Processo troppo lungo: indennizzo sì, ma detraendo i ritardi dovuti all’astensione del legale

Vittoria parziale per il Ministero della Giustizia, che vede contenuta la cifra da versare alla persona protagonista di un troppo lungo procedimento in materia di opposizione. Nei calcoli dei tempi del procedimento, difatti, vanno esclusi i rinvii attribuibili alla parte, incluso quello dovuto all’astensione del legale.

Guerra di numeri. Obiettivo è definire la effettiva irragionevole durata di un giudizio”, e calcolare, di conseguenza, il relativo indennizzo. Ebbene, su questo fronte, nel definire la effettiva durata del procedimento, vanno esclusi i rinvii delle udienze richiesti ed ottenuti dal legale della parte, anche se, va aggiunto, il rinvio è frutto della adesione del difensore alla astensione delle udienze . Vittoria, quindi, seppur solo parziale, per il Ministero della Giustizia Cassazione, sentenza n. 12447, sezione sesta civile, depositata oggi . Giudizio. Casus belli è un giudizio di opposizione all’esecuzione iniziato da un uomo dinanzi al Tribunale nel 2003 e pendente in Cassazione ancora nel 2012, alla data della domanda di indennizzo avanzata nei confronti del Ministero della Giustizia. Punto di svolta, però, nella battaglia giudiziaria, è la decisione emessa in appello, laddove la durata irragionevole del giudizio – la cui durata complessiva è pari a nove anni, cinque mesi e quattordici giorni – viene ridotta a tre anni, cinque mesi e dodici giorni . Per i giudici, difatti, alcuni rinvii delle udienze non erano stati giustificati da esigenze difensive . Senza dimenticare, poi, che, sempre secondo i giudici, dalla durata complessiva doveva essere sottratto anche il lasso di tempo intercorso tra il deposito della sentenza di primo grado e la proposizione della impugnazione . Tutto ciò conduce a fissare l’ indennizzo in appena 2mila e 693,83 euro. Tempistica. Pronta, e ovvia, la contestazione da parte dell’uomo, e del suo legale. A finire nel mirino sono i numeri delineati in Appello. In particolare, avvocato e cliente sostengono che i giudici di merito avrebbero dovuto tenere conto della durata ulteriore del giudizio presupposto fino alla data della decisione, atteso che a quella data il giudizio stesso era pendente , e aggiungono che è stato commesso un errore detraendo la durata tutta intera dei rinvii , poiché nulla era emerso in ordine ad un intento dilatorio delle parti, anzi rispondendo i rinvii stessi ad esigenze difensive, ed essendo un rinvio stato determinato dalla adesione del difensore all’astensione dalle udienze . Per completare il quadro, infine, avvocato e cliente si lamentano anche per la detrazione dell’intero lasso di tempo intercorso tra il deposito della sentenza e la proposizione della impugnazione . Ogni obiezione, però, si rivela inutile, perché i giudici della Cassazione condividono in toto la decisione emessa in Appello. Confermati quindi sia i calcoli sulla irragionevole durata del procedimento che sull’ indennizzo . Riflettori puntati, in particolare, sulla detrazione dalla durata complessiva del giudizio di segmenti riferibili al comportamento delle parti . Su questo fronte, i giudici ritengono corretta la detrazione del rinvio conseguente all’astensione degli avvocati dalle udienze , ciò perché il rinvio delle udienze per effetto dell’astensione dei difensori dall’attività di udienza non è in sé imputabile all’organizzazione giudiziaria, risultando, all’evidenza, riferibile ad una consapevole scelta del difensore e quindi addebitabile, in sede di equa riparazione, alla parte rappresentata che si dolga dell’irragionevole durata del processo nel quale la detta astensione è avvenuta . Ancora più chiaramente, i giudici spiegano che nella categoria delle inefficienze dell’organizzazione giudiziaria e delle violazioni di sistema non può essere ricompresa l’omessa emanazione di norme di legge per disciplinare l’esercizio del diritto di astensione dalle udienze degli avvocati, giacché la mancanza di dette norme non è causa o concausa del rinvio dell’udienza per l’adesione dei difensori a manifestazioni di protesta .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, sentenza 17 febbraio – 16 giugno 2015, n. 12447 Presidente/Relatore Petitti Ritenuto che, con ricorso depositato presso la Corte d'appello di Reggio Calabria il 4 settembre 2012, C.L. chiedeva la condanna del Ministero della giustizia al pagamento dell'indennizzo per il pregiudizio sofferto a causa della irragionevole durata di un giudizio di opposizione all'esecuzione iniziato dinnanzi al Tribunale di Patti nel 2003 e pendente in Cassazione alla data di proposizione della domanda che l'adita Corte d'appello rilevava che la durata complessiva del giudizio era stata di nove anni, cinque mesi e quattordici giorni riteneva che alcuni rinvii non fossero stati giustificati da esigenze difensive, e che dalla durata complessiva dovesse essere detratto anche il lasso di tempo intercorso tra il deposito della sentenza di primo grado e la proposizione della impugnazione, sicché la durata irragionevole, detratta quella di quattro anni, doveva essere determinata in tre anni, cinque mesi e dodici giorni che in relazione al ritardo accertato la Corte d'appello liquidava un indennizzo di euro 2.693,83, sulla base del criterio di 750,00 euro per i primi tre anni di ritardo e di 1.000,00 euro per gli anni successivi che per la cassazione di questo decreto L. C. e F.M. hanno proposto ricorso sulla base di due motivi che l'intimato Ministero non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della partecipazione all'udienza di discussione. Considerato che il Collegio ha deliberato l'adozione di una motivazione semplificata nella redazione della sentenza che con il primo motivo di ricorso violazione degli artt. 2, commi 1 e 2, della legge n. 89 del 2001 e 6, paragrafo 1, della CEDU, e degli artt. 2697 e 2056 cod. civ., nonché dell'art. 112 cod. proc. civ. si censura il decreto impugnato per avere pronunciato solo nei confronti di L. C. e non anche dell'Avvocato M., che pure era stato parte del giudizio presupposto che con il secondo motivo violazione degli artt. 2, commi 1 e 2, della legge n. 89 del 2001 e 6, paragrafo 1, della CEDU motivazione inidonea ed illogica, e quindi sostanzialmente omessa o apparente , si sostiene la erroneità del decreto impugnato quanto alla determinazione della durata indennizzabile che i ricorrenti rilevano in primo luogo che la Corte d'appello avrebbe dovuto tenere conto della durata ulteriore del giudizio presupposto fino alla data della decisione, atteso che a quella data il giudizio stesso era ancora pendente che, inoltre, la Corte d'appello avrebbe errato nel detrarre la durata tutta intera dei rinvii, atteso che nulla era emerso in ordine ad un intento dilatorio delle parti, rispondendo anzi i rinvii stessi ad esigenze difensive e uno essendo stato determinato dalla adesione del difensore alla astensione dalle udienze che, da ultimo, i ricorrenti si dolgono della detrazione dell'intero lasso di tempo intercorso tra il deposito della sentenza e la proposizione della impugnazione che il primo motivo di ricorso è fondato che, invero, dall'esame degli atti, consentito in considerazione della natura della censura proposta, emerge che il procedimento presupposto era stato iniziato anche dall'Avvocato F.M. in proprio, in quanto difensore antistatario delle spese al pagamento delle quali era stato condannato l'ente previdenziale all'esito del giudizio di cognizione che il secondo motivo è invece infondato che questa Corte ha affermato il principio, condiviso dal Collegio, per cui in tema di diritto all'equa riparazione di cui alla legge 24 marzo 2001, n. 89, per la valutazione della ragionevole durata del processo deve tenersi conto dei criteri cronologici elaborati dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, alle cui sentenze, riguardanti l'interpretazione dell'art. 6, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, richiamato dalla norma interna, deve riconoscersi soltanto il valore di precedente, non sussistendo nel quadro delle fonti meccanismi normativi che ne prevedano la diretta vincolatività per il giudice italiano. Anche in tale prospettiva, l'accertamento della sussistenza dei presupposti della domanda di equa riparazione - ovvero, la complessità del caso, il comportamento delle parti e la condotta dell'autorità - così come la misura del segmento, all'interno del complessivo arco temporale del processo, riferibile all'apparato giudiziario, in relazione al quale deve essere emesso il giudizio di ragionevolezza della relativa durata, risolvendosi in un apprezzamento di fatto, appartiene alla sovranità del giudice di merito e può essere sindacato in sede di legittimità solo per vizi attinenti alla motivazione Cass. n. 24399 del 2009 che, d'altra parte, va condiviso anche il principio per cui ove la domanda di equa riparazione sia proposta durante la pendenza del processo presupposto, il giudice deve prendere in considerazione, ai fini della valutazione della ragionevolezza della durata di detto processo, il solo periodo intercorrente tra il suo promovimento e la proposizione del ricorso per equa riparazione, non potendo considerare altresì l'ulteriore ritardo, futuro ed incerto, suscettibile di maturazione nel prosieguo del primo processo tale valutazione prognostica è infatti esclusa dalla lettera dell'art. 2 della legge cit., che si riferisce ad un evento lesivo storicamente già verificatosi e dunque certo, mentre a sua volta l' art. 4, permettendo l'esercizio dell'azione anche in pendenza del processo presupposto, come nella specie avvenuto, delimita l'ambito del pregiudizio, anticipando la liquidazione per ogni violazione già integrata, e fa implicitamente salva la facoltà di proporre altra domanda in caso di eventuale ritardo ulteriore Cass. n. 8547 del 2011 che a tale principio, invero, nella giurisprudenza di questa Corte si è ritenuto di derogare nei casi in cui nel corso del giudizio di equa riparazione intervenga la decisione nel giudizio presupposto, idonea a definire il giudizio stesso Cass. n. 16907 del 2012, secondo cui la data di pubblicazione della sentenza di appello del giudizio presupposto, intervenuta nel corso del giudizio di equa riparazione, ove la decisione stessa sia stata oggetto di allegazione e prova nel procedimento, costituisce evento certo in base al quale potersi calcolare il ritardo processuale ulteriormente maturato dopo la proposizione dell'azione ex lege n. 89 del 2001 che, quanto alle censure concernenti la detrazione, dalla durata complessiva del giudizio presupposto, di segmenti riferibili a comportamento delle parti, del pari deve escludersi la denunciata violazione di legge, atteso che la Corte d'appello ha fatto applicazione dei principi affermati in proposito da questa Corte e puntualmente riportati nella motivazione, sicché la censura si risolve in un diverso apprezzamento delle cirC.nze di fatto già valutate dalla Corte territoriale e ritenute imputabili a comportamento delle parti, e quindi detraibili dalla durata complessiva del giudizio presupposto, peraltro non nella loro interezza ma per una parte soltanto che, quanto alla denunciata erronea detrazione del rinvio conseguente all'astensione degli avvocati dalle udienze, deve rilevarsi che, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, sulla base anche di una decisione di questa Corte, il rinvio delle udienze per effetto dell'astensione dei difensori dall'attività di udienza non è in sé imputabile all'organizzazione giudiziaria, risultando, all'evidenza, riferibile ad una consapevole scelta del difensore, addebitabile, in sede di equa riparazione, alla parte rappresentata che si dolga della irragionevole durata del processo nel quale la detta astensione è avvenuta che il Collegio ritiene debba essere condiviso il principio per cui l'equa riparazione di cui alla legge 24 marzo 2001, n. 89 integra un credito a contenuto indennitario, non risarcitorio, prescinde da atti o contegni illeciti od illegittimi, deriva dall'oggettivo verificarsi d'inosservanza dell'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, con lesione del diritto della persona alla definizione della causa in un termine ragionevole, in dipendenza dell'inefficienza dell'organizzazione giudiziaria, e, dunque, abbraccia tutte le violazioni di sistema , ivi incluse quelle riconducibili a scelte legislative che determinino o concorrano a determinare l'eccessivo protrarsi della lite. Fra le indicate violazioni di sistema non può essere compresa l'omessa emanazione di norme di legge per disciplinare l'esercizio del diritto di astensione dalle udienze degli avvocati, giacché la mancanza di dette norme non è causa o concausa, secondo i comuni parametri in tema di nesso eziologico, del rinvio dell'udienza per l'adesione dei difensori a manifestazioni di protesta, detto rinvio restando deferibile a libere scelte dei competenti ordini professionali e dei loro iscritti, nell'esercizio di diritti a rilevanza costituzionale che quella disciplina non potrebbe comunque compromettere, e, quindi, rimanendo imputabile a fattori esterni ed estranei all'organizzazione giudiziaria Cass. n. 2148 del 2003 Cass. n. 15143 del 2005 Cass. n. 29000 del 2005 che, in conclusione, accolto il primo motivo di ricorso e rigettato il secondo, il decreto impugnato va cassato in relazione alla censura accolta che, tuttavia, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell'art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., dichiarando il diritto dell'Avvocato M. in proprio all'equa riparazione nella stessa misura già liquidata dal decreto impugnato in favore di C.L. che le spese del giudizio di merito possono essere liquidate nella stessa misura di cui al decreto impugnato, mentre quelle del giudizio di cassazione, in considerazione dell'accoglimento solo parziale del ricorso, possono essere compensate per la metà e poste per la restante metà, come liquidata in dispositivo, a carico del Ministero della giustizia che le spese del giudizio di cassazione devono essere distratte in favore dell'Avvocato M., dichiaratosi antistatario. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta il secondo cassa il decreto impugnato in relazione alla censura accolta e, decidendo la causa nel merito, condanna il Ministero della giustizia al pagamento, in favore dell'Avvocato F.M., della somma di euro 2.693,83, oltre agli interessi legali dalla domanda al soddisfo condanna altresì il Ministero della giustizia al pagamento delle spese del giudizio di merito nella misura già liquidata dalla Corte d'appello, e di metà delle spese del giudizio di cassazione, liquidate, per l'intero, in euro 500,00, oltre accessori di legge e spese forfetarie, dichiarando compensata la restante metà dispone la distrazione delle spese del giudizio di cassazione in favore dell'avvocato M., dichiaratosi antistatario.