutoria da qualificare come decisione che conclude il procedimento, ai sensi dell’art. 4 citato, ovvero come decisione interna definitiva di cui all’art. 35 della Convenzione . Non potendo le durate dei predetti giudizi sommarsi per rilevarne una complessiva dei due processi di cognizione, da un lato, e di esecuzione o di ottemperanza, dall’altro ed essendo, perciò, solo dal momento delle decisioni definitive di ciascuno degli stessi possibile domandare, per ognuno di tali giudizi, nel termine semestrale previsto dalla L. n. 89 del 2001, art. 4, l’equa riparazione per violazione del citato art. 6 della CEDU, sono state reputate inammissibili le relative istanze in caso di sua inosservanza cfr., ex plurimis, le successive sentenze conformi nn. 16828 del 2010, 820 e 13739 del 2011 . E così solo al momento del formarsi di decisioni definitive di ciascun procedimento - e fatto salvo il rispetto del termine semestrale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 4 - sarebbe possibile, in relazione a ciascuno di essi, domandare l’equa riparazione di cui all’indicata normativa. Nel solco di questa impostazione, la Corte di cassazione ha deciso che il procedimento di merito e il giudizio di ottemperanza dovessero essere considerati separatamente, tenuto conto del loro carattere autonomo e della funzione specifica di ciascuno si vedano, fra molte altre, le sentenze nn. 5536/2010 e 8256/2011 . 6.1.2. Tornando sulla propria giurisprudenza, nel marzo 2014 sentenza n. 6312/2014 le Sezioni Unite di questa Corte si sono nuovamente espresse in materia. Mutando orientamento, la S.C. si è pronunciata in favore di un approccio globale che consideri il procedimento nel merito e quello, eventuale, di esecuzione come un unico e solo processo . La Corte di cassazione ha ritenuto, in particolare, quanto segue . occorre prender le mosse dal principio costituzionale di effettività della tutela giurisdizionale, di cui all’art. 24 Cost., comma 1, art. 111 Cost., commi 1 e 2 e art. 113 Cost., commi 1 e 2 . . Il rispetto di tale principio esige che la tutela giurisdizionale non si esaurisca nel diritto di accesso al giudice, a tutti garantito, ma comprenda qualsiasi attività processuale prevista dall’ordinamento, anche successiva alla proposizione della domanda, volta a rendere effettiva e concreta, appunto, la tutela giurisdizionale dei diritti . . Se, dunque, la previsione di una fase di esecuzione coattiva delle decisioni di giustizia, in quanto connotato intrinseco ed essenziale della stessa funzione giurisdizionale, deve ritenersi costituzionalmente necessaria nel sistema delineato dall’art. 24 Cost., comma 1, art. 111 Cost., commi 1 e 2 e art. 113 Cost., commi 1 e 2, per l’affermazione del principio di effettività della tutela giurisdizionale, se l’esecuzione della sentenza resa dal giudice deve . essere considerata come parte integrante del processo ai fini dell’art. 6 della CEDU e se, perciò, il procedimento di esecuzione costituisce la seconda fase del procedimento e il diritto rivendicato diventa realmente effettivo solo al momento dell’esecuzione , ne consegue necessariamente, sia pure in linea di principio, che - secondo una ricostruzione costituzionalmente e convenzionalmente orientata, rispettosa cioè sia delle citate norme costituzionali sia dell’art. 6 § 1 della CEDU, come interpretato dalla Corte di Strasburgo - per processo giusto art. 111 Cost., comma 1 ed equo rubrica dell’art. 6 della CEDU deve anche intendersi il procedimento giurisdizionale considerato come procedimento unico che, cioè, ha inizio con l’accesso al giudice e fine con l’esecuzione della decisione, definitiva ed obbligatoria. . Allorquando, nel processo civile o amministrativo, sia stata fatta valere dinanzi al giudice una situazione giuridica soggettiva sostanziale di vantaggio e questa sia stata riconosciuta al suo titolare con decisione definitiva ed obbligatoria fase processuale della cognizione e, tuttavia, tale decisione non sia stata spontaneamente ottemperata dall’obbligato ed il titolare abbia scelto di promuovere l’esecuzione del titolo così ottenuto fase processuale dell’esecuzione forzata o dell’ottemperanza - la garanzia costituzionale di effettività della tutela giurisdizionale e l’art. 6 § 1 della CEDU, come interpretato dalla Corte di Strasburgo, impongono di considerare tale articolato e complesso procedimento come un unico processo scandito, appunto, da fasi consequenziali e complementari. . . In tale prospettiva, . si attenuano, fino a scomparire, le differenze funzionali e strutturali tra processo di cognizione e processo di esecuzione forzata. . . 7. La pronuncia a Sezioni Unite della S.C. n. 9142 del 2016. Le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno precisato la nuova lettura globale nella recente sentenza n. 9142 del 6 maggio 2016. In particolare, il Supremo Consesso si è espresso come segue 3. La questione posta dalla sezione semplice attiene in sostanza alla compatibilità tra la struttura del procedimento Pinto . con i principi di derivazione convenzionale - CEDU - in merito alla qualificazione funzionale della nozione di decisione definitiva in particolare costituisce oggetto di scrutinio il verificare se la disciplina statuale che prevede un termine di decadenza semestrale dalla definitività del giudizio debba in generale riferirsi all’esito del procedimento complesso accertamento + esecuzione o se, posto tale principio, possa però assumere rilievo anche la condotta non attiva della parte, tenuta dopo la irretrattabilità della fase di cognizione e prima della fase di esecuzione se, in altri termini, la dislocazione temporale del dies ad quem della definitività del giudizio come sopra indicato non trovi un limite nel maturarsi, tra una fase e l’altra, del termine semestrale previsto dall’art. 4 della originaria formulazione della L. n. 89 del 2001. 7. La salvezza della specificità - anche storica - delle regole procedimentali adottate dallo Stato, pone il problema che ne occupa in un’ottica di compatibilità interpretativa dei criteri procedimentali nazionali e gli indirizzi Eurounitari. . . 9. Ritiene però la Corte di cassazione che possa pervenirsi a tale risultato conciliativo. . . 10. A seconda della condotta delle parti, il procedimento presupposto può essere considerato unitariamente o separabile in fasi se la parte lascia decorrere un termine rilevante - che va commisurato in quello di sei mesi, previsto dalla L. n. 89 del 2001, art. 4 - dal momento oltre il quale un procedimento diviene irrevocabile per il diritto interno, la stessa non può poi far valere la ingiustificata durata anche di quel procedimento se invece detta parte si attiva prima dello spirare di quel termine, al fine di procedere all’esecuzione, allora non si forma la sopra indicata soluzione di continuità nel procedimento finalisticamente considerato come un unicum e dunque può procedersi alla valutazione unitaria dello stesso ai fini della delibazione della sua complessiva ingiustificata durata per un’applicazione di tale approccio interpretativo, sia pure nella prospettiva di un rimedio straordinario di impugnazione, quale la revocazione nell’ambito del giudizio pensionistico innanzi alla Corte dei Conti, vedi Cass., Sez. 5-2 n. 25179/2015 in tale ipotesi dunque deve ritenersi che riprenda vigore la decadenza prevista dall’art. 4 della legge, con la conseguenza della perdita del diritto di far valere l’eventuale durata non ragionevole del procedimento di cognizione. . . 11. Consegue allora che la L. n. 89 del 2001, art. 4 nella formulazione anteriore alla modifica del 2012, allorquando stabilisce la decadenza dal diritto all’indennizzo per inosservanza del termine ultrasemestrale, presuppone una valutazione normativa di come si articola il nesso tra cognizione ed esecuzione nella concreta fattispecie, esaminandolo nella prospettiva dell’azione e non già del diritto. . . 12. L’indubbiamente nuova prospettiva posta dalla sentenza di queste Sezioni Unite del 2014 n. 6312/2014, sopra citata n.d.r. , con più stretta aderenza ai principi CEDU - nei termini più sopra messi in rilievo - . non può dunque essere intesa in senso assoluto, vale a dire tralasciando la valutazione delle differenze strutturali e di finalità - che nell’ordinamento nazionale permangono tra il giudizio di cognizione ed il procedimento di esecuzione . proprio tenendo a mente queste differenze si può fornire un’esegesi di tale norma . tale da consentire un diverso rilievo della collocazione del termine di decadenza al momento del definitivo accertamento del diritto o al momento della definitiva realizzazione dello stesso, in dipendenza della condotta tenuta dalla parte. . . Alla stregua della nuova prospettiva delineata, dunque, dalle Sezioni Unite, solo in parte coerente con quella enunciata dalle Sezioni Unite del 2014, l’unitarietà della visione della fase cognitoria e di quella esecutiva non è ipotizzabile sempre e comunque, ma dipende dalla condotta del privato creditore. La finalità ultima perseguita è quella di impedire un vulnus al principio della certezza delle situazioni giuridiche. 8. La posizione della Corte costituzionale. Secondo la Corte Europea dei diritti dell’Uomo, il principio di effettività di cui all’art. 13 della Convenzione, che impone agli Stati aderenti di prevedere rimedi interni per garantire il ripristino dei diritti violati riconosciuti in essa con azioni giurisdizionali indennitarie e davanti ai giudici nazionali, la cui durata va computata dalla data della domanda fino all’adempimento di quanto disposto dall’adito giudice, non comporta però la necessaria considerazione non separata di ogni processo cognitorio con quello successivo di esecuzione o di ottemperanza. Come si è visto, già questa Corte, con la pronuncia n. 6312 del 2014, aveva preso le mosse dal principio costituzionale di effettività della tutela giurisdizionale, di cui all’art. 24 Cost., comma 1, art. 111 Cost., commi 1 e 2 e art. 113 Cost., commi 1 e 2, quale principio che, già affermato dall’art. 13 della CEDU, è ormai codificato anche nei testi normativi più recenti cfr. al riguardo, per esempio, l’art. 47, § 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, cosiddetta Carta di Nizza - che, sotto la rubrica Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale , dispone che Ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente art. , e che ha, in forza dell’art. 6, § 1, del Trattato sull’Unione Europea, lo stesso valore giuridico dei trattati , nonché l’art. 1 del codice del processo amministrativo, approvato con il D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, secondo cui La giurisdizione amministrativa assicura una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto Europeo . Al riguardo, sono inequivocabili in tal senso altresì le affermazioni della Corte costituzionale . proprio in base al . principio di effettività della tutela deve ritenersi connotato intrinseco della stessa funzione giurisdizionale, nonché dell’imprescindibile esigenza di credibilità collegata al suo esercizio, il potere di imporre, anche coattivamente in caso di necessità, il rispetto della statuizione contenuta nel giudicato e, quindi, in definitiva, il rispetto della legge stessa. Una decisione di giustizia che non possa essere portata ad effettiva esecuzione eccettuati i casi di impossibilità dell’esecuzione in forma specifica altro non sarebbe che un’inutile enunciazione di principi, con conseguente violazione degli artt. 24 e 113 Cost., i quali garantiscono il soddisfacimento effettivo dei diritti e degli interessi accertati in giudizio nei confronti di qualsiasi soggetto . . In questi termini la previsione di una fase di esecuzione coattiva delle decisioni di giustizia, in quanto connotato intrinseco ed essenziale della stessa funzione giurisdizionale, deve ritenersi costituzionalmente necessaria così, la sentenza n. 419 del 1995, n. 6. del Considerato in diritto, e, nei medesimi termini, la sentenza n. 435 del 1995, n. 7. del Considerato in diritto . Il principio secondo cui la garanzia della tutela giurisdizionale posta dall’art. 24 Cost., comma 1, comprende anche la fase dell’esecuzione forzata, la quale è diretta a rendere effettiva l’attuazione del provvedimento giurisdizionale , è stato successivamente più volte ribadito dalla stessa Corte costituzionale cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 321 del 1998 e 198 del 2010 . 9. La posizione più recente della CEDU. Principi sostanzialmente analoghi, significativamente consonanti anche nel linguaggio utilizzato - come, ad esempio, la denominazione fase che, designando l’esecuzione forzata di una situazione giuridica soggettiva sostanziale di vantaggio già riconosciuta nella precedente fase della cognizione, allude chiaramente ad un processo unico -, sono stati costantemente affermati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, fino alle numerose decisioni più recenti, in sede di interpretazione dell’art. 6, § 1, della CEDU. In particolare, la Corte sovranazionale, in ordine a ricorsi nei quali è stata adita da cittadini degli Stati contraenti che hanno lamentato la non effettività dei rimedi interni, considera insieme i tempi del processo di cognizione che decide la controversia sul diritto alla riparazione che si svolge dinanzi alla Corte d’appello e di quello successivo di esecuzione o di ottemperanza determinato dall’inadempimento della P.A. tenuta a pagare l’indennizzo, concluso con il pagamento almeno parziale di questo, come determinato in sede cognitiva, da considerare dies a quo del termine decadenziale per iniziare l’azione da violazione dei diritti di cui alle norme sovranazionali cfr. CEDU, Grande Camera 31 marzo 2009, Smaldone c. Italia n. 22644/03 Scordino c. Italia, 29 marzo 2006, 36813/97 - esaminato con altri nove ricorsi tutti relativi al rimedio interno della L. n. 89 del 2001 e al nostro Paese e per altri Stati, Burdov c. Russia, 7 maggio 2002, n. 59498/95, per l’azione indennitaria di vittime di un grave disastro nucleare . Le sentenze citate della Corte sovranazionale, con altre in esse richiamate, affermano che, per il principio di effettività, l’esecuzione della sentenza deve essere considerata parte integrante del processo affinché la lentezza eccessiva del ricorso indennitario non ne comprometta il carattere adeguato Scordino c. Italia, 29 marzo 2006, n. 36813/97, § 195 . Ciò in quanto nei ricorsi in tema di durata della causa civile, il procedimento di esecuzione costituisce la seconda fase del procedimento e il diritto rivendicato diventa realmente effettivo realisation effective solo al momento dell’esecuzione cfr., ex plurimis, la sentenza 31 marzo 2009, Simaldone contro Italia . 9.1. Nella causa Bozza c. Italia decisa dalla Prima Sezione della Cedu il 14.9.2017, la ricorrente sosteneva che il rigetto della sua domanda di risarcimento Pinto , in quanto presentata tardivamente, fosse in contrasto con la giurisprudenza della Corte, secondo la quale il giudizio di ottemperanza sarebbe parte integrante del processo ai sensi dell’art. 6 della Convenzione. Perciò, secondo la ricorrente, se ci si basava sui principi menzionati nella sentenza Cocchiarella , la decisione interna definitiva , a partire dalla quale calcolare il termine di sei mesi per presentare la domanda di equa soddisfazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 4 si sarebbe dovuta identificare nell’atto di pignoramento presso terzi. Pertanto, il contrasto si fondava sull’interpretazione della nozione di decisione interna definitiva della legge Pinto elaborata dai giudici nazionali. In particolare, la questione concerneva lo stabilire se, nell’ambito procedurale della via di ricorso Pinto , la decisione del giudice dell’esecuzione di assegnazione delle somme potesse essere considerata la decisione interna definitiva del procedimento principale ai sensi dell’art. 35 della Convenzione. Già in precedenza, nella sua sentenza storica Hornsby c. Grecia 19 marzo 1997, Recueil 1997 2^ si vedano anche Silva Pontes c. Portogallo, 23 marzo 1994, serie A n. 286 A, Di Pede, e Zappia c. Italia, 26 settembre 1996, Recueil 1996 IV , la Corte aveva fissato il principio secondo il quale l’esecuzione di una sentenza, indipendentemente da quale giudice l’abbia pronunciata, dovesse essere considerata come facente parte integrante del processo ai sensi dell’art. 6 si veda anche Bourdov c. Russia n. 2 , n. 33509/04, § 65, CEDU 2009 . 9.2. Nella fattispecie sottesa alla causa Bozza c. Italia, la sentenza del Tribunale di Napoli era stata pronunciata il 10 dicembre 2002 e, in assenza di notifica, era divenuta vincolante ed esecutiva il 25 gennaio 2004. A partire da tale data, l’autorità convenuta, dunque, sapeva o era tenuta a sapere che avrebbe dovuto versare alla ricorrente la somma dovuta. Secondo la giurisprudenza sopra citata, afferma la Corte EDU, la ricorrente non era tenuta a intentare una qualsiasi azione di esecuzione, poiché si trattava, nella fattispecie, di una sentenza ottenuta contro lo Stato. La Corte osserva, inoltre, che l’esecuzione di tale sentenza non comportava alcuna difficoltà particolare oltre al semplice versamento di una somma di denaro. In assenza del pagamento spontaneo da parte dell’Amministrazione, la ricorrente aveva adito il giudice dell’esecuzione di Napoli che, il 25 gennaio 2005, aveva provveduto, all’esito di un pignoramento presso terzi, ad assegnare le somme in suo favore. Pertanto, il diritto rivendicato dalla ricorrente aveva trovato la sua realizzazione effettiva in quest’ultima data, e 1 atto di pignoramento presso terzì costituiva dunque, in quella causa, la decisione interna definitiva del procedimento principale si veda, tra altre, Bourdov n. 2 , sopra citata, § 72 . 9.3. Avuto riguardo alla pronuncia a Sezioni Unite di questa Corte n. 9142/2016, la CEDU ha osservato che, pur non essendo perfettamente allineata ai principi fissati nella sua giurisprudenza, la stessa si presta ad una lettura globale secondo la quale è possibile considerare il procedimento come un tutt’uno, ai fini del calcolo della durata del procedimento stesso . Come si è anticipato, secondo le Sezioni Unite di questa Corte, un diverso approccio interpretativo - che impedisse, cioè, ogni valutazione della condotta delle parti tenuta tra la irrevocabilità del procedimento di cognizione e quello di esecuzione -, oltre a porre le premesse di una irragionevole eliminazione dall’ordinamento nazionale di un meccanismo acceleratorio della definizione del contenzioso Pinto - meccanismo non sconosciuto alla CEDU, come dimostra la lettura dell’art. 41 della Convenzione -, porrebbe le basi per un uso abusivo del diritto concetto non estraneo alla giurisprudenza della CEDU cfr. la causa Rubeca c. Italia del 10 maggio 2012 , le volte in cui il periodo tra fase di cognizione e quella di esecuzione fosse maggiore di sei mesi, tenuto anche conto della possibilità di far valere la lesione del diritto ad una celere realizzazione della propria posizione soggettiva entro il termine decennale del giudicato. Predicando un rigido rinvio al principio unitario e, dunque, collocando lo spirare del termine semestrale all’esito della fase di esecuzione - se essa abbia avuto luogo - o, addirittura, solo allorché quel diritto irrevocabilmente accertato sia stato soddisfatto, si determinerebbe, secondo le Sezioni Unite, un vulnus al principio della certezza delle situazioni giuridiche. 10. La questione principale sollevata dal ricorrente. Fermo restando che, sul piano normativo, la domanda di equa riparazione deve essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla data in cui la decisione, che conclude il procedimento nel cui ambito la violazione si assume essersi verificata, è divenuta definitiva, le Sezioni Unite hanno introdotto, con l’intento di assicurare la stabilità e la certezza delle situazioni giuridiche, un ulteriore termine sempre di sei mesi ed intercorrente tra la definizione irrevocabile del procedimento di cognizione e l’esecuzione , il cui rispetto è necessario per una valutazione unitaria del procedimento di cognizione e di quello di esecuzione. L’osservanza di quest’ultimo termine consente, di fatto, di posporre in avanti il dies a quo di decorrenza del termine per attivare la procedura finalizzata a conseguire l’indennizzo per irragionevole durata del processo identificandolo nel passaggio in giudicato del provvedimento che conclude la procedura esecutiva e, quindi, di regola, dell’ordinanza di assegnazione delle somme . In quest’ottica, a ben vedere, allorquando il privato si sia visto costretto, in mancanza di adempimento spontaneo da parte dello Stato, ad instaurare la procedura esecutiva, sono configurabili in astratto due ipotesi a nel caso in cui tale procedura sia stata attivata salvo valutare se all’uopo sia sufficiente la notifica dell’atto di precetto o sia necessaria quella del pignoramento vedasi, sul punto, postea tempestivamente e, quindi, entro sei mesi dal passaggio in giudicato del provvedimento che ha posto termine alla fase di cognizione , la procedura ex lege Pinto potrà essere instaurata nel successivo ulteriore termine di sei mesi cui andrà eventualmente aggiunto il periodo di sospensione feriale cfr. Cass. nn. 5895/2009 e 22242/2010 dalla conclusione irreversibile della procedura esecutiva che coincide, come detto, normalmente con l’ordinanza di assegnazione e potrà compiersi una valutazione unitaria delle due fasi b qualora, invece, la fase esecutiva non sia stata tempestivamente attivata, il privato incorrerà, in ordine all’equo indennizzo, nella decadenza semestrale con riferimento al giudizio di cognizione e potrà, se del caso, invocare il detto indennizzo limitatamente alla fase esecutiva sempre che abbia instaurato la procedura ex lege Pinto entro sei mesi dalla sua definizione . La questione sollevata dal ricorrente rilevante, ripetesi, ai fini della valutazione unitaria delle due fasi si sostanzia nel ritenere applicabile, al fine di considerare finalisticamente come un unicum il procedimento di cognizione e quello di esecuzione, oltre al termine di sei mesi menzionato, quello ulteriore di sei mesi e cinque giorni dalla notifica del titolo a disposizione dell’Amministrazione per procedere al pagamento dell’indennizzo con la conseguenza che l’atto di precetto - secondo il suo assunto - dovrebbe essere notificato entro 12 mesi e cinque giorni - al netto del periodo di sospensione feriale - dalla notificazione del titolo . 10.1. Ai fini di una ricostruzione complessiva della fattispecie, occorre tener presente che 1 il termine di sei mesi e cinque giorni ex art. 133 c.p.c. entro il quale lo Stato dovrebbe spontaneamente corrispondere l’equo indennizzo posto a suo carico decorre dalla esecutività ex lege, in base alla L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 6, secondo periodo , del decreto di liquidazione del compenso recte, dalla comunicazione di tale decreto cfr. Cass. n. 15658/2012 2 il termine di sei mesi entro il quale il danneggiato deve instaurare la procedura per conseguire l’equo indennizzo al fine di ottenere una valutazione unitaria tra la fase di cognizione e quella di esecuzione decorre, invece, dalla irrevocabilità definitività del detto decreto e, in caso di unitarietà tra le due fasi, dalla conclusione della procedura esecutiva cfr. L. n. 89 del 2001, art. 4 alla luce della lettura offertane da S.U. n. 9142/2016 3 quindi, fatta eccezione per il caso in cui l’indennizzo sia stato riconosciuto per la prima volta con la pronuncia emessa in sede di legittimità ex art. 384 c.p.c., comma 2 , i due termini di decorrenza non coincidono. Da ciò consegue che la questione sollevata dal ricorrente e fatta propria da questa sezione con ordinanza interlocutoria n. 20835 del 6.9.2017 si porrebbe solo nell’evenienza sub 3 nella quale, cioè, l’esecutività del decreto che riconosce l’indennizzo coincide con la definitività del procedimento di cognizione ipotesi che si è in concreto realizzata nella fattispecie in esame, essendo stato riconosciuto l’indennizzo con sentenza di questa Corte depositata il 31.10.2012 , e non anche allorquando l’equo indennizzo sia stato concesso già dal consigliere designato in sede di appello. In siffatta evenienza occorrerà valutare a se la soluzione pragmatica offerta da SU n. 9142/2016 possa tuttora essere integralmente avallata o debba, di contro, privilegiarsi una lettura della L. n. 89 del 2001, art. 4 maggiormente allineata ai principi convenzionali, nel senso di ritenere, allorquando il soggetto passivo della pretesa del privato sia lo Stato, sempre e comunque necessaria una visione unitaria delle due fasi” procedimento di cognizione e procedura esecutiva , in tal guisa ridimensionando la portata e l’applicabilità della menzionata pronuncia al solo caso in cui il giudizio presupposto sia ordinario ed instaurato nei confronti di privati b se, fornita una riposta negativa al quesito sub a , il privato debba recte, possa in ogni caso attendere il maturare infruttuoso del termine di sei mesi e cinque giorni prima di attivare nei successivi sei mesi la procedura esecutiva con la conseguenza che, ai fini della valutazione unitaria delle due fasi, l’atto di precetto o il titolo esecutivo o l’atto di pignoramento potrebbe - recte, dovrebbe - essere notificato entro dodici mesi e 5 giorni dalla definizione del procedimento di cognizione . 10.2. La circostanza che il periodo di sei mesi e 5 giorni concesso alla P.A. per corrispondere quanto dovuto a titolo di indennizzo venga, in attuazione dei principi di derivazione comunitaria, incluso nel calcolo della durata complessiva del procedimento tacciato di essersi protratto oltre la durata ragionevole in aggiunta al periodo di due anni - di cui uno per il giudizio di merito ed uno per l’eventuale giudizio di cassazione - cfr., in tal senso, Cass. n. 5924/2012 , porta con sé un’altra questione se l’ inerzia della P.A. nel pagamento evidentemente protrattasi oltre il termine dilatorio su indicato possa equipararsi tout court, soprattutto nel caso in cui il giudizio presupposto sia, a sua volta, di equa riparazione, all’ inerzia dell’apparato giudiziario. Solo fornendo una riposta positiva al dubbio che precede potrebbero, infatti, prendersi in considerazione il periodo che va dalla notifica dell’atto di precetto a quella dell’atto di pignoramento e, nelle ipotesi in cui sia direttamente coinvolto lo Stato o in quanto parte antagonista nel giudizio presupposto o in quanto quest’ultimo già era di equa riparazione , quello che oltrepassa i sei mesi e 5 giorni considerandosi, invece, tempi morti esclusivamente quelli che intercorrono tra il deposito del decreto della corte d’appello e la notifica del ricorso per cassazione e, all’esito della definizione del giudizio di legittimità, tra il deposito e la notifica della pronuncia della S.C. . È in quest’ottica che il ricorrente cfr. pag. 16 del ricorso invoca il riconoscimento, nel calcolo della durata complessiva del processo, del periodo di un anno e nove mesi intercorso tra il deposito della pronuncia di questa Corte e l’emanazione dell’ordinanza di assegnazione da parte del g.e 10.3. Inoltre, alla luce dell’orientamento ormai maturato in seno alla Corte EDU, occorrerà scrutinare se, imponendo la garanzia costituzionale di effettività della tutela giurisdizionale e l’art. 6, § 1, della CEDU come interpretato dalla Corte di Strasburgo di considerare l’articolato e complesso procedimento di equo indennizzo come un unico processo scandito da fasi consequenziali e complementari , nel caso in cui venga pronunciata una sentenza contro lo Stato per essersi innestato il procedimento ex lege Pinto su altro, presupposto, anch’esso nei confronti dello Stato per la durata irragionevole di un processo , per decisione interna definitiva del procedimento principale che rappresenta il dies a quo di decorrenza ai fini del computo del termine semestrale debba intendersi sempre e comunque quella finale satisfattiva adottata in sede esecutiva anziché la pronuncia passata in giudicato nel giudizio di cognizione . Se, cioè, si debba, in questa evenienza, superare la concezione autonoma delle due fasi , prescindendo, ai fini della continuità tra le stesse, da una instaurazione tempestiva della procedura esecutiva ferma restando, poi, la necessità che la procedura ex lege Pinto venga attivata a pena di decadenza, dalla parte privata, entro sei mesi dalla definizione di quella espropriativa . 10.3.1. La Corte, nella causa Bozza c. Italia decisa dalla Prima Sezione della Cedu il 14.9.2017, ha, in quest’ottica, operato una distinzione a seconda della natura della parte debitrice, tra debitore-privato e debitore-pubblica amministrazione. Nel primo caso, quando il privato o la persona sono inadempienti, spetta agli Stati contraenti garantire l’assistenza necessaria affinché il diritto rivendicato trovi la sua effettiva realizzazione. Benché non possano essere considerati responsabili per il mancato pagamento di un credito esecutivo dovuto all’insolvenza di un debitore privato si vedano, mutatis mutandis, Sanglier c. Francia, n. 50342/99, § 39, 27 maggio 2003, Ciprova c. Repubblica ceca dec. , n. 33273/03, 22 marzo 2005, e Cubànit c. Romania dec. , n. 31510/02, 4 gennaio 2007 , gli Stati hanno l’obbligo positivo di mettere in atto un sistema che sia effettivo tanto in pratica quanto in diritto, e che permetta di assicurare l’esecuzione delle decisioni giudiziarie definitive tra persone private Fouklev c. Ucraina, n. 71186/01, § 84, 7 giugno 2005 . Pertanto, gli Stati possono essere considerati responsabili per quanto riguarda l’esecuzione di una sentenza da parte di una persona di diritto privato, se le autorità pubbliche implicate nelle procedure di esecuzione non danno prova della diligenza richiesta o se impediscono l’esecuzione Bogdan Vodà Greek-Catholic Parish c. Romania, n. 26270/04, § 44, 19 novembre 2013, e Sekul c. Croazia dec. , n. 43569/13, § § 54-55, 30 giugno 2015 . Nel secondo caso, quando viene pronunciata una sentenza contro lo Stato, il privato che l’ha ottenuta non deve di norma avviare un procedimento distinto per ottenerne l’esecuzione forzata. È, infatti, sufficiente che sia regolarmente notificata all’autorità nazionale interessata Akachev c. Russia, n. 30616/05, § 21, 12 giugno 2008 o che siano espletati alcuni adempimenti processuali di natura formale Chvedov c. Russia, n. 69306/01, § § 29-37, 20 ottobre 2005, e Kosmidis e Kosmidou c. Grecia, n. 32141/04, § 24, 8 novembre 2007 . Il suo id est, del privato obbligo di cooperare non deve, tuttavia, eccedere quanto strettamente necessario all’esecuzione della decisione e, in ogni caso, non esonera l’amministrazione dall’obbligo di agire di propria iniziativa e nei termini previsti Akachev, sopra citata, § 22, Bourdov c. Russia, n. 59498/2002, § 35, e Koukalo c. Russia, n. 63995/00, § 49, 3 novembre 2005 , in particolare organizzando il proprio sistema giudiziario si vedano, mutatis mutandis, Comingersoll S.A. c. Portogallo GC , n. 35382/97, § 24, CEDU 2000 4, e Frydlender c. Francia GC , n. 30979/96, § 45, CEDU 2000 7 . Un tempo irragionevolmente lungo di esecuzione di una sentenza vincolante può dunque comportare una violazione della Convenzione Bourdov, sopra citata, § 73 . In quest’ottica, la Corte ha fissato in sei mesi, a decorrere dalla data in cui la decisione di risarcimento recte, che concede l’indennizzo è divenuta esecutiva, il termine di pagamento Cocchiarella, sopra citata, § 89 . Da questi principi derivava e deriva tuttora l’obbligo per gli Stati contraenti di assicurare che ciascun diritto rivendicato trovi la sua effettiva realizzazione. Alla luce del ricostruito approccio metodico, sembra, pertanto, che la riottosità” del potere amministrativo dello Stato nell’eseguire i pagamenti venga, in siffatta evenienza, sovrapposta alla inerzia del potere giurisdizionale nel definire i processi. 11. Le altre questioni sollevate dal ricorrente. In questo contesto occorre altresì analizzare la questione concernente la rilevanza, ai fini della continuità tra giudizio di cognizione e procedura esecutiva, del termine di 120 giorni introdotto dal D.L. 31 dicembre 1996, n. 669, art. 14 conv. con L. n. 30 del 1997 anche alla luce della modifica apportata al suo testo dal D.L. n. 269 del 2003, art. 44, comma 3 conv. con L. n. 326 del 2003 . Non è revocabile in dubbio che la detta previsione debba essere interpretata nel senso che la parte, a favore della quale sia stata pronunciata condanna al pagamento di una somma di denaro, non possa dare inizio all’esecuzione forzata, né possa minacciarla mediante la notifica del precetto, se prima non abbia notificato il titolo esecutivo e dalla notifica di questo non sia decorso il termine dilatorio stabilito dalla norma ora 120 giorni, come previsto dalla L. n. 388 del 2000, art. 147 . Tuttavia, residuano delle incertezze, alla luce dell’impostazione adottata dalla Corte EDU, che sembra, come visto, aver equiparato, in caso di inerzia, lo Stato - debitore allo Stato - giudice. Il detto termine si riferisce alla impossibilità di instaurare la procedura espropriativa con riferimento al provvedimento esecutivo viceversa, come già anticipato, il termine di sei mesi entro cui va attivata, ai fini della unicità delle due fasi - di cognizione e di esecuzione -, la stessa procedura inizia a decorrere dalla definitività irrevocabilità/passaggio in giudicato del provvedimento che ha riconosciuto l’indennizzo. Occorre, allora, chiarire 1 se tale termine sia tendenzialmente ricompreso in quello di 6 mesi e 5 giorni dalla esecutività del decreto di liquidazione del compenso, entro il quale la PA sarebbe tenuta a pagare 2 se, nell’eventualità in cui, per inerzia del creditore, il primo termine di 120 giorni dovesse slittare in avanti a causa della tardiva notifica del titolo esecutivo, ciò dovrebbe gravare sul medesimo o dovrebbe restare a carico dello Stato 3 se, infine, il detto arco temporale dovrebbe essere considerato nella quantificazione complessiva del ritardo ascrivibile al sistema giudiziario, nonostante rappresenti un periodo sottratto al potere organizzativo dell’Amministrazione giudiziaria a tal punto che non è neppure pendente un processo . Come si è visto in precedenza, a ben vedere, i termini che entrano in gioco in ambito di equo indennizzo sono quattro a quello di sei mesi e 5 giorni, decorrente dalla esecutività del provvedimento con il quale l’indennizzo è stato riconosciuto, nel corso del quale la P.A. può spontaneamente adempiere b quello di 120 giorni, decorrente dalla notifica, a cura del privato creditore, del titolo esecutivo, nel corso del quale il medesimo non può notificare l’atto di precetto c quello di sei mesi, decorrente dalla irrevocabilità del provvedimento che ha definito il procedimento di cognizione, entro il quale il privato deve instaurare la procedura esecutiva Cass. SSUU n. 9142/2016 d quello ulteriore di sei mesi, decorrente dalla conclusione della eventuale procedura esecutiva, entro il quale il privato deve attivare la procedura ex lege Pinto. Fatta eccezione per il caso in cui l’indennità venga riconosciuta per la prima volta in sede di legittimità, il secondo ed il terzo termine non possono sovrapporsi, sicché quello di 120 giorni non può influire su quello di sei mesi. Il problema, dunque, si pone solo allorquando sia stata questa Corte a liquidare l’indennizzo, nel qual caso non potrebbe imputarsi al privato il termine di 120 giorni, solo decorso il quale potrebbe decorrere quello di sei mesi. È evidente, peraltro, la confusione di piani nella quale incorre il ricorrente laddove cfr. pag. 13 del ricorso , dapprima, afferma che il termine di 120 giorni in esame si inserisce in quello di sei mesi e 5 giorni a disposizione dell’Amministrazione per procedere al pagamento della somma dovuta e, poi, con l’aggettivo ulteriori , sembra alludere alla possibilità che il primo termine si aggiunga al secondo. 11.1. Avuto riguardo alla rilevanza o meno del lasso temporale intercorrente tra l’esecutività del provvedimento decreto della Corte d’appello o sentenza/ordinanza della Suprema Corte che definisce il processo di cognizione e l’inizio della procedura esecutiva, occorrerà ugualmente chiarire se lo stesso, essendo sottratto al potere organizzativo dell’Amministrazione giudiziaria non essendo pendente alcun processo , possa recte, debba essere calcolato ai fini della quantificazione della durata del processo, nonostante non sia ascrivibile al sistema giudiziario, ma all’inerzia della PA nel pagamento e/o dello stesso creditore nella instaurazione della procedura esecutiva. Ed ancora, si dovrebbe chiarire se l’inizio del processo esecutivo debba, poi, essere identificato solo nella notifica dell’atto di pignoramento, alla luce del rilievo per cui sia il titolo esecutivo che l’atto di precetto sono indirizzati alla controparte, non determinando la pendenza di un procedimento giudiziario, e tenendo presente che potrebbe verificarsi l’ipotesi, non di scuola, in virtù della quale il creditore, dopo aver notificato il precetto, non inizi l’esecuzione, in tal guisa determinando si l’inefficacia del primo atto ex art. 481 c.p.c. , ma non precludendosi la possibilità di rinnovarlo e così di procrastinare sine die il procedimento soggiacendo unicamente alla prescrizione decennale del credito , il tutto senza che l’Amministrazione possa in alcun modo impedirlo. 12. A partire dalle sentenze delle Sezioni Unite nn. 1338, 1339, 1340 e 1341 del 26 gennaio 2004, questa Corte ha statuito che la giurisprudenza della Corte Europea deve ritenersi vincolante per i giudici italiani quanto alla determinazione dei danni non patrimoniali sofferti a seguito dell’eccessiva durata dei processi e, dunque, che l’irragionevole discostarsi dai parametri fissati dai giudici di Strasburgo costituisce violazione di legge censurabile in Cassazione. Alla luce delle considerazioni che precedono, meritano, ad avviso del Collegio, di essere sottoposte al vaglio delle Sezioni Unite le seguenti questioni di massima di particolare importanza, ai sensi dell’art. 374 c.p.c., comma 2 Dicano le Sezioni Unite, alla luce, da un lato, della menzionata sentenza delle Sezioni Unite n. 9142 del 2016 e, dall’altro, della richiamata giurisprudenza della Corte EDU e della Corte costituzionale, se, nel caso in cui l’indennizzo sia stato riconosciuto per la prima volta con la pronuncia emessa in sede di legittimità ex art. 384 c.p.c., comma 2 a si debba superare la concezione autonoma delle due fasi , prescindendo, ai fini della continuità tra le stesse, da una instaurazione tempestiva della procedura esecutiva ferma restando, poi, la necessità che la procedura ex lege Pinto venga attivata a pena di decadenza, dalla parte privata, entro sei mesi dalla definizione di quella espropriativa b il privato debba in ogni caso attendere il maturare infruttuoso del termine di sei mesi e cinque giorni prima di attivare nei successivi sei mesi la procedura esecutiva c nell’arco temporale di sei mesi dalla irrevocabilità della decisione definitiva del procedimento di cognizione debba essere notificato l’atto di pignoramento o sia sufficiente la notifica del titolo esecutivo ovvero dell’atto di precetto d sia sufficiente, per il privato, notificare, entro sei mesi dalla sua irrevocabilità, il titolo esecutivo all’Amministrazione o la notifica debba avvenire immediatamente e, in siffatta evenienza, entro quale termine , ciò ai fini non della considerazione nel calcolo complessivo del tempo utilizzato per l’adempimento, ma della configurabilità, o meno, di una soluzione di continuità tra il giudizio di cognizione e la procedura esecutiva. Dicano altresì le Sezioni Unite se a il termine di 120 giorni introdotto dal D.L. 31 dicembre 1996, n. 669, art. 14 conv. con L. n. 30 del 1997 anche alla luce della modifica apportata al suo testo dal D.L. n. 269 del 2003, art. 44, comma 3 conv. con L. n. 326 del 2003 , sia tendenzialmente ricompreso in quello di 6 mesi e 5 giorni dalla esecutività del decreto di liquidazione del compenso, entro il quale la PA sarebbe tenuta a pagare o debba altresì essere tenuto presente ai fini di una valutazione unitaria delle fasi di cognizione e di esecuzione b nell’eventualità in cui, per inerzia del creditore, il primo termine dovesse slittare in avanti a causa della tardiva notifica del titolo esecutivo, ciò dovrebbe gravare sul medesimo o dovrebbe restare a carico dello Stato”. Il Collegio ritiene, pertanto, opportuno rimettere gli atti al Primo Presidente per le sue determinazioni in ordine alla eventuale assegnazione del ricorso alle sezioni unite. P.Q.M. La Corte, visto l’art. 374 c.p.c., rimette gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle sezioni unite. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2 Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 19 aprile 2018. Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2019

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza interlocutoria 19 aprile 2018 – 15 gennaio 2019, n. 802 Presidente Petitti – Relatore Scalisi Fatti di causa A.M. con ricorso della L. n. 89 del 2001, ex art. 3, depositato il 27 febbraio 2015 chiedeva la liquidazione di un equo indennizzo per l’eccessiva durata di un processo introdotto nell’ottobre 2002 a norma della stessa procedimento di equa riparazione davanti alla Corte di Appello di Perugia. Questa aveva dichiarato inammissibile la domanda con provvedimento del 5 gennaio 2012 poi riformato dalla Corte di Cassazione con sentenza del 19 dicembre 2012 che aveva condannato l’Amministrazione statale a pagare l’importo di Euro 1.125,00 a titolo di equa riparazione per la vicenda in oggetto. In difetto di un pagamento spontaneo si era reso necessario promuovere azione esecutiva nei confronti dello Stato con precetto notificato in data 13 giugno 2014 seguito da pignoramento di fondi assegnati alla A. dal Giudice dell’esecuzione di Roma con ordinanza del 27 giugno 2014. Il Consigliere designato con decreto in data 4/03 /2015 riteneva di rigettare il ricorso della A. dato che la fase di cognizione era durata dal 29 settembre 2010 al 19 dicembre 2012 ovvero poco più di due anni. Per altro le due fasi cognizione ed esecuzione sommate non superavano i due anni sei mesi e cinque giorni e che comunque a voler considerare isolatamente la fase di cognizione il superamento della durata ragionevole per un periodo inferiore a sei mesi non era indennizzabile. Avverso tale decreto proponeva opposizione della L. n. 89 del 2001, ex art. 5 ter, A.M. la quale si doleva di una lettura erronea della sentenza della Corte di cassazione a Sezioni Unite n. 6312 del 2014 e di un errore del Consigliere laddove aveva affermato che il percetto era stato notificato il 13 giugno 2014 anziché in data 11 dicembre 2013 e, quindi, nessuna inerzia poteva essergli addebitata. Si costituiva il Ministero della Giustizia chiedendo il rigetto dell’opposizione ed osservando che la procedura esecutiva sii era conclusa in meno di un mese e che, quindi, non era stata superata la durata ragionevole fissata in tre anni dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 bis, eccepiva l’inammissibilità della domanda per incompetenza territoriale, per essere competente la Corte di Appello di Perugia. La Corte di appello di Firenze con decreto 282 del 2015 rigettava l’opposizione condannava la parte opponente al pagamento delle spese del giudizio che liquidava in Euro 400,00. Secondo la Corte distrettuale, il procedimento ex L. n. 89 del 2001, da considerare come unico procedimento comprensivo della fase di esecuzione risultava avere avuto una durata di due anni sette mesi e giorni sedici con la conseguenza che detratta la durata ragionevole di due anni sei mesi e cinque giorni l’eccedenza sarebbe di mesi uno e giorni 11, eccedenza non indennizzabile in quanto non superiore a sei mesi. La cassazione di questo decreto è stata chiesta da A.M. con ricorso affidato a due motivi. Il Ministero della Giustizia in questa fase non svolto attività giudiziale. All’udienza del 23 marzo 2017 il Collegio rinviava la causa in pubblica udienza, ravvisando, alla luce dell’ordinanza interlocutoria n. 20835 adottata da questa stessa Sezione in data 6.9.2017, la necessità di un approfondimento della questione di diritto sollevata. In prossimità dell’udienza pubblica del 19.4.2018 la ricorrente ha depositato ulteriore memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c Ragioni della decisione 1. - A.M. lamenta a Con il primo motivo di ricorso, violazione e/o falsa applicazione di legge, L. n. 89 del 2001, art. 2 . La ricorrente sostiene che secondo i principi espressi da questa Corte di cassazione a Sezioni Unite con la sentenza nn. 6312 del 2014 va considerato che la fase di cognizione e di legittimità della procedura ex lege Pinto presupposta deve ragionevolmente protrarsi per non più di due anni, successivamente a partire da quando il titolo è divenuto esecutivo, l’Amministrazione può ancora soddisfare il proprio debito entro ulteriori sei mesi e cinque giorni e ove il predetto termine dilatorio non sia stato rispettato dall’Amministrazione convenuta ed il titolare abbia optato per la promozione di un procedimento di esecuzione forzata del titolo ottenuto l’ulteriore periodo fino alla data del provvedimento conclusivo della fase dell’esecuzione forzata deve esser senz’altro posto a carico dell’Amministrazione stessa. Pertanto, il Decreto opposto pur premettendo che la sentenza della Suprema Corte era intervenuta il 19 dicembre 2012 avrebbe omesso del tutto di considerare che essendo divenuto il titolo così ottenuto definitivo nel dicembre del 2012 ed essendosi conclusa la fase esecutiva nel luglio 2014 data in cui sarebbe divenuta definitiva l’ordinanza di assegnazione tale ulteriore periodo di un anno e sette mesi 19 mesi andava sommato alla durata della fase precedente di cognizione, il giudizio di che trattasi avrebbe avuto la durata di tre anni e due mesi a fronte di quella ragionevole di due anni e sei mesi e cinque giorni. b con il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e del D.M. n. 55 del 2014, censurando il decreto impugnato per non aver disposto la compensazione delle spese di giudizio dovendo tener conto del mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, come emergerebbe dal fatto che la questione qui riproposta è stata rimessa alle Sezioni Unite con ordinanza n. 1382 del 2015. 2.1. In sintesi, la ricorrente sostiene che occorrerebbe altresì considerare il termine di 120 giorni dalla notifica del titolo esecutivo, nel corso del quale il danneggiato non può notificare l’atto di precetto, e che già con quest’ultimo inizia il processo esecutivo. Sostiene, altresì, che, nel computo del periodo complessivo, andrebbe considerato l’arco temporale che va dall’ottenimento del titolo esecutivo di liquidazione dell’equa riparazione alla notifica dell’atto di pignoramento. 3. A . - La giurisprudenza di questa Corte, in merito al nesso tra il procedimento di merito e il procedimento di esecuzione, ha espresso due tesi opposte Secondo una giurisprudenza più risalente, il procedimento di merito e il procedimento di esecuzione potevano essere considerati come un tutt’uno. La Corte di cassazione affermava che la data in cui la decisione che concludeva detto procedimento era divenuta definitiva , ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 4, doveva essere quella in cui il diritto rivendicato all’inizio del procedimento di merito trovava la sua realizzazione effettiva alla fine del giudizio di ottemperanza. Questa seconda procedura eventuale era attivata dall’interessato a causa dell’inerzia dell’amministrazione, quando quest’ultima non si conformava alla decisione divenuta esecutiva si vedano, fra altre, le sentenze n. 7978/2005, n. 14595/2008 e n. 1019/2009 di questa Suprema Corte . Epperò, tale giurisprudenza è stata progressivamente abbandonata. Invero, la Corte di cassazione ha successivamente affermato si veda, in particolare, la sentenza n. 1732/2009 che le due fasi dovevano essere considerate autonome, e ciò in ragione delle caratteristiche della procedura di esecuzione. Tuttavia, tornando sulla propria giurisprudenza, nel marzo 2014 sentenza n. 6312/2014 le Sezioni Unite della Corte di cassazione si sono nuovamente espresse in materia. In questo mutato orientamento, la Cassazione si è pronunciata in favore di un approccio globale che consideri il procedimento nel merito e quello, eventuale, di esecuzione, come un unico e solo processo . La Corte di cassazione ha ritenuto, in particolare, quanto segue Allorquando, nel processo civile o amministrativo, sia stata fatta valere dinanzi al giudice una situazione giuridica soggettiva sostanziale di vantaggio e questa sia stata riconosciuta al suo titolare con decisione definitiva ed obbligatoria fase processuale della cognizione e, tuttavia, tale decisione non sia stata spontaneamente ottemperata dall’obbligato ed il titolare abbia scelto di promuovere l’esecuzione del titolo così ottenuto fase processuale dell’esecuzione forzata o dell’ottemperanza – la garanzia costituzionale di effettività della tutela giurisdizionale e l’art. 6 § 1 della CEDU, come interpretato dalla Corte di Strasburgo, impongono di considerare tale articolato e complesso procedimento come un unico processo scandito, appunto, da fasi consequenziali e complementari. . . In tale prospettiva, . si attenuano, fino a scomparire, le differenze funzionali e strutturali tra processo di cognizione e processo di esecuzione forzata . . E, tale orientamento è stato confermato dalle stesse Sezioni Unite con la sentenza n. 9142 del 6 maggio 2016. In particolare, la Corte di Cassazione ha specificato che A seconda della condotta delle parti, il procedimento presupposto può essere considerato unitariamente o separabile in fasi se la parte lascia decorrere un termine rilevante - che va commisurato in quello di sei mesi, previsto dalla L. n. 89 del 2001, art. 4 - dal momento oltre il quale un procedimento diviene irrevocabile per il diritto interno, la stessa non può poi far valere la ingiustificata durata anche di quel procedimento se invece detta parte si attiva prima dello spirare di quel termine, al fine di procedere all’esecuzione, allora non si forma la sopra indicata soluzione di continuità nel procedimento finalisticamente considerato come un unicum e dunque può procedersi alla valutazione unitaria dello stesso ai fini della delibazione della sua complessiva ingiustificata durata per un’applicazione di tale approccio interpretativo, sia pure nella prospettiva di un rimedio straordinario di impugnazione, quale la revocazione nell’ambito del giudizio pensionistico innanzi alla Corte dei Conti, vedi Cass., Sez. 5-2 n. 25179/2015 in tale ipotesi dunque deve ritenersi che riprenda vigore la decadenza prevista dall’art. 4 della legge, con la conseguenza della perdita del diritto di far valere l’eventuale durata non ragionevole del procedimento di cognizione . . 3. B . - Va altresì evidenziato che secondo la Corte Europea dei diritti dell’Uomo, il principio di effettività di cui all’art. 13 della Convenzione, che impone agli Stati aderenti di prevedere rimedi interni per garantire il ripristino dei diritti violati riconosciuti in essa con azioni giurisdizionali indennitarie e davanti ai giudici nazionali la cui durata va computata dalla data della domanda fino all’adempimento di quanto disposto dall’adito giudice , non comporta però la necessaria considerazione non separata di ogni processo cognitorio con quello successivo di esecuzione o di ottemperanza. In verità, già questa Corte, con la pronuncia n. 6312 del 2014, aveva preso le mosse dal principio costituzionale di effettività della tutela giurisdizionale, di cui all’art. 24 Cost., comma 1, art. 111 Cost., commi 1 e 2 e art. 113 Cost., commi 1 e 2, quale principio che, già affermato dall’art. 13 della CEDU, è ormai codificato anche nei testi normativi più recenti cfr. al riguardo, per esempio, l’art. 47, § 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, cosiddetta Carta di Nizza - che, sotto la rubrica Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale , dispone che Ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo , e che ha, in forza dell’art. 6, § 1, del Trattato sull’Unione Europea, lo stesso valore giuridico dei trattati , nonché l’art. 1 del codice del processo amministrativo, approvato con il D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, secondo cui La giurisdizione amministrativa assicura una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto Europeo . Al riguardo, sono inequivocabili in tal senso altresì le affermazioni della Corte costituzionale . proprio in base al . principio di effettività della tutela deve ritenersi connotato intrinseco della stessa funzione giurisdizionale, nonché dell’imprescindibile esigenza di credibilità collegata al suo esercizio, il potere di imporre, anche coattivamente in caso di necessità, il rispetto della statuizione contenuta nel giudicato e, quindi, in definitiva, il rispetto della legge stessa. Una decisione di giustizia che non possa essere portata ad effettiva esecuzione eccettuati i casi di impossibilità dell’esecuzione in forma specifica altro non sarebbe che un’inutile enunciazione di principi, con conseguente violazione degli artt. 24 e 113 Cost., i quali garantiscono il soddisfacimento effettivo dei diritti e degli interessi accertati in giudizio nei confronti di qualsiasi soggetto . . In questi termini la previsione di una fase di esecuzione coattiva delle decisioni di giustizia, in quanto connotato intrinseco ed essenziale della stessa funzione giurisdizionale, deve ritenersi costituzionalmente necessaria così, la sentenza n. 419 del 1995, n. 6. del Considerato in diritto, e, nei medesimi termini, la sentenza n. 435 del 1995, n. 7. del Considerato in diritto . Il principio secondo cui la garanzia della tutela giurisdizionale posta dall’art. 24 Cost., comma 1, comprende anche la fase dell’esecuzione forzata, la quale è diretta a rendere effettiva l’attuazione del provvedimento giurisdizionale , è stato successivamente più volte ribadito dalla stessa Corte costituzionale cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 321 del 1998 e 198 del 2010 . Principi sostanzialmente analoghi, significativamente consonanti anche nel linguaggio utilizzato - come, ad esempio, la denominazione fase che, designando l’esecuzione forzata di una situazione giuridica soggettiva sostanziale di vantaggio già riconosciuta nella precedente fase della cognizione, allude chiaramente ad un processo unico -, sono stati costantemente affermati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, fino alle numerose decisioni più recenti, in sede di interpretazione dell’art. 6, § 1, della CEDU. In particolare, la Corte sovranazionale, in ordine a ricorsi nei quali è stata adita da cittadini degli Stati contraenti che hanno lamentato la non effettività dei rimedi interni, considera insieme i tempi del processo di cognizione che decide la controversia sul diritto alla riparazione che si svolge dinanzi alla Corte d’appello e di quello successivo di esecuzione o di ottemperanza determinato dall’inadempimento della P.A. tenuta a pagare l’indennizzo, concluso con il pagamento almeno parziale di questo, come determinato in sede cognitiva, da considerare dies a quo del termine decadenziale per iniziare l’azione da violazione dei diritti di cui alle norme sovranazionali cfr. CEDU, Grande Camera 31 marzo 2009, Smaldone c. Italia n. 22644/03, Scordino c. Italia, 29 marzo 2006, 36813/97 - esaminato con altri nove ricorsi tutti relativi al rimedio interno della L. n. 89 del 2001 e al nostro Paese e per altri Stati, Burdov c. Russia, 7 maggio 2002, n. 59498/95, per l’azione indennitaria di vittime di un grave disastro nucleare . Le sentenze citate della Corte sovranazionale, con altre in esse richiamate, affermano che, per il principio di effettività, l’esecuzione della sentenza deve essere considerata parte integrante del processo affinché la lentezza eccessiva del ricorso indennitario non ne comprometta il carattere adeguato Scordino c. Italia, 29 marzo 2006, n. 36813/97, § 195 . Ciò in quanto nei ricorsi in tema di durata della causa civile, il procedimento di esecuzione costituisce la seconda fase del procedimento e il diritto rivendicato diventa realmente effettivo realisation effettive solo al momento dell’esecuzione cfr., ex plurimis, la sentenza 31 marzo 2009, Simaldone contro Italia . 3.B.1 . - Avuto riguardo alla pronuncia a Sezioni Unite di questa Corte n. 9142/2016, la CEDU Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 14 settembre 2017 - Ricorso n. 17739/09 - Causa Bozza c. Italia . ha osservato che, pur non essendo perfettamente allineata ai principi fissati nella sua giurisprudenza, questa sentenza si prestava a una lettura globale secondo la quale è possibile considerare il procedimento come un tutt’uno, ai fini del calcolo della durata del procedimento stesso . Come si è anticipato, secondo le Sezioni Unite di questa Corte, un diverso approccio interpretativo - che impedisse, cioè, ogni valutazione della condotta delle parti tenuta tra la irrevocabilità del procedimento di cognizione e quello di esecuzione -, oltre a porre le premesse di una irragionevole eliminazione dall’ordinamento nazionale di un meccanismo acceleratorio della definizione del contenzioso Pinto - meccanismo non sconosciuto alla CEDU, come dimostra la lettura dell’art. 41 della Convenzione -, porrebbe le basi per un uso abusivo del diritto concetto non estraneo alla giurisprudenza della CEDU cfr. la causa Rubeca c. Italia del 10 maggio 2012 , le volte in cui il periodo tra fase di cognizione e quello di esecuzione fosse maggiore di sei mesi, tenuto anche conto della possibilità di far valere la lesione del diritto ad una celere realizzazione della propria posizione soggettiva entro il termine decennale del giudicato. Predicando un rigido rinvio al principio unitario e, dunque, collocando lo spirare del termine semestrale all’esito della fase di esecuzione - se essa abbia avuto luogo - o, addirittura, solo allorché quel diritto irrevocabilmente accertato sia stato soddisfatto, si determinerebbe, secondo le Sezioni Unite, un vulnus al principio della certezza delle situazioni giuridiche. 3.C . - Detto ciò alla luce degli orientamenti giurisprudenziali appena indicati fermo restando che, sul piano normativo, la domanda di equa riparazione deve essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla data in cui la decisione, che conclude il procedimento nel cui ambito la violazione si assume essersi verificata, è divenuta definitiva, le Sezioni Unite hanno introdotto, con l’intento di assicurare la stabilità e la certezza delle situazioni giuridiche, un ulteriore termine sempre di sei mesi ed intercorrente tra la definizione irrevocabile del procedimento di cognizione e l’esecuzione , il cui rispetto è necessario per una valutazione unitaria del procedimento di cognizione e di quello di esecuzione. L’osservanza di quest’ultimo termine consente, di fatto, di posporre in avanti il dies a quo di decorrenza del termine per attivare la procedura finalizzata a conseguire l’indennizzo per irragionevole durata del processo identificandolo nel passaggio in giudicato dei provvedimento che conclude la procedura esecutiva e, quindi, di regola, dell’ordinanza di assegnazione delle somme . Epperò, a ben vedere, allorquando il privato si sia visto costretto, in mancanza di adempimento spontaneo da parte dello Stato, ad instaurare la procedura esecutiva, sono configurabili in astratto due ipotesi 1 nel caso in cui tale procedura sia stata attivata salvo valutare se all’uopo sia sufficiente la notifica dell’atto di precetto o sia necessaria quella del pignoramento tempestivamente e, quindi, entro sei mesi dal passaggio in giudicato del provvedimento che ha posto termine alla fase di cognizione , la procedura ex legge Pinto potrà essere instaurata nel successivo ulteriore termine di sei mesi cui andrà eventualmente aggiunto il periodo di sospensione feriale cfr. Cass nn. 5895/2009 e 22242/2010 dalla conclusione irreversibile della procedura esecutiva che coincide normalmente con l’ordinanza di assegnazione e potrà compiersi una valutazione unitaria delle due fasi 2 qualora, invece, la fase esecutiva non sia stata tempestivamente attivata, il privato incorrerà, in ordine all’equo indennizzo, nella decadenza semestrale con riferimento al giudizio di cognizione e potrà, se del caso, invocare il detto indennizzo limitatamente alla fase esecutiva sempre che abbia instaurato la procedura ex legge Pinto entro sei mesi dalla sua definizione . La questione sollevata dal ricorrente si sostanzia nel ritenere applicabile, al fine di considerare finalisticamente come un unicum il procedimento di cognizione e quello di esecuzione, oltre al termine di sei mesi menzionato, quello ulteriore di sei mesi e cinque giorni dalla notifica del titolo a disposizione dell’Amministrazione per procedere al pagamento dell’indennizzo con la conseguenza che l’atto di precetto dovrebbe essere notificato entro 12 mesi e cinque giorni - al netto del periodo di sospensione feriale - dalla notificazione del titolo . 3.C.1 . - Sicché ai fini di una ricostruzione complessiva della fattispecie, occorre tener presente che 1 il termine di sei mesi e cinque giorni ex art. 133 c.p.c. entro il quale lo Stato dovrebbe spontaneamente corrispondere l’equo indennizzo posto a suo carico decorre dalla esecutività del decreto di liquidazione del compenso recte, dalla comunicazione di tale decreto cfr. Cass. n. 15658/2012 2 il termine di sei mesi entro il quale il danneggiato deve instaurare la procedura per conseguire l’equo indennizzo al fine di ottenere una valutazione unitaria tra la fase di cognizione e quella di esecuzione decorre, invece, dalla irrevocabilità definitività del detto decreto e, in caso di unitarietà tra le due fasi, dalla conclusione della procedura esecutiva cfr. L. n. 89 del 2001, art. 4 3 quindi, fatta eccezione per il caso in cui l’indennizzo sia stato riconosciuto per la prima volta con la pronuncia emessa in sede di legittimità ex art. 384 c.p.c., comma 2 , i due termini di decorrenza non coincidono. Da ciò consegue che la questione sollevata dal ricorrente si pone solo nell’evenienza sub 3 , e non anche allorquando l’equo indennizzo sia stato riconosciuto già dal consigliere designato in sede di appello. In siffatta evenienza occorrerà valutare a se, nell’arco temporale di sei mesi dalla irrevocabilità della decisione definitiva del procedimento di cognizione, debba essere notificato l’atto di pignoramento o sia sufficiente la notifica del titolo esecutivo b se, fornita una risposta positiva al quesito sub a , sia sufficiente, per il privato, notificare, entro sei mesi dalla sua irrevocabilità, il titolo esecutivo all’Amministrazione o la notifica debba avvenire immediatamente e, in siffatta evenienza, entro quale termine , ciò ai fini non della considerazione nel calcolo complessivo del tempo utilizzato per l’adempimento, ma della configurabilità, o meno, di una soluzione di continuità tra il giudizio di cognizione e la procedura esecutiva c se il privato debba in ogni caso attendere il maturare infruttuoso del termine di sei mesi e cinque giorni prima di attivare nei successivi sei mesi la procedura esecutiva. Il tutto alla luce del chiarimento offerto da Sez. U. n. 6312/2014, secondo cui l’interessato, ove il versamento delle somme spettanti non sia intervenuto entro il termine dilatorio di mesi sei secondo quanto indicato dalla Corte EDU, sentenza 29 marzo 2006, Cocchiarella contro Italia e giorni cinque in relazione al disposto di cui all’art. 133, secondo comma, c.p.c. dalla data in cui il provvedimento è divenuto esecutivo, ha diritto - sia che abbia esperito azione esecutiva per il conseguimento delle somme a lui spettanti, sia che si sia limitato ad attendere l’adempimento spontaneo della P.A. - ad un ulteriore indennizzo commisurato al ritardo nel soddisfacimento della sua pretesa eccedente al suddetto termine, nonché, ove intrapresa, all’intervenuta promozione dell’azione esecutiva. 3.C.2 . - Inoltre, alla luce dell’orientamento ormai maturato in seno alla Corte EDU, occorrerà scrutinare se, imponendo la garanzia costituzionale di effettività della tutela giurisdizionale e l’art. 6 § 1 della CEDU come interpretato dalla Corte di Strasburgo di considerare l’articolato e complesso procedimento di equo indennizzo come un unico processo scandito da fasi consequenziali e complementari , nel caso soprattutto in cui venga pronunciata una sentenza contro lo Stato, per decisione interna definitiva del procedimento principale che rappresenta il dies a quo di decorrenza ai fini del computo del termine semestrale debba intendersi sempre e comunque quella finale satisfattiva adottata in sede esecutiva anziché la pronuncia passata in giudicato nel giudizio di cognizione . Se, cioè, si debba superare la concezione autonoma delle due fasi , prescindendo, ai fini della continuità tra le stesse, da una iniziativa tempestiva della parte privata. 3.C.3 . - Altra questione è quella concernente la rilevanza, ai fini sia del calcolo della ragionevole durata sia della continuità tra giudizio di cognizione e procedura esecutiva, del termine di 120 giorni introdotto dal D.L. 31 dicembre 1996, n. 669, art. 14, conv. con L. n. 30 del 1997 anche alla luce della modifica apportata al suo testo dal D.L. n. 269 del 2003, art. 44, comma 3, conv. con L. n. 326 del 2003 . Non è revocabile in dubbio che la detta previsione debba essere interpretata nel senso che la parte, a favore della quale sia stata pronunciata condanna al pagamento di una somma di denaro, non possa dare inizio all’esecuzione forzata, né possa minacciarla mediante la notifica del precetto, se prima non abbia notificato il titolo esecutivo e dalla notifica di questo non sia decorso il termine dilatorio stabilito dalla norma ora 120 giorni come previsto dalla L. n. 388 del 2000, art. 44, comma 3 . Tuttavia, residuano delle incertezze. Il detto termine si riferisce alla impossibilità di instaurare la procedura esecutiva con riferimento al provvedimento esecutivo viceversa, come già anticipato, il termine di sei mesi entro cui va instaurata, ai fini della unicità delle due fasi - di cognizione e di esecuzione -, la stessa procedura inizia a decorrere dalla definitività irrevocabilità/passaggio in giudicato del provvedimento che ha riconosciuto l’indennizzo. Occorre chiarire 1 se tale termine sia tendenzialmente ricompreso in quello di 6 mesi e 5 giorni dalla esecutività del decreto di liquidazione del compenso, entro il quale la PA sarebbe tenuta a pagare 2 se, nell’eventualità in cui, per inerzia del creditore, il primo termine dovesse slittare in avanti a causa della tardiva notifica del titolo esecutivo, ciò dovrebbe gravare sul medesimo o, ciò nonostante, dovrebbe restare a carico dello Stato 3 se, infine, il detto arco temporale dovrebbe essere considerato nella quantificazione complessiva del ritardo ascrivibile al sistema giudiziario, nonostante rappresenti un periodo sottratto al potere organizzativo dell’Amministrazione giudiziaria a tal punto che non è neppure pendente un processo . 3.C.4 . - Avuto riguardo alla rilevanza o meno del lasso temporale intercorrente tra l’esecutività del provvedimento decreto della Corte d’appello o sentenza/ordinanza della Suprema Corte che definisce il processo di cognizione e l’inizio della procedura esecutiva, occorrerà ugualmente chiarire se lo stesso, essendo sottratto al potere organizzativo dell’Amministrazione giudiziaria non essendo pendente alcun processo , possa recte, debba essere calcolato ai fini della quantificazione della durata del processo, nonostante non sia ascrivibile al sistema giudiziario, ma all’inerzia della PA nel pagamento e/o dello stesso creditore nella instaurazione della procedura esecutiva. Le Sezioni Unite avranno altresì cura di chiarire se l’inizio del processo esecutivo debba, poi, essere identificato nella notifica dell’atto di pignoramento, alla luce del rilievo per cui sia il titolo esecutivo che l’atto di precetto sono indirizzati alla controparte, non determinando la pendenza di un procedimento giudiziario e tenendo presente che potrebbe verificarsi l’ipotesi, non di scuola, in virtù della quale il creditore, dopo aver notificato il precetto, non inizi l’esecuzione, in tal guisa determinando si l’inefficacia del primo atto ex art. 481 c.p.c. , ma non precludendosi la possibilità di rinnovarlo e così di procrastinare sine die il procedimento soggiacendo unicamente alla prescrizione decennale del credito , il tutto senza che l’Amministrazione possa in alcun modo impedirlo. Alla luce delle considerazioni che precedono, meritano, ad avviso del Collegio, di essere sottoposte al vaglio delle Sezioni Unite, le seguenti questioni di massima di particolare importanza, ai sensi dell’art. 374 c.p.c., comma 2 Dicano le Sezioni Unite alla luce, da un lato, della richiamata sentenza delle Sezioni Unite n. 27365 del 2009 e, dall’altro, della richiamata giurisprudenza della Corte EDU e della Corte costituzionale, se la durata del processo esecutivo, promosso in ragione del ritardo dell’Amministrazione nel pagamento dell’indennizzo dovuto in forza del titolo esecutivo, costituito dal decreto di condanna pronunciato dalla Corte d’appello ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 3, ed azionato appunto nelle forme del processo esecutivo, debba o no essere calcolata ai fini del computo della durata irragionevole del processo per equa riparazione, e, più in generale, se la durata del processo esecutivo, promosso per la realizzazione della situazione giuridica soggettiva di vantaggio fatta valere nel processo presupposto con esito positivo, debba o no essere calcolata ai fini del computo della durata irragionevole dello stesso processo presupposto”. P.Q.M. La Corte dispone la trasmissione degli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza interlocutoria 19 aprile 2018 – 15 gennaio 2019, numero 796 Presidente Petitti – Relatore Federico Fatti di causa M.F. propone ricorso per cassazione, con due motivi, avverso il decreto, emesso su opposizione L. numero 89 del 2001, ex art. 5 ter dalla Corte d’Appello di Firenze, con il quale è stato respinto il ricorso L. numero 89 del 2001, ex artt. 2 e 3 per inosservanza del termine di durata ragionevole di un procedimento ex L. numero 89 del 2001 c.d. Pinto su Pinto comprensivo della fase esecutiva, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite. La Corte d’Appello, per quanto in questa sede ancora rileva, affermava che ricadevano nel computo di durata ragionevole i soli periodi in cui l’organizzazione dell’Amministrazione giudiziaria esercitava o poteva esercitare il proprio ruolo, risultandovi estranei altri periodi. In particolare, premesso che in ossequio al principio di unitarietà del procedimento doveva escludersi la separazione tra la fase di accertamento del diritto e la sua riscossione, con inclusione dunque nel termine ragionevole della fase esecutiva, andavano però esclusi dal computo i tempi morti non ascrivibili al sistema giudiziario. Ad avviso della Corte territoriale chi agisce lamentando l’irragionevole durata del procedimento giudiziario ha l’onere di allegare e dimostrare, ai sensi della L. numero 89 del 2001, art. 2 bis, comma 1 che il procedimento ha avuto una durata eccedente, di almeno 6 mesi, il periodo di complessivi 2 anni 6 mesi e 5 gg di ragionevole durata, al netto dei periodi di quiescenza, nei quali la controversia è sottratta alla decisione del giudice. Non poteva dunque considerarsi il periodo decorrente tra il decreto che definiva il primo grado ed il deposito del ricorso in Cassazione e tra l’ordinanza di definizione del processo esecutivo ed il suo passaggio in giudicato, né, in particolare, quello intercorso tra la pubblicazione della sentenza della cassazione che aveva definito il giudizio e l’inizio della fase di esecuzione, da individuarsi nella notifica del pignoramento ex art. 491 c.p.c Di qui la insussistenza della irragionevole durata del procedimento, in quanto, sommando la durata del processo di cognizione e di quello esecutivo, la durata complessiva del procedimento eccedeva di soli due mesi il termine ragionevole di anni 2 mesi 6 e gg.5 non risultava dunque maturato alcun diritto all’indennizzo in favore della ricorrente. Il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso e proposto ricorso incidentale condizionato. All’adunanza del 18 ottobre 2017 questa Corte, rilevata la necessità di approfondimento della questione di diritto relativa alla natura del termine intercorrente tra il passaggio in giudicato della sentenza di condanna dell’Amministrazione al pagamento di una somma di denaro ex legge Pinto ed inizio della fase esecutiva, disponeva la trattazione della causa in pubblica udienza. In prossimità dell’odierna udienza la ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c Ragioni della decisione Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione della L. numero 89 del 2001, art. 2 censurando la statuizione della sentenza impugnata che ha ritenuto di escludere dal computo del periodo di ragionevole durata il lasso temporale intercorrente tra la sentenza di cassazione e l’inizio della fase esecutiva. In particolare, la ricorrente osserva che il principio di effettività della tutela giurisdizionale, di cui agli artt. 24 e 111 Cost. e art. 6, par 1, della CEDU, come interpretato dalla Corte di Strasburgo, impone di considerare il procedimento giurisdizionale come un unicum, che ha inizio con l’accesso al giudice e fine con l’esecuzione della decisione, onde, come affermato dal più recente indirizzo di questa Corte Cass. Ss.Uu. 6312/2014 , ai fini della ragionevole durata del processo, l’unitarietà del procedimento comprende anche la fase esecutiva. Nel caso in cui il ricorrente faccia valere la durata non ragionevole di un processo ex lege numero 89 del 2001 c.d. Pinto su Pinto comprensivo della promossa ed esaurita fase di esecuzione forzata, viene dunque in rilievo un unico processo, la cui durata complessiva sarà costituita dalla somma della durata delle due fasi, di cognizione ed esecuzione. Nel caso di c.d. Pinto su Pinto, peraltro, la somma da corrispondere indennizzo ed interessi alla parte dev’essere pagata dall’Amministrazione entro il termine dilatorio di sei mesi secondo la giurisprudenza della CEDU e cinque giorni in forza dell’art. 133 c.p.c., comma 2 dalla data in cui il provvedimento che la accorda diviene definitivo. Secondo la prospettazione della ricorrente, in tal caso occorre attribuire un particolare rilievo al fatto che il processo presupposto si è concluso con una sentenza pronunciata nei confronti dello Stato. Come affermato nella recente sentenza della Prima sezione della CEDU del 14 settembre 2017 nella causa Bozza c. Italia, a fronte della pronuncia di una sentenza vincolante di condanna della pubblica amministrazione il privato non deve, di regola, avviare un procedimento distinto per ottenerne l’esecuzione forzata, ed un tempo irragionevolmente lungo di esecuzione di una sentenza vincolante può comportare ex se una violazione della Convenzione da parte della P.A. Da ciò la conseguenza che nella durata dell’unico procedimento debba computarsi il periodo intercorrente tra la data in cui il decreto di condanna ex L. numero 89 del 2001 è divenuto esecutivo e quello di inizio del procedimento esecutivo, per lo meno nei limiti del termine di sei mesi e cinque giorni entro cui la P.A. è tenuta ad adempiere. Il motivo di ricorso pone a questa Corte la questione se nell’eventualità, quale quella in esame, di un giudizio presupposto di equa riparazione e fermo l’onere per la parte privata di notificare all’Amministrazione entro sei mesi il titolo in forma esecutiva, i successivi sei mesi e cinque giorni che l’Amministrazione ha per adempiere, nonché gli ulteriori tempi dalla notifica del precetto fino alla definizione della procedura debbano o meno essere considerati nell’ambito della durata complessiva del procedimento unificato o vadano piuttosto qualificati come tempi morti , vale a dire quegli spazi temporali che, in quanto sottratti all’esercizio della giurisdizione ed imputabili all’inattività delle parti piuttosto che a carenze organizzative dell’amministrazione della giustizia non rientrano nel computo della complessiva durata del procedimento. Secondo la prospettazione della ricorrente, peraltro, nell’ambito del procedimento unificato non dovrebbe computarsi l’intero periodo intercorrente dalla notifica del titolo esecutivo fino alla notifica del precetto, ma il solo termine che l’Amministrazione ha per adempiere sei mesi e cinque giorni inoltre dovrebbe computarsi l’ulteriore periodo dalla notifica del precetto fino alla definizione della procedura esecutiva, mentre non andrebbero conteggiati ulteriori tempi intermedi che la parte lasci trascorrere per propria inattività. Tale prospettazione è in contrasto con l’attuale indirizzo in materia di Pinto su Pinto delle Sezioni unite di questa Corte. Fermo l’ormai pacifico principio dell’unificazione del procedimento di cognizione e di quello di esecuzione, le Ss.Uu. con la sentenza numero 6312 del 2014 hanno affermato che in tema di ritardo della P.A. nel pagamento delle somme riconosciute in forza di decreto di condanna Pinto definitivo, pronunciato ai sensi della L. numero 89 del 2001, art. 3 ove il versamento delle somme spettanti non sia intervenuto entro il termine dilatorio di sei mesi secondo quanto indicato dalla Corte EDU nella pronuncia Cocchiarella contro Italia e di giorni cinque in relazione al disposto di cui al’art. 133 c.p.c., comma 2 , dalla data in cui il provvedimento è divenuto definitivo, il privato ha diritto - sia che abbia esperito azione esecutiva per il conseguimento delle somme a lui spettanti, sia che sia limitato ad attendere l’adempimento spontaneo della P.A. - ad un ulteriore indennizzo commisurato al ritardo nel soddisfacimento della sua pretesa eccedente il suddetto termine, nonché alla promozione di azione esecutiva. Tale diritto tuttavia, ed è questo il punto che sembra collidere con la prospettazione della ricorrente, può essere fatto valere con ricorso diretto alla CEDU, in relazione all’art. 41 della Convenzione EDU e non con le forme ed i termini della L. numero 89 del 2001, art. 2, comma 1 la cui portata non si estende alla tutela del diritto all’esecuzione delle decisioni interne illegittime. Secondo l’arresto delle Sezioni unite va operata una necessaria distinzione tra il diritto ad un processo di durata ragionevole e l’autonomo diritto all’esecuzione delle decisioni interne esecutive, ancorché tali diritti siano entrambi compresi nella garanzia del processo equo ed idonei a generare, se violati, il diritto ad un’equa soddisfazione ai sensi del’art. 41 Convenzione. Le sezioni unite proseguono affermando che i principi di effettività della tutela giurisdizionale e di conseguente unicità anche del processo Pinto, scandito dalle due predette fasi, non comportano che il diritto ad un processo di durata ragionevole e quello all’esecuzione delle decisioni interne esecutive, operando su due piani distinti, possano essere fatti valere utilizzando il medesimo strumento del processo Pinto. Da ciò la giurisprudenza di legittimità ha tratto la conseguenza che non vi è alcuna ragione per derogare nel caso di Pinto su Pinto al generale principio di non computabilità, nel periodo di durata ragionevole, del tempo in cui non risulta pendente alcun processo, dovendo equipararsi ai tempi morti il periodo tra un decreto ex legge Pinto definitivo e l’instaurazione del processo esecutivo Cass. 12690/2017 e ciò nonostante che tale periodo sia imputabile al mancato pagamento delle somme portate dal decreto ormai definitivo da parte dello Stato. Ove peraltro il menzionato termine dilatorio di sei mesi e cinque giorni non sia stato rispettato dall’Amministrazione convenuta, il titolare ha diritto - fondato appunto sulla violazione dell’art. 6 par 1 della Convenzione, sotto il profilo del diritto all’esecuzione in un termine ragionevole delle decisioni interne esecutive - ad un ulteriore indennizzo ed ai relativi interessi , commisurato all’entità del ritardo nel pagamento effettivo di tali somme. Tale diritto, tuttavia, secondo quanto affermato dalla citata pronuncia delle sezioni unite numero 6312/2014, non può essere fatto valere nelle forme e nei termini di cui alla L. numero 89 del 2001, ma soltanto mediante ricorso diretto alla Corte di Strasburgo. Occorre dunque verificare se tale indirizzo, che trova il suo presupposto nella ontologica differenza tra diritto alla ragionevole durata del processo tutelabile ex legge Pinto e diritto all’esecuzione delle decisioni interne esecutive nella particolare ipotesi di ritardo della P.A. vada mantenuto alla luce della giurisprudenza della Corte EDU, da ultimo affermata in Bozza contro Italia del 14/9/2017. Secondo tale arresto, non solo un tempo di esecuzione di una sentenza vincolante può comportare una violazione della Convenzione ed il carattere ragionevole dev’essere valutato tenendo conto in particolare della complessità della procedura di esecuzione, del comportamento del ricorrente e delle autorità competenti ma la durata del processo presupposto dev’essere considerata unitariamente, dal momento dell’attivazione del procedimento fino alla definizione del processo esecutivo ed in tale computo deve considerarsi tutto il periodo ascrivibile all’inerzia della parte pubblica, compreso quello anteriore allo spontaneo adempimento del titolo di condanna che non presenti particolari problemi applicativi, come nel caso di pagamento di una somma di denaro formatosi nei suoi confronti. Secondo la Corte EDU, quando viene pronunciata una sentenza contro lo Stato, il privato che ha ottenuto una sentenza contro quest’ultimo non deve avviare un procedimento distinto per ottenerne l’esecuzione forzata, ma è sufficiente che la pronuncia sia notificata all’autorità nazionale interessata, la quale è tenuta ad agire di propria iniziativa e nei termini previsti, in particolare organizzando il proprio sistema giudiziario. Il più recente orientamento della Corte EDU, dunque, sembra superare la distinzione posta dal citato orientamento delle Ss.Uu. di questa Corte tra irragionevole durata del processo azionabile ex L. numero 89 del 2001 e ritardo nel pagamento da parte della P.A. delle somme fondate su titolo esecutivo di condanna ai sensi del decreto ex L. numero 89 del 2001. In entrambi i casi, secondo la pronuncia della Corte EDU, si tratta di una lesione riconducibile alla cattiva organizzazione del sistema giudiziario e va dunque computato nel periodo di irragionevole durata del processo il lasso temporale che lo Stato lasci trascorrere senza provvedere al pagamento della somma portata dal decreto definitivo di condanna ex legge Pinto, posto che solo detto pagamento costituisce l’effettivo soddisfacimento del diritto alla riparazione per la durata irragionevole accertato in quel giudizio. Pure in tale ipotesi, infatti, nonostante il ritardo non sia riferibile alla funzione giudiziaria ma all’Amministrazione - debitrice nell’adempiere al pagamento di una somma di denaro portata appunto dal decreto ex legge Pinto definitivo , detto ritardo, cumulandosi con quello per irragionevole durata del processo accertato nel processo presupposto, dovrebbe ritenersi imputabile all’organizzazione del sistema giudiziario dello Stato. Da ciò ancora la conseguenza, nel caso di c.d. Pinto su Pinto , che, ai fini della complessiva durata del procedimento presupposto, una volta che alla fase di cognizione abbia fatto seguito quella esecutiva, debba computarsi il successivo periodo, lasciato inutilmente decorrere dall’Amministrazione senza provvedere al pagamento spontaneo, quanto meno nei limiti di sei mesi e cinque giorni, termine che l’Amministrazione ha per adempiere, da sommarsi agli ulteriori tempi, dalla notifica del precetto fino alla definizione della procedura esecutiva. Tale lasso temporale, nonostante sia sottratto alla cognizione del giudice e dunque non riconducibile all’amministrazione della giustizia e pur non essendo pendente alcun processo, integra comunque, nella valutazione della Corte EDU, un ritardo imputabile all’Amministrazione, per non avere spontaneamente provveduto al pagamento di un titolo definitivo che le è stato ritualmente notificato, così procrastinando il soddisfacimento del diritto, in violazione degli artt. 24 e 113 Cost In questo contesto, non sembra assumere rilievo, in relazione alla questione posta, la previsione del D.L. 31 dicembre 1996, numero 669, art. 14 conv. con L. numero 30 del 1997 anche alla luce della modifica apportata al suo testo dal D.L. numero 269 del 2003, art. 44, comma 3 conv. con L. numero 326 del 2003 in forza del quale la parte, a cui favore sia stata pronunciata condanna al pagamento di una somma di denaro a carico della P.A., non possa dare inizio all’esecuzione forzata, né possa minacciarla mediante la notifica del precetto, se prima non abbia notificato il titolo esecutivo e dalla notifica di questo non sia decorso il termine dilatorio stabilito dalla norma da ultimo di 120 giorni, come previsto dalla L. numero 388 del 2000, art. 147 . Tale previsione, che disciplina differendolo l’accesso alla fase esecutiva nel caso in cui il debitore sia una pubblica amministrazione, non esclude evidentemente che il mancato pagamento spontaneo da parte dell’amministrazione medesima integri ex se inadempimento anche se il privato non possa direttamente instaurare la procedura esecutiva , con la conseguente computabilità di detto termine, nella prospettiva adottata dalla CEDU, nel periodo di irragionevole durata del processo presupposto unificato , nel quale alla fase di cognizione sia seguita quella esecutiva. In altri termini, seguendo tale interpretazione, una volta che la P.A. non abbia spontaneamente adempiuto ad una condanna ex legge Pinto definitiva ed il privato sia stato costretto ad instaurare la procedura esecutiva, il relativo intervallo temporale tra fase di cognizione e quella esecutiva , a differenza delle controversie tra privati, non sarebbe un tempo morto , ma andrebbe computato in quanto pur sempre imputabile ad una carenza organizzativa della pubblica amministrazione, ostativa al soddisfacimento del diritto. Merita dunque ad avviso del Collegio di essere sottoposta al vaglio delle Ss.Uu., la seguente questione di massima di particolare importanza, ex art. 374 c.p.c., comma 2 Dicano le Sezioni Unite - se, una volta notificato alla P.A. in forma esecutiva il titolo, costituito da un decreto di condanna ex legge Pinto definitivo, il ritardo da parte dello Stato nel pagamento delle somme ivi liquidate dia origine ad un diverso ed autonomo diritto, unicamente azionabile innanzi alla CEDU ove eccedente i sei mesi e cinque giorni, ovvero se esso possa, ed in che limiti, essere fatto valere o comunque essere rilevante anche ai sensi della L. numero 89 del 2001 legge Pinto - se, conseguentemente, nel caso in culi il processo presupposto sia un processo ex legge Pinto c.d. Pinto su Pinto , ed al procedimento di cognizione, culminato con emissione di decreto di condanna per irragionevole durata del processo definitivo, abbia fatto seguito il procedimento esecutivo nei confronti della P.A. che non ha spontaneamente adempiuto, debba o meno essere considerato, ed in quali limiti, anche il periodo intercorso tra la notifica del titolo alla P.A. e l’instaurazione del processo esecutivo - se, conclusivamente, detto periodo possa o meno qualificarsi come periodo intermedio, trattandosi di un lasso temporale sottratto all’amministrazione della giustizia, ma in cui si perpetua l’inadempimento dello Stato alla realizzazione del diritto accertato nel processo di cognizione ex legge Pinto. P.Q.M. La Corte rimette gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle sezioni unite di questa Corte.