La Cassazione fa un ripasso in materia di impugnazioni e di licenza di costruire

In ossequio al principio dell’unicità del processo di impugnazione, la proposizione del gravame principale pone in capo, a tutti i destinatari della notificazione del relativo atto, l’onere di esercitare il proprio diritto di impugnare, a pena di decadenza, nei modi e nei termini prescritti per l’impugnazione incidentale art. 333 c.p.c. . La rilevanza giuridica della licenza, edilizia adesso permesso di costruire si esaurisce in seno al rapporto pubblicistico tra pubblica amministrazione e privato richiedente, mentre nei rapporti tra privati rileva il raffronto tra le caratteristiche oggettive dell’opera e le norme edilizie che la disciplinano, ex art. 871 c.c

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3811/2016, depositata il 26 febbraio. Il caso. I proprietari di un’abitazione convenivano in giudizio i responsabili della realizzazione di un edificio confinante al loro, chiedendo che gli stessi venissero condannati al risarcimento dei danni arrecati al loro immobile dallo stabile di nuova costruzione, sottolineando come quest’ultimo fosse stato realizzato in violazione degli artt. 872 e ss. c.c. violazione delle norme di edilizia e delle prescrizioni del regolamento edilizio del Comune. Il Tribunale competente accoglieva la domanda di parte attrice, condannando in solido i convenuti, e la Corte d’Appello, adita da parte soccombente, accoglieva parzialmente i motivi di gravame, riducendo la somma dovuta da uno dei convenuti, ritenendo infondata l’eccezione di giudicato per tardività dell’appello proposta dagli appellati e sussistenti le violazioni del regolamento edilizio comunale, in relazione all’altezza dell’edificio di nuova realizzazione ed all’ampiezza del cortile interno del medesimo. Gli eredi di una convenuta originaria e gli eredi dell’originaria parte attrice ricorrevano per cassazione. In via pregiudiziale, veniva eccepita l’inammissibilità per tardività dei ricorsi principali proposti dagli eredi degli attori originari. Gli impugnanti, inoltre, rilevavano la violazione degli artt. 1292, 1306, 2909 c.c. e 331 c.p.c Il principio dell’unicità del processo di impugnazione. La Suprema Corte ha, preliminarmente, osservato che, in ossequio al principio dell’unicità del processo di impugnazione, la proposizione del gravame principale pone in capo, a tutti i destinatari della notificazione del relativo atto, l’onere di esercitare il proprio diritto di impugnare, a pena di decadenza, nei modi e nei termini prescritti per l’impugnazione incidentale art. 333 c.p.c. . Nell’ipotesi di ricorso per cassazione, hanno quindi precisato gli Ermellini, il termine è di quaranta giorni dalla notificazione. Il Collegio ha, inoltre, rilevato che una volta avvenuta la notifica della prima impugnazione, pertanto, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo e perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso. Tuttavia, quest’ultima modalità non può considerarsi essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si converte, indipendentemente dalla forma assunta e ancorché proposto con atto a sé stante, in ricorso incidentale, la cui ammissibilità è condizionata al rispetto del termine di quaranta giorni , con riferimento al combinato disposto degli artt. 370 e 371 c.p.c La rilevanza giuridica della licenza si esaurisce nel rapporto pubblicistico. La Suprema Corte ha rilevato che ai sensi dell’art. 1306, comma 2, c.c. i condebitori in solido hanno la facoltà di opporre al creditore la sentenza pronunciata tra i medesimi e uno degli altri condebitori. Tale principio, hanno chiarito gli Ermellini, trova applicazione esclusivamente nell’ipotesi in cui il provvedimento di cui sopra sia stato pronunciata in un giudizio al quale i condebitori che intendono opporvisi non abbiano preso parte. Se, invece, gli stessi hanno partecipato al giudizio, ha precisato il Collegio, devono ritenersi operanti le preclusioni proprie del giudicato la mancata impugnazione da parte di uno o di alcuni dei condebitori solidali, soccombenti nell’ambito di un rapporto scindibile, come quello che deriva dalla solidarietà, comporta il passaggio in giudicato della sentenza nei confronti degli stessi, ancorché altri condebitori solidali abbiano impugnato la pronuncia ottenendone l’annullamento o la riforma. Gli Ermellini hanno, infine, affermato che, anche nel regime precedente la l. n. 47/1985, l’art. 31 della l. n. 1150/1942, prevedeva la responsabilità di committente ed assuntore dei lavori, il quale era tenuto a rispondere in solido con il primo, ex artt. 2043 e 2055 c.c Non assume rilevanza, a parere dei Giudici del Palazzaccio, che i lavori siano stati svolti in vigenza di titolo concessorio, dal momento che la rilevanza giuridica della licenza, poi concessione, edilizia ora permesso di costruire si esaurisce nell’ambito del rapporto pubblicistico tra pubblica amministrazione e privato richiedente, mentre nei rapporti tra privati rileva il diretto raffronto tra le caratteristiche oggettive dell’opera e le norme edilizie che la disciplinano ai sensi dell’art. 871 c.c. . Le previsioni edilizie, ha sottolineato il Collegio, possono conferire ai privati un diritto soggettivo, in carenza di cui, nella materia in trattazione, non può farsi luogo ad alcun risarcimento del danno, anche ove fingano da integrazione nel caso di specie, connesse all’altezza degli edifici alle disposizioni del codice civile in materia di distanze tra costruzioni. Per le ragioni sopra esposte, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso principale, dichiarando inammissibili i ricorsi incidentali.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 30 settembre 2015 26 febbraio 2016, n. 3811 Presidente Forte Relatore Valitutti Ritenuto in fatto 1. Con atto di citazione notificato il 25 gennaio 1983, T.F.P. e T.L. convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Bari, L.L. , L.R.M. e C.G. , chiedendone la condanna in solido al risarcimento dei danni arrecati alla loro proprietà con la realizzazione di un edificio, confinante con la villetta degli attori, edificato in violazione degli artt. 872 e ss. cod. civ., nonché delle prescrizioni di cui al regolamento edilizio vigente nel Comune di Gioia del Colle. La domanda veniva accolta dal Tribunale di Bari che, con sentenza n. 1871/2009, depositata giugno 2009, condannava in solido i convenuti al pagamento, in favore dei T. , della somma di Euro 142.569,93, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, nonché alle spese di lite. 2. Avverso tale decisione proponeva appello il solo C.G. , nei confronti di T.A.R.M.A. , quale erede di T.L. , di T.A. e di T.S.M. , quali eredi di T.F.P. , che si costituivano in giudizio, nonché di L.L. e R.M. deceduta nel corso del giudizio di primo grado , che restavano contumaci. Il gravame veniva parzialmente accolto dalla Corte di Appello di Bari, con sentenza n. 115/2012, depositata il 9 febbraio 2012, che riduceva la somma dovuta da C.G. agli eredi T. all’importo di Euro 9.814,75, oltre agli. accessori di legge. Il giudice di seconde cure riteneva infondata l’eccezione di giudicato per tardività dell’appello, proposta dagli appellati, e reputava sussistenti - sulla scorta delle risultanze della disposta c.t.u. - le violazioni al regolamento edilizio del Comune di Gioia del Colle, denunciate dai T. , quanto all’altezza dell’edificio realizzato dagli originari convenuti ed all’ampiezza del cortile interno. 3. Per la cassazione della sentenza n. 115/2012 hanno, quindi, proposto separati ricorsi A.F. ed A. , quali eredi di L.R.M. , affidato ad un solo motivo, T.A.R.M.A. , quale erede di T.L. , sulla base di un solo motivo, nonché T.A. e T.S.M. , quali eredi di T.F.P. , formulando due censure. 4. I resistenti V.A. , P.C.L. e C.D. , quali procuratori generali di C.G. originario convenuto in primo grado , hanno resistito con controricorso, contenente altresì ricorso incidentale affidato a tre motivi. L’intimata Letizia Losavio non ha svolto attività difensiva. 5. Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 cod. proc. civ Considerato in diritto 1. In via pregiudiziale, va rilevato che i ricorrenti A.F. e A. , nonché i resistenti e ricorrenti in via incidentale V.A. , P.C.L. e C.D. , hanno eccepito, nella rispettive memorie ex art. 378 cod. proc. civ., l’inammissibilità per tardività dei ricorsi principali proposti da T.A. e T.S.M. , nonché da T.A.R.M.A. . L’eccezione è fondata. 1.1. Va osservato, infatti, che - per il principio dell’unicità del processo di impugnazione - la proposizione dell’impugnazione principale determina nei riguardi di tutti coloro cui il relativo atto venga notificato l’onere, a pena di decadenza, di esercitare il proprio diritto d’impugnazione nei modi e nei termini previsti per l’impugnazione incidentale art. 333 cod. proc. civ. e, quindi, nel caso di ricorso per Cassazione, nel termine di quaranta giorni dalla suddetta notificazione art. 370, 371 cod. proc. civ. Cass. S.U. 11219/1997 Cass. 12381/1999 11966/2000 21829/2007 . Una volta avvenuta la notifica della prima impugnazione, pertanto, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo e perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso. Tuttavia, quest’ultima modalità non può considerarsi essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si converte, indipendentemente dalla forma assunta e ancorché proposto con atto a sé stante, in ricorso incidentale, la cui ammissibilità è condizionata al rispetto del termine di quaranta giorni venti più venti risultante dal combinato disposto degli artt. 370 e 371 cod. proc. civ., indipendentemente dai termini l’abbreviato e l’annuale di impugnazione in astratto operativi cfr., ex plurimis, Cass. 4789/2001 11602/2002 26622/2005 23095/2010 5695/2015 . 1.2. Orbene, nel caso di specie, il primo ricorso per cassazione, avverso la sentenza della Corte di Appello di Bari n. 115/2012, è stato notificato il 16 gennaio 2013, mentre i ricorsi autonomi dei signori T. - da considerarsi, per le ragioni suesposte, ricorsi incidentali - sono stati notificati il 26 marzo 2013, ossia ben oltre i quaranta giorni dalla notifica del primo ricorso principale, ai sensi degli arti. 370 e 371 cod. proc. civ 1.3. Per tali ragioni i ricorsi proposti da T.A.R.M.A. , quale erede di T.L. , nonché da T.A. e da T.S.M. , quali eredi di T.F.P. , devono essere dichiarati inammissibili. 2. Passando, quindi, ad esaminare il ricorso principale proposto da A.F. e da A.A. , quali eredi di L.R.M. , originaria convenuta nell’azione proposta da T.F.P. e T.L. , va rilevato che, con l’unico motivo di ricorso, gli A. denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1292, 1306, 2909 cod. civ. e 331 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ 2.1. Avrebbe errato la Corte di Appello, ad avviso dei ricorrenti, nel ridurre la somma dovuta dal solo C.G. ad Anna T.M.A.R. , quale erede di T.L. , e ad T.A. ed a T.S.M. , quali eredi di T.F.P. . La riduzione di detto importo, dalla somma di Euro 142.569,93 a quella di 9.814,75, avrebbe dovuto essere operata, invero, anche nei confronti delle parti contumaci L.L. e R.M. , condannate in solido con C.G. al risarcimento dei danni in favore dei T. , sebbene le predette contumaci non avessero proposto appello avverso la decisione di primo grado. La causa proposta dagli attori nei confronti di più soggetti, ritenuti responsabili in solido - in special modo quando sia accompagnata, come nel caso concreto, da reciproche domande di manleva proposte dai convenuti - darebbe invero luogo, a parere dei ricorrenti, ad una controversia inscindibile, con la conseguenza che alle parti non impugnanti si estenderebbero, ai sensi dell’art. 1306 cod. civ., gli effetti derivanti dall’accoglimento del gravame proposto dalle altre parti contro una sentenza sfavorevole a tutti gli originari convenuti. 2.2. La censura è infondata. 2.2.1. Va - per vero - rilevato, al riguardo, che la regola di cui all’art. 1306, secondo comma, cod. civ. invocata dai ricorrenti , secondo cui i condebitori in solido hanno facoltà di opporre al creditore la sentenza pronunciata tra questi ed uno degli altri condebitori, trova applicazione soltanto nel caso in cui la sentenza suddetta sia stata resa in un giudizio cui non abbiano partecipato i condebitori che intendano opporla. Se, invece, costoro hanno partecipato al medesimo giudizio sebbene restando contumaci , operano le preclusioni proprie del giudicato, con la conseguenza che la mancata impugnazione da parte di uno o di alcuni dei debitori solidali, soccombenti in un rapporto obbligatorio scindibile, qual è quello derivante dalla solidarietà, determina il passaggio in giudicato della sentenza nei loro confronti, ancorché altri condebitori solidali l’abbiano impugnata e ne abbiano ottenuto l’annullamento o la riforma cfr. Cass. 1779/2007 20559/2014 . 2.2.2. Ne discende che, nel caso di specie, nei confronti delle L. - acquiescenti alla sentenza di primo grado e rimaste contumaci nel giudizio di appello - la decisione di prime cure è da ritenersi passata in cosa giudicata, contrariamente all’assunto dei ricorrenti. 2.3. Il motivo in esame va, pertanto, rigettato. 3. Venendo, poi, al ricorso incidentale tempestivo, poiché notificato alle altre parti il 25 febbraio 2013 proposto da V.A. , P.C.L. e C.D. , quali procuratori generali di C.G. , va rilevato che, con il primo e secondo motivo - che, per la loro evidente connessione, vanno esaminati congiuntamente - gli istanti denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 55, 61 e 63 del Regolamento edilizio del Comune di Gioia del Colle n. 381 del 1931, 872, 1223, 1226, 2043, 2056 e 2697 cod. civ. e 100 cod. proc. civ., nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 cod. proc. civ 3.1. I ricorrenti censurano l’impugnata sentenza nella parte in cui sulla scorta delle risultanze della disposta c.t.u. - ha ritenuto eccessiva l’altezza del fabbricato, non perché fosse più alto della misura massima prevista dall’art. 55 del regolamento del Comune di Gioia del Colle n. 381 del 1931, ma perché era più alto della misura indirettamente imposta dalle dimensioni del cortile, in violazione degli artt. 61 e 63 del regolamento succitato. L’ampiezza del cortile avrebbero, dunque, di fatto condizionato l’altezza del fabbricato in questione. Di più, la Corte territoriale avrebbe erroneamente considerato - sempre sulla base degli accertamenti peritali in atti - lo spazio in parola come un vero e proprio cortile più piccolo di quanto richiesto dal regolamento, e non come una chiostrina ossia un piccolo spazio interno degli edifici di abitazione, destinato ad arieggiare e illuminare scale e ambienti di servizio , più grande del dovuto e, quindi, pienamente legittima. 3.2. I motivi sono infondati. 3.2.1. Va osservato, in proposito, che il giudice di appello è pervenuto alla conclusione di dover integrare la norma sull’altezza degli edifici con quelle in tema di ampiezza dei cortili, in considerazione del presupposto di fatto, costituito dalla considerazione che il progetto approvato dal Comune di Gioia del Colle prevedeva che il fabbricato dei convenuti fosse munito di un cortile p. 6 , sicché non poteva trovare applicazione la norma sull’altezza dei fabbricati prevista dall’art. 55 del Regolamento che disciplina direttamente l’altezza degli edifici , ed ha qualificato lo spazio interno in questione come vero e proprio cortile, e non come chiostrina, sulla base degli accertamenti e delle misurazioni effettuate dal consulente. Ebbene, lo stabilire se in concreto una determinata area possa rientrare nell’una o nell’altra delle anzidette categorie di spazi si risolve certamente in un giudizio di fatto che sfugge al sindacato della Corte di Cassazione, quando - come nella specie - sia sorretto da congrua e corretta motivazione Cass. 2571/1971 . Come pure è indubitabile che costituisca un giudizio di fatto, demandato al giudice del merito, quello reso sulla portata e le caratteristiche di un edificio, quali risultino da un progetto edilizio, in concreto presentato ad un Comune, e prodotto agli atti di causa. 3.2.2. Ne consegue, che le censure in esame si traducono nella richiesta di rivisitazione del giudizio di fatto operato dal giudice del merito, inammissibile in questa sede. 3.3. I motivi vanno, pertanto, disattesi. 4. Con il terzo motivo di ricorso incidentale, V.A. , P.C.L. e C.D. , nella predetta qualità, denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art. 6 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, 29 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 680, 11 delle disp. prel. al cod. civ., 2043 e 2055 cod. civ., nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 cod. proc. civ 4.1. Gli istanti si dolgono del fatto che la Corte di Appello abbia ravvisato la responsabilità del C. per i danni sofferti dai T. , sebbene l’art. 6 della legge n. 47 del 1985, poi abrogata, e l’attuale art. 29 del d.P.R. n. 380 del 2001, che prevedono la responsabilità solidale del costruttore tale essendo la qualità rivestita da C.G. nella vicenda per cui è causa , non fossero ancora entrate in vigore all’epoca dei fatti, risalenti agli anni 1968-1969. Il costruttore sarebbe, peraltro, subentrato nell’attività edificatoria dopo il rilascio del titolo edilizio, ed i lavori sarebbero stati eseguiti nella piena vigenza di detto titolo, annullato solo nel 1979, a seguito di ricorso straordinario al Capo dello Stato. 4.2. La doglianza è destituita di fondamento. 4.2.1. Anche nel regime precedente la legge n. 47 del 1985, l’art. 31 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 prevedeva, infatti, la responsabilità sia del committente sia dell’assuntore dei lavori, tenuto, pertanto, a rispondere in solido con il primo ai sensi degli artt. 2043 e 2055 cod. civ Né rileva la circostanza che i lavori siano stati interamente svolti nella vigenza del titolo concessorio. Ed invero, la rilevanza giuridica della licenza, poi concessione, edilizia ora permesso di costruire si esaurisce nell’ambito del rapporto pubblicistico tra pubblica amministrazione e privato richiedente, mentre nei rapporti tra privati rileva il diretto raffronto tra le caratteristiche oggettive dell’opera e le norme edilizie che la disciplinano ai sensi dell’art. 871 cod. civ., che possono attribuire ai privati un diritto soggettivo, in difetto del quale nella materia in esame non può farsi luogo al risarcimento del danno, anche se non sono integrative come quelle, rilevanti nella specie, relative all’altezza degli edifici di quelle dettate dal codice civile in materia di distanze tra le costruzioni cfr. Cass. 4889/1993 10702/1994 10173/1998 13170/20015411/2015 . 4.2.2.Se ne deve necessariamente inferire, con riferimento al caso concreto, che la responsabilità solidale del costruttore per l’illecito derivante dalla violazione delle norme edilizie suindicate era configurabile anche nel regime giuridico previgente, applicabile alla fattispecie concreta ratione temporis. 4.3. La censura va, di conseguenza, disattesa. 5. Il ricorso incidentale proposto da V.A. , P.C.L. e C.D. , nella predetta qualità, deve, pertanto, essere integralmente rigettato. 6. Concorrono giusti motivi, tenuto conto dell’esito complessivo del presente giudizio, per dichiarare interamente compensate tra le parti le relative spese processuali. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso principale proposto dagli A. dichiara inammissibili i ricorsi incidentali proposti dai T. rigetta il ricorso incidentale proposto da V.A. , P.C.L. e C.D. , quali procuratori generali di C.G. compensa le spese del presente giudizio.