Problemi economici in patria: respinta la domanda di protezione dello straniero

Vittoria definitiva per il Ministero dell’Interno. Esclusa qualsiasi possibile forma di tutela in Italia nei confronti di un cittadino del Mali. Impossibile parlare di “situazione di vulnerabilità” alla luce di ragioni di natura economica. Irrilevante anche la presunta rescissione dei legami sociali nel Paese di origine.

I problemi economici in patria non sono elementi sufficienti per rendere legittima la domanda di protezione presentata dallo straniero approdato in Italia Cassazione, ordinanza numero 28226/18, sezione sesta civile, depositata oggi . Vulnerabilità. Effimera la vittoria in Tribunale per un cittadino del Mali. Difatti, mentre in primo grado gli viene riconosciuta «la tutela umanitaria», in Corte d’Appello i Giudici escludono categoricamente «qualsiasi forma di protezione». E questa decisione – ritenuta soddisfacente dal Ministero dell’Interno, ovviamente – è confermata ora dalla Cassazione, che respinge definitivamente le ultime obiezioni proposte dallo straniero. I Giudici del Palazzaccio ricordano che «la condizione per il rilascio di un permesso di natura umanitaria risiede nella valutazione di una situazione concreta di vulnerabilità da proteggere, alla luce degli obblighi costituzionali e internazionali gravanti sullo Stato italiano» e riferita ad «elementi strettamente personali» e connessa alla «grave violazione dei diritti umani» nel Paese di provenienza dello straniero. E all’interno di questo quadro non si può parlare di «situazione di vulnerabilità», aggiungono i Giudici, con riferimento a «ragioni di natura economica o di ripartizione della ricchezza tra la popolazione». E per chiudere il cerchio viene anche respinto il richiamo fatto dallo straniero alla presunta «rescissione dei legami sociali» causata dalla «lontananza dal Paese di origine».

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 1, ordinanza 11 settembre – 6 novembre 2018, numero 28226 Presidente Genovese – Relatore Sambito Fatti di causa Il Tribunale di Bologna, in parziale accoglimento del ricorso proposto da Sa. Mo., avverso il provvedimento di diniego delle misure di protezione internazionale, riconosceva al suddetto richiedente, cittadino maliano, la protezione umanitaria. La decisione è stata riformata, con sentenza numero 1523/2017, dalla Corte di Appello di Bologna, che, rigettata l'eccezione di inammissibilità del gravame, ha negato la sussistenza dei presupposti per l'accoglimento di qualsiasi forma di protezione. Contro la predetta sentenza, ha proposto ricorso il richiedente, con due motivi, successivamente illustrati da memoria, ai quali il Ministero ha resistito con controricorso. Ragioni della decisione 1. Va, preliminarmente, dichiarata la nullità del controricorso. Come non ha mancato di far rilevare il ricorrente, tale atto, pur riferito nell'intestazione e nella parte espositiva al caso in esame, non è nelle sue considerazioni in diritto ad esso riferibile si predica, infatti, peraltro in modo anodino e totalmente generico, che i motivi di diritto elencati nel controricorso medesimo sono totalmente infondati ed inammissibili , che il ricorso cui si dovrebbe resistere è completamente motivato in fatto ed in diritto e riporta tutte le censure già proposte in grado d'appello . La conclusione volta al rigetto del ricorso è dunque totalmente incongrua e contraddittoria con le sue premesse, sicché l'atto, privo di argomenti volti a contestare l'impugnazione avversaria, è, globalmente, inidoneo a raggiungere il suo scopo. 2. Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione dell'articolo 360 numero 3 e numero 4 c.p.c. in relazione agli articolo 112, 132 e 342 c.p.c. e articolo 118 disp. att. c.p.c. nonché la apparente e perplessa motivazione sull'eccezione di inammissibilità dell'appello svolto dal Ministero dell'Interno. Il ricorrente lamenta che la Corte di Appello abbia considerato ammissibile il gravame, nonostante lo stesso non contenesse una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata. 2.1. Il motivo è infondato. Le Su di questa Corte con la sentenza numero 27199 del 2017 hanno statuito che per l'ammissibilità dell'appello viene richiesto che la parte appellante, senza adozione di formule sacramentali o vincolate, ponga il giudice superiore in condizione di comprendere con chiarezza il contenuto della censura proposta, dimostrando di aver compreso le ragioni del primo giudice e indicando il perché queste siano censurabili, in conformità del principio, di matrice anche convenzionale v., tra le altre, la sentenza CEDU 24 febbraio 2009, in causa C.G.I.L. e Cofferati contro Italia , secondo cui l'accesso alla tutela giurisdizionale non può essere impedito laddove non corrispondano esigenze reali del processo cfr. pure SU numero 10878 del 2015 . 2.2. Ebbene, nel caso di specie ciò è sicuramente avvenuto le parti dell'impugnazione del Ministero, trascritte in seno al ricorso, bastano da sole a prescindere dalle notazioni asseritamente seriali sulla situazione generica del Mali a rendere ammissibile il gravame, individuando esattamente i termini dell'effetto devolutivo e le ragioni addotte genericità dell'assunto del ricorrente, adulto non sprovveduto , ed insussistenza dei presupposti della protezione umanitaria in caso di deduzione di mere ragioni economiche . Ogni altra questione attiene alla valutazione di merito della censura. 3. Il secondo motivo, con cui Sa. Mo. denuncia la violazione o falsa applicazione delle norme in tema di protezione umanitaria violazione dell'articolo 360, numero 3 e numero 5, c.p.c. in relazione all'articolo 5, co 6, T.U. Imm., è infondato. 3.1. In disparte l'entrata in vigore del D.L. numero 113 del 2018, va rilevato che la condizione per il rilascio di un permesso di natura umanitaria ex articolo 5, comma 6 del D.Lgs. numero 286 del 1998, risiede nella valutazione di una situazione concreta di vulnerabilità da proteggere, alla luce degli obblighi costituzionali ed internazionali gravanti sullo Stato italiano, riferita ad elementi strettamente personali, che sia la conseguenza dalla grave violazione dei diritti umani dell'interessato nel paese di provenienza. E tale situazione non può tout court identificarsi in ragioni di natura economica o di ripartizione della ricchezza tra la popolazione, cui allude il ricorrente, occorrendo, appunto, che tale condizione di vulnerabilità sia l'effetto della grave violazione dei diritti umani subita nel Paese di provenienza, in conformità del disposto degli articolo 2, 3 e 4 CEDU Cass. numero 28015 del 2017 numero 26641 del 2016 , e che, comunque, il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell'esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale Cass. numero 4455 del 2018 . Ed in tale ambito non è di certo ascrivibile la rescissione dei legami sociali dovuta al tempo di lontananza dal Paese di origine, di cui la Corte non si è correttamente occupata, tenuto conto, peraltro, che il ricorrente ha affermato di esser coniugato e padre di tre figli residenti in Mali. 4. Non va provveduto sulle spese, stante la nullità del controricorso. Essendo il ricorrente stato ammesso a patrocinio a spese dello Stato non ricorrono i presupposti per l'applicazione dell'articolo 13 co 1 quater del D.P.R. numero 115 del 2002. P.Q.M. Dichiara nullo il controricorso e rigetta il ricorso.