Pm “disobbedisce” al capo dell’ufficio: colpevole, ma non sempre

Il pubblico ministero non è vincolato incondizionatamente alle disposizioni impartitegli dal capo dell’ufficio egli può, infatti, operare in difformità delle istruzioni, senza incorrere nell’illecito disciplinare, di cui all’art. 2, comma 1, lett. n del d. lgs. n. 109/2006, quando abbia reso noto il proprio dissenso al capo dell’ufficio e lo stesso non abbia revocato l’assegnazione del procedimento. Nel caso in cui però il pm non alleghi di aver manifestato in modo chiaro e tempestivo le ragioni del proprio dissenso dalle istruzioni del capo dell’ufficio, potrà essere sottoposto a procedimento disciplinare, con relativa condanna.

E’ stato così deciso nella sentenza n. 26551, della Corte di Cassazione, depositata il 17 dicembre 2014. Il caso. Un Magistrato, con funzioni di Procuratore della Repubblica, veniva sottoposto a procedimento disciplinare, con una duplice incolpazione. Violazione dovere di diligenza e laboriosità. In primo luogo, gli veniva addebitato di essere venuto meno ai suoi doveri di diligenza e laboriosità, in violazione degli artt. 1 e 2, comma 1, lett. a , del d. lgs. n. 109/2006, non avendo svolto le indagini necessarie in un procedimento per lesioni, cagionate da un uomo nei confronti della propria figlia di due anni, nonostante fossero emersi evidenti elementi di pericolosità dell’indagato. Lo stesso uomo, invero, circa un anno dopo, aveva ucciso la propria ex convivente, sicché dal comportamento omissivo del magistrato era derivato a quest’ultima il danno irreparabile della perdita della vita. Violazione delle disposizioni impartite dal capo dell’ufficio. In secondo luogo, l’uomo veniva incolpato per non essersi attenuto, in violazione degli artt. 1 e 2, comma 1, lett. n , del d. lgs. n. 109/2006, alle disposizioni impartitegli dal capo dell’ufficio col provvedimento di assegnazione, ignorando le sollecitazioni ad adottare i provvedimenti urgenti del caso ed a valutare l’opportunità di sottoporre l’indagato ad una perizia psichiatrica. La decisione del CSM modifica della prima contestazione La Sezione disciplinare del CSM escludeva che i comportamenti addebitati al magistrato potessero configurare l’illecito disciplinare ex art. 2, comma 1, lett. a del predetto d. lgs., ma riteneva, invece, che essi integrassero l’illecito ex art. 2, comma 1, lett. h , ossia il travisamento di fatti determinato da negligenza inescusabile, e che se ne potesse tener conto ai fini sanzionatori, non implicando questa modifica dell’originaria contestazione una sostanziale mutazione di quanto era stato contestato. conferma del secondo capo d’incolpazione. Inoltre, il CSM riteneva sussistente il secondo illecito contestatogli e condannava l’uomo alla perdita di un anno di anzianità. Il Magistrato ricorreva allora in Cassazione. Era stata emessa condanna per un fatto diverso da quello contestato? Con un primo motivo l’uomo lamentava la violazione dell’art. 521 c.p.p. Correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza , nonché dell’art. 6 CEDU, sostenendo che la Sezione disciplinare non si era limitata a dare una diversa qualificazione al fatto contestato del primo capo di incolpazione, ma aveva emesso condanna per un fatto diverso da quello contestato. L’originaria incolpazione fatto omissivo . Le Sezioni Unite, nell’affrontare il primo motivo di ricorso, sottolineano che, effettivamente, ab origine al magistrato era stato contestato un fatto omissivo, ovvero la mancata assunzione di iniziative processuali indispensabili per valutare l’effettiva pericolosità dell’indagato. Infatti gli era stata contestata la violazione del dovere di diligenza e laboriosità da cui era derivato un ingiusto danno alla vittima dell’omicidio. Modifica travisamento dei fatti. Il CSM aveva, però, escluso la configurabilità di tale illecito, ritenendo invece sussistente un illecito diverso il magistrato aveva operato un grave travisamento dei fatti, avendo iscritto il fascicolo per il reato di lesioni colpose, mentre, inequivocabilmente, le lesioni avessero natura dolosa. Non vi era, quindi, corrispondenza tra incolpazione e fatto per il quale era stata pronunciata sentenza. La Cassazione non condivide, però, quanto affermato nella sentenza impugnata il passaggio dall’originaria incolpazione all’altra non comporta, difatti, un mera diversa qualificazione di circostanze storiche, già compiutamente contestate. Benché entrambe le incolpazioni abbiano un punto d’incontro, ossia la mancata percezione da parte del magistrato della pericolosità dell’indagato, le censure sono diverse, altro è censurare l’inerzia che al magistrato sarebbe stata ipoteticamente addebitabile nell’assumere le iniziative processuali che il caso richiedeva, altro è rimproverargli di aver invece agito, ma travisando i fatti per inescusabile diligenza . Nullità insanabile. Il primo motivo di ricorso è quindi fondato, essendo evidente la non corrispondenza tra l’incolpazione contestata ed il fatto per il quale è stata pronunciata la sentenza di condanna, che risulta quindi affetta da insanabile nullità. Le indicazioni impartitegli avevano rilevanza ufficiale? Con un altro motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 2, comma 1, lett. n del d. lgs. n. 109/2006, per l’attribuzione di responsabilità in riferimento al secondo capo di incolpazione. L’uomo era stato ritenuto colpevole perché non aveva seguito le indicazioni e le sollecitazioni disposte dal capo dell’ufficio. Secondo il ricorrente, la condotta ascrittagli non poteva qualificarsi come grave inosservanza della norma soprarichiamata, dal momento che le indicazioni fornitegli erano state predisposte dopo il provvedimento di assegnazione, con una indicazione scritta e poi nel corso di un colloquio orale, pertanto la loro forma e il loro contenuto erano privi di cogenza. La norma ricomprende le prescrizioni generali e specifiche. Specifica la Cassazione, che la norma in questione la reiterata o grave inosservanza delle norme regolamentari o delle disposizioni sul servizio giudiziario adottate dagli organi competenti ricomprende non solo le prescrizioni inerenti in via generale alle modalità organizzative e di funzionamento dell’ufficio in cui il magistrato presta la sua opera ma anche quelle che il capo dell’ufficio impartisca in relazione allo svolgimento di specifici incarichi giudiziari. Naturalmente – aggiunge la Suprema Corte – affinché sia configurabile questo illecito disciplinare, le disposizioni non rispettate dal magistrato devo essere state impartite legittimamente. Il pm può disattendere le istruzioni, a patto che E’ altrettanto pacifico che il pubblico ministero non è vincolato incondizionatamente alle disposizioni impartitegli dal capo dell’ufficio egli può continuare ad operare in difformità delle istruzioni, senza incorrere nell’illecito disciplinare in esame, quando abbia reso noto il proprio dissenso al capo dell’ufficio e lo stesso non abbia revocato l’assegnazione del procedimento. siano rispettati i principi della leale collaborazione e del buon andamento dei pubblici uffici. Il tutto sulla base del principio della leale collaborazione tra capo dell’ufficio e magistrati addetti all’ufficio medesimo, al fine di soddisfare il buon andamento dei pubblici uffici art. 97 Cost. . Nel caso in esame, la violazione della norma predetta è configurabile, dal momento che le disposizioni impartite dal capo dell’ufficio non difettavano del carattere organizzativo generale – come sostenuto dal ricorrente -, né il ricorrente aveva allegato di aver manifestato in modo chiaro e tempestivo le ragioni del proprio dissenso dalle istruzioni del capo dell’ufficio. Sulla base di tali motivi, le Sezioni Unite cassano con rinvio la sentenza impugnata, limitatamente al primo motivo di ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 2 – 17 dicembre 2014, n. 26551 Presidente Rovelli – Relatore Rordorf Esposizione del fatto Il Dott. M.F. è stato sottoposto a procedimento disciplinare per una vicenda che lo aveva coinvolto, nell'estate del 2011, quando egli esercitava funzioni di sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Livorno. A suo carico è stata elevata una duplice incolpazione. In primo luogo gli è stato addebitato di esser venuto meno ai suoi doveri di diligenza e laboriosità, in violazione degli artt. 1 e 2, comma 1, lett. a , del d. lgs. n. 109 del 2006, non avendo egli svolto le indagini ed assunto le iniziative processuali necessarie in un procedimento penale per lesioni, cagionate con un coltello dal padre ad una figlia in tenera età, quantunque fossero emersi elementi evidenti di pericolosità dell'indagato, il quale circa un anno dopo aveva infatti ucciso la propria ex convivente, onde dal comportamento del magistrato era derivato a quest'ultima il danno irreparabile della perdita della vita. Nel secondo capo d'incolpazione si è fatto carico al Dott. M. di non essersi attenuto, in violazione degli artt. 1 e 2, comma 1, lett. n , del citato d. lgs n. 109, alle disposizioni impartitegli, in relazione al suddetto procedimento, dal capo dell'ufficio col provvedimento di assegnazione, con una successiva indicazione scritta e nel corso di un ulteriore colloquio orale, ignorando le sollecitazioni ad adottare i provvedimenti urgenti del caso ed a valutare l'opportunità di sottoporre l'indagato ad una perizia psichiatrica. La Sezione disciplinare del Consiglio superiore della Magistratura, con sentenza pronunciata l'11 aprile 2014 e depositata il successivo 22 maggio, ha escluso che i comportamenti addebitati al Dott. M. nel primo capo d'incolpazione potessero configurare l'illecito disciplinare di cui al citato art. 2, comma 1, lett. a , ma ha ritenuto che essi integrassero invece l'illecito di cui alla successiva lettera h , ossia il travisamento di fatti determinato da negligenza inescusabile, e che se ne potesse tener conto ai fini sanzionatori non implicando tale modifica dell'originaria contestazione una sostanziale mutazione di quel che in concreto era stato contestato. La Sezione disciplinare ha ritenuto altresì sussistente l'illecito di cui al secondo capo d'incolpazione ed, in considerazione anche della gravità delle conseguenze e dell'esistenza di precedenti disciplinari recenti, ha condannato il Dott. M. alla perdita di un anno di anzianità. Contro tale sentenza il Dott. M. ricorre per cassazione prospettando quattro motivi di doglianza, illustrasti poi anche con memoria. Nessuna difesa ha svolto il Ministero intimato. Ragioni della decisione 1. Col primo motivo il ricorrente si duole della violazione dell'art. 521 c.p.p., nonché dell'art. 6 della Convenzione sulla salvaguardia del diritti dell'Uomo e delle libertà fondamentali, sostenendo che la Sezione disciplinare non si sarebbe limitata a dare una diversa qualificazione al fatto contestato nel primo capo d'incolpazione, ma avrebbe emesso condanna per un fatto diverso da quello contestato, senza che neppure il Procuratore generale lo avesse richiesto. 1.1. La doglianza è fondata. Al Dott. M. era stato contestato un fatto omissivo la mancata assunzione di iniziative processuali indispensabili per valutare l'effettiva pericolosità dell'indagato, responsabile di aver accoltellato la propria figlia di due anni, con la conseguenza che lo stesso indagato aveva potuto commettere alcun tempo dopo un omicidio in danno della propria ex convivente. Donde l'addebito di violazione del dovere di diligenza e laboriosità da cui era derivato un ingiusto danno alla vittima dell'omicidio. Il giudice disciplinare ha escluso la configurabilità di tale illecito per due concorrenti ragioni perché non ha ravvisato in concreto l'inerzia addebitata al magistrato, e perché l'illecito anzidetto presuppone un danno a carico di chi sia parte del procedimento affidato al magistrato, mentre nel caso in esame la vittima del successivo omicidio non poteva considerarsi parte del procedimento per lesioni di cui il Dott. M. si era occupato in veste di pubblico ministero. La Sezione disciplinare del Consiglio superiore, nondimeno, ha ritenuto che i fatti contestati potessero integrare un illecito diverso, previsto dalla lettera h del medesimo articolo 2 del d. lgs n. 109 del 2006 e tale diverso illecito consiste - sempre secondo la Sezione disciplinare - nell'avere il Dott. M. , investito delle indagini concernenti l'accoltellamento della bambina ad opera del padre, operato un grave travisamento dei fatti iscrivendo il fascicolo per il reato di lesioni colpose nonostante la ricostruzione desumibile dagli atti trasmessi dai Carabinieri lasciasse intendere in maniera non equivoca che le lesioni avessero natura dolosa . Non appare però affatto condivisibile quanto si legge nella sentenza impugnata a sostegno della tesi secondo cui il passaggio dall'una all'altra incolpazione comporterebbe soltanto una diversa qualificazione di circostanze storiche già compiutamente contestate, e non anche l'addebito di fatti ulteriori e diversi da quelli contestati in precedenza. Può al più convenirsi che tra le due ipotesi d'illecito disciplinare vi sia un punto d'incontro, consistente nella mancata percezione, ad opera del Dott. M. , della gravità del comportamento tenuto nella circostanza dal padre della bambina ferita e nella sottovalutazione della pericolosità dell'indagato ma altro è censurare l'inerzia che al magistrato sarebbe stata ipoteticamente addebitabile nell'assumere le iniziative processuali che il caso richiedeva, altro è rimproverargli di avere invece agito, ma travisando i fatti per inescusabile negligenza. L'avere il Dott. M. ritenuto di procedere per un reato colposo, nonostante l'evidenza della natura dolosa del reato stesso - nel che risiede il nucleo dell'illecito disciplinare del quale egli è stato considerato responsabile - è cosa che non figura in alcun modo nell'originario capo d'incolpazione, il solo che gli sia mai stato contestato. Evidente appare, pertanto, la non corrispondenza tra l'incolpazione contestata ed il fatto per il quale è stata pronunciata la sentenza di condanna, che risulta quindi affetta, per questa parte, da insanabile nullità. 2. Resta assorbito l'esame del secondo motivo di ricorso, volto a contestare la motivazione con cui la sentenza impugnata ha inteso dimostrare il travisamento del fatto addebitato all'inescusabile negligenza dell'incolpato. 3. Il terzo motivo di ricorso, con cui si denuncia la violazione dell'art. 2, comma 1, lett. n , del più volte citato d. lgs n. 109, riguarda la responsabilità attribuita al Dott. M. nel secondo capo d'incolpazione. Al ricorrente è stato rimproverato di non essersi attenuto, nell'ambito del procedimento già sopra ricordato, alle disposizioni che gli erano state impartite dal capo dell'ufficio, prima col provvedimento di assegnazione, poi con una successiva indicazione scritta e quindi nel corso di un ulteriore colloquio orale, ignorando le sollecitazioni ad adottare i provvedimenti urgenti del caso ed a valutare l'opportunità di disporre una perizia psichiatrica nei confronti della persona indagata per aver ferito con un coltello la propria figlia in tenera età. Il ricorrente, dopo aver rimarcato come le suaccennate disposizioni del capo dell'ufficio impersonato durante la vicenda in esame da due magistrati diversi non riguardassero criteri organizzativi o modalità generali di svolgimento dell'attività dell'ufficio, bensì la conduzione di una singola e specifica indagine, nega che esse possano esser considerate tali da ricadere nella previsione della citata previsione dell'art. 2, comma 1, lett. n , sia quanto alla loro forma sia quanto al loro contenuto, privo di ogni cogenza e sostiene che, anzi, l'ultima di tali pretese disposizioni, asseritamente pronunciata in forma verbale, non sarebbe mai stata neppure davvero impartita. 3.1. La doglianza non può trovare accoglimento. 3.1.1. Giova premettere che tra le disposizioni sul servizio giudiziario o sui servizi organizzativi e informatici adottate dagli organi competenti la cui inosservanza, se reiterata e grave, integra l'illecito disciplinare in questione, sono da ricomprendere non soltanto le prescrizioni inerenti in via generale alle modalità organizzative e di funzionamento dell'ufficio in cui il magistrato presta la sua opera ma anche quelle che, nei casi in cui la legge lo prevede, il capo dell'ufficio impartisca in relazione allo svolgimento di specifici incarichi giudiziari. L'espressione servizio giudiziario , adoperata dal legislatore accanto a quella servizi organizzativi , appare infatti dotata di un significato ampio, tale da non consentirne una lettura limitata alle sole disposizioni organizzative generali riguardanti il funzionamento dell'ufficio nel suo complesso. Né si saprebbe giustificare, sul piano logico, l'assoggettamento a sanzione disciplinare della violazione di siffatte disposizioni generali e non anche di quelle legittimamente impartite in vista del compimento di specifiche attività affidate al magistrato. Violazione, quest'ultima, che in talune situazioni potrebbe risultare potenzialmente ancor più nociva dell'altra per il corretto funzionamento della giurisdizione, per la tutela dei terzi e per l'immagine stessa della magistratura. Naturalmente occorre, perché possa ravvisarsi l'illecito disciplinare in discorso, che le disposizioni non rispettate dal magistrato siano state impartite legittimamente. Ciò impone di ricordare, trattandosi di un magistrato con funzioni di pubblico ministero, che il primo comma dell'art. 2 del d. lgs. n. 106 del 2006 come sostituito dalla lettera b del comma 2 dell'art. 1 della legge 24 ottobre 2006, n. 269 individua nel Procuratore della Repubblica il titolare esclusivo dell'azione penale, consentendogli di esercitarla personalmente o mediante assegnazione a uno o più magistrati dell'ufficio e che il secondo comma del medesimo articolo da facoltà allo stesso Procuratore della Repubblica di stabilire con l'atto di assegnazione per la trattazione di un procedimento i criteri ai quali il magistrato assegnatario deve attenersi nell'esercizio della relativa attività, con l'ulteriore previsione per cui, se il magistrato invece non vi si attiene, ovvero insorge tra lui ed il capo dell'ufficio un contrasto circa le modalità di esercizio, l'assegnazione può essergli revocata con provvedimento motivato. Il coordinamento tra le disposizioni da ultimo richiamate e la previsione d'illecito disciplinare di cui al citato art. 2, comma 1, lett. n , comporta che se, per un verso, il magistrato cui siano state impartite disposizioni all'atto del conferimento dell'incarico o successivamente può senz'altro manifestare il proprio dissenso rispetto a dette disposizioni, in modo da consentire al Procuratore della Repubblica che lo stimi opportuno di esercitare al più presto il potere di revoca motivata dell'assegnazione, per altro verso la manifestazione chiara e tempestiva di quel dissenso costituisce un onere per il medesimo magistrato assegnatario. Il quale non è certo incondizionatamente tenuto ad attenersi alle disposizioni impartitegli, ma in tanto può continuare ad operare in difformità da esse senza incorrere nell'illecito disciplinare di cui si sta parlando in quanto abbia reso esplicitamente noto il proprio dissenso al capo dell'ufficio e quest'ultimo non gli abbia perciò revocato l'assegnazione del procedimento. Conclusione, questa, che appare la sola coerente con il principio di leale collaborazione che deve improntare il comportamento reciproco del capo dell'ufficio e dei magistrati addetti all'ufficio medesimo, anche al fine di soddisfare un altro e più generale principio quello di buon andamento dei pubblici uffici, espressamente affermato dall'art. 97, primo comma, della Costituzione in tema non di giurisdizione, bensì di pubblica amministrazione, che non può non valere anche nel settore dell'amministrazione della giustizia. Quanto appena chiarito consente dunque di accantonare senz'altro il rilievo del ricorrente in ordine al difetto del carattere organizzativo generale delle disposizioni la cui inosservanza gli è stata addebitata. Infatti, come s'è visto, anche la violazione di disposizioni inerenti la conduzione di uno specifico incarico è idonea ad integrare gli estremi dell'illecito disciplinare, né il medesimo ricorrente allega di aver manifestato in modo chiaro e tempestivo le ragioni del proprio dissenso dalle istruzioni impartite dal capo dell'ufficio all'atto dell'assegnazione del procedimento e successivamente. 3.1.2. Le censure formulate nel motivo di ricorso in esame, per il resto, non pongono davvero in luce alcuna inosservanza o erronea applicazione della norma disciplinare cui si fa riferimento, denunciabile ai sensi dell'art. 606, primo comma, lett. b , c.p.p Escluso, infatti, che le disposizioni la cui inosservanza integra l'illecito disciplinare debbano avere una qualche forma predefinita, l'accertamento in punto di fatto dell'esistenza storica e del contenuto di tali disposizioni si risolve in una questione di merito con la conseguenza che la decisione adottata al riguardo dal giudice disciplinare non è censurabile in questa sede, se non per eventuali vizi di motivazione. Ma nel motivo di ricorso in esame non sono stati dedotti vizi di motivazione, bensì unicamente la violazione di una norma di diritto, che si è già detto non essere riscontrabile. Né può giovare sotto questo profilo al ricorrente la circostanza, sulla quale da ultimo egli ha soprattutto insistito nella memoria depositata a norma dell'art. 378 c.p.c., secondo cui anche ad altri magistrati sarebbe stata, in tesi, addebitabile analoga responsabilità disciplinare senza che essi ne siano stati invece chiamati a rispondere. Appare invero del tutto irrilevante, in questa sede, la valutazione della condotta tenuta nella vicenda da altri magistrati, e tanto meno importa qui stabilire la fondatezza o meno delle ragioni per le quali nessun addebito è stato loro mosso ragioni che in nessun modo potrebbero incidere sull'unico oggetto del presente giudizio, riguardante la rilevanza disciplinare del comportamento ascritto al ricorrente. 4. Il quarto motivo di ricorso concerne la misura della sanzione disciplinare applicata, e resta evidentemente assorbito dall'accoglimento del primo motivo, che comporta la necessità di cassare con rinvio la sentenza impugnata con conseguente rideterminazione, ad opera della medesima Sezione disciplinare sia pure in diversa composizione , della sanzione da infliggere. P.Q.M. La corte accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta il terzo e dichiara assorbiti gli altri cassa l'impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della Magistratura in diversa composizione.