Risarcimento in forma specifica e risarcimento per equivalente: due facce della stessa medaglia

Il risarcimento del danno per equivalente costituisce una reintegrazione del patrimonio del creditore, che si realizza mediante l’attribuzione di una somma di denaro pari al valore della cosa o del servizio oggetto della prestazione non adempiuta e, quindi, si atteggia come la forma tipica di ristoro del pregiudizio subito dal creditore per effetto dell’inadempimento del debitore, mentre il risarcimento in forma specifica, essendo diretto al conseguimento dell’eadem res dovuta, tende a realizzare una forma più ampia di ristoro del pregiudizio dallo stesso arrecato, dato che l’oggetto della pretesa azionata non è costituito da una somma di danaro, ma dal conseguimento, da parte del creditore danneggiato, di una prestazione del tutto analoga, nella sua specificità ed integrità, a quella cui il debitore era tenuto in base al vincolo contrattuale. Ne consegue che costituisce una semplice riduzione della domanda o comunque una distinta modalità attuativa del diritto fatto valere la richiesta di risarcimento per equivalente allorché sia stato originariamente richiesto, in giudizio, il risarcimento in forma specifica.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenze n. 1186/15, depositata il 22 gennaio. Il caso. La vicenda trae origine dal contratto di appalto concluso da un condominio per l’esecuzione di lavori di risanamento e impermeabilizzazione dei box. Riscontrati taluni difetti nell’opera peraltro non ultimata , il condominio citava in giudizio l’appaltatrice chiedendone la condanna al completamento dei lavori, all’eliminazione delle difformità e dei vizi, al risarcimento del danno e al pagamento della penale per il ritardo nella consegna. L’appaltatrice, a sua volta, opponeva la decadenza dalla garanzia per tardività della denuncia, l’avvenuta ultimazione dei lavori, l’assenza di responsabilità per il ritardo, e in riconvenzionale chiedeva il pagamento del saldo del prezzo. Il giudice di primo grado accoglieva parzialmente la domanda, condannando l’appaltatrice al risarcimento del danno pari al costo per l’eliminazione dei vizi. In riforma di tale pronuncia, la Corte d’appello eliminava la condanna, dichiarando inammissibile la domanda di risarcimento per equivalente in quanto proposta dal condominio solo con la precisazione delle conclusioni, laddove inizialmente era stata richiesto l’adempimento del contratto. Altresì inammissibile era dichiarata la domanda di risarcimento in forma specifica per l’eliminazione a spese e cura dell’appaltatrice delle difformità e vizi , non potendo essere azionata la garanzia di cui all’art. 1668, c.c. in quanto le opere non erano completate. Il condominio, quindi, propone ricorso in Cassazione, mentre la società appaltatrice propone ricorso incidentale condizionato. Principi applicabili in caso di mancato completamento dell’opera. La questione principale sottoposta all’esame degli Ermellini, oggetto sia del ricorso principale che di quello incidentale, attiene alla ritenuta inammissibilità della sostituzione della domanda di risarcimento in forma specifica avente per petitum l’eliminazione delle difformità e vizi delle opere appaltate con la domanda di risarcimento per equivalente avente per petitum la condanna della convenuta al pagamento della somma necessaria per l’eliminazione dei vizi e difetti . Sul punto, i giudici di legittimità reputano condivisibile la tesi prospettata dal ricorrente principale, il quale aveva censurato l’omessa pronuncia sul merito della domanda di risarcimento per equivalente. A tal proposito, la Suprema Corte osserva preliminarmente che il condominio non aveva qualificato la propria iniziale domanda in termini di garanzia per vizi, essendosi limitato a chiedere, quanto alle opere non ancora eseguite, il loro completamento, e, quanto alle opere male eseguite, la condanna dell’appaltatrice all’eliminazione dei vizi a sue spese e cura oltre al risarcimento danni. Pertanto, con riferimento all’eliminazione dei vizi per le opere male eseguite, esclusa la possibilità di far valere la garanzia ex art. 1668, c.c. che presuppone il totale compimento dell’opera , il condominio faceva valere la comune responsabilità contrattuale ex artt. 1453 e 1455, c.c. Ed invero, le disposizioni di cui agli artt. 1667 e 1668, c.c. integrano, senza escluderli, i normali principi in materia di inadempimento contrattuale, che rimangono dunque applicabili quando, come in questo caso, l’opera non sia stata completata. Le diverse forme di risarcimento. Inquadrata, dunque, la domanda del condominio nel paradigma dell’art. 1453, c.c., i giudici di legittimità passano in rassegna le diverse forme di tutela riconosciute dalla norma. Ebbene, in virtù di tale disposizione, alla parte inadempiente può essere chiesto dall’altro contraente l’adempimento o la risoluzione, salvo in ogni caso il risarcimento del danno, che quindi si configura come strumento ulteriore e generale rispetto ai due principali dell’adempimento e della risoluzione. La tutela risarcitoria, a sua volta, può avvenire secondo due distinte modalità in forma specifica o per equivalente. Il risarcimento per equivalente costituisce un modo generale e tipico di risarcimento, che si realizza mediante l’attribuzione di una somma di denaro commisurata al pregiudizio, mentre il risarcimento in forma specifica tende a realizzare una forma più ampia di ristoro poiché l’oggetto della pretesa azionata è costituito dal conseguimento, da parte del creditore danneggiato, di una prestazione del tutto analoga a quella cui il debitore era tenuto in base al vincolo contrattuale. Sostituzione della domanda di risarcimento in forma specifica con quella per equivalente. Ciò posto, la Suprema Corte sostiene che la richiesta di risarcimento per equivalente, allorché sia stato originariamente richiesto in giudizio il risarcimento in forma specifica, costituisca una semplice limitazione della domanda. Invero, nel caso di specie, la domanda era stata formulata per ottenere l’eliminazione dei vizi di opere già eseguite da anni, e, persistendo i vizi al momento della precisazione delle conclusioni della causa iniziata anni addietro, la domanda di risarcimento per equivalente doveva intendersi già ricompresa nella iniziale più ampia domanda di risarcimento in forma specifica attraverso l’eliminazione dei vizi. Sul punto gli Ermellini aggiungono che, per giurisprudenza costante della Cassazione, rientra addirittura nei poteri discrezionali del giudice di merito attribuire al danneggiato il risarcimento per equivalente, anziché in forma specifica come domandato dall’attore, costituendo il risarcimento per equivalente un minus rispetto al risarcimento in forma specifica e intendendosi, perciò, la relativa richiesta implicita nella domanda di reintegrazione, con la conseguenza che non incorre nella violazione dell’art. 112, c.p.c. il giudice ancorché pronunci d’ufficio una condanna al risarcimento per equivalente.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 29 ottobre 2014 – 22 gennaio 2015, n. 1186 Presidente Piccialli – Relatore Proto