L’accusa di omosessualità può giustificare la protezione in Italia

Irrilevante il fatto che l’uomo sia realmente gay. Ciò che conta è che nel Paese di origine siano previste punizioni terribili, che vanno dall’ergastolo alla decapitazione.

Possibile riconoscere protezione allo straniero, soprattutto se, come in questo caso, nel Paese d’origine l’omosessualità è considerata reato e punita anche con la morte Cassazione, ordinanza numero 2875/18, sez. VI Civile, depositata oggi . Rischio. Svolta decisiva, almeno in apparenza, in Corte d’appello, dove viene accolto il ricorso del Ministero dell’Interno, con conseguente ‘no’ alla richiesta di protezione presentata da un cittadino del Gambia approdato in Italia. Lo straniero ha palesato «il rischio per la sua incolumità, in caso di forzato rientro nel suo Paese di origine, a causa delle sue tendenze politiche» e, soprattutto, «dell’accusa di omosessualità rivolta nei suoi confronti». I giudici hanno ribattuto ritenendo «insussistenti i rischi dedotti» e rilevando che «l’omosessualità dell’uomo non era provata» – anzi «risultava al contrario che egli era sposato» e padre di un bambino – e che neppure era provata «la sua opposizione al regime dittatoriale» in Gambia. Libertà. I Giudici della Cassazione correggono la visione adottata dalla Corte d’Appello, spiegando che «è irrilevante che i fatti» descritti dall’uomo «fossero veri o meno», o «che le accuse a lui rivolte fossero realmente fondate». Ciò che conta, invece, è appurare se davvero l’uomo abbia subito quelle, poiché «è la sussistenza di quelle accuse che rende attuale il rischio di persecuzione o di danno grave, in relazione alle conseguenze possibili secondo l’ordinamento del Paese straniero». Applicando questa ottica è possibile evidenziare che «in Gambia vi è una forte compromissione dei diritti umani e civili», con «arresti arbitrari, atti di tortura, scomparsa degli oppositori al regime dittatoriale», e, soprattutto, «gravissime punizioni tortura, ergastolo, decapitazione per l’omosessualità». E non si può dimenticare, concludono i Giudici del ‘Palazzaccio’, che «la circostanza che l’omosessualità sia considerata come reato nel Paese di provenienza costituisce una grave ingerenza nella vita privata dei cittadini omosessuali, che compromette grandemente la loro libertà personale e li pone in una situazione oggettiva di pericolo, tale da giustificare la concessione della protezione internazionale».

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 24 ottobre 2017 – 6 febbraio 2018, numero 2875 Presidente Dogliotti – Relatore Lamorgese Fatti di causa La Corte d'appello di Bologna, con sentenza 2 febbraio 2016, ha accolto il gravame del Ministero dell'interno avverso l'impugnata sentenza ed ha rigettato la domanda di riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria a Dr. Mb., il quale aveva dedotto il rischio per la sua incolumità, in caso di forzato rientro nel suo Paese di origine Gambia , a causa delle sue tendenze politiche e dell'accusa di omosessualità rivolta nei suoi confronti. La Corte ha ritenuto insussistenti i rischi dedotti, rilevando che la sua omosessualità non fosse provata risultava, al contrario, che egli era sposato con un figlio e che neppure fosse provata la sua opposizione al regime dittatoriale. Avverso questa sentenza Dr. Mb. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi e a una memoria il Ministero dell'interno ha presentato controricorso. Ragioni della decisione Con il primo motivo, il ricorrente ha denunciato violazione degli articolo 3 e 8 del d.lgs. numero 251/2007 e vizio di motivazione, per avere la Corte di merito erroneamente valutato la sua narrazione, che era coerente e credibile, e i rischi documentati che egli correrebbe nel caso di forzato rientro in Gambia, omettendo di fare riferimento al contesto politico e generale esistente in quel Paese. Con il secondo motivo è denunciata violazione dell'articolo 14, lett. c , d.lgs. numero 251/2007, per avere negato anche la protezione sussidiaria e umanitaria, omettendo di indagare sulle condizioni di pericolo esistente, in Gambia, ove vi era una dittatura che praticava una violenza diffusa e indiscriminata i cittadini erano sottoposti alla tortura e a trattamenti inumani erano previste pene gravissime per l'omossessualità, considerata come reato. Con il terzo motivo è denunciata violazione degli articolo 5, comma 6, d.lgs. numero 286/1998 e 32, comma 3, D.Lgs. numero 25/2008, per non avere esaminato la domanda di protezione umanitaria, ritenendola erroneamente assorbita dal rigetto della domanda di protezione principale, mentre il giudice di merito avrebbe dovuto esaminare se il descritto quadro generale di violenza integrasse una situazione di vulnerabilità idonea a giustificare la trasmissione degli atti al Questore per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari. I suddetti motivi, da esaminare congiuntamente, sono fondati. L'errore in cui è incorsa la Corte di merito è di avere valutato il rischio di persecuzione, ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, e il danno grave, nell'accezione di cui all'articolo 14 d.lgs. numero 251 del 2007, ai fini della protezione sussidiaria - omettendo, tra l'altro, di esaminare la domanda di protezione umanitaria -, esaminando nel merito la sussistenza dei fatti di omosessualità e opposizione al regime dittatoriale posti a fondamento dei rischi dedotti dall'interessato, cioè la fondatezza delle accuse rivoltegli nel suo Paese di origine. In tal modo la Corte non ha considerato che è irrilevante che tali fatti fossero veri, o no, o che le accuse rivolte al richiedente fossero realmente fondate, o no, dovendosi invece accertare se tali accuse fossero reali, cioè effettivamente rivolte all'interessato nel suo Paese cfr. articolo 8, comma 2, d.lgs. numero 251/2007 , poiché è la sussistenza di queste accuse che rende attuale il rischio di persecuzione o di danno grave, in relazione alle conseguenze possibili secondo l'ordinamento straniero. A tale riguardo, la stessa Corte di merito ha accertato quale fosse la situazione in Gambia vi era una forte compromissione dei diritti umani e civili vi erano arresti arbitrari , atti di tortura , scomparsa degli oppositori al regime dittatoriale gravissime erano le punizioni previste per l'omossessualità tortura, ergastolo, decapitazione . La circostanza che l'omosessualità sia considerata come reato dall'ordinamento giuridico del Paese di provenienza costituisce una grave ingerenza nella vita privata dei cittadini omosessuali, che compromette grandemente la loro libertà personale e li pone in una situazione oggettiva di pericolo, tale da giustificare la concessione della protezione internazionale Cass. numero 4522/2015 . La Corte di merito ha minimizzato il rischio che il richiedente, in caso di rientro forzato, sarebbe esposto alle pene previste per l'omosessualità e per gli oppositori del regime, qualora non riuscisse a dimostrare l'infondatezza delle accuse si è invece limitata, da un lato, a ritenere non provata la sua opposizione al regime - in ragione del fatto, di significato ambivalente, che le critiche rivolte al Presidente del governo erano state erroneamente intese come un atto di ribellione al regime dittatoriale - e dall'altro, a ritenere insussistente la omosessualità, senza dare il giusto rilievo al fatto che tali accuse erano state realmente formulate nei suoi confronti e senza farne oggetto di accertamento cfr. Cass. numero 4522/2015 . L'autorità amministrativa e il giudice di merito svolgono un ruolo attivo nell'istruzione della domanda, disancorato dal principio dispositivo proprio del giudizio civile ordinario e libero da preclusioni o impedimenti processuali, oltre che fondato sulla possibilità di assumere informazioni ed acquisire tutta la documentazione necessaria Cass., s.u., numero 27310/2008 numero 10202/2011 . La Corte d'appello, quale giudice del rinvio, deciderà, in diversa composizione, anche sulle spese del giudizio di cassazione P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'appello di Bologna, in diversa composizione, anche per le spese.