Quando l’interesse sociale legittima la diffusione dei dati sensibili

La diffusione di dati attinenti alla vita sessuale di una persona diretta a fornire un’informazione essenziale per la comprensione di fatti di rilevante interesse sociale è lecita, sempre nel rispetto della dignità della persona cui si riferiscono i dati.

È quanto sancito dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 22770/18 depositata il 25 settembre. Il caso. Il Tribunale di Milano, in veste di Giudice del rinvio, riteneva apprezzabile in termini più contenuti rispetto alla precedente sentenza l’illecita pubblicazione di dati personali sensibili da parte di un noto quotidiano nazionale, lamentata dalla ricorrente che, al tempo dei fatti, era imputata in un processo penale dinanzi alla Corte d’assise di Perugia. Deducendo la violazione e la falsa applicazione dell’art. 15 d.lgs. n. 196/2003 in relazione all’art. 2050 c.c., la ricorrente adisce la Cassazione lamentando l’omessa considerazione da parte dei Giudici di merito, nella decisione attinente l’ an del risarcimento, del presupposto della natura di attività pericolosa esercitata dai cronisti. La stessa sostiene, infatti, che tale omissione avrebbe influenzato negativamente la determinazione del quantum . La pubblicazione dei dati attinenti alla vita sessuale della persona è lecita solo se La Suprema Corte afferma che il profilo della responsabilità da attività pericolosa è stato in realtà preso in considerazione dai Giudici milanesi che, in tal senso, hanno correttamente ritenuto lecita la pubblicazione dei dati attinenti alla vita sessuale della persona laddove, come nel caso di specie, la stessa sia diretta a fornire un’informazione essenziale per la comprensione di fatti di rilevante interesse sociale, pur sempre nel rispetto della dignità della persona cui i dati si riferiscono. A nulla rileva poi l’ulteriore questione relativa alla valutazione del trattamento dei dati come strumento per una campagna colpevolista nei confronti della ricorrente scatenata dai media durante il corso del procedimento penale, in quanto si tratta di una tema che non ha costituito oggetto del giudizio di merito. La domanda proposta dalla ricorrente al Tribunale era infatti fondata solo sull’illecito trattamento di dati sensibili in assenza di presupposti legittimanti. Pertanto, considerata l’infondatezza del ricorso, la Corte lo rigetta e compensa le spese di giudizio.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 22 marzo – 25 settembre 2018, numero 22770 Presidente Giancola – Relatore Bisogna Fatto e diritto Rilevato che 1. In data 11 dicembre 2008, la sig.ra K. A. ha proposto, dinanzi al Tribunale di Milano, ricorso ex art. 152 del d.lgs 196/2003 codice della Privacy , lamentando la illecita pubblicazione di dati personali sensibili. In particolare, la ricorrente che, al tempo dei fatti era imputata nel processo penale davanti alla Corte d’assise di Perugia per l’omicidio di Ke.Me. , fa riferimento alla pubblicazione di svariati articoli apparsi sull’inserto del omissis omissis e sul sito omissis nonché alla pubblicazione del libro intitolato omissis e alle notizie divulgate con tali articoli e con il predetto libro relative alla sfera sessuale della ricorrente ed, in particolare, alle sue abitudini sessuali e alla sua salute. 2. Il Tribunale milanese, con la sentenza numero 3580/2010, ha accolto il ricorso ritenendo che i dettagli pubblicati erano chiaramente finalizzati a stimolare nel lettore una morbosa curiosità sulla condotta sessuale e sulle abitudini sessuali della giovane ragazza , in violazione del legittimo esercizio del diritto di cronaca, trattandosi di fatti non pertinenti alla notizia di cronaca giudiziaria ha determinato in 40.000,00 Euro il danno non patrimoniale risarcibile in favore della K. . 3. Con sentenza numero 17408/2012 la Corte di Cassazione ha accolto parzialmente l’impugnazione proposta dagli odierni ricorrenti incidentali e ha disposto il rinvio della causa al Tribunale di Milano. 4. Il Tribunale di Milano, con sentenza numero 3967/2014, ha ritenuto che, sebbene l’illegittimo esercizio del diritto di cronaca abbia effettivamente violato la sfera della riservatezza della ricorrente tuttavia la suddetta violazione risulta apprezzabile in termini più contenuti rispetto alla precedente sentenza di merito che giudicava plurime pubblicazioni ed una più ampia gamma di dati sensibili mentre, in seguito alla decisione della Corte di Cassazione, l’esame del trattamento dati, demandato al giudice del rinvio, è stato ristretto ad alcuni brani dell’articolo omissis del omissis e del libro già citato. 5. Propone ricorso per cassazione la K. affidandosi a tre motivi di ricorso illustrati anche con memoria difensiva. 6. Si difendono con controricorso e propongono ricorso incidentale, fondato su un unico motivo, RCS MEDIAGROUP S.p.A., incorporante per fusione RCS Quotidiani S.p.A., R.C.S. LIBRI s.p.a., M.P. e S.F. . Rilevato che 7. Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 15 D.lgs. 36/2003 numero 196 in relazione agli artt. 2050 e 2059 c.c. e omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1 nnumero 3 e 5 c.p.c 8. Secondo parte ricorrente, l’art. 15 del Codice della Privacy, nel richiamare l’art. 2050 c.c., farebbe riferimento ad una ulteriore ipotesi di responsabilità per attività pericolosa, consistente, nel caso di specie, nel trattamento di dati personali. I giudici di merito avrebbero omesso, nella decisione attinente l’an del risarcimento, di considerare il presupposto della natura di attività pericolosa, esercitata dai resistenti cronisti. La suddetta omessa valutazione dell’an avrebbe avuto conseguenze negative nella determinazione del quantum. Peraltro, parte ricorrente lamenta la possibili negative interferenze che una tale influenza mediatica potrebbe avere con il procedimento penale in corso. 9. Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2059 c.c., in relazione all’art. 360 comma 1 numero 3 c.p.c 10. Secondo la ricorrente il giudice di merito non avrebbe operato la valutazione partitaria del danno morale, esistenziale, biologico, danno da influenza generale sul consenso in rilevante procedimento di giudizio in corso. Parte ricorrente lamenta il fatto che i giudici milanesi avrebbero dovuto considerare non solo le immediate risultanze, bensì anche le conseguenze indirette e future di una campagna mediatica come quella in esame 11. Con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1226 c.c., in relazione all’art. 360 comma 1 numero 3 c.p.c 12. Secondo la ricorrente la somma liquidata in sede di merito sarebbe meramente simbolica e non pertinente alla natura e alla entità del danno. I libri contenenti le notizie sarebbero ancora oggi acquistabili on line ed inoltre la quantificazione del danno non avrebbe tenuto in considerazione gli indici giurisprudenziali. Tra questi si fa riferimento all’intensità del dolo e della colpa, alla gravità dell’offesa, al bacino di utenza, alla notorietà della giovane nel processo penale di Perugia, al clamore suscitato dalle pubblicazioni, al comportamento post factum dell’offensore. 13. Con l’unico motivo del ricorso incidentale si eccepisce la nullità della sentenza per violazione di legge e segnatamente degli artt. 112, 384 e/o 394 c.p.c., degli artt. 137 del decreto legislativo numero 193/2003 e 5 e 6 del codice deontologico nonché il difetto di motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Ritenuto che 14. Il primo motivo di ricorso è astratto in quanto non specifica le ragioni per cui ritiene che il giudice del merito non abbia valutato che il trattamento dei dati super-sensibili della ricorrente costituisse una attività potenzialmente produttiva di responsabilità da attività pericolosa. In realtà questo profilo della responsabilità è stato preso in considerazione dal Tribunale milanese che ha ripetutamente evidenziato come la pubblicazione dei dati attinenti alla vita sessuale di una persona può considerarsi lecita solo se diretta a fornire una informazione essenziale per la comprensione di fatti di rilevante interesse sociale e comunque nel rispetto della dignità della persona cui si riferiscono i dati. La ricorrente non specifica quando e come, nel corso del primo giudizio di merito, abbia dedotto l’esistenza di un danno consistito nella incidenza sfavorevole prodotta dalla pubblicazione sul procedimento penale in cui era imputata. Anche in questo caso si tratta comunque di una deduzione del tutto astratta e che non giustifica la censura inerente la quantificazione del danno senza che sia mai stata dimostrata la sua effettiva verificazione e nonostante il precedente giudizio di legittimità abbia circoscritto l’accertamento dell’an demandato al giudice del rinvio al riscontro della sussumibilità o meno del trattamento sotto la nozione normativa di essenzialità. 15. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile perché, oltre a proporre un non conferente richiamo degli aspetti in cui si scompone contenutisticamente il danno non patrimoniale, prospetta un profilo prettamente di merito e cioè la valutazione del trattamento dei dati come strumento per una campagna colpevolista nei confronti della ricorrente scatenata dai media, e in particolare da quelli citati in giudizio, durante il corso del procedimento penale. Si tratta di un tema che non ha costituito l’oggetto del giudizio di merito dato che la domanda proposta al Tribunale di Milano si è fondata sull’illecito trattamento di dati super-sensibili in assenza dei presupposti legittimanti essenzialità dell’informazione, rispetto della dignità della persona interessata . 16. Il terzo motivo del ricorso principale è inammissibile perché sottopone al giudizio di legittimità considerazioni prettamente di merito circa le valutazioni del Tribunale sugli elementi determinativi dell’intensità del danno non patrimoniale, quali la diffusione tra il pubblico dei dati attinenti alla vita sessuale della ricorrente, l’intensità del dolo e della colpa, la notorietà e la situazione soggettiva della persona lesa. Il Tribunale ha condiviso le considerazioni svolte dalla prima sentenza in merito alla determinazione del danno e ne ha ridotto la liquidazione in relazione alla avvenuta restrizione da parte della Corte di cassazione dell’oggetto del giudizio. La ricorrente censura la affermazione del Tribunale di Milano di una minor incidenza offensiva della pubblicazione dei dati super-sensibili attinenti alla vita sessuale della ricorrente in relazione alla considerazione negativa della sua storia personale e della sua statura morale. Tale censura è pienamente condivisibile ma si riferisce a un passaggio motivazionale inserito ad abundantiam dal Tribunale che, come si è detto, ha basato la sua motivazione sulla riduzione della liquidazione del danno rispetto alla prima decisione del 2010 esclusivamente sulla delimitazione dell’oggetto del giudizio per effetto della sentenza numero 17408/2012 della Corte di Cassazione. 17. Il ricorso incidentale è infondato. Come rilevato dal P.G. la sentenza numero 1740/2012 parte motiva punto 5.3 ha chiaramente indicato le frasi al cui esame doveva essere limitato l’oggetto del giudizio di rinvio e a tali limiti si è attenuto il Tribunale di Milano. Nel resto le censure dei ricorrenti incidentali si riferiscono alla esaustività e coerenza logica della motivazione secondo una impostazione non più compatibile con il nuovo disposto dell’art. 360 numero 5 c.p.c 18. Entrambi i ricorsi vanno pertanto respinti con compensazione delle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale. Compensa le spese del giudizio di cassazione. Dispone omettersi, in caso di pubblicazione della presente sentenza ogni riferimento identificativo della ricorrente principale. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. numero 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 13 comma 1 bis del D.P.R. numero 115/2002.