La violazione degli obblighi di informativa non impatta sulla contestazione del verbale di infrazione

In tema di infrazioni al codice della strada, la disciplina sul trattamento dei dati personali opera su un piano diverso rispetto a quello della disciplina sulla circolazione dei veicoli, pertanto, la violazione degli obblighi di informativa non può impattare sulla contestabilità e regolarità dei verbali di infrazione al c.d.s

Sul tema si è espressa la Corte di Cassazione con ordinanza n. 26990/18 depositata il 24 ottobre. La vicenda. Il Tribunale di Torino rigettava l’appello proposto da un conducente avverso la sentenza del GdP con cui era stata rigettata l’opposizione promossa avverso l’ordinanza ingiunzione emessa dalla Prefettura di Torino a seguito del verbale di contestazione, redatto dalla Polizia Municipale per la violazione dell’art. 142 c.d.s., appurato il superamento dei limiti orari di velocità. In particolare il Tribunale sosteneva che, una volta escluso che la mancata audizione del soggetto interessato in sede di procedura prefettizia costituisse causa di nullità della stessa procedura, ribadiva che il provvedimento sanzionatorio poteva essere validamente sottoscritto anche da un diverso funzionario della prefettura, delegato a tal fine. Per il rilievo a distanza della velocità, il Tribunale osservava che l’apparecchio era gestito dal Comune, posto che il dispositivo rilevava in loco le fotografie ai veicoli che erano poi visionate dalla centrale operativa, gestita da agenti della Polizia Municipale. Il conducente ricorre in Cassazione per veder annullata la sentenza impugnata, dato che per i giudici del Tribunale non era fondata la violazione del diritto alla privacy, posto che il ricorso all’esternalizzazione delle procedure di invio dei verbali rispondeva a esigenze di efficienza amministrativa. La violazione della legge sulla privacy. Con il motivo di ricorso, dunque, il ricorrente rileva che il giudice dell’appello a fronte del motivo con cui si contestava la violazione della legge sulla privacy, visto l’affidamento della potestà pubblica di certificazione e di notificazione dell’atto impugnato ad una società privata e che costituiva una violazione del divieto di affidamento a terzi privati di pubbliche funzioni, con conseguente illegittimo trattamento dei dati personali, con la sentenza di secondo grado rilevava che l’utilizzo di tali procedure esternalizzate rispondesse a criteri di efficienza amministrativa non poteva quindi invocarsi la tutela della privacy dato che le attività affidate alla società privata intervenivano quando la procedura informatica contenente l’atto da notificare si era già compiuta. Al riguardo, la Suprema Corte, come già più volte affermato, sottolinea che la disciplina sul trattamento dei dati personali e quella sulla circolazione dei veicoli operano su due diversi piani, di talché la violazione degli obblighi di informativa rileva in base allo specifico apparato sanzionatorio a tutela dei dati personali, non può impattare sulla regolarità e contestabilità dei verbali di infrazione elevati ai sensi del codice della strada . Privacy e violazioni al c.d.s. Per gli Ermellini le violazioni delle norme di cui al d. lgs. n. 196/2003 sono previste da un sistema di tutela autonomo, a sé stante, caratterizzato da un autonomo apparato sanzionatorio che non può interferire sul diverso piano delle sanzioni previste in caso di violazioni al c.d.s., a maggior ragione se, come nel caso in esame, la pretesa violazione non investe l’attività di accertamento, ma la fase successiva di compilazione del verbale e inoltro al contravventore. Per queste ragioni, il motivo di ricorso è rigettato.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 14 giugno – 24 ottobre 2018, n. 26990 Presidente Giusti – Relatore Criscuolo Ragioni in fatto ed in diritto 1. Il Tribunale di Torino con la sentenza n. 5482 del 19 agosto 2015 ha rigettato l’appello proposto da G.C. avverso la sentenza del Giudice di Pace di Torino del 20 maggio 2014 con la quale era stata rigettata l’opposizione promossa avverso l’ordinanza ingiunzione emessa dalla Prefettura di Torino in data 15 ottobre 2013, a seguito del verbale di contestazione del 14 luglio 2013, redatto dalla Polizia Municipale di Collegno, per la violazione dell’art. 142 CDS, stante il superamento dei limiti orari di velocità di oltre 40 KM. Rilevava il giudice di appello che la decisione impugnata era adeguatamente motivata avendo, infatti, ampiamente giustificato le ragioni che avevano portato al rigetto dell’opposizione. Ed, infatti, una volta escluso che la mancata audizione dell’interessato in sede di procedura prefettizia costituisca causa di nullità della procedura stessa, ribadiva che il provvedimento sanzionatorio poteva essere validamente sottoscritto anche da un diverso funzionario prefettizio a tal fine delegato. Era da reputarsi irrilevante la contestazione circa il limite orario vigente nel tratto di strada, in quanto anche a voler ritenere che corrispondesse a 90 kmh, l’opponente viaggiava a 117 kmh. La possibilità di delega della difesa in giudizio all’amministrazione locale trovava il fondamento normativo nella previsione di cui all’art. 6 del D. Lgs. n. 150/2011. In ordine al rilievo a distanza della velocità, il Tribunale osservava che l’apparecchio era gestito dal Comune atteso che il dispositivo rilevava in loco i dati fotografici che erano poi visionati dalla centrale operativa, gestita da agenti della Polizia Municipale. Nemmeno fondata era la dedotta violazione del diritto alla privacy, posto che il ricorso all’esternalizzazione delle procedure di invio dei verbali rispondeva ad esigenze di efficienza amministrativa, e che l’intervento delle società esterne si verifica solo quando la procedura informatica contenente l’atto da notificare si è già compiuta essendo estraneo quindi a tale fase l’esercizio di poteri pubblicistici. Infine, gli artt. 18 e 19 del D. Lgs. n. 196/2003 legittimano il trattamento dei dati personali identificativi del responsabile dell’illecito attesa la finalità istituzionale del trattamento che prescinde quindi dal consenso dell’interessato. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione G.C. sulla base di sette motivi. Il Ministero dell’Interno e la Prefettura di Torino hanno resistito con controricorso. 2. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. stante l’omessa pronuncia su di una domanda rectius motivo di appello proposta dal ricorrente, in quanto si era dedotto che in realtà il Prefetto era rimasto contumace in primo grado, non potendosi quindi tenere conto dei documenti versati in atti dal Comune di Collegno, che, infatti, non poteva invece costituirsi per conto del primo. L’affermazione del Tribunale secondo cui tale possibilità sarebbe prevista dall’art. 6 del D. Lgs. n. 150/2011, costituisce una risposta meramente apparente alle richieste del ricorrente. Infatti, si evidenzia che una previsione di contenuto analogo a quella di cui all’art. 6 co. 9 del D. Lgs. n. 150/2011 era contemplata dal co. 3 dell’art. 205 CDS come modificato dal comma 1 octies dell’art. 4 del d.l. n. 151/2003, conv. in legge n. 214/2003, che consentiva al prefetto, legittimato passivo nei giudizi di opposizione ad ordinanza ingiunzione per violazioni al codice della strada, di poter delegare la tutela giudiziaria all’amministrazione cui apparteneva l’organo accertatore, laddove questa fosse stata anche destinataria dei proventi. Si aggiunge che è pur vero che la legge n. 69 del 2009 all’art. 54 aveva conferito delega al Governo per la riduzione e semplificazione dei riti civili, ma l’art. 39 co. 2 della legge n. 120/2010 aveva soppresso la detta facoltà di delega, che quindi non poteva essere autonomamente reintrodotta dal Governo nel D. Lgs. n. 150/2011 emesso in attuazione della delega di cui alla legge n. 69/20069. Il secondo motivo denuncia quindi la violazione e falsa applicazione dell’art. 6 co. 9 ed 11 del D. Lgs. n. 150/2011 in quanto, richiamandosi l’excursus normativo di cui al primo motivo, il giudice di merito non poteva tenere conto dei documenti irritualmente prodotti dal Comune di Collegno, in quanto privo della legittimazione a costituirsi in giudizio. Il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 23 co. 2 e 24 della l. n. 87/1953, in quanto, sempre in relazione alla questione concernente la delegabilità della difesa in giudizio del Prefetto al Comune, il ricorrente aveva sollecitato la verifica della legittimità costituzionale della norma applicata, verifica però di cui non vi è traccia in sentenza. I tre motivi possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione sono però infondati. Gli stessi, infatti, presuppongono evidentemente l’illegittimità costituzionale dell’art. 6 comma 9 del D. Lgs. n. 150 del 2011, che prevede che nel giudizio di opposizione all’ordinanza ingiunzione di cui all’articolo 205 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, il prefetto possa farsi rappresentare in giudizio dall’amministrazione cui appartiene l’organo accertatore, la quale vi provvede a mezzo di propri funzionari appositamente delegati, laddove sia anche destinataria dei proventi della sanzione, ai sensi dell’articolo 208 del medesimo decreto. Osserva il Collegio che, quanto alla censura sollevata anche in appello circa la impossibilità di poter ritenere validamente costituito il Prefetto, tramite l’ente comunale delegato, va esclusa la ricorrenza del vizio di cui all’art. 112 c.p.c., avendo il giudice di appello disatteso la medesima, sul presupposto della applicabilità alla fattispecie della menzionata previsione di cui al D. Lgs. n. 150/2011. Risulta quindi evidente che l’intera ricostruzione del ricorrente presupponga a monte che sia ravvisata la contrarietà della norma de qua alla previsione di cui all’art. 76 Cost., in quanto frutto di un intervento del legislatore delegato in violazione dei principi e dei criteri direttivi di cui alla legge delega. Le doglianze non possono però trovare accoglimento, essendo esclusa altresì la fondatezza dei dubbi di legittimità costituzionale palesati dal G. . In primo luogo la censura mossa, per la sua formulazione ed in relazione al pregiudizio che specificamente sarebbe derivato alla parte dalla dedotta illegittimità costituzionale dell’art. 6 co. 9 citato, pecca evidentemente di carenza di specificità, in quanto si sostiene che, non essendo possibile per il Comune costituirsi tramite l’amministrazione cui appartiene l’organo accertatore, non si sarebbe potuto tenere conto, ai fini della decisione della presente controversia, di tutti i documenti versati in atti da parte del Comune. Tuttavia, l’art. 6 co. 8 del D. Lgs. n. 150/2011 dispone che Con il decreto di cui all’articolo 415, secondo comma, del codice di procedura civile il giudice ordina all’autorità che ha emesso il provvedimento impugnato di depositare in cancelleria, dieci giorni prima dell’udienza fissata, copia del rapporto con gli atti relativi all’accertamento, nonché alla contestazione o notificazione della violazione. Il ricorso e il decreto sono notificati, a cura della cancelleria, all’opponente e all’autorità che ha emesso l’ordinanza . Questa Corte ha di recente statuito che nei procedimenti di opposizione a sanzioni amministrative disciplinati dall’art. 6 del d.lgs. n. 150 del 2011, il termine per il deposito dei documenti diversi dalla copia del rapporto, con gli atti relativi all’accertamento, alla contestazione o alla notificazione della violazione, è perentorio, essendo applicabile l’art. 416 c.p.c. così Cass. n. 9545/2018 , così che la possibilità di ritenere subordinata l’utilizzabilità dei documenti alla rituale costituzione della parte opposta varrebbe solo per quelli diversi dalla copia del rapporto e degli altri atti di cui all’art. 6 co. 8, ben potendosi reputare che, anche laddove si opinasse nel senso della illegittimità costituzionale della norma denunciata, la produzione di tali atti da parte del Comune sarebbe comunque consentita avuto riguardo alla possibilità che la stessa possa avvenire anche ad opera di un mero delegato al compimento di un’attività materiale di mera trasmissione. In tal senso va, infatti, ricordato che cfr. Cass. n. 17696/2007 nei procedimenti di opposizione di cui agli art. 22 e 23 l. 24 novembre 1981 n. 689, l’eventuale contumacia della p.a. opposta non può ritenersi di ostacolo all’accertamento, da parte del giudice, della fondatezza della pretesa sanzionatoria, sulla scorta di atti e documenti acquisiti e delle prove integrative comunque espletate, anche d’ufficio cfr. Cass. n. 12821/2003 . Ne deriva che ai fini della rilevanza della questione di legittimità costituzionale, la censura andava corredata della specifica indicazione dei documenti, diversi da quelli per i quali è invece prevista obbligatoriamente la richiesta di trasmissione, e la cui acquisizione prescinde dalla valida costituzione in giudizio dell’amministrazione opposta, che invece sarebbero stati posti a fondamento della decisione, laddove i motivi di censura si limitano genericamente a lamentare la illegittima utilizzazione di tutti gli atti di accertamento e contestazione, senza permettere di discernere al loro interno quelli che invece esulavano dal novero di cui all’art. 6 co. 8. Va in ogni caso affermata la manifesta infondatezza della dedotta questione di legittimità costituzionale. A tal fine si rileva che l’articolo 4, comma 1-octies, del D.L. 27 giugno 2003 n. 151, convertito, con modificazioni, dalla Legge 1 agosto 2003, n. 214 aveva introdotto il co. 3 dell’art. 205 del CDS, che prevedeva che il prefetto, legittimato passivo nel giudizio di opposizione, può delegare la tutela giudiziaria all’amministrazione cui appartiene l’organo accertatore laddove questa sia anche destinataria dei proventi, secondo quanto stabilito dall’ articolo 208 . Tale comma è stato poi abrogato a far data dal 13 ottobre 2010 dall’articolo 39, comma 2, della Legge 29 luglio 2010, n. 120 che però ha contestualmente introdotto il comma 4 bis dell’art. 204 bis del CDS, che prevedeva che La legittimazione passiva nel giudizio di cui al presente articolo spetta al prefetto, quando le violazioni opposte sono state accertate da funzionari, ufficiali e agenti dello Stato, nonché da funzionari e agenti delle Ferrovie dello Stato, delle ferrovie e tranvie in concessione e dell’ANAS spetta a regioni, province e comuni, quando le violazioni sono state accertate da funzionari, ufficiali e agenti, rispettivamente, delle regioni, delle province e dei comuni o, comunque, quando i relativi proventi sono ad essi devoluti ai sensi dell’articolo 208. Il prefetto può essere rappresentato in giudizio da funzionari della prefettura-ufficio territoriale del Governo . Nelle more era però intervenuta la legge n. 69 del 2009 che all’art. 54 ha delegato il Governo ad adottare, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione che rientrano nell’ambito della giurisdizione ordinaria e che sono regolati dalla legislazione speciale. Al secondo comma di tale articolo si prevedeva che la riforma dovesse realizzare il necessario coordinamento con le altre disposizioni vigenti, disponendo poi al comma 4 che Nell’esercizio della delega di cui al comma 1, il Governo si attiene ai seguenti principi e criteri direttivi a restano fermi i criteri di competenza, nonché i criteri di composizione dell’organo giudicante, previsti dalla legislazione vigente b i procedimenti civili di natura contenziosa autonomamente regolati dalla legislazione speciale sono ricondotti ad uno dei seguenti modelli processuali previsti dal codice di procedura civile 1 i procedimenti in cui sono prevalenti caratteri di concentrazione processuale, ovvero di officiosità dell’istruzione, sono ricondotti al rito disciplinato dal libro secondo, titolo IV, capo I, del codice di procedura civile 2 i procedimenti, anche se in camera di consiglio, in cui sono prevalenti caratteri di semplificazione della trattazione o dell’istruzione della causa, sono ricondotti al procedimento sommario di cognizione di cui al libro quarto, titolo I, capo III-bis, del codice di procedura civile, come introdotto dall’articolo 51 della presente legge, restando tuttavia esclusa per tali procedimenti la possibilità di conversione nel rito ordinario 3 tutti gli altri procedimenti sono ricondotti al rito di cui al libro secondo, titoli I e III, ovvero titolo II, del codice di procedura civile c la riconduzione ad uno dei riti di cui ai numeri 1 , 2 e 3 della lettera b non comporta l’abrogazione delle disposizioni previste dalla legislazione speciale che attribuiscono al giudice poteri officiosi, ovvero di quelle finalizzate a produrre effetti che non possono conseguirsi con le norme contenute nel codice di procedura civile d restano in ogni caso ferme le disposizioni processuali in materia di procedure concorsuali, di famiglia e minori, nonché quelle contenute nel regio decreto 14 dicembre 1933, n. 1669, nel regio decreto 21 dicembre 1933, n. 1736, nella legge 20 maggio 1970, n. 300, nel codice della proprietà industriale di cui al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, e nel codice del consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206”. È stato poi emanato, in attuazione della delega, il D. Lgs. n. 150/2011, che ha sottoposto alle regole del rito del lavoro i procedimenti di opposizione ad ordinanza ingiunzione ed a verbale di accertamento di violazioni del codice della strada rispettivamente artt. 6 e 7 , riformulando conseguentemente anche gli artt. 204 bis e 205 del Codice della strada. Atteso il quadro normativo scaturente dall’intervento della legge n. 120/2010, deve reputarsi che una partecipazione delle amministrazioni locali nei procedimenti de quibus fosse ancora attuale alla data di adozione del D. Lgs. n. 150/2011, essendosi, è vero, esclusa la possibilità di delega, ma riconosciuta loro una legittimazione autonoma. La previsione di cui si denuncia l’incostituzionalità per eccesso di delega, appare invece rispondere proprio ai principi ed ai criteri di cui alla legge n. 69 del 2009, posto che con la previsione di cui al comma 9 dell’art. 6 del D. Lgs. n. 150 del 2011, nel ripristinare la regola secondo cui la legittimazione passiva compete all’autorità emanante il provvedimento opposto e nel caso di ordinanza - ingiunzione il Prefetto , si è assicurato il coordinamento con le disposizioni vigenti, disciplinando, con una norma di carattere evidentemente processuale, l’individuazione del soggetto legittimato, ma al contempo assicurando, e senza che risultino violati i limiti di cui alla legge delega, una possibilità di rappresentanza in giudizio da parte degli enti che, in quanto destinatari dei proventi della sanzione, siano nella sostanza titolari di un interesse concreto alla affermazione della legittimità del provvedimento opposto. I motivi devono quindi essere disattesi. 3. Il quarto motivo di ricorso denuncia l’omessa pronuncia su di una domanda delle parti ex art. 112 c.p.c. con la conseguente violazione e/o falsa applicazione dell’art. 4 della legge n. 168/2002 e dell’art. 2 co. 2 e 3 lett. d del CDS degli artt. 4 e 5 della legge n. 2248 all. E del 1865. Assume il ricorrente che il Tribunale aveva reputato infondato il motivo di appello concernente la possibilità di rilievo a distanza della velocità, richiamando quanto affermato dal giudice di pace circa la gestione delle apparecchiature da parte di agenti della Polizia Municipale che rilevavano in centrale i dati fotografici raccolti dalle stesse. In realtà l’appellante aveva eccepito sin dal primo grado di giudizio l’illegittima applicazione dell’art. 4 della legge n. 168/2002, assumendo che il rilevamento a distanza era stato operato su di una strada che non rientrava nell’ambito delle categorie per le quali è possibile, atteso che la strada, posta all’interno del centro abitato, non era sussumibile nella categoria delle strade urbane di scorrimento. A tal fine aveva anche articolato mezzi istruttori, volti a dimostrare l’assenza di semafori nelle varie intersezioni a raso, affermazione questa che non era stata nemmeno specificamente contestata. La risposta dei giudici di merito è stata del tutto elusiva, e ciò anche a fronte di una doglianza ripresa nel terzo motivo di appello, nel quale si era contestata la possibilità per il Prefetto di includere indiscriminatamente determinate strade o tratti di esse nell’elenco di cui al menzionato art. 4. Il motivo è fondato. Ed, invero, costituisce principio più volte ribadito da questa Corte quello secondo cui cfr. Cass. n. 7872/2011 il provvedimento prefettizio di individuazione delle strade lungo le quali è possibile installare apparecchiature automatiche per il rilevamento della velocità, senza obbligo di fermo immediato del conducente, previsto dall’art. 4 del decreto-legge 20 giugno 2002, n. 121, può includere soltanto le strade del tipo imposto dalla legge mediante rinvio alla classificazione di cui all’art. 2, commi 2 e 3, cod. strad., e non altre, con la conseguenza che è, pertanto, illegittimo e può essere disapplicato nel giudizio di opposizione a sanzione amministrativa il provvedimento prefettizio che abbia autorizzato l’installazione delle suddette apparecchiature in una strada urbana che non abbia le caratteristiche minime della strada urbana di scorrimento , in base alla definizione recata dal comma 2, lett. D , del citato art. 2 cod. strad. conf. Cass. n. 5532/2017 . Nella fattispecie, stante il richiamo del Tribunale a quanto argomentato sul punto dal giudice di pace, il quale si era limitato a riferire della circostanza che la strada teatro dei fatti di causa rientrava tra quelle individuate dal Prefetto ai sensi delle norme in esame, la decisione di appello ha omesso di decidere sul motivo di impugnazione che reiterava la richiesta di procedere alla disapplicazione del detto provvedimento. Il motivo deve essere accolto e la sentenza deve essere quindi cassata nei sensi di cui in motivazione, dovendo il giudice del rinvio riscontrare se effettivamente ricorressero le condizioni per l’adozione del decreto di cui all’art. 4 della legge n. 168/2002. 4. Il quinto motivo lamenta la violazione dell’art. 115 c.p.c. o l’omesso esame di un fatto decisivo per la controversia, in quanto la sentenza gravata ha affermato che l’apparecchiatura che verifica la velocità è gestita dal Comune che rileva in loco i dati fotografici che sono poi visionati da agenti della polizia municipale presso la centrale operativa, contrastando in tal modo quanto affermato dal ricorrente e cioè che i dati de quibus fossero in prima battuta gestiti da personale della società proprietaria dell’apparecchiatura e del server al quale affluivano le immagini digitalizzate delle infrazioni. Tale circostanza avrebbe comprovato che in realtà l’apparecchiatura non era oggetto di gestione diretta, dovendosi quindi reputare illegittima la mancata assunzione delle prove articolate sul punto. Rileva la Corte che per dedurre la violazione del paradigma dell’art. 115 è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c. , mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla valutazione delle prove Cass. n. 11892 del 2016 Cass. S.U. n. 16598/2016 . Nel caso di specie i giudici sia in primo grado che in appello hanno ritenuto che vi fosse la prova che i fotogrammi scattati dalle apparecchiature di rilevazione della velocità fossero gestiti direttamente dal personale della Polizia Municipale, e che quindi, con un evidente accertamento in fatto, fosse esclusa la partecipazione all’attività di rilievo delle infrazioni di personale della ditta privata proprietaria delle apparecchiature. Va altresì ricordato che, come di recente ribadito da questa Corte, la mancata ammissione di prove può essere denunciata per cassazione solo nel caso in cui abbia determinato l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, se la prova non ammessa sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento così da ultimo Cass. n. 9985/2018 . Tuttavia, nel caso in esame, trattandosi di impugnazione di una sentenza emessa all’esito di un giudizio di appello introdotto in data successiva all’entrata in vigore della legge n. 134 del 2012, attesa l’adesione del giudice di appello alle ragioni che sostengono la decisione di prime cure, trova applicazione la previsione di cui all’ultimo comma dell’art. 348 ter c.p.c. che preclude la deducibilità in sede di legittimità del vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 co. 1 c.p.c., dovendosi pertanto pervenire alla declaratoria di inammissibilità del motivo in esame. 5. Il sesto motivo denuncia la violazione dell’art. 115 c.p.c., ovvero l’omessa disamina di un fatto decisivo per il giudizio, con la conseguente violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 133 del D. Lgs. n. 167/2000 e degli artt. 11, 18 e 19 del D. Lgs. n. 196/2003. Rileva il ricorrente che il giudice di appello a fronte del motivo di appello con il quale si contestava la violazione della legge sulla privacy stante l’affidamento della potestà pubblica di certificazione e di notificazione dell’atto impugnato ad una società privata e che costituiva un’evidente violazione del divieto di affidamento a terzi privati di pubbliche funzioni, con conseguente illegittimo trattamento dei dati personali, la sentenza d’appello ha rilevato che l’utilizzo di procedure esternalizzate risponde a criteri di efficienza amministrativa, non potendosi invocare la tutela della privacy in quanto le attività affidate alla società privata intervenivano quando la procedura informatica contenente l’atto da notificare si è già compiuta, ed il completamento nella fase attuativa non implica l’esercizio di poteri pubblicistici. Le considerazioni sviluppate in occasione della disamina del motivo che precede, appaiono suscettibili di richiamo anche per quanto attiene alla censura in esame, atteso che anche in tal caso il rigetto del motivo di opposizione, fondato sulla pretesa violazione della legge sulla privacy, si fonda su quello che è un vero e proprio accertamento in fatto operato dai giudici di merito, e peraltro in maniera conforme nei due gradi di giudizio, operando quindi la preclusione di cui al menzionato ultimo comma dell’art. 348 ter c.p.c Va però evidenziato che questa Corte ha già avuto modo di affermare che cfr. Cass. n. 8415/2016 la disciplina sul trattamento dei dati personali e quella sulla circolazione dei veicoli operano su piani differenti, di talché la violazione degli obblighi di informativa rileva in base allo specifico apparato sanzionatorio a tutela dei dati personali, non può impattare sulla regolarità e contestabilità dei verbali di infrazione elevati ai sensi del Codice della strada. La violazione delle prescrizioni di cui al D. Lgs. n. 196/2003 è prevista da un sistema di tutela approntato per la tutela dei dati personali, il cui rispetto è presidiato da un autonomo apparato sanzionatorio, che non può interferire sul diverso piano delle sanzioni per le violazioni al codice della strada, soprattutto laddove, come nel caso in esame, la pretesa violazione non investa direttamente l’attività di accertamento, ma, a detta di quanto dedotto dal ricorrente, la sola successiva fase di compilazione del verbale e di inoltro al contravventore. Inoltre, e proprio con specifico riferimento ad una analoga vicenda, valga richiamare quanto affermato da Cass. n. 5532/2017, già sopra citata, la quale nell’esaminare la doglianza della parte privata concernente la violazione della disciplina sul trattamento dei dati personali effettuato dai dipendenti della ditta privata, a suo dire sostituitisi agli agenti della polizia municipale nella creazione e nella notificazione del documento adoperato per la contestazione dell’illecito, ha rilevato l’inammissibilità della censura, in quanto, come nel caso di specie, oltre a non indicare, l’autore della violazione, non illustrava come tale asserita violazione potesse incidere sulla legittimità dell’ordinanza ingiunzione. 6. Il settimo motivo, infine, lamenta la violazione e/o falsa applicazione del DM n. 55/2014, in quanto a fronte di un valore dichiarato della controversia di Euro 546,60 sono stati liquidati Euro 2800,00 di spese legali nonostante l’attività difensiva della controparte si fosse limitata alla sola fase di studio ed a quella introduttiva del giudizio. La liquidazione risulterebbe evidentemente esorbitante rispetto alle somme che a tale titolo possono essere mediamente riconosciute. Il motivo, stante la cassazione della sentenza per effetto dell’accoglimento del quarto motivo, è assorbito, dovendo il giudice del rinvio provvedere anche sulle spese delle precedenti fasi. 7. La sentenza impugnata deve pertanto essere cassata in relazione al motivo accolto, ed il giudice del rinvio che si designa nel Tribunale di Torino in composizione monocratica ed in persona di diverso magistrato, provvederà anche sulle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il quarto motivo nei limiti di cui in motivazione, rigetta i restanti motivi ed assorbito il settimo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio al Tribunale di Torino, in composizione monocratica ed in persona di diverso magistrato che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.