Chi agisce per l’irragionevole durata del processo non deve pagare le spese processuali, ma deve comportarsi bene …

Il concetto di abuso del processo, quale condotta lesiva del canone generale di buona fede oggettiva e correttezza, contrastante con il dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost. e contraria al giusto processo, può trovare applicazione anche in una fattispecie di richiesta di equa riparazione per irragionevole durata del processo, ove l’evento causativo del danno sia unico come anche il soggetto che ne deve rispondere e i plurimi danneggiati abbiano proposto distinti procedimenti. Tale condotta assume dunque rilevanza ai fini della determinazione delle spese processuali, dovendo il giudice considerare il procedimento come unico sin dall’origine.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 8381/15 depositata il 24 aprile. Il caso. La Corte d’appello di Catanzaro veniva adita con richiesta di equa riparazione per violazione termine di ragionevole durata del processo, in relazione ad un procedimento fallimentare, convenendo in giudizio il Ministero della Giustizia, il quale non si opponeva alla domanda e chiedeva la compensazione delle spese. La Corte territoriale accoglieva la domanda, disponendo la compensazione delle spese per la metà, condannando il Ministero al pagamento della restante parte. La condanna alle spese vanifica la domanda di equa riparazione. Gli attori impugnano la pronuncia innanzi alla Corte di Cassazione, dolendosi per la condanna alla compensazione delle spese che, a loro detta, sarebbe stata disposta sulla base di presupposti diversi da quelli previsti dall’art. 92 c.p.c., come riformulato dalla l. n. 69/2009. Aggiungono inoltre i ricorrenti che la compensazione delle spese, disposta nonostante il riconoscimento della fondatezza delle loro ragioni, avrebbe vanificato il risultato del giudizio, ponendosi in contrasto con il diritto di cui all’art. 24 Cost., secondo il quale tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi. In tale ottica, la necessità di agire a tutela dei propri diritti non può ritorcesi contro chi ha ragione e il decreto impugnato costituirebbe dunque una vera e propria condanna al pagamento – parziale – delle spese processuali, in pieno contrasto con i principi di cui alla norma costituzionale richiamata. I motivi, congiuntamente esaminati dalla Corte di Cassazione, sono fondati. Il decreto impugnato infatti dispone la compensazione per metà delle spese processuali giustificandola con un mero accenno al comportamento processuale del Ministero” , elemento di per sé non sufficiente alla compensazione delle spese. L’abuso del processo. Tuttavia, i Giudici di legittimità, ricostruendo la vicenda processuale, sottolineano come la condotta dei ricorrenti abbia integrato un abuso del processo, in quanto, essendo gli stessi parti di un medesimo procedimento fallimentare, avevano presentato domanda di equo indennizzo per irragionevole durata del processo, depositando ricorsi distinti, patrocinati dal medesimo difensore. Affermano difatti i giudici di legittimità che il concetto di abuso del processo, quale condotta lesiva del canone generale di buona fede oggettiva e correttezza, contrastante con il dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost. e contraria al giusto processo, può trovare applicazione anche in una fattispecie di richiesta di equa riparazione per irragionevole durata del processo ove l’evento causativo del danno sia unico, come anche il soggetto che ne deve rispondere, e i plurimi danneggiati propongano distinti procedimenti, producendo un effetto inflattivo del contenzioso contrario al principio della ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111 Cost Gli effetti dell’abuso devono essere eliminati. Nonostante il riscontrato abuso del processo, le domande non possono però essere dichiarate inammissibili, poiché non è illegittimo l’accesso allo strumento di tutela azionato, bensì le sue modalità di esercizio. Ne consegue dunque la necessità di eliminare gli effetti discorsivi dell’abuso, con la conseguenza che, nella fattispecie, tale condotta assume rilevanza ai fini della determinazione delle spese processuali, dovendo considerare il procedimento come unico sin dall’origine. In conclusione, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, esclude dalla statuizione sulle spese del giudizio di merito la compensazione della metà, ferme restando le ulteriori statuizioni e condanna il ministero al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, sentenza 17 dicembre 2014 – 24 aprile 2015, numero 8381 Presidente Petitti – Relatore Scalisi Svolgimento del processo M.P.M. , Mi.Fr. , +Altri , con distinti ricorsi depositati nei mesi di maggio, giugno e luglio del 2012, successivamente riuniti, adivano la Corte di Appello di Catanzaro chiedendo l'accoglimento della domanda di equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo art. 3 della legge numero 89 del 2001 a causa dell'eccessiva durata del processo fallimentare della ditta Trepla Med srl, nel quale erano stati coinvolti con istanza di insinuazione al passivo depositata innanzi al Tribunale di Reggio Calabria il 17 settembre 1993 in cui i ricorrenti chiedevano che il credito di lavoro fosse ammesso in via privilegiata. Gli odierni ricorrenti chiedevano l'accertamento della violazione dell'art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo. Si costituiva il Ministero della Giustizia il quale non si opponeva all'accoglimento della domanda nei limiti di giustizia ed ha chiesto la compensazione delle spese processuali. La Corte di Catanzaro con decreto numero 1425/13 del 31 maggio 2013 accoglieva il ricorso e compensava per la metà le spese del giudizio, condannava il Ministero della Giustizia al pagamento della restante metà delle spese. Secondo la Corte di appello di Catanzaro certo era l'an del danno non patrimoniale e tale danno andava liquidalo applicando i ci iteri di liquidazione indicati dalla Corte Edu e recepiti dalla Corte di Cassazione. Riteneva, altresì, di compensare per metà le spese giudiziali tenuto conto del comportamento processuale del Ministero della Giustizia che non si è opposto alla domanda di equo indennizzo. La cassazione di questo decreto è stata chiesta dai ricorrenti indicati in epigrafe con separati ricorsi affidati a due motivi. Il Ministero della Giustizia in questa fase non ha svolto alcuna attività giudiziale. In prossimità dell'udienza pubblica M.P. ha depositato memoria ex art. 378 cpc. Motivi della decisione 1.- M.P.M. e gli altri ricorrenti indicati in epigrafe lamentano a con il primo motivo la violazione degli artt. 91, primo comma, e 92, secondo comma cpc. Secondo i ricorrenti la Corte di Catanzaro avrebbe disposto la compensazione, sia pure per la metà, delle spese giudiziali in base a presupposti non previsti dall'art. 92 cpc. così come riformulato dalla legge numero 69 del 2009, secondo il quale la compensazione delle spese può essere disposta solo per gravi ed eccezionali motivi che dovranno essere indicate in motivazione. Nel caso in esame, infatti, la corte distrettuale avrebbe compensato la metà delle spese processuali richiamando la vecchia formula divenuta di solo stile della sussistenza di giusti motivi ravvisati nel comportamento processuale dell'Amministrazione resistente. b con il secondo motivo, la violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione e dell'art. 2 della legge numero 89 del 2001 e dell'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. Secondo i ricorrenti la Corte di Catanzaro disponendo la compensazione delle spese nonostante avesse riconosciuto le ragioni degli stessi ricorrenti avrebbe vanificato il risultato del giudizio, negando in sostanza il diritto sancito dall'art. 24 della Costituzione secondo il quale tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi. Epperò, la necessità di agire a tutela dei propri diritti ed interessi non può andare a danno della parte che ha ragione anzi secondo l'art. 91 cpc le spese giudiziali seguono la soccombenza. In altri termini il decreto impugnato, sempre secondo i ricorrenti, costituirebbe una vera e propria condanna seppure implicita e in via di fatto al pagamento di parte delle spese processuali a carico della parte vittoriosa in aperto e pieno contrasto con quelli che sono i principi sanciti dall'art. 24 cost. e dall'art. 91 cpc. Per altro compensare le spese del giudizio in un caso come quello che ci occupa e porre di fatto a carico della parte vittoriosa le spese processuali violerebbe il principio costituzionale nella misura in cui non consentirebbe a tutti i cittadini le medesime opportunità. 1.1.- I motivi, da esaminare congiuntamente siccome volti tutti alla contestazione della decisione della Corte di merito in ordine al regolamento delle spese del giudizio, sono fondati. Infatti, nel decreto la compensazione per metà delle spese del grado è giustificata soltanto dal mero accenno al comportamento processuale del Ministero , che - come indicato dalla stessa Corte territoriale nell'esposizione dello svolgimento della vicenda processale - non si era opposto all'accoglimento della domanda, ove sussistenti i presupposti di legge . Ora, anche a prescindere dall'insufficienza della motivazione adottata dalla Corte di appello, è comunque assorbente rilevate che la mancata opposizione alla domanda da parte dell’Amministrazione non giustifica, di per sé, la compensazione allorché, come nella specie, la parte sia stata costretta ad adire il giudice per ottenere il riconoscimento del diritto. Il decreto impugnato deve quindi essere cassato. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito escludendo dalla liquidazione delle spese del giudizio di merito - che restano ferme nel loro importo e nella disposta distrazione - la compensazione per metà. Le spese del giudizio di legittimità, che, in applicazione del principio della soccombenza, vanno poste a carico del Ministero della giustizia, si liquidano come da dispositivo, da distrarsi agli avvocati Polimeni Domenico e Cotroneo Attilio, dichiaratisi antistatali. Tuttavia, al riguardo la Corte rileva che, per quanto consta sulla base del decreto impugnato e dallo stesso ricorso, i ricorrenti sono stati parti di uno stesso procedimento avanti al Giudice Delegato del Tribunale di Reggio Calabria, avente ad oggetto l'ammissione al passivo del fallimento della ditta Trepla Med srl ciononostante, pur essendo la domanda di riconoscimento dell'equo indennizzo per l'eccessiva durata di tale procedimento basata sullo stesso presupposto giuridico di fatto, le parti hanno depositato distinti ricorsi alla Corte d'appello di Catanzaro, con il patrocinio del medesimo difensore. La Corte distrettuale provvedeva dunque a riunire i diversi giudizi. Nonostante la riunione disposta dalla Corte distrettuale, le parti hanno depositato distinti ricorsi per la cassazione del decreto. Epperò, tale condotta configura un ipotesi di abuso del processo Come già ritenuto da questa Corte nell'ordinanza in data 3/5/2010, numero 10634 la condotta di cui si dice, è ritenuta lesiva sia del canone generale di buona fede oggettiva e correttezza, in quanto contrastante con il dovere di solidarietà di cui all'art. 2 Cost., e contraria ai principi del giusto processo, in quanto l'inutile moltiplicazione dei giudizi produce un effetto inflattivo confliggente con l'obiettivo costituzionalizzato della ragionevole durata del processo, di cui all'articolo 111 Cost. vedi la pronuncia delle Sezioni unite, numero 23.726 del 2007 . Tali principi possono trovare applicazione anche in fattispecie quale quella in esame, ove l'evento causativo del danno, e quindi giustificativo della pretesa, sia identico, come unico sia il soggetto che ne deve rispondere e plurimi siano solo i danneggiati, i quali dopo aver assunto la stessa condotta in fase di richiesta dell'indennizzo, agendo con lo stesso difensore, hanno instaurato singolarmente procedimenti diversi, destinati inevitabilmente alla riunione. Una tale condotta, priva di alcuna apprezzabile motivazione ed incongrua rispetto alle rilevate modalità di gestione, sostanzialmente unitaria delle comuni pretese, contrasta con l'inderogabile dovere di solidarietà sociale, che osta all'esercizio di un diritto con modalità tali da arrecare un danno ad altri soggetti, che non sia l'inevitabile conseguenza di un interesse degno di tutela dell'agente, danno che nella fattispecie graverebbe sullo Stato debitore, a causa dell'aumento degli oneri processuali, ma contrasta altresì soprattutto con il principio costituzionalizzato del giusto processo, inteso come processo di ragionevole durata, posto che la proliferazione oggettivamente non necessaria dei procedimenti incide negativamente sull'organizzazione giudiziaria a causa dell'inflazione dell'attività, con il conseguente generale allungamento dei tempi processuali. Dal riscontralo abuso dello strumento processuale non può tuttavia, conseguire la sanzione dell'inammissibilità dei ricorsi, posto che non è l'accesso in sé allo strumento che è illegittimo, ma le modalità con cui è avvenuto, ma l'eliminazione per quanto possibile degli effetti discorsivi dell'abuso e quindi, nella fattispecie, la valutazione dell'onere delle spese come se unico fosse stato il procedimento sin dall'origine. In definitiva, i ricorsi riuniti vanno accolti. Il decreto impugnato va cassato in relazione alle censure accolte e non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, giudicando nel merito va esclusa dalla statuizione sulle spese del giudizio di merito la disposta compensazione per la metà, ferme le altre statuizioni. Il Ministero della Giustizia, in ragione del principio di soccombenza ex art. 91 cpcp, condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità da distrarsi in favore degli Avv. Domenico Polimeni, e Cotroneo Attilio dichiaratosi antistatali. Rilevato che dagli atti il processo risulta esente, non si applica l'art. 13 comma primo quater del DPR numero 115 del 2002. P.Q.M. La Corte accoglie i ricorsi, in epigrafe. Cassa il decreto impugnato in relazione alle censure accolte e, decidendo nel merito, esclude dalla statuizione sulle spese del giudizio di merito la disposta compensazione per la metà, ferine Te altre statuizioni condanna il Ministero della Giustizia al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 1.000,00 oltre agli accessori come per legge, da distrarsi in favore degli Avv. Domenico Polimeni, e Cotroneo Attilio dichiaratosi antistatali.