Domanda per equa riparazione del processo iure proprio: indennizzo solo se l’erede è costituito nel giudizio

Ai fini del riconoscimento dell’indennizzo da equa riparazione del processo rivendicato dagli eredi di una parte processuale iure proprio è errato considerare ai fini del computo l’intera durata del giudizio, quale riferimento temporale di determinazione del danno, senza valutare che l’erede assume la qualità di parte ad ha diritto alla definizione del giudizio in tempi ragionevoli solo con la sua costituzione nel giudizio presupposto.

La Sesta sezione della Corte di Cassazione con la pronuncia n. 17991 depositata il 14 settembre 2016 torna ad occuparsi di equa riparazione del processo in una ipotesi peculiare, quella in cui la pretesa risarcitoria contro il Ministero venga avanzata dagli eredi della parte pregiudicata dalla durata della causa. Il fatto. La vicenda è singolare giacché la Corte di Appello aveva accolto la domanda di equa riparazione del processo formulata da due soggetti in proprio e quali eredi della parte deceduta durante la causa. Il risarcimento era stato richiesto per il giudizio di appello introdotto dal de cuius nel 2004 e definito nel 2010, mentre le eredi si erano costituite nella causa nel 2009, a distanza quindi di quattro anni dalla morte del proprio dante causa. Il Ministero della Giustizia soccombente impugnava la decisione dinanzi alla Corte di Cassazione sostenendo la violazione e falsa applicazione della legge n. 89/2001 articoli 2, 3 e 6. Il diritto di rivendicare la pretesa iure proprio spetta alla parte processuale. Gli Ermellini premettevano che ai sensi della citata legge, il diritto indennitario possa essere rivendicato dagli eredi iure proprio , per il tempo eccedente la ragionevole durata del processo e sempre che fossero costituiti in giudizio. Solo la qualità di parte processuale infatti consente agli eredi di rivendicare la pretesa economica, non rilevando a tal fine la continuità processuale della sua posizione rispetto a quella del suo dante causa come prevista dall’articolo 110 c.p.c Ciò in quanto il principio su cui si fonda il meccanismo dell’equa riparazione non è quello dell’automatismo della sanzione, richiedendosi una personalizzazione della sanzione modulabile a seconda dello specifico danno patrimoniale o non patrimoniale. I segmenti temporali presi in considerazione. Tanto posto l’organo di legittimità distingueva i segmenti temporali per i quali era stata richiesta la riparazione. Il primo, durante il quale il de cuius era ancora in vita, - per cui era stata avanzata domanda iure hereditatis - durato solo pochi mesi, giacché, come anticipato, il procedimento era stato incardinato nel 2004 mentre il decesso era intervenuto nel 2005 con riferimento a tale lasso temporale alcun pregiudizio da irragionevole durata del processo poteva dirsi maturato in capo al de cuius , con conseguente intrasmissibilità agli eredi. Il secondo lasso temporale concerneva invece la richiesta risarcitoria formulata in proprio. Nonostante il decesso risalisse al 2005 gli eredi si erano formalmente costituiti in giudizio solo nel 2009, con causa definita poi nel 2010. A parere della Cassazione, il giudice decidente aveva trascurato di considerare tale elemento di fatto, valorizzando invece l’intero arco temporale dal 2005 al 2010, omettendo quindi di concludere che l’erede assume la qualità di parte processuale solo dopo la sua costituzione in giudizio, solo così potendo influire la sua presenza sull’esito del giudizio medesimo. Concludendo. Conseguentemente nel caso di specie alcuna equa riparazione andava riconosciuta né iure hereditatis né iure proprio ai richiedenti, con conseguente rigetto della domanda.

Corte di Cassazione, sez. VI – 2 Civile, sentenza 15 marzo – 14 settembre 2016, n. 17991 Presidente Manna – Relatore Falaschi Svolgimento del processo Con decreto del 20 giugno 2013 la Corte d’appello di Perugia ha accolto la domanda proposta da N.R. e P. , in proprio e nella qualità di eredi di N.F. , intesa ad ottenere l’equa riparazione del danno non patrimoniale conseguente alla durata non ragionevole di un giudizio introdotto nell’anno 1992 dinanzi al Tribunale di Frosinone, fase per la quale vi era stato già il ristoro, e proseguito poi avanti alla Corte di appello di Roma, con atto notificato dal medesimo de cuius nel settembre 2004, definito nel settembre 2010, costituite le eredi nel settembre 2009, commisurato l’indennizzo in Euro 350,00 iure hereditatis ed Euro 1.000,00 iure proprio per ciascuna ricorrente limitatamente al grado di appello. Per la cassazione di tale decreto il Ministero della giustizia ha proposto ricorso, affidato a tre motivi. Fissata pubblica udienza al 9 aprile 2015, con ordinanza interlocutoria è stata disposta la rinnovazione della notificazione del ricorso, adempimento assolto dall’Amministrazione con atto notificato il 2 novembre 2015, e rinviata la causa a nuovo molo. Le N. sono rimaste intimate anche dopo l’ulteriore notificazione. Motivi della decisione Il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione semplificata nella redazione della sentenza. Con il primo motivo, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3 e 6 della legge n. 89 del 2001 in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., il Ministero lamenta l’erronea attribuzione dell’indennizzo alle N. sia iure hereditatis sia iure proprio , in quanto alle stesse non spetterebbe essendo il de cuius , introdotto il gravame con atto di citazione notificato nel settembre 2004, deceduto il 1.7.2005, per cui nessun ritardo sarebbe maturato del pari, per la fase successiva, poiché le originarie ricorrenti si erano costituite nel giudizio presupposto solo nel settembre 2009, definito con sentenza del settembre 2010. La censura è fondata. Occorre premettere che, nel caso di specie, vi è la necessità di distinguere l’azione esercitata dalle N. , quali eredi di N.F. , da quella relativa alla durata non ragionevole del processo vantata iure proprio dalle stesse N. . In tema di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, qualora la parte costituita in giudizio sia deceduta anteriormente al decorso del termine di ragionevole durata del processo, l’erede ha diritto al riconoscimento dell’indennizzo, iure proprio, soltanto per il superamento della predetta durata verificatasi con decorrenza dal momento in cui, con la costituzione in giudizio, ha assunto a sua volta la qualità di parte, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la continuità della sua posizione processuale rispetto a quella del dante causa, prevista dall’art. 110 c.p.c., in quanto il sistema sanzionatorio delineato dalla CEDU e tradotto in norme nazionali dalla L. n. 89 del 2001 non si fonda sull’automatismo di una pena pecuniaria a carico dello Stato, ma sulla somministrazione di sanzioni riparatorie a beneficio di chi dal ritardo abbia ricevuto danni patrimoniali o non patrimoniali, mediante indennizzi modulabili in relazione al concreto patema subito, il quale presuppone la conoscenza del processo e l’interesse alla sua rapida conclusione Cass. n. 23416 del 2009 Cass. n. 2983 del 2008 . In altri termini, non può assumersi come riferimento temporale di determinazione del danno l’intera durata del procedimento, ma è necessario procedere ad una ricostruzione analitica delle diverse frazioni temporali al fine di valutarne separatamente la ragionevole durata, senza, tuttavia, escludere la possibilità di un cumulo tra il danno morale sofferto dal dante causa e quello personalmente patito dagli eredi nel frattempo intervenuti nel processo, non ravvisandosi incompatibilità tra il pregiudizio patito iure proprio e quello che lo stesso soggetto può far valere pro quota e iure successionis , ove già entrato a far parte del patrimonio del proprio dante causa in termini, Cass. n. 21646 del 2011 nello stesso senso Cass. n. 10517 del 2013 Cass. n. 995 del 2012 Cass. n. 1309 del 2011 Cass. n. 13803 del 2011 . In proposito, giova ricordare che di recente Cass. n. 4004 del 2014 questa Corte, nel ribadire il principio di cui sopra, ha chiarito che a diverse conclusioni in merito alla computabilità del periodo tra il decesso dell’originaria parte nel giudizio presupposto e la costituzione dei suoi eredi non può neanche pervenirsi, traendo spunto dalla recente sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 585 del 2014, che, dirimendo un contrasto tra sezioni semplici in merito alla possibilità che il contumace nel processo presupposto possa far valere il diritto all’equa riparazione per la non congrua durata dello stesso, ha statuito la equiparazione - ai fini della possibile insorgenza del diritto al ristoro del danno non patrimoniale - tra parti costituite e parti chiamate a partecipare a quel giudizio, ma in esso non intervenute, proprio alla luce dei postulati predetti. Non può neanche sottacersi che nella recente sentenza - di irricevibilità - della Seconda Sezione della CEDU del 18 giugno 2013, in causa Fazio e altri c. Italia, si è affermato che la qualità di erede di una parte nel procedimento presupposto non conferisce, di per sé, il diritto a considerarsi vittima della, eventualmente maturata, durata eccessiva del medesimo e che l’interesse dell’erede alla conclusione rapida della causa difficilmente è conciliabile con la sua mancata costituzione nello stesso, dato che solo attraverso l’intervento nel procedimento l’avente diritto ha l’opportunità di partecipare e di influire sull’esito dello stesso. Nella specie risulta, quindi, illogico e incoerente il computo della durata irragionevole determinato dalla corte di merito quanto alla determinazione del diritto iure hereditatis, dal momento che al tempo del decesso di N.F. alcun credito era caduto in successione per essere decorsi solo nove mesi dall’introduzione del giudizio di appello. Inoltre la Corte di appello di Perugia ha errato anche nel considerare, ai fini del computo della durata complessiva del giudizio quanto alla posizione vantata iure proprio , quale riferimento temporale di determinazione del danno l’intera durata del procedimento, senza valutare che l’erede assume la qualità di parte cfr., in tema di impugnazione, Cass., 17 aprile 2012, n. 5992 ed ha diritto a una definizione del giudizio in tempi ragionevoli solo dalla sua costituzione nel giudizio presupposto, per cui essendo decorso solo un anno fra la loro costituzione nel giudizio in prosecuzione e la sua definizione, nessun ritardo risulta maturato. Con il secondo ed il terzo motivo l’Amministrazione deduce il vizio di motivazione, oltre a violazione dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001, quanto alla mancata verifica di una effettiva legittimazione attiva delle N. essendo parte del giudizio presupposto l’impresa Riam. Le censure rimangono assorbite dall’accoglimento del primo mezzo. Dunque, alla luce delle considerazioni sopra svolte, il primo motivo di ricorso va accolto, assorbiti i restanti, con conseguente annullamento del decreto impugnato nei sensi di cui in motivazione. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2. Nel merito la domanda di equa riparazione per il danno non patrimoniale va pertanto rigettata. Le spese del giudizio innanzi alla Corte d’appello vanno poste a carico per l’intero delle N. , per il principio di soccombenza. P.Q.M. La Corte, accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti cassa il decreto impugnato in relazione alla censura accolta e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di equa riparazione condanna le N. alla rifusione delle spese del giudizio di merito e di legittimità, liquidate, per ciascuna fase, in Euro 500,00, oltre a spese prenotate e prenotande a debito.