Giudizio promosso irritualmente: la disciplina della conversione del rito è incostituzionale?

Una ridefinizione del passaggio dal rito ordinario al rito speciale nel senso che il mutamento del rito operi, in ogni caso, senza penalizzanti effetti retroattivi, restando fermi quelli, sostanziali e processuali, riconducibili all’atto introduttivo, riflette una valutazione di opportunità e di maggior coerenza di sistema, ma non è incostituzionale, posto che la disciplina attuale non raggiunge una soglia di manifesta irragionevolezza.

Lo ha chiarito la Corte Costituzionale, con la sentenza numero 45/18, depositata il 2 marzo. Il caso. Nel corso di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, proposto con atto di citazione notificato alla controparte, in relazione al quale era stato disposto il mutamento del rito per inerenza del credito azionato ad un rapporto di locazione – ricadente, pertanto, nell’ambito delle controversie per le quali è prescritto il rito speciale del lavoro, da introdursi con deposito del ricorso in cancelleria ai sensi degli articolo 409 e ss. c.p.c. – il giudice adito, chiamato a pronunciarsi sull’eccezione avversaria di tardività dell’opposizione risultandone il deposito effettuato oltre il termine perentorio di 40 giorni dalla notificazione del decreto ingiuntivo , ha dubitato della legittimità costituzionale dell’articolo 426 c.p.c. nella parte in cui, secondo la consolidata interpretazione giurisprudenziale, non prevede che, in caso di introduzione con rito ordinario di una causa soggetta al rito del lavoro e di conseguente mutamento del rito, gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producano secondo le norme del rito ordinario, seguito fino al mutamento. Le censure del giudice a quo. Ad avviso del rimettente, la disposizione censurata, per come interpretata dal costante orientamento giurisprudenziale, violerebbe l’articolo 3 Cost., per irragionevolezza, e gli articolo 24 e 111 Cost., per il vulnus, che ne conseguirebbe, al diritto all’effettività della tutela giurisdizionale e ad un giusto processo. Inoltre, l’esistenza di un vuoto normativo – che impedirebbe di far salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda irritualmente introdotta con le “forme ordinarie” – non sarebbe coerente con la sopravvenuta previsione normativa di cui all’articolo 4, comma 5, d.lgs. numero 150/2011 Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge numero 69/2009 , in base alla quale gli effetti della domanda si producono facendo riferimento alla forma e, quindi, alla data dell’atto sia pur erroneamente in concreto prescelto e non a quella che l’atto avrebbe dovuto avere e che assuma a seguito della conversione del rito. E ciò in linea con una “inversione di tendenza” nel solco della quale si inserisce anche la c.d. translatio iudicii di cui all’articolo 59, comma 2, l. numero 69/2009 Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile , in termini di salvezza degli effetti sostanziali e processuali che la domanda avrebbe prodotto se il giudice di cui è stata dichiarata la giurisdizione fosse stato adito fin dalla instaurazione del primo giudizio. Il “diritto vivente”. Secondo quanto previsto dall’articolo 426, comma 1, c.p.c. rubricato “Passaggio dal rito ordinario al rito speciale” , se il giudice rileva che una causa promossa nelle forme ordinarie riguarda uno dei rapporti di lavoro previsti dall’articolo 409 c.p.c., fissa con ordinanza l’udienza di cui all’articolo 420 ed il termine perentorio entro il quale le parti devono provvedere all’eventuale integrazione degli atti introduttivi mediante deposito di memorie e documenti di cancelleria. Con riferimento, in particolare, all’ipotesi in cui una causa di opposizione a decreto ingiuntivo concesso per crediti relativi a un rapporto di locazione – e, per ciò, soggetta al rito speciale previsto per i rapporti di lavoro in virtù del rinvio a questo operato dall’articolo 447-bis c.p.c. – sia stata erroneamente promossa con atto di citazione, “nelle forme ordinarie”, la Corte di Cassazione ha da tempo chiarito che la citazione può produrre gli effetti del ricorso solo se sia depositata in cancelleria entro il termine di cui all’articolo 641 c.p.c., non essendo sufficiente che, entro tale data, sia stata notificata alla controparte cfr., da ultimo, Cass. Civ. numero 21671/17, numero 27343/16 e numero 21675/13 questa lettura dell’articolo 426 c.p.c., quindi, si è ormai consolidata come “diritto vivente”. Causa avviata con il rito sbagliato è giusto che gli effetti della domanda non decorrano sin dall’inizio? Il giudice a quo ha censurato la mancanza di una previsione che permetta, in caso di irrituale introduzione del giudizio, di far salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda introdotta, erroneamente, con le “forme ordinarie”. Le argomentazioni del rimettente muovono nella direzione di una ridefinizione del “passaggio dal rito ordinario al rito speciale” – quale ora recata dall’articolo 426 c.p.c., in termini di “diritto vivente” – su una linea di maggior coerenza con la disciplina dei nuovi riti speciali, nel senso che il mutamento del rito rispondente ad un principio di conservazione dell’atto proposto in forma erronea operi, in ogni caso, solo pro futuro, ossia ai fini del rito da seguire all’esito della conversione, senza penalizzanti effetti retroattivi, restando fermi quelli, sostanziali e processuali, riconducibili all’atto introduttivo, sulla scorta della forma da questo in concreto assunta e, cioè, nel caso in esame, sulla base di un atto di citazione tempestivamente comunque notificato alla controparte . Norme processuali insindacabili le scelte del legislatore se non irragionevoli. Secondo la Consulta, la riformulazione del meccanismo di conversione del rito auspicata dal giudice a quo riflette una valutazione di opportunità e di maggior coerenza di sistema, ma non risponde ad una esigenza di reductio ad legitimitatem della disciplina attuale, posto che tale disciplina non raggiunge quella soglia di manifesta irragionevolezza che consente il sindacato di legittimità costituzionale sulle norme processuali. Con riguardo alla fattispecie in esame, il giudice delle leggi, peraltro, ha già avuto occasione di affermare che la diversa disciplina dell’opposizione a decreto ingiuntivo nel rito ordinario e in quello del lavoro applicabile anche alle controversie in materia di locazione è giustificata, essendo finalizzata alla concentrazione della trattazione ed alla immediatezza della pronuncia Corte Cost. numero 152/2000 e numero 936/1988 e che il principio della legale conoscenza delle norme non può non valere quando la parte si avvalga, come nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo, del necessario patrocinio del difensore, ben in grado di desumere la causa petendi dagli atti notificati alla parte Corte Cost., numero 152/2000, numero 347/1987 e numero 61/1980 . Pertanto, implicando la pronuncia richiesta dal rimettente la modifica di una regola processuale nell’ambito delle scelte riservate alla discrezionalità del legislatore, la questione di legittimità costituzionale risulta inammissibile.

Corte Costituzionale, sentenza 7 febbraio – 2 marzo 2018, numero 45 Presidente Lattanzi – Redattore Morelli Ritenuto in fatto 1.− Nel corso di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo − proposto «nelle forme ordinarie», con atto di citazione notificato alla controparte, in relazione al quale era stato però disposto il mutamento del rito, per inerenza del credito azionato a rapporto di locazione ricadente ex articolo 447-bis del codice di procedura civile nell’ambito delle controversie per le quali è prescritto il rito speciale del lavoro da introdursi con deposito del ricorso in cancelleria ai sensi degli articoli 409 e seguenti dello stesso codice – l’adito Tribunale ordinario di Verona, in composizione monocratica, chiamato a pronunciarsi sull’eccezione avversaria di tardività dell’opposizione, risultandone il deposito effettuato oltre il termine perentorio di 40 giorni dalla notificazione del decreto ingiuntivo di cui all’articolo 641 cod. proc. civ., ha ritenuto di conseguenza rilevante, e non manifestamente infondata in riferimento agli articolo 3, 24 e 111 della Costituzione, ed ha perciò sollevato, con l’ordinanza in epigrafe, questione incidentale di legittimità costituzionale dell’articolo 426 cod. proc. civ., nella parte, appunto, in cui, secondo l’interpretazione giurisprudenziale consolidatasi in termini di diritto vivente, «non prevede che, in caso di introduzione con rito ordinario di una causa soggetta al rito previsto dagli articolo 409 e ss. c. p. c. e di conseguente mutamento del rito, gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producano secondo le norme del rito ordinario, seguito fino al mutamento». Ad avviso del rimettente, la disposizione censurata, così interpretata, violerebbe l’articolo 3 Cost., per irragionevolezza, e gli articolo 24 e 111 Cost., per il vulnus, che ne conseguirebbe, al diritto all’effettività della tutela giurisdizionale e ad un giusto processo. In relazione al primo profilo, verrebbero, infatti, in rilievo, sia la sopravvenuta previsione normativa di cui all’articolo 4, comma 5, del decreto legislativo 1° settembre 2011, numero 150 Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, numero 69 , sia i principi rinvenibili nella giurisprudenza costituzionale in tema di «translatio iudicii» sentenze numero 77 del 2007 e numero 223 del 2013 , alla cui stregua gli effetti processuali dell’originaria domanda si conservano, rispettivamente, anche nell’ipotesi di erronea scelta del rito o di proposizione ab origine della domanda stessa dinanzi a giudice incompetente o sprovvisto di giurisdizione. Quanto al secondo profilo, «l’applicazione riduttiva del principio di strumentalità della forma [] ed in particolare il condizionamento dell’operatività del principio della sanatoria per raggiungimento dello scopo alla tempestiva realizzazione degli effetti tipici dell’atto introduttivo del rito corretto» – quali, appunto, si rifletterebbero nella disposizione denunciata – la renderebbero, appunto, ingiustificata e lesiva del diritto alla effettività della tutela giurisdizionale dell’attore. 2.– Nessuna delle parti del giudizio a quo si è costituita nel giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale né è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri. Considerato in diritto 1.– L’articolo 426 del codice di procedura civile, sotto la rubrica «Passaggio dal rito ordinario al rito speciale», testualmente dispone, al primo comma, che «[i]l giudice, quando rileva che una causa promossa nelle forme ordinarie riguarda uno dei rapporti [di lavoro] previsti dall’articolo 409, fissa con ordinanza l’udienza di cui all’articolo 420 e il termine perentorio entro il quale le parti dovranno provvedere all’eventuale integrazione degli atti introduttivi mediante deposito di memorie e documenti di cancelleria». 2.– Con riferimento, in particolare, all’ipotesi in cui una causa di opposizione a decreto ingiuntivo concesso per crediti relativi a un rapporto di locazione – e per ciò, soggetta al rito speciale previsto per i rapporti di lavoro in virtù del rinvio a questo operato dall’articolo 447-bis cod. proc. civ. – sia stata erroneamente, invece, promossa con atto di citazione, «nelle forme ordinarie», la Corte di cassazione, in sede di esegesi del predetto articolo 426, è, da data risalente, ferma nel ritenere che la citazione può produrre gli effetti del ricorso solo se sia depositata in cancelleria entro il termine di cui all’articolo 641 cod. proc. civ., non essendo sufficiente che, entro tale data, sia stata notificata alla controparte da ultimo, sezione sesta civile, ordinanze 19 settembre 2017, numero 21671 e 29 dicembre 2016, numero 27343 sezioni unite civili, sentenza 23 settembre 2013, numero 21675 in precedenza, ex plurimis, terza sezione civile, sentenza 2 aprile 2009, numero 8014 e sezione lavoro, sentenza 26 marzo 1991, numero 3258 . In tal senso l’esegesi dell’articolo 426 cod. proc. civ. si è ormai consolidata come “diritto vivente”. 3.– Il Tribunale ordinario di Verona – nel corso, appunto, di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo relativo a crediti in materia di locazione, irritualmente introdotto con atto di citazione poi tardivamente depositato in cancelleria di cui la controparte aveva per tal profilo, però, eccepito l’inammissibilità – ha ritenuto, di conseguenza, rilevante, e non manifestamente infondata, in riferimento agli articolo 3, 24 e 111 della Costituzione, ed ha quindi sollevato questione incidentale di legittimità costituzionale dell’articolo 426 c. p. c. come interpretato dal giudice della nomofilachia, «nella parte in cui non prevede che, in caso di introduzione con rito ordinario di una causa soggetta al rito previsto dagli articolo 409 e ss. c. p. c. e di conseguente mutamento del rito, gli effetti sostanziali e processuali si producano secondo le norme del rito ordinario, seguito fino al mutamento». 4.– L’irrilevanza della data di non rituale introduzione del giudizio, ai fini del rispetto del termine di decadenza cui sia sottoposta la causa, corollario pacifico della riferita giurisprudenza, sarebbe conseguente, secondo il rimettente, alla «mancanza, nella disciplina del processo in caso di erronea scelta del rito [], di una previsione che ricolleghi tutti gli effetti processuali della domanda e quindi anche quello della litispendenza all’atto introduttivo del rito erroneamente scelto, secondo le forme proprie di quest’ultimo». Ma, proprio in ragione di tale “vuoto normativo” che il giudice a quo sostanzialmente chiede a questa Corte di colmare con una pronunzia additiva , il censurato articolo 426 cod. proc. civ., violerebbe, a suo avviso, l’articolo 3 Cost., per irragionevolezza, e gli articolo 24 e 111 Cost., per il vulnus, che ne conseguirebbe, al diritto dell’effettività della tutela giurisdizionale e ad un giusto processo. La sanatoria dimidiata, e non piena, dell’atto non ritualmente introdotto «nelle forme ordinarie» in luogo di quelle del rito speciale per esso previste – quale unicamente consentita dalla disposizione impugnata – non sarebbe, infatti, più coerente alla sopravvenuta previsione normativa di cui all’articolo 4, comma 5, del decreto legislativo 1° settembre 2011, numero 150 Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, numero 69 , a tenore della quale gli effetti della domanda si producono facendo riferimento alla forma e quindi alla data dell’atto sia pur erroneamente in concreto prescelto e non a quella che l’atto avrebbe dovuto avere, e che assuma a seguito della conversione del rito. E ciò in linea con una “inversione di tendenza” cui fa riferimento il legislatore del 2011, e che rimanda, peraltro, al principio generale di sanatoria dell’atto per raggiungimento dello scopo, di cui all’articolo 156 cod. proc. civ. , nel solco della quale si inserisce anche la cosiddetta translatio iudicii ex articolo 59, comma 2, della legge 18 giugno 2009, numero 69 Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile , in termini di salvezza degli effetti sostanziali e processuali che la domanda avrebbe prodotto se il giudice di cui è stata dichiarata la giurisdizione fosse stato adito fin dalla instaurazione del primo giudizio, oltre ad una, sia pur eccentrica, pronuncia delle stesse sezioni unite della Corte di cassazione sentenza 14 aprile 2011, numero 8491 , sulla ritenuta sostanziale equipollenza delle forme del ricorso e della citazione ai fini dalla introduzione della impugnazione delle delibere condominiali. 5.– Le argomentazioni e i rilievi spesi dal giudice rimettente anche in sintonia con la posizione di parte della dottrina processualcivilistica muovono nella direzione di una ridefinizione del «passaggio dal rito ordinario al rito speciale» – quale ora recata dall’articolo 426 cod. proc. civ., in termini di “diritto vivente” – su una linea di maggior coerenza con la disciplina dei nuovi riti speciali, nel senso che il mutamento del rito rispondente ad un principio di conservazione dell’atto proposto in forma erronea operi, in ogni caso, solo pro futuro, ossia ai fini del rito da seguire all’esito della conversione, senza penalizzanti effetti retroattivi, restando – in altri termini – fermi quelli, sostanziali e processuali, riconducibili all’atto introduttivo, sulla scorta della forma da questo in concreto assunta e, cioè, nel caso in esame, sulla base di un atto di citazione tempestivamente comunque notificato alla controparte . 6.– Una tale auspicata riformulazione del meccanismo di conversione del rito sub articolo 426 cod. proc. civ. riflette, appunto, una valutazione di opportunità, e di maggior coerenza di sistema, di una sanatoria piena, e non dimidiata, dell’atto irrituale, per raggiungimento dello scopo. Ma non per questo risponde ad una esigenza di reductio ad legitimitatem della disciplina attuale, posto che tale disciplina a sua volta coerente ad un principio di tipicità e non fungibilità delle forme degli atti non raggiunge quella soglia di manifesta irragionevolezza che consente il sindacato di legittimità costituzionale sulle norme processuali. Con riguardo alla fattispecie in esame, questa Corte ha già avuto, peraltro, anche occasione di affermare che la diversa disciplina dell’opposizione a decreto ingiuntivo nel rito ordinario e in quello del lavoro applicabile anche alle controversie in materia di locazione «è giustificata [], essendo finalizzata alla concentrazione della trattazione ed alla immediatezza della pronuncia» ordinanza numero 152 del 2000, che richiama la precedente ordinanza numero 936 del 1988 e che «il principio della legale conoscenza delle norme [] non può non valere quando la parte si avvalga, come nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo, del necessario patrocinio del difensore, ben in grado di desumere la causa petendi dagli atti notificati alla parte» ordinanza numero 152 del 2000, che richiama le sentenze numero 347 del 1987 e numero 61 del 1980 . 7.– A fronte, dunque, di un petitum implicante l’opzione per la modifica di una regola processuale – opzione di per sé meritevole di considerazione, ma comunque rientrante nell’ambito delle scelte riservate alla discrezionalità del legislatore – la questione in esame va, pertanto, dichiarata inammissibile. Visti gli articolo 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, numero 87, e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. Per questi motivi la Corte Costituzionale dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 426 del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli articolo 3, 24 e 111 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Verona, con l’ordinanza in epigrafe.