Delibazione sentenze sul titolo esecutivo straniero e competenza esclusiva sull'esecuzione forzata

Nel regime del Regolamento n. 44/2001, qualora un’esecuzione forzata fosse stata iniziata in Italia sulla base di un titolo esecutivo, giudiziale o negoziale, formatosi in uno Stato membro dell’Unione e riconosciuto nell’ordinamento italiano, il riconoscimento di una successiva decisione giurisdizionale del giudice di quello Stato, incidente sull’efficacia esecutiva del titolo, non trovava ostacolo nella giurisdizione nazionale dell’esecuzione forzata, prevista dall’art. 22 n. 5 del detto regolamento.

È il principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte di Cassazione nella sentenza n. 9350/17, depositata il 12 aprile, e qui commentata. La vicenda giudiziaria. La vicenda processuale nasce in Germania, dove veniva stipulata la vendita del 50% di un immobile e, alla morte del venditore, l’erede in rappresentanza dell’eredità beneficiata , nel presupposto del mancato pagamento dell'intera somma da parte del compratore, chiedeva ed otteneva dal giudice tedesco l'ordine di rilascio della copia esecutiva dell’atto notarile di compravendita. Con il detto titolo intraprendeva un'azione esecutiva in Italia. Nel frattempo, però il giudice tedesco accertava l’inesistenza del credito, per avvenuto adempimento, concludendo che quel titolo non poteva essere portato ad esecuzione, e ne ingiungeva la restituzione della copia esecutiva. Tale decisione veniva riconosciuta in Italia dalla Corte d’appello di Firenze, la quale successivamente rigettava il ricorso contro la stessa proposto dall’erede ai sensi dell'art. 43, reg. CE 44/2001 . Contro quella decisione, la soccombente si determinava a proporre ricorso in Cassazione, perdendo anche quello, come vedremo da qui a poco. Il Regolamento CE 44/2001. La materia era disciplinata dal Reg. CE 44/2001, regolamento abrogato e sostituito dal Reg. 1215/2012, ma che trova applicazione alla fattispecie concreta. Il Regolamento CE 44/2001 si occupa va della competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale per quanto qui interessa, all'art. 22 prevedeva, per l'esecuzione delle decisioni, la competenza esclusiva dei giudici dello Stato membro nel cui territorio aveva luogo l'esecuzione e all'art. 35 sanzionava come non riconoscibili le decisioni assunte in violazione delle sezioni 3, 4, e 6 del capo II e dell'art. 72 norme tra cui vi è anche l'art. 22 citato. Il motivo di ricorso contro il riconoscimento. Il motivo di ricorso verte intorno alla riserva operata in materia di esecuzione forzata dal regolamento nei confronti del giudice dello Stato dove l’esecuzione deve essere attuata. Il motivo denuncia la violazione ex art. 360, n. 3, c.p.c. per violazione e falsa applicazione degli artt. 35 e sicuramente non 2, che appare come un refuso ma 22 n. 5 Reg. CE n. 44/2001, 615, 474 n. 3 e 475 c.p.c La ricorrente descrive il giudizio tedesco di cui contesta la delibazione come un'opposizione all’esecuzione. La sentenza della Corte d’appello impugnata nega invece che si tratti di opposizione all’esecuzione in quel giudizio afferma non si è certo discorso di fatti estintivi o modificativi successivi alla formazione del titolo materia tipica della opposizione all’esecuzione bensì del diritto del preteso creditore ad avere quel titolo . Un conto, spiega, è discutere del diritto al titolo esecutivo , un conto è invece promuovere e coltivare una specifica opposizione . L’opposizione all’esecuzione dovrebbe comunque aversi in Italia, sebbene sulla base di quella decisione tedesca se fosse riconosciuta in quel momento, certamente, la competenza del giudice italiano sarebbe esclusiva e questi dovrebbe verificare se esiste o no il diritto a procedere. Le argomentazioni della ricorrente, sono in sintesi trattasi di opposizione all’esecuzione, dato che la sentenza giunge ad affermare che l’erede non può agire per esecuzione forzata di quel titolo nei confronti del compratore afferma poi che l'opposizione all'esecuzione non riguarda solo i fatti estintivi e modificativi del diritto successivi alla formazione del titolo, dal momento che esistono anche titoli stragiudiziali c rileva che il sistema tedesco ammette la deducibilità di fatti anteriori alla formazione dei titoli stragiudiziali d con l'azione davanti al giudice tedesco, il compratore aveva contestato il diritto a procedere all'esecuzione sulla base di un'interpretazione dell'atto che evidenziava che il compratore non aveva pagato l'importo residuo in seguito ad accollo . Non è dunque possibile, secondo la ricorrente, il riconoscimento di una decisione che in Italia intaccherebbe la riserva in materia di esecuzione forzata riserva in cui sono da ricomprendere anche le opposizioni all'esecuzione e ciò a norma dell’art. 35 Reg. 44/2001, su citato il giudice italiano dovrebbe infatti semplicemente recepire la decisione straniera. Per la Corte di Cassazione il riconoscimento è legittimo. La Corte parte dall’interpretazione dell’art. 22. Chiarisce la Corte, la riserva c'era, ma riguardava l’esecuzione forzata che doveva avvenire nello Stato, non quella che doveva avvenire in un altro Stato. Inoltre, la riserva doveva intendersi attenere sia all’esecuzione che alla cognizione relativa al se quell’esecuzione poteva esser esperita in sostanza, nel sistema italiano, ai giudizi instaurati con l’opposizione all’esecuzione, pure quindi rientranti nella riserva. Interpretazione, questa, del resto imposta da un precedente della Corte di Giustizia causa C-220/84 . Dunque, prosegue la Corte la domanda è se, iniziata un’esecuzione nel territorio di uno Stato sulla base di un titolo di uno Stato membro e riconosciuto, la successiva decisione del giudice di quello Stato che va ad incidere sulla forza esecutiva di quel titolo va ritenuta non delibabile per violazione della regola sulla competenza esclusiva in materia di esecuzione forzata e ciò in ragione delle conseguenze che tale decisione comporterebbe sull’esecuzione forzata in corso, in definitiva paralizzandola? La risposta è no. Secondo la Corte, che conclude per il rigetto del motivo, quella decisione attinente al titolo, è delibabile quella decisione dispiega la sua incidenza non già in modo diretto sull’esecuzione forzata, ma sull’efficacia del titolo e lo fa legittimamente perchè il titolo si è formato in quell’ordinamento e non nell’ordinamento italiano . Nell’attivando giudizio di opposizione in Italia certo al giudice italiano spetterà solo un controllo formale sulla corrispondenza tra la decisione estera ed il titolo, e nessun controllo sulla valutazione che ha portato a quella decisione. Quel titolo si è formato all’estero e sempre dall’estero può poi pervenire ed il titolo ha forza sul presupposto che” quella decisione non intervenga una decisione che incida sulla sua forza esecutiva, e che va riconosciuta. In sostanza i profili rilevati non costituiscono una delle ragioni ostative al riconoscimento di cui agli artt. 34 e 35, comma 2, Reg. cit. . Exequatur nei confronti dell'eredità beneficiata o dell'erede? Il secondo motivo di ricorso attiene al fatto che la richiesta di exequatur avrebbe dovuto essere proposta contro l'eredità in persona di chi la rappresentava e non contro la ricorrente personalmente per la stessa ragione ella afferma l'illegittimità della sua condanna alle spese di giudizio. In sostanza, si afferma che con l'accettazione dell'eredità sussistono due patrimoni separati e la condanna alle spese dovrebbe seguire tale distinzione, atteso anche che l'erede con beneficio d'inventario è equiparato ad un soggetto che gestisce negli interessi di altri, dall'art. 94 c.p.c. e dal fatto che si ritiene” che le spese sostenute per l'eredità godano di prededuzione. Ma, osserva la Corte, il motivo di ricorso non si collega al contenuto della sentenza sul punto, che ha rilevato come essendo stata pronunciata la decisione tedesca nei confronti della ricorrente, la richiesta di exequatur non poteva che essere svolta sempre nei suoi confronti. Il motivo non ha motivo di esistere la sentenza nulla dice in proposito al fatto, indubitabile secondo la Corte di Cassazione, che, non essendo stata posta in discussione la sua posizione di parte ricorrente quale erede accettante con beneficio di inventario dedotta come tale in correlazione con la situazione giuridica azionata , è indubbio che le conseguenze della soccombenza, anche quelle collegate alle spese giudiziali, siano comunque riferibili ad ella nella sua qualità, applicandosi dunque la regola per cui l'erede non è tenuto oltre il valore dei beni ricevuti, ex art. 490 c.c

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 6 ottobre 2016 – 12 aprile 2017, n. 9350 Presidente Vivaldi – Relatore Frasca Fatti della causa 1. P.S. , in rappresentanza dell’eredità beneficiata P.C. , ha proposto ricorso per cassazione contro M.L. avverso la sentenza del 3 maggio 2013, con la quale la Corte d’Appello di Firenze ha rigettato il suo ricorso ai sensi dell’art. 43 del regolamento CE n. 44/2001 del Consiglio, contro il decreto dell’ottobre 2010, con cui la stessa Corte, aveva, ai sensi degli artt. 33 e ss. dello stesso regolamento, dichiarato esecutiva in Italia, su istanza del M. , la sentenza n. 101082/08 del Landgerich di Hanau, con la quale essa ricorrente era stata condannata alla restituzione di un atto notarile rogato in Germania e costituente titolo esecutivo. 2. La vicenda, cui si riferisce la controversia, si è originata dalla stipulazione di un contratto in data 11 giugno 2004, per rogito del notaio tedesco H.L B. , in forza del quale il L. acquistava da P.C. la quota del 50% di un immobile. La ricorrente, divenuta erede con beneficio di inventario del defunto padre P.C. , nel presupposto che l’acquirente fosse rimasto debitore della somma di Euro 29.971,94, richiedeva al notaio rogante il rilascio di copia esecutiva dell’atto notarile e, a seguito di rifiuto del notaio, otteneva dal giudice tedesco un ordine di rilascio della copia esecutiva. Il titolo così ottenuto dalla P. , con decreto della Corte d’Appello di Firenze del 24 ottobre 2008, veniva dichiarato esecutivo in Italia. Il decreto veniva opposto dal L. e la stessa corte fiorentina rigettava l’opposizione con sentenza n. 1460 del 2010. La P. nella qualità iniziava allora a carico del L. per effetto di conversione di un precedente sequestro un procedimento di esecuzione forzata per espropriazione dinanzi al Tribunale di Lucca. Frattanto, a seguito del rilascio da parte del notaio tedesco della copia esecutiva, il L. introduceva davanti al Landgericht di Hanau un procedimento per fare accertare l’inesistenza del credito e per far dichiarare inammissibile l’esecuzione in forza dell’atto notarile. Il Landgericht accoglieva - con la decisione oggetto dell’exequatur, confermato dalla sentenza qui impugnata - la domanda, dichiarando che le obbligazioni nascenti dal contratto di compravendita erano state adempiute, per cui la P. non poteva agire in via esecutiva sulla base di detto atto, nonché ordinandole di consegnare la copia esecutiva in suo possesso. 3. Al ricorso per cassazione, che si fonda su due mezzi, non v’è stata resistenza dell’intimato M.L. . Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo si denuncia violazione ex art. 360 n. 3 c.p.c. per violazione e falsa applicazione degli artt. 35 e 2 n. 5 Reg. CE n. 44/2001, 615, 474 n. 3 e 475 c.p.c. . La critica svolta nel motivo riguarda la motivazione con cui la corte fiorentina ha rigettato il quinto motivo dell’opposizione proposta dalla ricorrente. 1.1. Con detto motivo, il cui contenuto è indicato nell’esposizione del fatto e anche dalla sentenza impugnata, la ricorrente, per quanto in detta esposizione indicato, aveva dedotto l’illegittimità dell’exequatur in questi termini il giudice italiano ha la giurisdizione esclusiva quanto alle esecuzioni forzate sul territorio italiano ex art. 22 n. 5 del Reg. 44/2001, per cui la sentenza tedesca che definiva un procedimento di opposizione all’esecuzione promosso in tale paese straniero, non era riconoscibile ex art. 35 dello stesso Regolamento. Invero, in virtù del titolo notarile ai rogiti del notaio H.B. era stato promosso dalla P. un procedimento esecutivo presso terzi dinanzi al Tribunale di Lucca e un provvedimento emesso da un giudice tedesco nell’ambito di un’opposizione all’esecuzione intrapresa in Germania l’esecuzione forzata del titolo, non potrà vincolare il giudice dell’esecuzione italiano, che ha invece la giurisdizione esclusiva ex art. 22 n. 5 Reg. cit. . 1.2. La critica alla sentenza impugnata viene svolta evocando, salvo per le prime due proposizioni, la motivazione della sentenza impugnata con cui è stato rigettato il quinto motivo di opposizione, che è stata del seguente tenore È senz’altro vero che in materia di esecuzione delle decisioni hanno competenza esclusiva giudici dello stato membro nel cui territorio ha luogo l’esecuzione. L’articolo 22 n. 5 del Regolamento è chiaro in tal senso. Nella fattispecie però l’interferenza tra la decisione tedesca di esecuzione contro il M.L. che P.S. dichiara di aver promosso dinanzi al Tribunale di Lucca conversione di sequestro conservativo in pignoramento , avviene su di un piano diverso da quello indicato dalla ricorrente, non risultando minimamente pregiudicati i poteri tipici del giudice dell’esecuzione. Quella svoltasi dinanzi al Tribunale di Hanau non è un’opposizione all’esecuzione, ancorché nella sentenza si parli di inammissibilità, ma in astratto, di un’esecuzione. In quel giudizio non si è certo discorso di fatti estintivi o modificativi successive alla formazione del titolo materia tipica della opposizione all’esecuzione , bensì del diritto del preteso creditore ad avere quel titolo. Se, ad es., simile difesa della Quattrocchi fosse riferita ad un esecuzione forzata iniziata in virtù di un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo poi revocato dal giudice dell’opposizione, si giungerebbe alla conclusione, assolutamente errata, che il provvedimento di tale giudice avrebbe interferito con le competenze del giudice dell’esecuzione. Conclusione inaccettabile, in quanto un profilo è quello del diritto al titolo esecutivo, altro profilo quello relativo alla possibilità di promuovere e coltivare una specifica esecuzione. Se l’esecutività in Italia della sentenza tedesca dovesse risultare confermata l’odierno resistente dovrebbe proporre opposizione all’esecuzione dinanzi al Tribunale di Lucca, e quel giudice, avente competenza esclusiva ex art. 22 n. 5 Regolamento, dovrebbe verificare l’esistenza o meno del diritto di procedere ad esecuzione . 1.3. Questa motivazione viene criticata con i seguenti argomenti a essa avrebbe errato nell’affermare che il giudizio svoltosi davanti al giudice tedesco non era stato un giudizio di opposizione all’esecuzione, atteso che nella sentenza il Landgericht ha dichiarato inammissibile l’esecuzione forzata da parte della convenuta nei confronti della P. b erroneamente avrebbe fatto il parallelo con la sentenza tedesca che avesse revocato un decreto ingiuntivo ed erroneamente avrebbe affermato che la materia tipica del giudizio di opposizione all’esecuzione sarebbero i fatti estintivi o modificativi del diritto da eseguirsi, successivi alla formazione del titolo esecutivo, giacché tale affermazione non sarebbe esatta per le opposizioni all’esecuzione intrapresa sulla base di titoli esecutivi stragiudiziali c la regola della deducibilità di fatti anteriori alla formazione di siffatti titoli sarebbe presente anche nella ZPO tedesca, come emergerebbe dal § 797, che esclude l’applicabilità nelle opposizioni contro i titoli di formazione stragiudiziale e, in particolare, quelli notarili, del § 767 d nel caso di specie con l’azione davanti al Landgericht si era contestato il diritto di procedere all’esecuzione per un motivo attinente alla interpretazione stessa dell’atto notarile , che evidenziava, secondo la P. che il L. non aveva pagato l’importo di Euro 29.971,84, in ragione di un accollo di un debito del P. nei confronti della Kreissparkasse Pirmanses. Sulla base di tali deduzioni, in forza della riserva esclusiva di competenza in materia di esecuzione a favore del giudice del luogo in cui essa si svolge e del fatto che quindi l’efficacia di un provvedimento rilasciato nell’ambito di un processo svoltosi nel paese di origine, non può estendersi in altri Stati membri, senza intaccare quella riserva di competenza riconosciuta, in materia di esecuzione riserva nella quale sarebbero da ricomprendere anche le opposizioni all’esecuzione ex art. 767 ZPO tedesco, in ragione della loro stretta connessione con il processo esecutivo , si sostiene che la sentenza del Landgericht di Hanau non potrebbe trovare riconoscimento in Italia, laddove si sta svolgendo altro processo esecutivo ed è pendente altra opposizione all’esecuzione dinanzi al Giudice dell’Esecuzione del Tribunale di Lucca . E ciò a norma dell’art. 35 del reg. n. 44 del 2001, che esclude il riconoscimento delle decisioni se sono state violate le disposizioni delle sezioni 3, 4 e 6 del capo II del regolamento, fra cui è compreso l’art. 22 n. 5. Secondo la ricorrente, affermare il contrario e dare ingresso nell’ordinamento italiano alla sentenza emessa nell’ambito dell’opposizione all’esecuzione tedesca, implicherebbe il negare al giudice italiano la propria giurisdizione in materia, perché esso dovrebbe semplicemente recepire il decisum straniero. Si insiste, quindi, nel sostenere che la giurisdizione esclusiva emergente dall’art. 22 n. 5 non potrebbe limitarsi alle opposizioni all’esecuzione promosse sulla base di titoli esecutivi di formazione giudiziale, come avrebbe fatto la sentenza qui impugnata. 2. Il motivo non è fondato, sulla base delle seguenti considerazioni, che si sostanziano in una correzione della motivazione ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 384 c.p.c., la quale rende irrilevanti le argomentazioni svolte dalla ricorrente sia sulla negazione, fatta dai giudici fiorentini, della qualificazione come opposizione all’esecuzione del giudizio nel quale è stata resa la decisione del giudice tedesco, sia le considerazioni relative alla possibilità che, nell’ordinamento tedesco, l’opposizione possa servire anche a contestare la formazione del titolo esecutivo stragiudiziale. 2.1. È necessario in primo luogo riflettere sull’esegesi che deve ricevere il disposto dell’art. 22 n. 5 del Regolamento n. 44 del 2001 ora riprodotto nel Reg. n. 1215 del 2012, all’art. 24, n. 5, fonte che ne ha disposto l’abrogazione, ma senza incidenza sul giudizio in corso . La norma, quando attribuiva competenza esclusiva in materia di esecuzione delle decisioni ai giudici dello Stato membro nel cui territorio ha luogo l’esecuzione doveva essere intesa nel senso che spetta al giudice nazionale l’esercizio della giurisdizione per tutto ciò che è riconducibile al concetto di esecuzione forzata e che su di essa è incidente. Ma ciò, innanzitutto, con riferimento all’esecuzione forzata da svolgersi nell’ordinamento interno e non certo all’esecuzione forzata da svolgersi nell’ordinamento di altro Stato membro. Ne segue che la riserva doveva certamente essere intesa nel senso che al giudice nazionale era attribuita in primo luogo l’attività giurisdizionale in cui si concreta l’esecuzione, cioè lo svolgimento dell’attività processuale che si identifica con l’esecuzione. Inoltre, la riserva riguardava anche l’attività giurisdizionale che fosse stata espressione di un potere decisorio cognitivo riguardo al se tale attività potesse aver luogo e ciò per la sua attitudine ad incidere su quell’attività giurisdizionale. Questa esegesi era, del resto, imposta da un precedente della Corte di Giustizia CEE, quello reso il 4 luglio 1985 nella causa C 220-84, AS Antonielli c. Mahlè, che è stato evocato nel ricorso. Detta seconda attività giurisdizionale è quella che si esprime nelle figure di azione attribuite a chi subisce l’esecuzione forzata per bloccarne lo svolgimento o comunque per incidere su di essa. La riserva in tale caso concerneva il rimedio cognitivo in tal senso attribuito, in quanto incidente sull’esecuzione forzata in corso davanti al giudice nazionale. Tale duplice implicazione dell’interpretazione del n. 5 dell’art. 22 citato era imposta dal riferimento di esso al territorio in cui l’esecuzione ha luogo , espressione che implicava, in definitiva, che la riserva dell’attività giurisdizionale di esecuzione e di quella idonea ad incidere sull’esecuzione forzata, riguardassero la giurisdizione esecutiva direttamente esplicantesi nell’ordinamento nazionale e la giurisdizione cognitiva che la riguardasse. Avuto riguardo al fatto che nell’ordinamento italiano, come rimedi cognitivi incidenti in via diretta sull’esecuzione forzata vengono in rilievo le opposizioni in materia esecutiva, si doveva allora concludere che la riserva al giudice italiano concernesse l’esplicarsi dell’attività giurisdizionale concretantesi in dette opposizioni, in quanto relativa ad un’esecuzione forzata pendente o minacciata nel territorio nazionale. Ne seguiva che, qualora un’opposizione all’esecuzione minacciata come da svolgersi in Italia o pendente in Italia, fosse stata introdotta non già davanti al giudice italiano, bensì davanti ad un giudice di altro Stato membro e tale giudice avesse reputato di esercitare la giurisdizione e di pronunciare una decisione al riguardo, si sarebbe avuta senza dubbio la conseguenza che, qualora della decisione si fosse chiesto il riconoscimento in Italia, esso non avrebbe potuto concedersi, perché sarebbe stato impedito a norma dell’art. 35, comma 1, del Regolamento n. 44 del 2001, cioè perché la decisione si sarebbe dovuta considerare come espressione di giurisdizione in materia di esecuzione forzata in violazione dell’art. 22 n. 5, in quanto relativa ad un’esecuzione non pendente nel territorio dello Stato di quel giudice, bensì in Italia. 2.2. Mette conto di rilevare, al contrario, che si collocava certamente al di fuori dell’ambito dell’art. 22 n. 5 una decisione, da parte del giudice dello Stato membro, di un’opposizione all’esecuzione minacciata o in corso nel territorio nazionale di quel giudice. E ciò per l’evidente ragione che essa non avrebbe riguardato un’esecuzione minacciata o in corso nel territorio italiano. 3. Ebbene, con specifico riguardo alla vicenda oggetto di lite - in cui un’esecuzione è stata introdotta davanti al Tribunale di Lucca sulla base di un atto notarile tedesco cui si è dato riconoscimento in Italia evidentemente ai sensi dell’art. 57 del Regolamento - l’interrogativo che ci si deve porre è il seguente iniziata un’esecuzione nel territorio nazionale sulla base di un titolo esecutivo giudiziale o stragiudiziale formatosi nell’ordinamento di uno Stato membro e riconosciuto esecutivo in Italia, la successiva decisione del giudice dello Stato di formazione del titolo, che, a seguito dello svolgimento di un procedimento a ciò deputato nello Stato di formazione del titolo, abbia inciso su di esso privandolo della forza di titolo esecutivo o ridimensionandola, deve reputarsi, in quanto se ne chieda il riconoscimento, non delibabile ai sensi dell’art. 35, comma 1, del Regolamento, perché - è questo, in definitiva, il senso della prospettazione della ricorrente - dal riconoscimento deriva, come implicazione, la possibilità di un suo utilizzo per paralizzare od incidere sull’esecuzione forzata pendente in Italia e, quindi, una conseguenza che possa dirsi vietata dall’art. 22 n. 5? All’interrogativo deve darsi decisamente una risposta negativa. 3.1. È sufficiente osservare che in tal caso, essendo stata l’esecuzione forzata, pendente in Italia, introdotta sulla base di un titolo esecutivo giudiziale o stragiudiziale formatosi all’estero, il provvedimento giurisdizionale del giudice dello Stato estero di formazione del titolo, dispiega la sua incidenza non già in modo diretto sull’esecuzione forzata, ma sull’efficacia del titolo e lo fa legittimamente perché il titolo si è formato in quell’ordinamento e non nell’ordinamento italiano. È vero che l’utilizzazione del provvedimento, una volta riconosciuto, con riferimento all’esecuzione forzata pendente in Italia, potrà comportare una incidenza su di essa, ma, in tanto è vero che tale incidenza dovrà passare attraverso la necessaria investitura del giudice italiano dell’esecuzione con l’apposito rimedio previsto dall’ordinamento italiano, quello dell’opposizione all’esecuzione, per far valere la sospensione o il ridimensionamento o la cessazione dell’efficacia di titolo esecutivo del precedente provvedimento giurisdizionale estero o dell’atto negoziale estero, che era stato utilizzato per iniziare l’esecuzione. Ne segue allora che sarà soltanto l’esercizio della giurisdizione italiana così investita a realizzare l’incidenza sull’esecuzione forzata e, dunque, il monopolio della giurisdizione sull’esecuzione forzata, previsto dall’art. 22 n. 5 risulta rispettato. Al giudice dell’esecuzione dell’ordinamento nazionale competerà solo un controllo formale circa la correlazione del provvedimento giurisdizionale del giudice dello Stato estero con il titolo esecutivo, mentre non competerà alcun controllo sulla valutazione che ha portato il giudice straniero dello Stato di formazione del titolo giudiziale o negoziale a privarlo della sua efficacia di titolo esecutivo. Ma ciò non è in contraddizione con la riserva all’ordinamento interno dell’esecuzione forzata, giacché detta valutazione concerne direttamente il valore del provvedimento come titolo esecutivo, che è un valore che nell’ordinamento italiano è stato riconosciuto anteriormente ad esso in quanto formatosi all’estero e, dunque, nel presupposto che una successiva decisione giurisdizionale dello Stato estero, sempre riconosciuta a sua volta, non lo vanificasse o non incidesse su di esso. È palese che sarebbe paradossale predicare che l’art. 22 n. 5, di fronte ad un’esecuzione forzata basata su un titolo esecutivo formatosi in uno Stato membro e riconosciuto nell’ordinamento italiano, impedisse il successivo riconoscimento di una successiva decisione del giudice di quello Stato, che privasse quel titolo dell’efficacia di titolo esecutivo. E ciò per l’attitudine di tale privazione ad incidere sull’esecuzione forzata in corso. Un simile impedimento poteva trovare giustificazione, evidentemente, soltanto su un altro e diverso piano, cioè qualora, in sede di riconoscimento della decisione del giudice dello Stato membro incidente sull’efficacia del titolo esecutivo fosse emersa una ragione ostativa al riconoscimento ai sensi degli artt. 34 e 35, primo comma, del Regolamento. In sostanza la ragione ostativa al riconoscimento doveva riguardare la successiva decisione come tale e non si configurava in quanto poi la decisione, una volta riconosciuta, si fosse potuta utilizzare per postularne una incidenza, attraverso i mezzi previsti dall’ordinamento interno, sull’esecuzione forzata introdotta in tale ordinamento in forza del titolo esecutivo a suo tempo riconosciuto. 3.2. Giusta le svolte considerazioni, il principio di diritto che si deve affermare è il seguente nel regime del Regolamento n. 44 del 2001, qualora un’esecuzione forzata fosse stata iniziata in Italia sulla base di un titolo esecutivo, giudiziale o negoziale, formatosi in uno Stato membro dell’Unione e riconosciuto nell’ordinamento italiano, il riconoscimento di una successiva decisione giurisdizionale del giudice di quello Stato, incidente sull’efficacia esecutiva del titolo, non trovava ostacolo nella riserva alla giurisdizione nazionale dell’esecuzione forzata, prevista dal’art. 22 n. 5 del detto regolamento . 4. Con il secondo motivo si prospetta violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3.pc., in relazione agli artt. 94 c.p.c. e 490 c.c. . Vi si censura la sentenza impugnata, là dove ha disatteso il primo motivo di opposizione, con cui la P. aveva dedotto che la richiesta di exequatur avrebbe dovuto essere proposta contro l’eredità beneficiata in persona di chi la rappresentava e non nei suoi confronti personalmente, nonché che per tale ragione era illegittima la sua condanna alle spese. La critica si sostanzia nel prospettare che, pur essendo vero - come ritenuto dalla sentenza impugnata - che l’effetto dell’accettazione beneficiata non è quello di generare due distinti soggetti di diritto, è, tuttavia, quello di determinare l’insorgere di due patrimoni separati. In relazione a ciò, si prospetta che numerose disposizioni, come l’art. 531 c.c., l’art. 704 c.c., l’art. 712 c.c., l’art. 461 c.c. evidenzierebbero una regola per cui in tutti i casi in cui vengono in rilievo soggetti diversi dall’erede, le spese processuali sostenute sono a carico dell’eredità. Si deduce, quindi, che l’art. 94 c.p.c. equiparerebbe l’erede con beneficio d’inventario ad un soggetto che agisce nell’interessi di altri, come il tutore, il curatore, il rappresentate. Ed ancora che anche nell’ipotesi in cui, chiuso l’inventario, l’erede accetti l’eredità, si ritiene che le spese fatte per l’eredità siano a collocare in prededuzione rispetto ai debiti ereditari. Tutto ciò non sarebbe stato considerato dalla corte fiorentina ed avrebbe dovuto comportare che delle spese del giudizio la P. non venisse gravata personalmente. 4.1. Il motivo è privo di fondamento. Il motivo si disinteressa, innanzitutto, dell’affermazione della sentenza impugnata che, essendosi avuta la pronuncia del giudice tedesco oggetto della richiesta di fra la P. e il M.L. , ne conseguiva che necessariamente costui dovesse chiedere il riconoscimento contro la medesima P. . Nell’illustrazione del motivo non v’è alcuna specifica critica a tale affermazione. Sicché, il motivo è inidoneo ad assumere il valore di critica alla ratio decidendi della sentenza impugnata e, pertanto, inammissibile. Peraltro, il motivo non sembra censurare il rigetto del primo motivo di appello, ma, piuttosto, preoccuparsi che la condanna alle spese giudiziali comminata alla P. non si possa intendere come ad essa riferibile in relazione alla sua posizione di accettante con beneficio di inventario. Ora, fermo che nulla nella decisione risulta affermato, è palese che il motivo pone un problema che non riguarda l’ingiustizia della sentenza quanto alla condanna alle spese, siccome riferibile alla P. personalmente e non già nella sua qualità di accettante con benefici di inventario, bensì la possibilità che essa, allorquando verrà in rilievo la gestione dell’eredità accettata con beneficio di inventario, l’esborso sostenuto dalla P. non possa considerarsi come imputabile al compendio ereditario. Ma, poiché la sentenza, come s’è detto, nulla ha detto al riguardo, non si vede come possa sostenersi che alla P. in quella sede sarà precluso di sostenere questa imputabilità. D’altro canto, allorquando la posizione della parte quale erede accettante con beneficio di inventario venga dedotta come tale, in correlazione con la situazione giuridica attiva o passiva azionata in giudizio, e non sia stata posta in discussione nel processo da essa o contro di essa instaurato, non è dubitabile che le conseguenze della soccombenza di detta parte e, quindi, anche della soccombenza sulle spese giudiziali, siano riferibili ad essa nella qualità, con la conseguenza che debba trovare applicazione la regola per cui l’erede non è tenuto oltre il valore dei beni a lui pervenuti art. 490, n. 2 2740 cod. civ. e ciò, sia quanto all’efficacia della decisione fra le parti, sia quanto all’efficacia di essa ai fini delle eventuali attività relative alle successive vicende dell’eredità beneficiata per riferimenti si veda la remota Cass. n. 3713 del 1977 . 5. Non è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di cassazione. Essendo stata ammessa la P. al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del giudizio di cassazione. Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13.