Diritto di credito in un titolo di credito: un gioco di parole che incide anche sul pignoramento

Qualora il pignoramento di un diritto di credito incorporato in un titolo di credito intervenga con le forme dell’espropriazione di crediti prezzo terzi, anziché, come impone l’art. 1997 c.c., nelle forme del pignoramento diretto a carico del debitore principale in possesso del titolo, il soggetto pignorato che, in forza di esso sia debitore cartolare ha un interesse derivante dalla congiunta soggezione al non dover disporre della somma oggetto del credito consacrato nel titolo e dal rischio di vedersi chiedere il pignoramento da chi del titolo non sia in possesso a dolersi dell’illegittimità delle forme del pignoramento, può farlo con il mezzo dell’opposizione agli atti e non nel giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo.

Lo stabilisce la Corte di Cassazione nella sentenza n. 6536/16, depositata il 5 aprile. Tutto inizia con una sentenza di condanna. Il Tribunale di Roma condannava una s.r.l. al pagamento di somme di denaro in favore di una s.a.s., la quale procedeva – a sua volta – a pignoramento di asseriti crediti vantanti dalla prima nei confronti di un uomo. In effetti, quest’ultimo risultava debitore della s.r.l. di una somma a titolo di corrispettivo per la cessione di un ramo di azienda di un centro commerciale e per la quale si era impegnato attraverso il rilascio di titoli cambiari. A seguito di una complessa vicenda giudiziale, i giudici romani accertavano che il credito della s.r.l. era sussistente alla data del pignoramento riguardo agli effetti che non risultavano pagati a quella data, mentre i pagamenti effettuati successivamente al pignoramento erano inopponibili alla creditrice pignorante. Rigettato l’appello, l’uomo ricorre per cassazione. L’estinzione del debito va provata. Secondo il ricorrente, il rilascio delle cambiali era avvenuto non pro soluto ma pro solvendo costituiva, quindi pagamento del saldo prezzo e quindi novazione dell’originaria obbligazione. Gli Ermellini respingono al mittente tale censura nel caso di cessione pro solvendo , infatti, l’estinzione dell’obbligazione originaria si verifica solo con la riscossione del credito verso il debitore ceduto, per cui quest’ultimo deve provare non solo la cessione ma anche l’intervenuta estinzione del debito. Quando il credito è incorporato in un titolo Il ricorrente lamenta, poi, l’erronea applicazione, al suo caso, dell’art. 2917 c.c. secondo la sua opinione, la norma in questione non potrebbe essere chiamata in causa nell’ipotesi in cui il credito sottoposto a pignoramento sia individuato in titoli di credito, al cui pagamento l’emittente della cambiale non potrebbe sottrarsi inoltre, al momento del pignoramento presso terzi, egli ignorava chi fosse il proprio creditore che altri non poteva essere se non il terzo portatore del titolo. Anche la censura in questione non merita accoglimento per capire quanto sostenuto da Piazza Cavour, occorre ricordare che il credito oggetto del pignoramento era rappresentato dall’obbligazione assunta dal ricorrente nei confronti della s.r.l. per la cessione. Pertanto, il credito oggetto dell’obbligazione era stato incorporato nelle cambiali. In casi di questo genere – e cioè quando un credito sia incorporato in un titolo di credito –, l’imposizione del vincolo deve avvenire direttamente sul titolo stesso e la forma del pignoramento è quella relativa ai beni mobili, indipendentemente dal fatto che il titolo di credito sia stato girato o meno. il pignoramento va eseguito nella forma corretta. Se il pignoramento del diritto incorporato in un titolo di credito viene eseguito nella forma sbagliata, il mezzo di tutela a disposizione del debitore è l’opposizione agli atti esecutivi, da proporsi nel termini di cinque giorni dall’ingiunzione al debitore di astenersi dal compimento di atti diretti a sottrarre alla garanzia i beni che si assoggettano all’espropriazione, dalla quale dipende il pregiudizio del debitore e l’interesse dello stesso all’opposizione. Ne deriva che il ricorrente avrebbe dovuto proporre la doglianza relativa all’erronea forma del pignoramento in tal modo e non nel giudizio di accertamento della sua posizione di debitore. La Suprema Corte lo ribadisce con forza qualora il pignoramento di un diritto di credito incorporato in un titolo di credito intervenga con le forme dell’espropriazione di crediti prezzo terzi, anziché, come impone l’art. 1997 c.c., nelle forme del pignoramento diretto a carico del debitore principale in possesso del titolo, il soggetto pignorato che, in forza di esso sia debitore cartolare ha un interesse derivante dalla congiunta soggezione al non dover disporre della somma oggetto del credito consacrato nel titolo e dal rischio di vedersi chiedere il pignoramento da chi del titolo non sia in possesso a dolersi dell’illegittimità delle forme del pignoramento” può farlo con il mezzo dell’opposizione agli atti” e non nel giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo. Per quanto finora detto, il ricorso si intende respinto.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 4 dicembre 2015 – 5 aprile 2016, n. 6536 Presidente Amendola – Relatore Frasca Svolgimento del processo p.1. In forza di titolo esecutivo rappresentato da una sentenza di condanna del Tribunale di Roma del 12 maggio 2006 che aveva condannato la L.V.M. s.r.l. al pagamento di somme di danaro in suo favore, la Società A. Franchini & amp C. di M.F. s.a.s. in data 12 ottobre 2006 procedeva a pignoramento di asseriti crediti vantati alla L.V.M. nei confronti di vari soggetti e, fra di essi, di M.M. . Poiché all’udienza fissata per la dichiarazione del terzo non aveva luogo alcuna dichiarazione positiva del M. , la creditrice procedente chiedeva procedersi all’accertamento del credito della sua debitrice verso il medesimo ed il Giudice dell’Esecuzione presso il Tribunale di Roma dava corso al giudizio di cui all’articolo 548 c.p.c. nel testo allora vigente. p.2. Con sentenza del 3 ottobre 2008 il Tribunale di Roma accertava l’esistenza di un debito del M. verso la L.V.M. per la somma di Euro 104.650,00 a titolo di corrispettivo per la cessione, intervenuta per scrittura privata autenticata, di un ramo di azienda in un centro commerciale. Riteneva il Tribunale che il credito della L.V.M. per detta somma, in relazione al quale all’atto della scrittura erano state rilasciate alla medesima 72 cambiali con scadenza mensile dal 31 gennaio 2005 sino al 31 dicembre 2010, fosse sussistente alla data del pignoramento riguardo agli effetti che non risultavano pagati a quella data e argomentava che i pagamenti effettuati successivamente al pignoramento fossero inopponibili alla creditrice pignorante ai sensi dell’articolo 2917 c.c p.3. La sentenza veniva appellata dal M. e, nella costituzione della creditrice procedente e della L.V.M., la Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 13 dicembre 2012 ha rigettato l’appello. p.4. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il M. contro la Società A. Franchini & amp C. di M.F. s.a.s. e la L.V.M. s.r.l La Società A. Franchini & amp C. di M.F. s.a.s. ha resistito con controricorso, mentre non ha svolto attività difensiva la L.V.M. s.r.l p.5. Il ricorrente ha depositato memoria. Motivi della decisione p.1. In via preliminare va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per pretesa mancanza di riferibilità della procura in calce ad esso rilasciata, sollevata dalla resistente. La procura enuncia il conferimento del mandato nel presente giudizio avanti la Corte di Cassazione e, dunque, è assolutamente specifica lo sarebbe stata anche se tale riferimento non vi fosse stato, giusta il consolidato principio di diritto di cui a Cass. sez. un. n. 22119 del 2004. p.2. Con il primo motivo di ricorso per cassazione si denuncia violazione, falsa ed errata interpretazione dell’articolo 1230 c.c. articolo 360 n. 3 c.p.c. e si sostiene l’assunto della sentenza capitolina che il rilascio delle cambiali non potesse reputarsi avvenuto pro soluto, ma pro solvendo, onde si doveva escludere che esso avesse avuto effetto novativo. La censura è illustrata adducendo che la precisa volontà delle parti cedente e cessionario, nello stipulare l’atto di cessione di ramo di azienda del 7 dicembre 2004, era chiaramente esternata nella espressa dizione dell’articolo 3 del contratto che si è prodotto, al contrario di quanto sostiene infondatamente la resistente, si veda, infatti, l’elenco in chiusura del ricorso . Tale dizione viene riprodotta ed ha il seguente tenore la presente cessione viene effettuata per il corrispettivo complessivo di Euro 170.96,00, il cui pagamento viene così effettuato . omissis Quanto ad Euro 150.696,00, questi vengono versati mediante corresponsione di n. 72 seetantadue effetti cambiari dell’importo di Euro 2.093,00 ciascuno, aventi scadenza mensile all’ultimo giorno di ogni mese, con decorrenza dal giorno 31 gennaio 2005 sino al giorno 31 dicembre 2010 . Dopo la riproduzione si sostiene che tale espressione indicava espressamente ed inequivocabilmente che le parti avevano inteso considerare pagato il prezzo concordato per la cessione, con il rilascio del regolamento cambiario di cui trattasi, che costituiva evidentemente quella novazione della originaria obbligazione di pagamento del prezzo . Si assume, poi, che sarebbe priva di rilevanza Cass. n. 4215 del 1975, in quanto l’originaria obbligazione era stata palesemente novata, con il rilascio di regolamento cambiario, che costituiva pagamento del saldo prezzo, e quindi novazione della originaria obbligazione, secondo la esatta espressione utilizzata dalle parti . p.2.1. Il motivo è inammissibile in quanto è carente di qualsiasi attività dimostrativa di come e perché la lettura della clausola dell’articolo 3 dovrebbe evidenziare che il rilascio delle cambiali costituiva pagamento del prezzo e che per il tramite del rilascio stesso si sarebbe verificata una novazione dell’obbligazione di pagamento del prezzo. L’assoluta assenza di qualsivoglia argomentazione in iure o che almeno tale si presenti nega al motivo la dignità di motivo di ricorso ai sensi del n. 3 dell’articolo 360 c.p.c., atteso che nella descritta breve illustrazione non si coglie né in quale modo sarebbe stato violato il paradigma dell’articolo 1230 c.c. né in quale modo se ne sarebbe fatta una falsa applicazione. Per mera completezza si può rilevare che la stessa combinazione fra l’assunto che la consegna delle cambiali sia stata fatta intendendo le parti considerare pagato il prezzo della cessione di azienda e l’assunto della conseguente novazione dell’obbligazione di pagamento del prezzo sono inconciliabili, atteso che, se il prezzo si intendeva pagato, non si comprende come la relativa obbligazione potesse perdurare sebbene con altra veste, quella inerente il preteso rapporto nuovo. Peraltro, la stessa lettura dell’articolo 3 del contratto si presta ad incasellare la vicenda, come ha sostanzialmente ritenuto la Corte territoriale, sotto l’ambito del principio di diritto anche recentemente ribadito, secondo cui In ipotesi di cessione di cambiali in luogo dell’adempimento, la volontà di conferire ai titoli efficacia pro soluto , con conseguente immediata estinzione dell’obbligazione di pagamento, deve essere espressa in modo univoco ed inequivocabile, mentre nel caso più comune di cessione pro solvendo l’estinzione dell’obbligazione originaria si verifica solo con la riscossione del credito verso il debitore ceduto, con conseguente onere di quest’ultimo, in applicazione dell’articolo 2697, secondo comma, cod. civ., di provare non solo la cessione, ma anche l’intervenuta estinzione del debito Cass. n. 7820 del 2015 . A maggior ragione per il fatto che gli effetti cambiari avevano scadenze posticipate nel tempo di mese in mese per cinque anni. Ancorché neppure si argomenti in proposito, si rileva che il vengono versati mediante corresponsione di n. 72 settandue effetti cambiari non si intende come possa avere avuto efficacia estintiva del pagamento del prezzo, attese le successive scadenze degli effetti. Il motivo è inammissibile. p.3. Il secondo motivo denuncia omessa motivazione su un punto fondamentale e decisivo della vicenda articolo 360 n. 5 c.p.c. . Il motivo evoca il paradigma dell’articolo 360 n. 5 applicabile al ricorso ratione temporis indicando un vizio che ad esso non corrisponde, posto che in esso si parlava di fatto controverso. Tanto basterebbe ad evidenziarne l’inammissibilità, atteso che il ricorso per cassazione è affidato ad un difensore che deve essere dotato di particolare qualificazione e, dunque, si deve pretendere che il paradigma dell’articolo 360 c.p.c. venga almeno evocato correttamente a livello di indicazione. Peraltro, l’attività illustrativa consiste nell’affermazione che la Corte territoriale non avrebbe fatto alcun riferimento alle precise volontà delle parti come manifestate nelle clausole contrattuali, ma si è limitata a formulare principi generale, che nulla potrebbero voler dire nel caso di specie , onde la omessa motivazione è evidente, dal momento che non riesce a comprendersi - perché la Corte non lo ha spiegato - per quale motivo il ricorrente M. debba essere tenuto a corrispondere nuovamente il saldo prezzo, che aveva provveduto a pagare mediante rilascio delle cambiali di cui si discute . Poiché si imputa alla Corte territoriale di non avere spiegato perché il M. doveva corrispondere nuovamente il prezzo già corrisposto con il rilascio della cambiali, il motivo lamenta una pretesa omessa motivazione su un presupposto inesistente, quello che inutilmente ha prospettato il motivo precedente. p.4. Con un terzo motivo si denuncia contraddittorietà della motivazione, in relazione al richiamo alla decisione della suprema Corte n. 9784/97 . L’illustrazione consiste nel riportate il principio di diritto di cui a tale decisione Poiché incombe all’emittente di un titolo di credito - nella specie cambiale, datio pro solvendo e perciò non adempimento articolo 1193 cod. civ. - provare l’inesistenza della causa debendi, egli deve dimostrare che l’emissione è negozio solutorio - se andata a buon fine - dell’adempimento preteso dal prenditore del titolo. e nell’assumere che a prescindere dalla qualifica di datio pro solvendo , che non è attinente al caso di specie come abbiamo sopra visto , è stata fornita la prova che tutte le cambiali sono state regolarmente pagate, e pertanto, la relativa obbligazione si è comunque estinta. Sembra dunque che tale principio sia esattamente il contrario di quanto assume la Corte di merito con la impugnata sentenza . p.4.1. Il motivo, in disparte che assume che le cambiali non erano state date pro solvendo, supponendo di averlo dimostrato con i motivi precedenti come abbiamo visto prima , sostiene una non meglio spiegata rilevanza del fatto che le cambiali erano state pagate, che non solo è prospettata senza rispetto dell’articolo 366 n. 6 c.p.c., ma non considera quanto la sentenza ha osservato, come del resto il primo giudice, sul fatto che i pagamenti erano avvenuti dopo il pignoramento. Il motivo è per tali plurime ragioni inammissibile. p.5. Con un quarto motivo si denuncia violazione ed errata applicazione dell’articolo 2917 c.c. articolo 360 n. 3 c.p.c. . Vi si censura la motivazione della sentenza impugnata là dove, ribadendo l’avviso del primo giudice, ha ritenuto che l’avvenuto pagamento della cambiali alle scadenze successive al pignoramento fosse inopponibile alla creditrice procedente ai sensi dell’articolo 2917 c.c La censura è svolta argomentando che, se è vero che, ai sensi dell’articolo 2917 c.c. la notifica dell’atto di pignoramento al terzo rende inefficaci i pagamenti che il medesimo andrà ad effettuare successivamente, è altresì vero che tale norma non può essere applicata al caso di specie . sia perché il terzo, nel nostro caso il M. , non era affatto a conoscenza di chi fosse il proprio creditore, ignorando chi fosse il legittimo portatore dei titoli in scadenza unico legittimato a pretenderne il pagamento . sia perché il terzo nel nostro caso il M. non potrebbe in alcun modo sottrarsi al pagamento del titolo, esponendosi in tal caso ad una azione esecutiva da parte del portatore del titolo sia perché, seguendo la tesi della Corte, il M. sarebbe tenuto a pagare due volte lo stesso credito . Si sostiene, dunque, che l’articolo 2917 c.c. non sarebbe applicabile allorché il credito sottoposto a pignoramento sia individuato in titoli di credito, al cui pagamento l’emittente della cambiale non potrebbe sottrarsi e si soggiunge che al momento del pignoramento presso terzi il ricorrente ignorava chi fosse il proprio creditore, che altri non poteva essere se non il terzo portatore del titolo. p.5.1. Il motivo non è fondato. L’articolo 2917 c.c. è stato ritenuto giustamente applicabile dai giudici di merito. La sua applicabilità, peraltro, deve essere spiegata al di là della mera invocazione del disposto normativo. La spiegazione dev’essere data nel seguente modo. p.5.2. Occorre considerare che il credito oggetto del pignoramento, cioè quello della debitrice principale L.V.M. s.r.l. era rappresentato dall’obbligazione nei suoi confronti assunta dal M. relativamente al pagamento del corrispettivo della cessione d’azienda. Il pagamento di tale corrispettivo, peraltro, era stato previsto dall’atto di cessione avvenisse in via dilazionata tramite titoli di credito, le 72 cambiali, e, pertanto, il credito della L.V.M. oggetto dell’obbligazione e traente titolo dalla cessione dell’azienda era stato incorporato nelle cambiali, riguardo alle quali l’obbligazione consacrata nell’atto di cessione costituiva il rapporto causale. Ora, essendo stato il credito incorporato nei titoli rappresentati dalle cambiali, l’esercizio dell’azione esecutiva su di esso come bene della vita facente capo alla creditrice L.V.M. da parte dei suoi creditori Società A. Franchni & amp C. di M.F. s.a.s. sarebbe dovuto avvenire nel rispetto della norma dell’articolo 1997 c.c., la quale, sotto la rubrica efficacia dei vincoli sul credito dispone che il pegno, il sequestro, il pignoramento e ogni altro vincolo sul diritto menzionato in un titolo di credito o sulle merci da esso rappresentate non hanno effetto se non si attuano sul titolo . Il significato della norma è che - allorquando un credito sia incorporato in un titolo di credito, l’esecuzione dei vincoli che incidano sulla disponibilità del diritto secondo la loro particolare vocazione e, particolarmente, del vincolo del pignoramento - per l’efficacia del vincolo è necessario che esso si attui direttamente, secondo le modalità di realizzazione sul titolo. Ne deriva che il pignoramento avente ad oggetto il credito incorporato nel titolo di credito non si può realizzare nelle forme di attuazione dell’espropriazione presso terzi dei crediti, le quali, prevedendo che il debitor debitoris sia solo destinatario di una vocatio e degli effetti obbligatori ricollegati all’assunzione della posizione di custode riguardo alle somme o alle cose dovute, non sarebbero idonee a determinare sul titolo incorporante il credito il vincolo cui allude l’articolo 1997 c.c L’attuazione, cioè l’imposizione del vincolo, essendo il titolo di solito un documento, deve allora avvenire direttamente sul titolo stesso e la forma di esecuzione del pignoramento è quella relativa ai beni mobili. Questi principi sono stati da tempo affermati nella giurisprudenza di questa Corte. Si veda già Cass. n. 2799 del 1962, la quale, dopo avere affermato che la norma dell’articolo 1997 cod. civ. trova applicazione, come è fatto palese dalla sua stessa dizione comprensiva del pegno, del sequestro e del pignoramento , in riferimento a qualsiasi vincolo, convenzionale o non convenzionale, sul diritto menzionato nel titolo di credito e che essa, disponendo che qualsiasi vincolo sul diritto predetto e inefficace se non è attuato sul titolo, prescinde dal momento in cui è imposto il vincolo, non distingue tra titoli girati e non girati e, pertanto, trova applicazione in ogni caso ed anche nei rapporti tra prenditore ed emittente , ebbe a soggiungere che Il pignoramento dei diritti incorporati in un titolo di credito va eseguito nelle forme del pignoramento su cosa. È pertanto irrilevante in proposito, la circostanza che il titolo di credito sia stato o non girato . A sua volta Cass. n. 4653 del 2007, dando ragione del principio, ebbe a statuire che L’articolo 1997 cod. civ., nel disporre che il pignoramento ed ogni altro vincolo sul diritto menzionato in un titolo di credito o sulle merci da esso rappresentate non hanno effetto se non si attuano sul titolo, trova spiegazione nella circostanza che, se il pignoramento od il vincolo si attuassero con la mera ingiunzione al terzo in possesso del titolo di non pagare al debitore, il terzo - non risultando impedita la circolazione del titolo - si troverebbe esposto a pagare due volte, cioè al creditore procedente assegnatario del credito documentato dal titolo ed suo portatore, legittimato a pretenderne il pagamento secondo la legge di circolazione del titolo . peraltro precisando che Tuttavia, allorquando il titolo di credito sia in possesso di un terzo in forza di un rapporto che non gli attribuisca la titolarità del credito, ma solo la legittimazione ad esercitare per conto del titolare i diritti nascenti dal titolo, come accade nel caso di deposito di titoli in amministrazione ed in particolare in relazione ai titoli che, in base al d.lgs. n. 213 del 1998, sono assoggettati alla disciplina della dematerializzazione, il pignoramento si può eseguire presso il terzo, essendo il titolo una cosa del debitore posseduta dal terzo stesso sulla base di tali principi la Suprema Corte cassò la sentenza che aveva rigettato l’opposizione agli atti esecutivi proposta dal creditore avverso le ordinanze del giudice dell’esecuzione, che avevano dichiarato nullo il pignoramento di titoli in deposito ai sensi del detto d.lgs. perché eseguito con le forme dell’espropriazione presso terzi, anziché in quelle dell’espropriazione presso il debitore. A seguito della cassazione la Suprema Corte ha anche deciso nel merito, accogliendo l’opposizione e dichiarando la nullità dell’ordinanza del giudice dell’esecuzione, che aveva dichiarato nullo il pignoramento . p.5.3. La giurisprudenza della Corte si è, poi, occupata di individuare il mezzo di tutela del debitore nell’ipotesi in cui il creditore esegua il pignoramento del diritto incorporato in un titolo di credito nella forma sbagliata. Tale forma è stata individuata nell’opposizione agli atti esecutivi. La giurisprudenza più antica escludeva che tale opposizione fosse assoggettata a termini. Si era, infatti, statuito che Il pignoramento di un credito incorporato in titolo cambiario, che, anziché nella dovuta forma del pignoramento presso il debitore del creditore procedente, prenditore o giratario del titolo, con materiale acquisizione del medesimo artt. 1997 cod. civ. e 513 cod. proc. civ. , venga irritualmente eseguito nella forma del pignoramento presso terzi, ai sensi dell’articolo 543 cod. proc. civ., cioè presso l’obbligato cambiario, è affetto da nullità assoluta e non sanabile, la quale può essere dedotta dal debitore, con opposizione agli atti esecutivi, non vincolata al termine perentorio fissato all’articolo 617 cod. proc. civ. nella specie, proposta nella udienza fissata per la dichiarazione del terzo e può essere rilevata d’ufficio dal giudice dell’esecuzione in qualsiasi momento del processo esecutivo. la pronuncia del giudice dell’esecuzione d’ufficio o su detta opposizione ancorché emessa nella forma della ordinanza, ha natura sostanziale di sentenza, impugnabile con ricorso per cassazione a norma dell’articolo 111 della costituzione . Cass. n. 1882 del 1982 ed ancora che Il pignoramento di un credito incorporato in un titolo cambiario che, anziché nella forma del pignoramento presso il debitore diretto prenditore o giratario del titolo , con materiale acquisizione del medesimo articolo 1997 cod. civ. e 513 cod. proc. civ. , venga irritualmente eseguito nella forma del pignoramento presso terzi ai sensi dell’articolo 543 cod. proc. civ., cioè presso l’obbligato cambiario, è affetto da nullità radicale ed insanabile, la quale si riflette sugli atti successivi, ad esso collegati direttamente e necessariamente, e così anche sull’assegnazione del credito, e può essere dedotta e fatta valere dal debitore con l’opposizione agli atti esecutivi, senza essere vincolato al termine perentorio posto dall’articolo 617 cod. proc. civ. Cass. n. 2917 del 1990 . Successivamente, la tesi dell’esclusione dell’assoggettamento a termini è stata abbandonata e si è statuito che L’opposizione con la quale il debitore fa valere l’irregolarità del pignoramento di un credito, incorporato in un titolo di credito emesso da un terzo, perché eseguito con le forme del pignoramento presso terzi articolo 543 cod. proc. civ. anziché con quelle del pignoramento presso il debitore mediante, cioè, la materiale apprensione del titolo , ha natura di opposizione agli atti esecutivi e deve essere, pertanto, proposta nel termine di cinque giorni dalla ingiunzione al debitore di astenersi dal compimento di atti diretti a sottrarre alla garanzia i beni che si assoggettano alla espropriazione, dalla quale dipende il pregiudizio del debitore e l’interesse, quindi, dello stesso alla opposizione . Cass. n. 7394 del 1993 di seguito si è ribadito che L’opposizione con la quale il debitore fa valere l’irregolarità del pignoramento di un credito, incorporato in un titolo di credito emesso da un terzo, perché eseguito nelle forme del pignoramento presso terzi articolo 543 cod. proc. civ. anziché con quelle del pignoramento presso il debitore e cioè mediante la materiale apprensione del titolo , ha natura di opposizione agli atti esecutivi e deve, pertanto, essere proposta nel termine di cinque giorni dall’ingiunzione al debitore di astenersi dal compimento di atti diretti a sottrarre alla garanzia i beni che si assoggettano all’espropriazione, dalla quale dipende il pregiudizio del debitore e l’interesse dello stesso all’opposizione. Cass. n. 22786 del 2004 . p.5.4. Ritiene il Collegio che nella situazione in cui un pignoramento su un diritto incorporato in un titolo di credito sia stato eseguito nelle forme dell’espropriazione di crediti presso terzi anziché in quella dell’esecuzione presso il debitore diretto, cioè come pignoramento su cosa, id est sullo stesso titolo, il debitore che tale risulti dal titolo e sia stato citato come nelle forme del pignoramento presso terzi, trovandosi nella condizione di dover rispettare il vincolo sulle somme oggetto della pretesa consacrata nel titolo verso il creditore procedente nei confronti del suo creditore in base al titolo e, nel contempo esposto, per effetto della possibile circolazione del titolo, alla pretesa di pagamento del terzo cui il titolo sia stato, secondo la legge di circolazione sua propria, trasferito, rivesta una posizione di interesse a dolersi dell’illegittima esecuzione quoad forma del pignoramento, in quanto essa determina nel contempo l’effetto di vincolarlo a non adempiere il diritto consacrato nel titolo e il rischio che, se il titolo fosse stato trasferito dal suo creditore e debitore principale, esso gli si possa presentare da altro terzo con la richiesta di pagamento, in quanto il pignoramento nelle forme eseguite non ha potuto bloccare l’eventuale circolazione del titolo, che anzi potrebbe già non essere più nel possesso del debitore principale. Nella descritta situazione il debitor debitoris è soggetto che, indipendentemente dalla questione della sussistenza del suo debito verso il debitore principale e dalla contestazione o mancata dichiarazione che al riguardo può svolgere e che un tempo rendeva necessario perché l’esecuzione proseguisse il giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo ed ora dà luogo alla vicenda descritta nell’attuale articolo 549 c.p.c., che può evolversi ed essere risolta in un giudizio, ora di opposizione agli atti esecutivi, aveva ed ha comunque un interesse che da detta contestazione prescindeva e prescinde. Tale interesse inerendo ad un problema di quomodo dell’esecuzione e vedendolo coinvolto, sebbene non già come parte del processo esecutivo, bensì come soggetto che, pur in mancanza di contestazioni sull’esistenza della sua posizione debitoria, doveva solo limitarsi a rispettare il vincolo, giustificava come giustifica oggi la sua legittimazione a dolersi della lesione dell’interesse a non vedersi esposto per un verso alla soggezione imposta dal pignoramento e, per altro verso, in conseguenza dell’incorporazione del credito inerente la sua posizione debitoria nel titolo ad una pretesa fatta valere, secondo la legge di circolazione del titolo, da chi ne sia in possesso. Il debitor debitoris in tale caso assume la posizione di legittimato all’opposizione agli atti per far valere l’irritualità del pignoramento quoad forma in quanto tutela un interesse proprio e non del debitore che pure a sua volta può propone l’opposizione, secondo la riferita giurisprudenza . p.5.5. Il motivo in esame è allora infondato, in quanto il ricorrente avrebbe dovuto proporre la doglianza relativa all’erronea forma del pignoramento con tempestiva opposizione agli atti e non nel giudizio di accertamento del suo obbligo incoato dalla creditrice procedente, che è giudizio inerente l’accertamento della sua posizione di debitore, la cui esistenza, sebbene incorporata nelle cambiali, non dipende dalla circostanza che esse non siano state direttamente pignorate. Per tale ragione la soggezione all’articolo 2917 c.c. del ricorrente appare giustificata. Il motivo va rigettato sulla base del seguente principio di diritto qualora il pignoramento di un diritto di credito incorporato in un titolo di credito intervenga con le forme dell’espropriazione di crediti presso terzi anziché, come impone l’articolo 1997 c.c., nelle forme del pignoramento diretto a carico del debitore principale in possesso del titolo, il soggetto pignorato che in forza di esso sia debitore cartolare ha un interesse derivante dalla congiunta soggezione al non dover disporre della somma oggetto del credito consacrato nel titolo e dal rischio di vedersi chiedere il pagamento da chi del titolo sia in possesso a dolersi dell’illegittimità delle forme del pignoramento con il mezzo dell’opposizione agli atti. Della lesione di tale interesse detto soggetto non poteva dolersi nel giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo secondo il regime anteriore all’attuale articolo 549 c.p.c.”. p.6. Il quinto motivo - denunciante omessa motivazione ed omessa esame su un punto decisivo e fondamentale articolo 360 n. 5 c.p.c. - ripropone la stessa questione agitata dal precedente motivo, cioè il rischio di dover pagare due volte. È infondato per le considerazioni svolte a proposito del motivo precedente. p.7. Il ricorso è conclusivamente rigettato. Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo ai sensi del d.m. n. 55 del 2014. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione alla resistente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro cinquemilaottocento, di cui duecento per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.