La notificazione dell’impugnazione equivale, per il notificante, alla notificazione della sentenza

La notifica di un primo atto di appello o ricorso per cassazione avvia una dinamica impugnatoria al fine di pervenire alla definizione della lite e dimostra conoscenza legale della sentenza da parte dell’impugnante. Ne consegue che qualora questi, prima che sia giunta declaratoria di inammissibilità od improcedibilità, notifichi una seconda impugnazione, quest’ultima deve risultare tempestiva in relazione al termine breve decorrente dalla data di proposizione della prima impugnazione.

E’ quanto stabilito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella pronuncia n. 12084 del 13 giugno 2016. Il caso. Una società conveniva in giudizio l’Amministrazione comunale chiedendo la risoluzione per inadempimento di un contratto di appalto. Accolta la domanda in primo grado, il Comune proponeva appello, notificando l’atto alla società nonostante la stessa fosse stata dichiarata fallita. Detto giudizio veniva abbandonato e il Comune riproponeva l’impugnazione, questa volta notificando l’appello al procuratore della società e al curatore del fallimento. La Corte d’appello adita, in accoglimento dell’eccezione preliminare sollevata dall’appellata, dichiarava tardivo l’appello in quanto il termine breve di cui all’art. 325 c.p.c. risultava decorso dalla notificazione del primo atto di appello. Il Comune si rivolgeva, quindi, alla Corte di Cassazione e il ricorso veniva assegnato alle Sezioni Unite. La nullità del gravame non impedisce la riproposizione dell’appello. Il ricorrente sostiene di aver proceduto alla notifica alla società perché incolpevolmente ignaro del fatto che nelle more del giudizio di appello la stessa fosse stata dichiarata fallita. Nella specie, è sottoposta a critica l’interpretazione secondo la quale, proposto un secondo atto di appello, destinato a sostituire il primo, la tempestività della seconda impugnazione debba essere valutata in relazione al termine breve decorrente dalla data di proposizione della prima impugnazione, equivalendo essa alla conoscenza legale della sentenza da parte dell’impugnante. Nel respingere il ricorso, le Sezioni Unite osservano innanzitutto che i due presupposti da cui muove il ricorso, ossia la declaratoria di nullità del primo atto di appello e la scusabilità dell’ignoranza del fallimento di parte appellata, siano di fatto insussistenti. Invero, il primo giudizio non è pervenuto a sentenza, ma è stato spontaneamente abbandonato da parte ricorrente. Non vale, quindi, il principio per cui la disposizione dell’art. 358 c.p.c., che impedisce la riproposizione dell’appello dichiarato inammissibile o improcedibile, non è applicabile nel caso in cui venga dichiarata la nullità del gravame. L’onere di individuare correttamente il soggetto passivo. Sotto altro profilo, gli Ermellini richiamano il principio per cui la parte appellante è tenuta ad usare una diligenza adeguata nel verificare che, al momento della notificazione, l’atto sia rivolto contro soggetto ancora legalmente esistente. Del resto, una volta costituitosi in giudizio il fallimento, l’appellante avrebbe potuto insistere per far valere la validità o sanabilità dell’impugnazione inizialmente proposta. Al contrario, il Comune ha preferito abbandonare il giudizio e proporre una seconda impugnazione. Vale dunque il principio per cui fino a quando non intervenga una declaratoria di inammissibilità può essere proposto un secondo atto di appello, immune dai vizi del precedente e destinato a sostituirlo, sempre che la seconda impugnazione risulti tempestiva, dovendo la tempestività valutarsi, anche in caso di mancata notificazione della sentenza, non in relazione al termine annuale, bensì in relazione al termine breve decorrente dalla data di proposizione della prima impugnazione. La notifica dell’appello fa decorrere il termine breve anche per l’impugnante. Respinto il ricorso, le Sezioni Unite ritengono opportuno esaminare il principio di diritto che sorregge la decisione impugnata, ossia che la notificazione dell’impugnazione inammissibile o improcedibile è equipollente alla notificazione della sentenza, con la conseguenza che decorre il termine breve per l’impugnazione anche se la sentenza non sia stata notificata. Invero detto principio, seppur sottoposto a critica da parte della dottrina, è stato riconfermato dalle Sezioni Unite. I rilievi critici mossi dalla dottrina. Le critiche della dottrina muovono dalla considerazione per cui la mera conoscenza legale della sentenza impugnata, implicita nel proporre il gravame, in altri casi non viene considerata dalla Corte quale fonte dell’obbligo di impugnare entro il termine breve, poiché questo obbligo è riconnesso dall’art. 285 c.p.c. soltanto alla specifica notificazione della sentenza fatta al procuratore dell’altra parte. Ad esempio, il decorso del termine non scatta ove la parte vincitrice curi la notificazione della stessa sentenza, così dimostrando di conoscerla, ma soltanto ai fini di porla in esecuzione nei confronti della parte soccombente, in tal caso personalmente destinatario dell’atto notificato. È poi criticato l’argomento che fa leva sul disposto dell’art. 326, comma 2, c.p.c. – a norma del quale l’impugnazione di una sentenza pronunciata in cause scindibili proposta contro una parte fa decorrere nei confronti dello stesso soccombente il termine per proporla contro le altre parti – sul rilievo che la disposizione avrebbe ambito limitato al processo con pluralità di parti in causa scindibile. Anche l’argomentazione sistematica desunta dall’art. 333 c.p.c. – che impone alle parti che ricevono la notificazione di un’impugnazione di proporre subito le loro impugnazioni incidentali – è disconosciuta dalla dottrina, la quale evidenzia che, nel caso di impugnazione per errore nella scelta nel mezzo, l’appellato o l’intimato non ha onere di impugnare in via incidentale. La riaffermazione della tesi consolidata. Invero, le Sezioni Unite, respingendo le osservazioni critiche della dottrina, ribadiscono la validità dell’orientamento tradizionale. All’uopo, gli elementi che vengono abitualmente esaminati consistono nella conoscenza della sentenza da parte del notificante, nell’efficacia bilaterale della notificazione nonché nel principio di unitarietà del processo nelle fasi di gravame. Osservano i Giudici delle Sezioni Unite che nessuno dei tre principi richiamati sarebbe determinante, in quanto la ratio del principio innanzi richiamato riposerebbe sulla esigenza di far formare il giudicato contemporaneamente per tutte le parti nonché di voler stimolare l’esercizio del potere di impugnazione al fine di accelerare la formazione del giudicato. Risulta quindi priva di pregio la critica sollevata dalla dottrina in relazione al disposto di cui all’art. 326, comma 2, c.p.c. dal momento che ciò che rileva non è solo il pur indispensabile presupposto della conoscenza della sentenza, ma è soprattutto la volontà di accelerare la fine del processo. La tesi in parola è poi rafforzata dal principio di parità delle armi il riferimento è all’art. 333 c.p.c. e alle sperequazioni che si creerebbero in danno degli appellati, costretti a reagire sollecitamente alla prima impugnazione e poi esposti ai ripensamenti e alle riproposizioni dei gravami nel termine lungo. L’interpretazione accolta risulta, poi, conforme ai principi del giusto processo, in particolare a quello della ragionevole durata del processo e della certezza del diritto. Sotto quest’ultimo profilo, le Sezioni Unite osservano che, sebbene non esista nel nostro sistema processuale una norma che imponga la regola dello stare decisis ”, essa costituisce tuttavia una tendenza immanente nell’ordinamento, stando alla quale non è consentito discostarsi da un’interpretazione del giudice di legittimità senza forti ed apprezzabili ragioni giustificative. Tutte le considerazioni svolte inducono quindi ad escludere che siano emerse ragioni per discostarsi dalla lettura tradizionale, che è dunque da mantenere.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 12 gennaio – 13 giugno 2016, numero 12084 Presidente Rordorf – Relatore D’Ascola Fatti di causa 1 Il 7 aprile 1993 la Italservizi s.r.l. conveniva davanti al Tribunale di Cremona il Comune di Scandolara Ravara, chiedendo la risoluzione per grave inadempimento del contratto di appalto per il noleggio di un’apparecchiatura di misurazione della velocità , con condanna del Comune al risarcimento dei danni. A seguito di declinatoria di incompetenza territoriale, la causa veniva riassunta davanti al tribunale di Brescia il 1 febbraio 1995 e decisa con sentenza di accoglimento del 3 settembre 2003. Il Comune di Scandolara Ravara interponeva appello con atto di citazione notificato alla Italservizi s.r.l. il 3 novembre 2003. Il Fallimento della società Italservizi si costituiva in giudizio deducendo cfr. ricorso pag. 6 che la società era stata dichiarata fallita dal tribunale di Brescia con sentenza del 30 giugno 2003 e che l’appello era nullo, in quanto notificato a soggetto non più esistente . Il giudizio veniva abbandonato ex artt. 181 e 309 cod. proc. civ. cfr. comparsa di costituzione e risposta del Fallimento nel secondo giudizio di appello . Il Comune riproponeva l’impugnazione, notificando l’appello al procuratore della società e al curatore del Fallimento nel marzo 2004. Il Fallimento resisteva eccependo la tardività del gravame. 1.1 La Corte di Appello di Brescia, con sentenza depositata il 19 giugno 2007, accoglieva l’eccezione preliminare. Rilevava che il termine breve di cui all’art. 325 cod. proc. civ. risultava decorso dalla notificazione del primo atto di appello. Citava, al riguardo, Cass. 30 giugno 2006, numero 15082 e Cass. 27 ottobre 2005, numero 20912. Il ricorso per cassazione del Comune ha denunciato falsa applicazione dell’art. 358 c.p.c ed eventuale incostituzionalità, ex art. 24, della lettura di esso che ritenga applicabile il termine breve, anche quando l’appellante senza sua colpa non abbia avuto consapevolezza della nullità del gravame dopo che il termine era già decorso . Il Fallimento ha resistito con controricorso. La Prima Sezione con ordinanza numero 9782 del 2015 ha rimesso gli atti al Primo Presidente, il quale ha assegnato la causa alle Sezioni Unite civili. In corso di causa è stato nominato nuovo codifensore domiciliatario del controricorrente, sprovvisto però di procura notarile e quindi non ritualmente nominato Cass. 2460/15 . Le parti hanno depositato memorie. Ragioni della decisione 2 Il ricorso, soggetto al disposto dell’art. 366 bis c.p.c., sviluppa unico quesito mira a far affermare che la seconda impugnazione non poteva essere dichiarata tardiva, perché il primo giudizio era da considerare nullo, a causa della circostanza che il Comune aveva notificato l’atto di appello al difensore della controparte, e non al Fallimento, in quanto incolpevolmente ignaro del fatto che nelle more del giudizio di appello la srl Italservizi era stata dichiarata fallita. Il ricorso, nella parte motiva, attacca la interpretazione secondo la quale, proposto un secondo atto di appello, destinato a sostituire il primo, la tempestività della seconda impugnazione deve essere valutata non in relazione al termine c.d. lungo, bensì in relazione al termine breve decorrente dalla data di proposizione della prima impugnazione, equivalendo essa alla conoscenza legale della sentenza da parte dell’impugnante. Parte ricorrente chiede in subordine che sia sollevata questione di costituzionalità nei termini riferiti sub 1.1. 3 Il motivo di ricorso sembra muovere da presupposti di fatto insussistenti e non documentati la declaratoria di nullità del primo atto di appello e la scusabilità dell’ignoranza del fallimento di parte appellata. Consta infatti in primo luogo che il primo giudizio non sia pervenuto a sentenza, ma sia stato spontaneamente abbandonato da parte ricorrente. È quindi inappropriato il precedente invocato Cass. numero 3132 del 21/05/1984 , secondo il quale la disposizione dell’art. 358 cod. proc. civ., che impedisce la riproposizione dell’appello dichiarato inammissibile o improcedibile, non è applicabile nel caso in cui venga dichiarata la nullità del gravame. 3.1 In secondo luogo va osservato che parte della giurisprudenza la materia è stata rivisitata da SU 15295/2014 era alquanto severa in caso di errata identificazione del soggetto passivo della vocatio in ius e rigorosa nel pretendere, con penalizzanti conseguenze Cass. 11736/03 26279/09 14699/10 259/11 7676/12 , che le impugnazioni fossero rivolte verso la c.d. giusta parte. La consapevolezza dello stato della giurisprudenza imponeva l’uso di adeguata diligenza nel verificare che, al momento della notificazione, l’atto fosse rivolto contro soggetto ancora legalmente esistente. L’appellante, prima di notificare l’atto, avrebbe quindi dovuto esperire le opportune ricerche presso la locale Camera di Commercio, i pubblici uffici, le banche dati, per meglio verificare la destinazione del gravame. 3.2 In ogni caso, una volta costituitosi in giudizio il Fallimento, l’appellante avrebbe potuto insistere per far ritenere il vizio insussistente alla luce delle disposizioni art. 43 L. Fall. anteriforma e della giurisprudenza viventi cfr. specificamente, anche in motivazione, Cass. 4547/03 o sanato v. anche Cass. 7017/99 o sanabile, secondo i principi espressi nel 2005 da SU numero 15783 e che ora il ricorso adduce per giustificare ex post la propria condotta rinunciataria. Tale sentenza ebbe modo di rilevare, proprio limitatamente ai processi pendenti alla data del 30 aprile 1995 - rispetto ai quali non opera il nuovo testo dell’art. 164 cod. proc. civ., che consente la rinnovazione, con efficacia ex tunc , della citazione e dell’impugnazione in relazione alle nullità riferibili ai nnumero 1 e 2 dell’art. 163 cod. proc. civ. - che il dovere di indirizzare l’impugnazione nei confronti del nuovo soggetto effettivamente legittimato resta subordinato alla conoscenza o alla conoscibilità dell’evento, secondo criteri di normale diligenza, da parte del soggetto che propone l’impugnazione, essendo tale interpretazione l’unica compatibile con la garanzia costituzionale del diritto di difesa art. 24 Cost. . 3.3 Era in quella sede che parte ricorrente avrebbe dovuto quindi far valere la validità o sanabilità dell’impugnazione inizialmente proposta. Ha invece preferito agire come se l’appello fosse inammissibile o improcedibile o comunque insanabilmente viziato v. tra le tante Cass. numero 9569/00 20912/05 22957/10 . Lo ha abbandonato e ha proposto una seconda impugnazione, subendo cfr., per ipotesi di gravame non coltivato, già Cass., Sez. I, numero 2933/1952, fino a Cass. numero 21717/2012 l’applicazione del principio secondo cui fino a quando non intervenga una declaratoria di inammissibilità, può essere proposto un secondo atto di appello, immune dai vizi del precedente e destinato a sostituirlo, sempre che la seconda impugnazione risulti tempestiva, dovendo la tempestività valutarsi, anche in caso di mancata notificazione della sentenza, non in relazione al termine annuale, bensì in relazione al termine breve decorrente dalla data di proposizione della prima impugnazione SU numero 21864/07 . 4 Respinto il profilo caratterizzante dell’unico motivo di ricorso, deve essere comunque esaminato, per la rilevanza della questione anche nel caso in esame, il principio di diritto che sorregge la decisione impugnata e che la Prima Sezione ha ritenuto meritevole di riesame. L’ordinanza numero 9782/15 ha osservato che pressoché tutta la dottrina critica il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale la notificazione dell’impugnazione inammissibile o improcedibile è equipollente alla notificazione della sentenza e la conseguenza, cui esso conduce, di fare decorrere il termine breve per l’impugnazione anche se la sentenza non sia stata notificata . 4.1 Il Collegio rimettente ha menzionato queste argomentazioni a ai fini del decorso dei termini di impugnazione, la notificazione della sentenza non avrebbe equipollenti b la conoscenza effettiva della sentenza che la parte ottenga in un modo che non sia quello della notificazione o della pubblicazione dovrebbe rimanere irrilevante c la recente riduzione da un anno a sei mesi del c.d. termine lungo di decadenza per proporre le impugnazioni avrebbe fatto venir meno il temuto pregiudizio per la celerità dei procedimento , derivante dal negare la decorrenza del termine per impugnare coincidente con la notifica della prima impugnazione. 4.2 Le Sezioni Unite, pur consapevoli delle voci dissenzienti, intendono confermare e precisare l’orientamento tradizionale. La dottrina ha da almeno sessant’anni criticato la tesi secondo cui la notificazione dell’impugnazione equivale, per il notificante, alla notificazione della sentenza eseguita ex art. 285 c.p.c È stato fatto notare che la mera conoscenza legale della sentenza impugnata, implicita nel proporre il gravame, in altri casi non viene considerata dalla Corte quale fonte dell’obbligo di impugnare entro il termine breve, poiché questo obbligo è riconnesso dall’art. 285 c.p.c. soltanto alla specifica notificazione della sentenza fatta al procuratore dell’altra parte. Il decorso del termine non scatta, basti questo esempio, anche nel caso in cui la parte vincitrice curi la notificazione della stessa sentenza, così dimostrando di conoscerla, ma soltanto ai fini di porla in esecuzione nei confronti della parte soccombente, in tal caso personalmente destinataria dell’atto notificato. In sostanza, si rileva autorevolmente, non esiste rapporto alcuno tra conoscenza della sentenza e messa in moto dei termini brevi per impugnarla . 4.3 Altro argomento che la giurisprudenza tradizionale ha utilizzato è quello desumibile dall’art. 326 c.c. comma secondo, a tenore del quale Nel caso previsto nell’articolo 332, l’impugnazione proposta contro una parte fa decorrere nei confronti dello stesso soccombente il termine per proporla contro le altre parti . L’orientamento dominante riconnette portata di principio generale a questa norma cfr., tra le tante, Cass. 7 settembre 1993 numero 9393 . La dottrina contesta tale assunto, perché la disposizione avrebbe ambito limitato al processo con pluralità di parti in causa scindibile, al solo fine di garantire l’unità del procedimento nelle fasi di impugnazione. 4.4 Anche l’argomentazione sistematica desunta dall’art. 333 c.p.c. è disconosciuta dalla dottrina. Questa norma impone alle parti che hanno ricevuto notificazione a norma degli articoli precedenti di proporre subito le loro impugnazioni incidentali. La giurisprudenza ha rilevato che tale prescrizione riguarda anche le impugnazioni principali inammissibili 358 e 387 c.p.c. , che, se non fossero soggette alla regola elaborata dall’orientamento prevalente, potrebbero essere sostituite da nuovi gravami proposti nel termine lungo, mentre gli appellati o gli intimati resterebbero soggetti al termine breve. In dottrina si nega che una simile evenienza si verifichi in ogni caso ed anzi si evidenzia che nel caso di impugnazione per errore nella scelta del mezzo, l’appellato o l’intimato non ha onere di impugnare in via incidentale. E si aggiunge che nel caso in cui la prima impugnazione sia proposta in prossimità della scadenza del termine lungo, la parte appellata godrebbe di maggior termine rispetto a quello rimasto all’appellante per riproporre il gravame. 5 L’analisi dottrinale non è convincente, soprattutto se riguardata in relazione al valore intrinseco della stabilità della giurisprudenza in materia processuale. Sono stati prima ricordati i cardini dell’orientamento tradizionale. Si può aggiungere che l’assunto di fondo, legato alla conoscenza legale della sentenza, è stato corroborato sottolineando il principio della c.d. efficacia bilaterale della notifica della sentenza ex art. 285 c.p.c., in forza del quale il termine per impugnare decorre tanto per il notificato che per il notificante, il quale deve assoggettarsi all’effetto acceleratorio che ha voluto imporre alla controparte. Parimenti, si dice, accade per chi notifica l’impugnazione. 5.1 È da questo effetto acceleratorio che occorre muovere per cogliere l’elemento unificante che giustifica la tesi dominante. È stato detto oltre trent’anni or sono che la soggezione del notificante al termine breve di gravame non deriva essenzialmente da nessuno degli elementi che abitualmente vengono esaminati la conoscenza della sentenza da parte del notificante, l’efficacia bilaterale della notificazione, il principio di unitarietà del processo nelle fasi di gravame. Nessuno di essi sarebbe determinante la ratio riposerebbe sulla esigenza di far formare il giudicato contemporaneamente per tutte le parti, evitando ingovernabili incoerenze temporali. È opinione della Corte che si possa fare, su questa linea, un’ulteriore riflessione. La ratio della disposizione in esame è, scendendo ancor più a fondo, nel voler stimolare l’esercizio del potere di impugnazione al fine di accelerare la formazione del giudicato. Ora, come risulta dalla prima indagine ricostruttiva sulla consumazione del potere di impugnazione, il fondamento del meccanismo di cui agli artt. 358 e 387 c.p.c. sulla non riproponibilità delle impugnazioni dichiarate inammissibili, fa leva sull’esigenza di agevolare la certezza dei rapporti giuridici che scaturisce dalla fine del processo. In un’ottica più strettamente processualistica è stato sottolineato il favor per il consolidamento della decisione giudiziale e l’obbiettivo di limitare nel tempo l’instabilità di un provvedimento emesso dall’autorità giurisdizionale e non ancora coperto dal giudicato. Se questa è l’ottica in cui si muovono gli istituti di riferimento, è agevole comprendere come sia l’impulso acceleratorio, impresso al processo con la proposizione del gravame, il fattore che giustifica la decorrenza del termine breve per impugnare in capo a chi propone l’impugnazione. Questo atto innesca una dinamica processuale che fa trascendere il processo in un’orbita impugnatoria, dalla quale non può regredire per rientrare in una fase di stasi meditativa. A ben vedere, già la posizione di chi notifica la sentenza ex art. 285 c.p.c. ha una dimensione dinamica. Ancor maggiore lo è quella di chi non solo conosce la sentenza che deposita in cancelleria nel costituirsi dopo la notifica del gravame , ma la impugna. 5.2 La dottrina considera incoerente con la tesi dominante il negare il decorso del termine in capo a chi notifica la sentenza a fini esecutivi e si domanda se non vi sia anche in tal caso piena conoscenza della sentenza. Ritiene così di individuare un punto debole della giurisprudenza criticata. Il rilievo non coglie nel segno, perché non mette in conto che a qualificare la notifica dell’impugnazione è proprio la dimensione impugnatoria di questo atto, che lo rende ben diverso dalla notificazione della sentenza unita al precetto, di cui è un qualcosa in più e non in meno per un’analoga sottolineatura cfr in motivazione Cass. numero 1155/2013 . Secondo le Sezioni Unite ciò che rileva non è solo il pur indispensabile presupposto della conoscenza della sentenza comune all’ipotesi di cui all’art. 285 c.p.c. e al suo effetto bilaterale , ma è soprattutto la volontà di accelerare la fine del processo, scandendo il passaggio irretrattabile alla fase dell’impugnazione, con la conseguenza che la ripetizione dell’atto, ammessa nei limiti di cui al 358 c.p.c., non può che essere temporalmente limitata entro il termine breve. 5.3 La dottrina vorrebbe precludere in queste ipotesi un’applicazione, che dice analogica, dell’art. 326 c.p.c In realtà, se ci si muove nell’ottica che viene qui enunciata, trova conferma l’approfondimento giurisprudenziale più recente Cass. 21718/2012 10053/09, 14267/07 , secondo il quale l’operazione ermeneutica è semmai un’interpretazione meramente estensiva, che, com’è noto, è ammissibile pur in presenza di norme eccezionali , da riconnettere a quella situazione di notum facere realizzata dalla notificazione della sentenza, cui allude dell’art. 326 c.p.c., comma 1 . Ciò perché, come dianzi si è già esposto, la conoscenza della sentenza entra nel processo in quanto essa stessa è sottoposta a critica mediante un’impugnazione, la quale implica la conoscenza e la volontà di procedere oltre. A questo proposito va respinto il rilievo secondo cui ai fini della decorrenza dei termini la concomitanza di effetti tra notificazione della sentenza e notificazione dell’impugnazione sarebbe preclusa dalla circostanza che la prima mira a consolidare la sentenza e la seconda a caducarla. Entrambi gli atti pongono capo, per il fine che ci occupa, allo stesso obbiettivo, la stabilizzazione della decisione mediante l’accelerazione della scelta processuale successiva, tanto che sia percorsa quanto che sia omessa l’impugnazione possibile. 5.4 Il discorso introdotto dalle sentenze più recenti va completato e reso ancor più stringente includendo nella stessa costruzione il ruolo del secondo comma del già menzionato art. 326 comma secondo c.p.c Questo articolo è testualmente rivelatore dell’onere dell’impugnante di esercitare la sua facoltà di attacco entro il termine breve decorrente dal momento in cui lo esercita per la prima volta. La dottrina ha tentato più volte di marginalizzarne la portata affermata, tra le tante, da Cass. 14254/04 , limitandola al caso cui è espressamente riferito, quello delle cause scindibili. L’osservazione è debole, perché si può agevolmente osservare che l’enunciazione dell’onere è stata espressa solo in quella sede, in quanto solo lì era necessario esplicitarla la scindibilità delle cause poteva altrimenti far credere che l’impugnante potesse riservarsi, dopo la prima impugnazione, una valutazione sul da farsi per le altre posizioni, godendo pensosamente del termine lungo, pur dovendo il giudice procedere ex art. 332. La dottrina ha operato un tentativo più sofisticato, legato al progetto del codice di rito e all’origine storica della disposizione. Essa non sarebbe stata pensata per imporre un vincolo temporale limitativo all’impugnante, ma per favorirlo, consentendogli almeno di godere del termine breve. Diversamente sarebbe stato possibile ipotizzare che per il meccanismo dell’acquiescenza, una volta notificata un’impugnazione, potesse scattare anzitempo l’effetto preclusivo dell’impugnazione nei confronti delle altre parti del processo scindibile. Anche questa argomentazione non ostacola l’interpretazione accolta in questa sede. La norma varata va letta secondo un nesso coerenziatore e questo nesso si coglie bene se si legge la volontà del legislatore di favorire la formazione del giudicato con strumenti idonei 285, 325, 326 c.1 cpc unificare le impugnazioni art. 332 c.p.c. limitare la loro proliferazione artt. 358 e 387 c.p.c. ancorare il termine per le impugnazioni successive a un dato normativo, segnato nell’art. 326 comma secondo. Una volta che questa norma è entrata nel codice senza paramenti limitativi, non può che inserirsi nel filo ermeneutico che le dà respiro essa è confermativa, lì dove era necessaria, di un necessario senso acceleratorio che è impresso alla causa dalla proposizione di un’impugnazione. Vale quindi come utile e convergente riferimento interpretativo. 5.5 Anche il principio di parità delle armi, ora da intendere nell’accezione costituzionalizzata dall’art. 111 Cost. contribuisce a rafforzare la tesi sostenuta. Il riferimento è al già citato art. 333 cpc e alle sperequazioni che si creerebbero in danno degli appellati, costretti a reagire sollecitamente alla prima impugnazione e poi esposti ai ripensamenti e alle riproposizioni dei gravami nel termine lungo. La dottrina giustifica la propria tesi osservando che il problema non si porrebbe nel caso di mezzo di impugnazione sbagliato o di concorso di impugnazioni, ipotesi che non impongono impugnazioni incidentali nel medesimo processo. Essa è però costretta ad ammettere che il problema sorge nel caso di impugnazione inammissibile per motivi di carattere formale, rispetto alla quale si configura l’onere di reagire immediatamente in via incidentale. Basta questa eventualità, tutt’altro che rara per via dell’incremento di previsioni codicistiche sanzionatorie si pensi al 366, 366 bis, 379 c.p.c. , a far comprendere come sarebbe alquanto critica una opzione giurisprudenziale che offrisse ad una parte, per giunta colpevolmente incorsa in inammissibilità o improcedibilità che stiano per pregiudicare il gravame proposto, una via di sanatoria privilegiata rispetto all’avversario. 6 I principi del giusto processo trovano corrispondenza nell’interpretazione accolta. Lo si è appena osservato quanto alle condizioni di parità vale altrettanto quanto alla ragionevole durata. La giurisprudenza più recente, citata sub 5.3, ha sottolineato come la tesi tradizionale sia portatrice di un’opportuna tensione verso la ragionevole durata del processo. Si deve aggiungere che anche il principio della certezza del diritto compone i canoni del giusto processo regolato dalla legge. Soprattutto la legge processuale deve essere interpretata con rassicurante costanza, senza scarti innovativi che non siano giustificati da mutamenti del quadro normativo o da evidenze risolutive. Le Sezioni Unite hanno enunciato chiaramente questo orientamento quando hanno osservato Cass. SU 13620/12 che sebbene non esista nel nostro sistema processuale una norma che imponga la regola dello stare decisis , essa costituisce tuttavia una tendenza immanente nell’ordinamento, stando alla quale non è consentito discostarsi da un’interpretazione del giudice di legittimità senza forti ed apprezzabili ragioni giustificative. Mette conto ripetere testualmente quanto le Sezioni Unite sentenza 10143/2012 hanno già affermato Le regole del processo civile però hanno carattere strumentale della tutela dei diritti e la loro interpretazione, rispetto all’evoluzione di questi ossia delle situazioni sostanziali , è tendenzialmente stabile sicché la fedeltà ai precedenti stare decisis , in cui si esprime la funzione nomofilattica di questa Corte, ha una valenza maggiore, così come è in linea di massima giustificato e tutelabile l’affidamento che le parti fanno nella stabilità dell’interpretazione giurisprudenziale delle regole del processo. In proposito da una parte queste Sezioni Unite Cass. civ., sez. unumero , 18 maggio 2011, numero 10864 hanno elaborato una sorta di principio di precauzione, affermando che dinanzi a due possibili interpretazioni alternative della norma processuale, ciascuna compatibile con la lettera della legge, le ragioni di economico funzionamento del sistema giudiziario devono indurre l’interprete a preferire quella consolidatasi nel tempo, a meno che il mutamento dell’ambiente processuale o l’emersione di valori prima trascurati non ne giustifichino l’abbandono e consentano, pertanto, l’adozione dell’esegesi da ultimo formatasi . Nella stessa occasione si è dato atto della coesistenza, necessaria e possibile, con i fattori evolutivi del sistema processuale si è riflettuto sulla applicazione della dottrina del c.d. prospettive overruling si è riconosciuto che, come la giurisprudenza costituzionale ha elaborato la categoria dell’incostituzionalità sopravvenuta sent. numero 1 del 2012 , allo stesso modo la Corte di Cassazione può adeguare nel tempo l’interpretazione di una disposizione in ragione del diverso contesto normativo in cui si innesta e che quindi ci sia parimenti una modulazione diacronica del suo significato precettivo senza che ciò smentisca la natura meramente dichiarativa dell’interpretazione della legge fatta dalla giurisprudenza . L’analisi condotta nei precedenti paragrafi porta ad escludere che siano emerse ragioni per discostarsi dalla lettura abituale, che è dunque da mantenere. 7 Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso, dovendosi ritenere che La notifica di un primo atto di appello o ricorso per cassazione avvia una dinamica impugnatoria al fine di pervenire alla definizione della lite e dimostra conoscenza legale della sentenza da parte dell’impugnante. Ne consegue che qualora questi, prima che sia giunta declaratoria di inammissibilità od improcedibilità, notifichi una seconda impugnazione, quest’ultima deve risultare tempestiva in relazione al termine breve decorrente dalla data di proposizione della prima impugnazione. 7.1 Le spese di questo grado di giudizio possono essere interamente compensate, in considerazione della eccezionale condizione determinata dalla perdurante insistenza di opinioni a sostegno della svolta interpretativa evocata da parte ricorrente. P.Q.M. La Corte, a Sezioni Unite, rigetta il ricorso. Spese compensate.